Corte di Cassazione Terza penale Data: 28.05.2014

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Corte di Cassazione Terza penale Data: 28.05.2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio - Presidente Dott. GAZZARA Santi - rel. Consigliere Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Marco - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
G.F.M.;
avverso l'ordinanza n. 199/2013 TRIB. LIBERTA' di CATANZARO del 17/09/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANTI GAZZARA;
sentite le conclusioni del PG Dott. Gioacchino Izzo, il quale ha chiesto il rigetto;
Udito il difensore Avv. Vincenzo Saccomanno, per il G.F., il quale ha concluso insistendo in ricorso.
DirittoItaliano.com - Tutti i diritti riservati - Autorità: Corte di Cassazione Terza penale Data: 28.05.2014 Numero: 21759
ESTREMI: Corte di Cassazione Terza penale Data: 28.05.2014 Numero: 21759
Svolgimento del processo
In data 5/7/2013, il P.M. presso il Tribunale di Catanzaro, convalidava il sequestro probatorio di un notebook e
un tablet, eseguito dalla Polizia delle Comunicazioni "Calabria", a seguito di perquisizione effettuata dai
medesimi agenti, nel procedimento che vede G.F.A., indagato del reato ex artt. 56 e 600 ter c.p.
I beni sottoposti a vincolo venivano rinvenuti non nell'appartamento abitato dal prevenuto, bensì, in quello
adiacente di G.F.M.
Quest'ultimo, a mezzo del proprio difensore, ha proposto istanza di riesame, con cui ha chiesto la revoca del
sequestro, per insussistenza del fumus del reato contestato e per la evidente mancanza di collegamento tra il
materiale sottoposto a vincolo e l'indagato.
Il Tribunale del riesame, con ordinanza del 17/9/2013, ha rigettato il gravame.
Propone ricorso per cassazione la difesa dell'interessato, con i seguenti motivi:
- insussistenza del reato contestato, in quanto non può considerarsi la concretizzazione del tentativo del delitto
ex art. 600 ter c.p., di tal che il sequestro non poteva essere disposto;
- omessa motivazione in ordine alla necessità probatoria, perseguita con il provvedimento impugnato e, prima,
dal decreto del p.m.;
- omesso riscontro da parte del Tribunale alle censure mosse dal G. avverso la perquisizione e il conseguente
sequestro, operati dalla p.g.
Motivazione
Il ricorso è infondato.
La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente e posta dallo stesso a sostegno del mantenimento del
vincolo probatorio, si palesa del tutto logica e corretta.
Con il primo motivo di annullamento si censura il provvedimento impugnato con l'eccepire la inconfigurabilità del
reato di cui all'art. 600 ter c.p., comma 1, nella forma del tentativo; conseguentemente, vista la insussistenza del
reato ipotizzato, il sequestro probatorio non poteva essere disposto.
La censura è priva di pregio.
Il Tribunale ha evidenziato, ricostruendo cronologicamente la vicenda, che in data 14/10/12 il Sovrintendente
A.D., in servizio presso la Questura di Catania, riferiva che durante una conversazione telematica con D.G.B.
aveva appreso che, circa dieci giorni prima, la figlia di quest'ultima, L. E. di anni 12, aveva ricevuto una richiesta
di amicizia sul social network "Facebook" dalla sedicente M.J.
Questa, dopo avere prospettato alla minore l'ingresso nel mondo dell'alta moda e offerto in regalo denaro e capi
di abbigliamento, se avesse accettato di fare la modella, l'aveva contattata tramite webcam e le aveva richiesto
di spogliarsi e di toccarsi le parti intime; la ragazzina, a quel punto aveva interrotto il contatto e aveva informato
la madre dell'accaduto.
Gli accertamenti effettuati, di poi, dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni "Sicilia Orientale" avevano
permesso di individuare che il profilo Facebook della M. era associato alla casella di posta elettronica "____" ed
alla utenza di telefonia mobile intestata ad G.F.A.
Sulla scorta degli elementi acquisiti la Procura di Catanzaro adottava decreto di perquisizione dell'abitazione del
predetto G. F., disponendo il sequestro del materiale informatico trovato in uso o comunque in gestione al
predetto indagato.
Gli agenti operanti procedevano anche a perquisizione dell'abitazione limitrofa al predetto appartamento, abitata
da G.F.M., ove risultava essere ubicato l'impianto di telefonia mobile predetto e ivi sequestravano due computer,
un notebook ed un tablet.
In dipendenza di quanto evidenziato il decidente, a giusta ragione, ha ritenuto di ravvisare il fumus del delitto
ipotizzato dalla pubblica accusa, ex art. 56 e 600 ter c.p., nonchè la sussistenza del rapporto di pertinenzialità
dei beni in sequestro con la prefigurata fattispecie criminosa: infatti detti beni venivano rinvenuti
nell'appartamento in cui era operante l'utenza telefonica n.____, univocamente ricollegata all'account _____,
utilizzato dal soggetto che, dietro il nome di M. J., adescava la dodicenne L.E., compiendo atti idonei, diretti in
modo non equivoco a realizzare esibizioni pornografiche o a produrre materiale pedopornografico, ovvero ad
indurre la predetta minore a partecipare ad esibizioni pornografiche.
Alla luce di tali considerazioni il Tribunale ha ritenuto del tutto priva di rilievo la circostanza che il G.F.M. non
fosse il soggetto indagato e che non avesse la disponibilità dei beni ablati, visto il collegamento significativo ed
univoco tra l'appartamento oggetto di perquisizione e la condotta illecita astrattamente ipotizzata.
Peraltro, la circostanza accertata che alla morte di G.F. A., originario intestatario di detta linea telefonica, la
stessa continuava ad essere utilizzata da entrambi gli appartamenti, uno abitato dalla vedova di costui e l'altro
dal G.F. M. non fa altro che confermare la fondatezza della tesi accusatoria.
Orbene, nel caso di specie la condotta dell'agente - consistita nel contattare mediante il social network
"Facebook" con la richiesta di amicizia da parte di una sedicente M.J. la dodicenne L.E., prospettandole
l'ingresso nel mondo dell'alta moda e offrendole denaro e capi di abbigliamento se avesse accettato di
fare la modella, e nel chiederle tramite webcam di spogliarsi e toccarsi le parti intime - in quanto
palesemente rivolta a ottenere dalla minore un'esibizione lasciva dell'organo genitale, costituisce attività
idonea alla produzione di materiale pedopornografico potenzialmente destinato alla fruizione di terzi e
inequivocabilmente diretta a questo scopo, - non conseguito esclusivamente per l'interruzione del
contatto da parte della destinataria, che del fatto aveva informato la madre, e quindi configura nella
forma del tentativo il delitto previsto dall'art. 600 ter c.p.
Quanto alle ulteriori contestazioni; risulta corretto l'assunto del decidente; che ha ritenuto di rigettare le doglianze
difensive in ordine alla legittimità della perquisizione e alla successiva convalida del sequestro, nonchè alla
utilizzabilità degli esiti del conseguente sequestro, con effettuazione di puntuali richiami alla giurisprudenza di
legittimità, secondo la quale il decreto di perquisizione non è assoggettabile a riesame; sicchè, nel caso in cui
con tale mezzo di gravame venga impugnato il detto decreto, unitamente alla applicazione del vincolo, gli
autonomi motivi di censura mossi al primo non possono essere presi in considerazione dal decidente (ex multis
Cass.13/1/2009, n. 8841).
Peraltro, dette doglianze; di cui al secondo e al terzo motivo di annullamento, si palesano al limite della
inammissibilità; perchè generiche; in quanto ripetitive di quelle già oggetto di valutazione da parte del giudice di
merito e esaustivamente dallo stesso riscontrate: è, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi
gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non
solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento della impugnazione, questa non potendo
ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art.
591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità (ex multis Cass. 11/10/2004, n. 39598).
PQM
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2014