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Pagina inziale » Spettacoli » Articolo n. 880 del 10 marzo 2003
007 La morte può attendere
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Alzi la mano chi si ricorda di Once Were Warriors - Una volta erano guerrieri bell'esordio drammatico di un
giovane (ma al tempo già selezionato alla Biennale di Venezia) Lee Tamahori?
Attenti che vi vedo!
Nessuno? Beh correva allora l'anno 1994 ed eravamo tutti più giovani.
Il film è una specie di energico, movimentato, ben fotografato Rocco e i suoi fratelli dei tempi nostri che parla di
una famiglia maori in cui la madre, una splendida Rena Owen, lotta per tenere unita la famiglia contro il marito
alcolizzato, e due figli adolescenti preda delle logiche di gang che imperano nella periferia di Auckland.
Quando la figlia tredicenne viene stuprata da uno zio e, in seguito a questo, si impicca, la madre, finalmente, si ribella.
Ma perché nella scheda di 007 vi parlo di questo bel melodrammone iniziatico che scosse al tempo i pochi che ebbero la ventura di vederlo,
soprattutto da noi qui in provincia (a Pavia uscì soltanto una sera in rassegna per esempio)?
Beh, perché da allora il regista, Lee Tamahori, ne ha fatta di strada... ma non sempre in linea retta, né ascendente...
Certo, dovevamo già capirlo dalla sua opera successiva, L'urlo dell'odio, del 1997, dove Anthony Hopkins e Alec "bisteccone" Baldwin cadevano
con l'aereo in una zona montagnosa e lacustre dell'Alaska dovendosela cavare come novelli robinson, muniti solo di fiammiferi e coltellino, contro
un orso feroce che dava loro la caccia.
Hai voglia a caricare i paesaggi, mettere Mamet alla sceneggiatura, far lavorare Baldwin alla "forzatura" e Hopkins di sottrazione... il film non c'era.
E se ne accorsero tutti, dai critici al pubblico che, anche in Italia, disertò le sale.
Oggi Tamahori ci riprova con questo ennesimo 007 La morte può attendere e, a onor del vero, dobbiamo ammettere che del "vecchio leone"
qualche zampata si sente ancora.
Il regalo ad esempio a Bond, vincente per natura, di questa identità dolente, da sconfitto, la sua odissea nelle prigioni
del nemico, la caduta e la riconquista di un'aura che pareva perduta per sempre (v. addirittura il "suo" numero 007
che diventa 000 in segno di perdità di valore!), poi però, inutile negarlo, il progetto perde quota (per usare una
metafora che molto c'entra col finale...) e si rifugia dove più ce lo aspetteremmo, Corea del Nord, Cuba, Hong Kong
cinese... gli ultimi baluardi del Comunismo... tanto valeva sparare sulla crocerossa!
In Corea i padri sono generali ottusi ma onesti, a differenza dei figli, a Cuba le cose non funzionano se non si
"ungono" i canali giusti e Hong Kong ha semplicemente cambiato padrone quando è passata dagli inglesi ai cinesi...
e allora? Chi è che ancora non le sapeva queste cose?
Boh! Forse il pubblico tipo di 007 La morte può attendere: padri coi figli piccoli e coppie non troppo inclini alla meditazione meta-cinematografica,
cosa che però dubito parecchio.
Alcune chicche tuttavia vorrei comunque regalarvele: come il fatto di riconoscere Bond perché il suo fisico ha retto bene alle torture del nemico
inflittegli per 14 mesi di fila ma non il suo fegato, rovinato da quarant'anni di abusi, o i continui rimandi a luce e ombra, diamanti e specchi,
ghiaccio e passione, fuoco e acqua.
Altro dettaglio interessante: Bond qui non ha la solita bellona incapace come partner ma una vera e propria alter-ego femminile nel personaggio
interpretato da Halle Berry: se lei scende dal cielo, lui salirà dall'acqua, se lui è torturato col fuoco nella sua cella buia, lei sarà quasi uccisa dal
gelo soffocante della sua prigione trasparente...
Che dite? Deliri critici?
Forse! Comunque nel film l'ironia regna ancora sovrana, da quella evidente della realtà virtuale del sesso con Bond da parte di una passionale
Miss Money Penny, segretaria dei servizi di Sua Maestà, alla scena di seduzione da parte della spia doppiogiochista compagna di Bond che "gli
scarica la pistola" durante una notte d'amore...
Sarà casuale?
Roberto Figazzolo
Pavia, 10/03/2003 (880)
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