Passalacqua - Amministrazione in Cammino
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Passalacqua - Amministrazione in Cammino
Il gruppo economico controllato da ente pubblico e il difficile percorso di aggregazione di società di servizi pubblici locali a rete* di Michela Passalacqua** 16 gennaio 2016 SOMMARIO: 1. Gli affidamenti di appalti e concessioni infragruppo. Ratio e strumenti giuridici offerti dal diritto europeo. – 2. L’apparente asimmetria del diritto interno: obblighi di alienazione e processi di aggregazione. – 2.1. Procedure ad evidenza pubblica e cessione delle partecipazioni. – 2.2. La ricerca di un equilibrio tra vicende societarie e subentro nelle concessioni di servizio pubblico. – 3. La «trama» del gruppo economico nell’«ordito» dei contratti pubblici. 1. Gli affidamenti di appalti e concessioni infragruppo. Ratio e strumenti giuridici offerti dal diritto europeo Le nuove direttive europee sui contratti pubblici sembrano dilatare ancor di più la dimensione variabile della pubblica amministrazione che in materia di appalti e concessioni adesso si espande definitivamente al gruppo economico, in simmetria con quanto già era accaduto per le imprese aspiranti all’aggiudicazione. La normativa precedente, infatti, limitava la rilevanza giuridica della strutturazione in gruppi al lato dell’offerta di beni, servizi e forniture1, senza farne alcuna espressa menzione in riferimento all’articolazione della stazione appaltante avente la tradizionale forma dell’ente pubblico. D’altro canto, il legislatore sovranazionale, allo scopo di regolare le dinamiche del mercato e soprattutto di conformarlo al fine di apertura alle piccole e medie imprese, tendeva di massima a prescindere dalla natura giuridica dei legami tra le imprese * Il presente saggio è una versione aggiornata alla sentenza della Corte costituzionale n. 251/2016 del contributo per il progetto di ricerca d’ateneo 2015 dell’Università di Pisa su Il partenariato pubblicoprivato alla luce delle nuove direttive Ue in materia di appalti e concessioni. ** Professore associato di diritto dell’economia, Dipartimento di giurisprudenza, Università di Pisa. 1 Dapprima, con le direttive in materia di appalti pubblici di lavori (art. 1 ter, par. 4, Dir. 89/440/CEE e art. 3, par. 4, Dir. 93/37/CEE), dove il concessionario di lavori pubblici può eseguire i lavori o con la propria organizzazione o con quella delle imprese da esso controllate, poiché l’esecutore controllante è assimilato alle sue controllate, ritenendosi l’uno e le altre un unicum imprenditoriale. In seguito, per i settori ordinari e speciali, con le direttive del 2004. Si vedano, infatti, gli articoli 52, par. 1, Dir. 2004/18/CE, in tema di qualificazione, il quale consentiva il ricorso all’avvalimento per l’iscrizione in elenchi o il possesso di certificazioni solo alle società appartenenti alla medesima compagine sociale (c.d. avvalimento stabile), nonché l’art. 63, par. 2, Dir. 2004/18/CE, in materia di concessione di lavori pubblici, dove, riprendendosi la disciplina sopra descritta, si manteneva la definizione di impresa collegata al concessionario. Per cogliere i passaggi salienti dell’evoluzione giurisprudenziale e legislativa, si veda A. MASCOLINI, Il riconoscimento definitivo della nozione di “gruppo imprenditoriale”, in linea con le tendenze normative in atto e con il ruolo del general contractor (Nota a Cons. Stato sez. V 25 marzo 2002, n. 1695), in Contratti dello Stato e degli enti pubblici, 2002, f. 3, pp. 423 ss. 1 offerenti formalmente distinte, preferendo mitigare il potere economico dei grandi operatori a favore dei raggruppamenti occasionali2. Si pensi, in proposito, alla disciplina dell’avvalimento dei requisiti qualitativi per la partecipazione alle procedure3, ovvero, alle disposizioni dimidianti il potere delle stazioni appaltanti di limitare la partecipazione alle gare ai raggruppamenti di operatori economici dotati di una forma giuridica specifica4. È pur vero, tuttavia, che da tempo, dal lato della stazione appaltante, ma soltanto con riferimento ai settori speciali, è emersa l’esigenza di esentare dall’applicazione della disciplina degli appalti le persone giuridiche facenti parte della stessa entità economica5. Beneficiaria è l’impresa controllata sottoposta al consolidamento del suo bilancio con l’impresa madre6, ovvero l’impresa collegata in senso sostanziale7, cioè sottoposta all’influenza dominante dell’ente aggiudicatore, in un’accezione quindi lessicalmente non coincidente con quelle invalsa nel diritto societario nazionale, dove essa risulta più precisamente qualificabile come impresa controllata. Come è noto, infatti, l’art. 2359 del c.c. italiano e le direttive sui bilanci consolidati, da sempre, definiscono la nozione di controllo in funzione del concetto di influenza dominante8, mentre utilizzano la nozione di influenza notevole per le ipotesi di collegamento9. In realtà, la differenza è più semantica che di merito, poiché il “collegamento sostanziale” nel diritto degli appalti si verifica quando «sulla base di univoci elementi di fatto» risulti che la collegata sia in concreto priva di potestas decidendi, per effetto della sottoposizione all’altrui influenza dominante, dovendosi quindi imputare i relativi atti e attività a tale unico sovraordinato centro decisionale10. 2 Nei settori speciali, i sistemi di qualificazione degli enti aggiudicatori ammettevano indifferentemente l’avvalimento occasionale o quello stabile nell’ambito del gruppo societario (art. 53, par. 4-5, Dir. 2004/17/CE); stessa sorte per l’avvalimento dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali (art. 54, par. 5-6, ultimo capoverso, Dir. 2004/17/CE). 3 Rispettivamente economico-finanziari e tecnico-professionali, cfr. artt. 47, par. 2-3, 48, par. 3-4, Dir. 2004/18/CE; per i settori speciali, medesime disposizioni erano contenute nei già citati par. 5-6, ultimo capoverso, dell’art. 54, Dir. 2004/17/CE. 4 In tal senso gli artt. 4, par. 2, Dir. 2004/18/CE e 11, par. 2, Dir. 2004/17/CE. 5 Cfr. M. MENSI, L’ouverture à la concurrence des marchés publics de services, in Revue du Marché Unique Européen, 1993, f. 3, § 18, pp. 81 e ss. 6 Cfr. Direttiva 2013/34/UE, i cui obblighi di consolidamento si applicano però solo alle imprese e non ai rapporti “verticizzati” in un ente pubblico. 7 Per una ricostruzione dell’evoluzione delle norme in tal senso, nel succedersi delle discipline europee, si rinvia a R. ROSSOLINI, Note in tema di impresa controllata e collegata nella legge 11 febbraio 1994, n. 109 e nel diritto comunitario in materia di appalti pubblici, in Il diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1994, pp. 7 ss.; C. CONTESSA, La tutela della concorrenza nel settore degli appalti fra strumenti preventivi e rimedi successivi, in Urb. e appalti, 2004, f. 10, pp. 1190 ss.; G. SICA, Collegamenti sostanziali, in Giust. amm., 2006, f. 2, pp. 297 ss.; N. BECCATI, Il nuovo codice dei contratti ed il collegamento tra imprese nelle gare d’appalto di forniture di beni e servizi, in Appalti e contratti, 2007, f. 5, pp. 27 ss.; M.G. VIVARELLI, Collegamento fra imprese e unicità del centro decisionale, in Appalti e contratti, 2009, f. 6, pp. 29 ss. 8 Derivante dal controllo interno (azionario) di diritto; dal controllo interno (o azionario) di fatto che assicura voti sufficienti per esercitare una influenza dominante nell’assemblea ordinaria, o ancora, dal controllo esterno fondato sull’esistenza di particolari vincoli contrattuali. 9 Ai sensi dell’art. 2359, comma 3, l’influenza notevole si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti (20%) ovvero un decimo (10%) se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati. 10 A conferma, si veda la giurisprudenza nazionale in tema di collegamento sostanziale e divieto di simultanea partecipazione alle gare: T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 23 aprile 2012, n. 1089; T.A.R. 2 Val la pena fin da subito precisare che il diritto della concorrenza, in cui la nozione si è sviluppata grazie agli indirizzi dei giudici comunitari, pur ammettendo che la collegata non determini autonomamente il proprio comportamento sul mercato, conformandosi generalmente ai desiderata della propria società madre in forza di una tendenziale coincidenza di interessi, non rinnega a questa la possibilità di discostarsene su specifiche questioni, potendo rivendicare, in modo conflittuale, la propria autonomia e conservando di fatto margini decisionali idonei a consentirle di non attenersi, in tutto o in parte, alle istruzioni avute11. Inoltre, il diritto antitrust ammette che l’influenza della dominante non operi costantemente, lasciando fisiologicamente alcune decisioni della collegata nella sua piena disponibilità: i gruppi possono, infatti, presentare forme e obiettivi variabili, e non escludono necessariamente che le imprese controllate godano di una certa autonomia nella gestione della loro politica commerciale e delle loro attività economiche, magari in forza di disposizioni particolari anche di tipo contrattuale. Inoltre, va notato che nelle direttive appalti e concessioni l’influenza dominante può dipendere dal vincolo proprietario, finanziario, o normativo in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione, mentre non può essere ascritta a vincoli contrattuali, salvo, a mio avviso, si tratti di clausole statutarie o patti parasociali incidenti sui diritti di voto e di nomina12. Se la ratio su cui fondare la coerenza logica della descritta deroga rispetto all’essenza della disciplina dei contratti pubblici, deve ricondursi al tendenziale “scemare” del carattere della terzietà dell’affidatario, scopo dell’esenzione dalle procedure competitive è semplificare la gestione delle attività strumentali dei gruppi privati in mano pubblica, incaricati della gestione di servizi Lombardia, Milano, sez. III, 9 marzo 2011, n. 674, Cons. di Stato, sez. VI, 27 luglio 2011, n. 4477; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 9 marzo 2011, n. 674, T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 26 novembre 2010, n. 1516, T.A.R. Umbria, sez. I, 27 maggio 2009, n. 261; nonché l’importante sentenza della Corte di Giustizia UE del 19 maggio 2009, resa nella causa C-538/07, Assitur, secondo cui non sarebbe conforme al diritto europeo, per violazione del principio di proporzionalità, una norma nazionale (quale il vecchio art. 34, ult. comma D.Lgs. n. 163/2006), che per garantire principi di parità di trattamento e di trasparenza introduca una presunzione assoluta di influenza reciproca delle offerte presentate per un medesimo appalto da imprese collegate, “in quanto non lascia a tali imprese la possibilità di dimostrare che, nel loro caso, non sussistono reali rischi di insorgenza di pratiche atte a minacciare la trasparenza e a falsare la concorrenza tra gli offerenti (v., in tal senso, sentenze 3 marzo 2005, cause riunite C-21/03 e C-34/03, Fabricom, Racc. pag. I-1559, punti 33 e 35, nonché Michaniki, cit., punto 62)”, su cui si rinvia al commento di F. LEGGIADRO, L’impresa controllante e l’impresa controllata possono partecipare alla stessa gara, in Urb. e appalti, 2009, f. 9, pp. 1065 ss. Ma si veda adesso l’art. 198 del nuovo Codice appalti, in tema di partecipazione alla gara del contraente generale, che pare in contrasto con i descritti, condivisibili, orientamenti europei. 11 Si parla, in tal caso, di «controllata canaglia» («rogue subsidiary»), in violazione flagrante delle istruzioni della controllante. 12 L’influenza dominante, nelle direttive europee, è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa: detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dall’impresa, oppure controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa, oppure hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa. Ma correttamente, già nella dottrina commercialistica si è osservato come sia “pur vero, comunque, che anche l’integrazione contrattuale tende ad evolvere in quella societaria: è fisiologico che si riconosca - alla capogruppo contrattuale - una certa presenza negli organi amministrativi e di controllo della società ‘dominata’”, A. NIUTTA, Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 sexies e 2497 septies c.c.: brevi considerazioni di sistema, in Giur. comm., f. 4, 2004, pp. 999. 3 pubblici essenziali, facilitando l’organizzazione delle attività accessorie (come pulizia, vigilanza, gestione immobiliare, ecc.) rispetto al servizio principale (ad esempio, servizio idrico integrato, energia, trasporti, ecc.). Il fenomeno è poi sintomatico di un’inevitabile progressiva sintonizzazione, all’esito dei processi di privatizzazione, di questa forma organizzativa sorta all’ombra dell’apparato tradizionale, con le coordinate del gruppo societario di diritto privato che, secondo la miglior dottrina13, nel diritto nazionale finisce per incardinarsi sul valore “organizzativo” dell’attività di direzione e coordinamento della capogruppo, riconosciuta lecita dal codice civile riformato14. Da qui, la diffusione, nella prassi, dei cosiddetti “contratti di servizio” intercompany, coincidenti, mutatis mutandi, con gli appalti infragruppo in esame, i quali, verticizzando sovente le attività generaliste sulla holding, consentono alle società operative di concentrarsi sull’erogazione dei servizi essenziali, o comunque sui servizi rientranti nel core business dell’attività speciale del settore15. Nondimeno, l’affidamento diretto dall’ente aggiudicatore all’impresa collegata, in base al testo della direttiva del 200416, a mio parere, poteva avvenire soltanto all’interno delle catene societarie, perché subordinato al rispetto del criterio della prevalenza dell’attività svolta (80%) nell’ultimo triennio a favore delle imprese in collegamento tra loro17. In altre parole, nel gruppo economico – peraltro mai espressamente menzionato – non veniva “consolidato” l’ente aggiudicatore avente la forma dell’ente pubblico e pertanto non assimilabile all’impresa collegata. Le direttive del 2014 su concessioni18 e settori speciali19, invece, consentono l’aggiudicazione diretta ad un’impresa collegata quando la parte preponderante del fatturato della beneficiaria provenga non solo dalle similari prestazioni svolte a favore delle altre imprese cui è collegata, ma anche a beneficio dell’ente aggiudicatore o – 13 U. TOMBARI, Poteri e doveri dell’organo amministrativo di una s.p.a. “di gruppo” tra disciplina legale e autonomia privata (appunti in tema di corporate governance e gruppi di società), in Riv. soc., 2009, p. 122 ss., dove si precisa “Se l’attività di direzione e coordinamento è da ritenersi legittima, l’ordinamento societario italiano in seguito alla riforma presuppone, altresì, che il potere della capogruppo si configuri non come (mero) ‘potere di fatto’, ma come un vero e proprio ‘potere giuridico’, con inevitabili ripercussioni sulla struttura ‘formale’ delle competenze degli organi di una società di gruppo ‘dominante’ o ‘dipendente’”. Si veda anche F. GALGANO, Direzione e coordinamento di società, in Commentario del codice civile SCIALOJA-BRANCA, Bologna-Roma, Zanichelli, 2005. 14 Il riferimento è agli artt. 2497 e ss., c.c., come modificati dalla riforma del diritto societario del 2003, i quali consentono di presupporre la sussistenza di un rapporto di gruppo in funzione dell’esercizio del potere di direzione e coordinamento. 15 Per usare la nota terminologia del Consiglio di stato, utilizzata nella risoluzione dell’annosa questione sui confini di applicazione della disciplina dei settori speciali, si tratta di attività “esclusiva del settore”, che “si pone ad esso in termini di mezzo a fine”, o “può essere considerata come inclusa nella gestione di un servizio” (Cons. di Stato, ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16). 16 Art. 23 Dir. 2004/17/CE, concernente, fra l’altro, appalti di servizi, forniture e lavori aggiudicati ad un’impresa collegata. 17 Segnatamente, era necessario che l’80% del fatturato medio realizzato dall’impresa collegata all’ente aggiudicatore negli ultimi tre anni nel settore oggetto dell’appalto provenisse dall’esecuzione di tale appalto alle imprese cui era collegata, cfr. art. 23, par. 3, lett. a)-c), Dir. 2004/17/CE. 18 Art. 13, Dir. 2014/23/CE, la quale si applica senza distinzione tra settori ordinari e speciali. 19 Art. 29, Dir. 2014/25/CE, di cui si veda anche il trentanovesimo Considerando secondo cui “Molti enti aggiudicatori sono organizzati come gruppi economici che possono comprendere una serie di imprese distinte”. 4 ritengo – dell’utente delle prestazioni20, consentendo, di conseguenza, di poter ipotizzare un allargamento del formante del gruppo economico, nel cui perimetro restano assorbite più imprese collegate e lo stesso ente aggiudicatore, che ben può avere la forma di un’amministrazione tradizionale21. Anzi, entrambe le direttive, perfettamente trasposte sul punto dal diritto interno22, contemplano espressamente l’ipotesi di “più imprese collegate all’ente aggiudicatore con il quale formano un gruppo economico”23, a conferma che anche l’ente pubblico possa essere a capo di un gruppo, entità economica nella sostanza unitaria, in quanto sottoposta ad un unico centro di alta direzione e ad un’univoca visione strategica complessiva. La statuizione viene ad assumere, nell’ordinamento interno, la valenza di un importante criterio ermeneutico poichè, nel contesto nazionale, la già evocata norma codicistica in tema di responsabilità da attività di direzione e coordinamento che espressamente si riferiva agli enti – quindi anche di natura pubblicistica24 –, quali capogruppo (art. 2497 c.c.)25, è stata autenticamente interpretata dal legislatore nel 20 Non si potrà infatti non ritenere estensibile quanto già affermato, per gli appalti in house, dalla giurisprudenza europea sul requisito dello svolgimento della parte più importante dell’attività con l’ente/i controllante/i, fin dalla nota sentenza Cabotermo, al cui pt. 65-66 si legge “Quanto all’accertare se occorra tener conto in tale contesto solo del fatturato realizzato con l’ente locale controllante o di quello realizzato nel territorio di detto ente, occorre considerare che il fatturato determinante è rappresentato da quello che l’impresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate dall’ente locale controllante, compreso quello ottenuto con gli utenti in attuazione di tali decisioni. Infatti, le attività di un’impresa aggiudicataria da prendere in considerazione sono tutte quelle che quest’ultima realizza nell’ambito di un affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice, indipendentemente dal fatto che il destinatario sia la stessa amministrazione aggiudicatrice o l’utente delle prestazioni”, Corte di Giustizia UE, 11 maggio 2006, causa C-340/04. 21 Per il diritto europeo degli appalti e delle concessioni gli enti aggiudicatori sono lo Stato, le autorità regionali o locali, gli organismi di diritto pubblico o le relative associazioni; le imprese pubbliche; gli enti diversi titolari di diritti speciali o esclusivi ai fini dell’esercizio di taluni sieg (art. 7, Dir. 2014/23/CE e art. 4, Dir. 2014/25/CE). Si ricordi infatti che gli enti aggiudicatori sono soggetti alla Direttiva concessioni solo se aggiudicano servizi o lavori relativi all’allegato 2, mentre fuori da esso, sono liberi di contrarre sul mercato. 22 Art. 7, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Codice dei contratti pubblici; ma se ne veda anche l’art. 3, lett. t), z) del Codice, per la definizione di impresa collegata. 23 Così il par. 6 degli artt. 13 della Dir. 2014/23/CE e 29 della Dir. 2014/25/CE. 24 Ciò era largamente ammesso in dottrina, si veda in proposito A. GUACCERO, Alcuni spunti in tema di governance delle società pubbliche dopo la riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2004, pp. 848849, il quale riteneva sussunti nella previsione di legge, menzionante “le società o gli enti”, lo Stato e gli altri enti pubblici, in quanto soggetti cui gli artt. 2449 e 2450 (ora abrogato) riconoscevano, a determinate condizioni, poteri di nomina degli organi sociali extra-assembleari, nonché R. URSI, Società ad evidenza pubblica, Napoli, Editoriale scientifica, 2012, pp. 211-213 (e in part. nota 122 per gli abbondanti riferimenti bibliografici ivi richiamati), per il quale “Il riferimento all’interesse imprenditoriale contenuto nella norma non sembrava risolutivo ai fini dell’esclusione degli enti pubblici, atteso che l’attività di direzione e coordinamento non presuppone la qualificazione di imprenditore del soggetto che la esercita, né risulta ascrivibile alla fattispecie impresa”, concludendo che “lo spettro della norma [fosse] l’emersione di un interesse esterno rispetto alla compagine societaria e, dunque, la rilevanza della finalità dell’esercizio dell’attività di direzione”. Di contrario avviso S. VALAGUZZA, Società miste a partecipazione comunale. Ammissibilità e ambiti, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 194 ss.; M. CARLIZZI, La direzione unitaria e le società partecipate dagli enti pubblici, in Riv. dir. comm., 2010, I, spec. pp. 1190 ss. e 1196 s. 25 Probabilmente, per ragioni di tutela della finanza pubblica dai rischi connessi all’intrapresa di azioni risarcitorie scaturenti dalle vicende societarie concernenti le operazioni di concentrazione della nostra ex compagnia aerea di bandiera. 5 senso che «per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria»26. L’interpretazione per legge lascia, a mio avviso, irrisolta la questione se nel riferimento allo Stato, voleva sottintendersi lo Stato-apparato intendendovisi ricompresi tutti gli altri enti pubblici; soluzione quest’ultima preferibile perché nell’opposta ipotesi in cui gli altri enti pubblici, anche territoriali, restassero attratti nella nozione di ente, si faticherebbe a rinvenire la ragionevolezza di un’esclusione puntuale per il solo Stato centrale, in via d’interpretazione autentica e dunque in rivelazione di un significato insito nella norma27. In ogni caso, sebbene sia condivisibile che il riferimento all’“interesse imprenditoriale”, cui l’art. 2497 c.c., in tema di responsabilità, finalizza la direzionecoordinamento, non implichi la natura intrinsecamente imprenditoriale dell’ente capogruppo28, non vi è dubbio che l’ente pubblico posto a capo di un gruppo d’imprese non agisca mai “nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui”, come tassativamente richiesto dalla norma29, bensì, in ossequio al principio di legalità (infra § 2), necessariamente eserciti l’attività di direzione nell’interesse generale, in relazione al quale l’attività economica (recte: d’impresa), cioè votata all’economicità, è solo mezzo e mai fine ultimo. Con la conseguenza, che la norma citata può applicarsi soltanto ai gruppi in proprietà privata. Di contro, laddove non sussistessero ragioni d’interesse generale a fondamento dell’acquisizione dello status di azionista, come accadde in parte delle partecipazioni detenute dallo Stato italiano all’epoca degli enti di gestione, si dovrà ammettere la patologia di tale intervento nell’economia 26 Ai sensi dell’art. 19 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78 (conv. in l. n. 102/2009). Interpretano invece la novella nel senso di ritenere ammissibile – a contrario – ogni forma di eterodirezione da parte dell’ente territoriale titolare di una partecipazione di controllo R. URSI, Società ad evidenza pubblica, cit., p. 213; F. GOISIS, L’in house nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in R. VILLATA (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali, Torino, Giappichelli, 2010, p. 264; E. CODAZZI, Enti pubblici e direzione e coordinamento di società: considerazioni alla luce dell’art. 2497 comma 1, c.c., in Giur. comm., fasc. 6, 2015, p. 1041 ss., spec. pp. 1050-1051, dove si legge che la lettera dell’art. 19 “pare chiara nel precisare che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2497, comma 1, è da considerare ‘ente’, sia il soggetto che detiene la propria partecipazione nell’esercizio di un’‘attività imprenditoriale’ in senso proprio, sia il soggetto pubblico, che, invece, la detiene ‘per finalità di natura economica o finanziaria’”, citando a conferma G. SBISÀ, Sub art. 2497, in Direzione e coordinamento di società, a cura di G. SBISÀ, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. MARCHETTI, L.A. BIANCHI, F. GHEZZI, M. NOTARI, Milano, Egea, 2012, p. 73; la stessa precisa poi che la normativa sui “golden powers” (decreto legge 15 marzo 2012, n. 21), “attribuendo un vero e proprio privilegio allo Stato , confermerebbe a contrario la piena riferibilità della responsabilità di cui all’art. 2497, comma 1, a tutti gli enti pubblici non statali e quindi anche agli altri enti territoriali”. 28 R. RORDORF, Le società “pubbliche” nel codice civile, in Società, 2005, p. 426. 29 In dottrina si è infatti convincentemente ritenuto che la normativa in commento “privileg[i] il perseguimento di fini di gruppo che trascendono l’interesse della singola società con l’unico limite della mancanza del danno alla luce del risultato complessivo o della eliminazione dello stesso a seguito di operazioni a ciò espressamente dirette”, in analogia con la teoria dei vantaggi compensativi di cui all’art. 2634 c.c., sul reato di infedeltà patrimoniale, per il quale non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se compensato da vantaggi conseguiti o ragionevolmente prevedibili derivanti dall’appartenenza al gruppo. [..] D’altra parte, avrebbe poco senso prevedere una disciplina che responsabilizza la capogruppo per un’attività illecita se non considerando (o avendo reso ex lege) tale attività perfettamente legale se svolta all’interno di un gruppo; diversamente, quell’attività di eterodirezione sarebbe comunque sanzionabile secondo i canoni ordinari della responsabilità aquiliana”, M. CARLIZZI, La direzione unitaria e le società partecipate dagli enti pubblici, cit., p. 1190. 27 6 e provvedere alla relativa dismissione (su cui più approfonditamente, ancora infra § 2)30. La normativa di settore in materia di appalti e concessioni ci restituisce dunque un’ipotesi tipica di gruppo, dallo spettro più ampio del gruppo di imprese31, cui possono confluire oltre all’ente aggiudicatore avente forma di amministrazione aggiudicatrice, «operatori economici» cui possiamo assimilare qualunque persona, fisica o giuridica, e/o ente pubblico che offra sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare32. In questo affievolimento incessante delle forme, viene così ad emergere un’ipotesi di affidamento diretto infragruppo – dall’ente pubblico all’operatore economico – ultronea rispetto all’in house e al noto requisito del controllo analogo. Come si è detto, infatti, le direttive settori speciali e concessioni risultano inapplicabili agli appalti e alle concessioni concluse tra un ente pubblico ed un soggetto giuridicamente distinto da quest’ultimo, se nel passato recente – negli ultimi tre anni –, o nel presente – non avendo ancora maturato un’attività triennale –, tale entità collegata è stata, o sarà, limitatamente attiva sul mercato33, senza entrare in effettiva concorrenza con altre imprese. Entrambe le direttive, infatti, ammettono che se, per la vicinanza temporale della data di costituzione o di inizio dell’attività dell’impresa collegata, il fatturato degli ultimi tre anni non sia disponibile, è possibile sostituirlo con la dimostrazione, in base 30 Sui fallimenti del mercato e interventi dello Stato, si veda nella letteratura economica M. DATTACHAUDHURI, Market Failure and Government Failure, in Journal of Economic Perspectives, vol. 4, n. 3, 1990, pp. 25-39; B. DOLLERY, A. WORTHINGTON,The Evaluation of Public Policy: Normative Economic Theories of Government Failure, in Journal of Interdisciplinary Economics, vol. 7, n. 1, 1996, pp. 27-39; J.E. STIGLITZ, Markets, Market Failures, and Development, in American Economic Review, vol. 79, n. 2, maggio 1989, pp. 197-203; ID., Regulation and Failure, in D. MOSS, J. CISTERNINO (a cura di), New Perspectives on Regulation, Cambridge, The Tobin Project, 2009, pp. 1123; G. SABATTINI, Il ruolo della “mano visibile” dello Stato, Milano, Franco Angeli, 1999, anche p. 286, per la bibliografia ivi indicata; G. CLERICO, Mercato e Stato: modi d’essere dell’intervento pubblico nell’economia, Milano, Giuffrè, 2012; P. CIOCCA, I. MUSU (a cura di), Il sistema imperfetto: difetti del mercato, risposte dello Stato, Roma, Luiss University Press, 2016. Per le prospettive più recenti, in una visione giuridica, si veda L. TORCHIA, La regolazione del mercato e la crisi economica globale, in F. BRESCIA, L. TORCHIA E A. ZOPPINI (a cura di), Metamorfosi del diritto delle società? Seminario per gli ottant'anni di Guido Rossi, ES, Napoli, 2012; G. NAPOLITANO, Espansione o riduzione dello Stato? I poteri pubblici di fronte alla crisi, in Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, Bologna, il Mulino, 2012, pp. 471 ss. 31 Sul gruppo societario, nell’ormai vasta letteratura in tema, si segnalano gli autorevoli contributi di U. TOMBARI, Il gruppo di società, Torino, Giappichelli, 1997, come anche, più di recente, ID., Poteri e doveri dell’organo amministrativo di una s.p.a. “di gruppo” tra disciplina legale e autonomia privata (appunti in tema di corporate governance e gruppi di società), cit., p. 122 ss.; L. ENRIQUES, Gruppi di società e gruppi d’interesse, in P. BENAZZO, S. PATRIARCA, G. PRESTI (a cura di), Il nuovo diritto societario tra società aperte e società private, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 247 ss.; A. NIUTTA, La nuova disciplina delle società controllate: aspetti normativi dell’organizzazione del gruppo di società, in Riv. soc., f. 4, 2003, pp. 780; ID., Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 sexies e 2497 septies c.c.: brevi considerazioni di sistema, cit., pp. 983 ss.; A. PAVONE LA ROSA, Nuovi profili della disciplina dei gruppi societari, in Riv. soc., 2003, II, p. 768. 32 Art. 1, pt. 6, Dir. 2014/25/UE, art. 5, par. 1, pt. 2, Dir. 2014/23/UE. 33 Ha ottenuto, o è verosimile che otterrà, dal libero mercato solo il 20% del fatturato totale. 7 a proiezioni dell’attività, del verosimile raggiungimento – per l’anno in corso? – del fatturato dell’80% all’interno del gruppo34. Pertanto, contrariamente all’ipotesi dell’in house, contrito nei confini della costanza di “non alterità”, per la cui legittimità è quindi necessaria la permanenza ininterrotta e costante nel tempo del controllo analogo, della prevalenza dell’attività35 e della proprietà pubblica totalitaria, certo è che nel mero collegamento questo contenimento dell’attività market oriented non possa essere ipotecato per il futuro, ancorchè tale operosità si sia sviluppata sulla scorta di un rapporto in qualche modo “privilegiato” con lo Stato apparato. Nella consapevolezza che “le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici”36, quanto ricostruito in via interpretativa pare allora quanto meno la cifra di un favor del legislatore europeo per l’organizzazione di quell’appendice dell’amministrazione per servizi in una dimensione plurale, votata al transeunte divenire dei processi economici che, all’insegna di fusioni, cessioni e separazioni varie, sembrano in grado di incidere non solo sull’organizzazione amministrativa palesatasi in un gruppo economico, ma inevitabilmente sulle stesse funzioni pubbliche sottese al potere di indirizzo e coordinamento37. Ed invero, la soluzione qui proposta di ritenere gli enti pubblici esentati da responsabilità civile per l’esercizio di attività di direzione e coordinamento di società, in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, non esclude la titolarità di tali poteri in capo all’amministrazione in grado di far valere la sua influenza dominante. Le direttive del 2014, inoltre, prendono in considerazione varie ipotesi di appalti tra amministrazioni aggiudicatrici – dunque nell’ambito del settore pubblico –, tra cui quelli assegnati ad amministrazioni sottoposte al c.d. controllo analogo (anche congiunto), nonché i casi particolari dell’in house c.d. inverso, cioè sotto forma di affidamento diretto da parte della partecipata all’amministrazione controllante, ed 34 Cfr. art. 29, par. 5, Dir. 2014/25/UE e art. 23, par. 5, Dir. 2014/23/UE. Cui il legislatore nazionale, per l’in house societario, ha ritenuto di aggiungere un limite qualitativo alla residua produzione del 20% del fatturato, derivante da attività verso soggetti terzi “solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società” (art. 16, comma 3, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175). Inoltre, il superamento del limite dell’80%, anche occasionale, viene ad integrare per legge grave irregolarità denunciabile al Tribunale ex art. 2409 c.c. Questa potrà essere “sanata” in tempi estremamente contenuti – cioè entro tre mesi dal suo manifestarsi –, e quindi soltanto per le ipotesi di uno scostamento sporadico non protrattosi nel tempo, in due modi alternativi, segnatamente: in primo luogo, se la società in house rinunci alla parte in eccedenza dei rapporti di fornitura con i soggetti terzi, a riprova del necessario e strutturale costante adeguamento ai limiti di operatività; in secondo luogo, rinunciando all’affidamento diretto, con conseguente messa a gara delle attività sottese ai rapporti sciolti, che però comporta il venir meno dell’in house, stante il cessare per legge del controllo analogo. In definitiva, il legislatore nazionale interpreta la rinuncia all’affidamento diretto, cioè la ragione a fondamento del plesso societario, come una ritorsione contro l’ente controllante, con conseguente presunzione iuris et de iure della cessazione del controllo analogo. L’effetto resta quello di ottenere l’ancor più pesante ingessatura della società in house nella struttura dell’amministrazione cui appartiene (art. 16, commi 4-5-6). 36 Così la Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003 di riforma del diritto societario. 37 Sul tema della governance delle società a partecipazione pubblica si rinvia alle ricche pagine di R. URSI, Società ad evidenza pubblica, op. cit., pp. 104 ss. e 211 ss., il quale, richiamando le Linee guida dell’Ocse, al governo societario rimette “l’implementazione delle politiche pubbliche relative ai servizi offerti alla collettività” e l’agevolazione dell’adempimento delle funzioni che l’ente pubblico è chiamato a svolgere. 35 8 orizzontale, rappresentato dal rapporto senza gara anche tra entità in house partecipate direttamente dalla medesima amministrazione38. Tali istituti richiederebbero una specifica ed approfondita valutazione, che peraltro esulerebbe dai limiti della presente trattazione. Basti ricordare, in questa sede, che il legislatore europeo li configura pur sempre come affidamenti in house, ossia contratti conclusi nell’ambito di un rapporto caratterizzato da un potere del soggetto capofila, tale per cui l’intera operazione deve essere promanazione dell’univoca volontà di quest’ultimo. Perciò le direttive europee hanno previsto che l’in house inverso, così come quello orizzontale, siano possibili solo nel caso di partecipazione “solitaria”39, quindi con un’articolazione dimensionale più lineare. Inoltre, all’in house non potrà mai essere sotteso un gruppo economico, perché mancano le soggettività separate delle società monadi. Infatti, già la direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, ha lasciato liberi gli Stati membri di decidere le modalità organizzative della prestazione dei servizi d’interesse economico generale (art. 1, par. 6). In conformità ai principi generali del diritto comunitario, agli enti pubblici è allora consentito, per un verso, di espletare i servizi d’interesse generale tramite terzi, rivolgendosi al mercato; per un altro, di svolgerli direttamente, senza avvalersi del mercato, ricorrendo dell’autoproduzione. Peculiarità dell’affidamento in house, rispetto ad appalti e concessioni aggiudicati all’impresa collegata, è dunque che tra l’amministrazione e l’ente da questa interamente partecipato, esiste un controllo talmente intenso da escluderne, nella sostanza, l’alterità. In altre parole, mentre la società collegata resta formalmente giuridicamente distinta dall’ente madre, il soggetto in house è legato a questa da uno strettissimo rapporto, di tipo gerarchico, in forza del quale la separatezza formale diviene mera finzione giuridica, simulacro di un involucro solo apparente, che non impedisce di qualificarlo come una specie di articolazione organizzativa interna all’amministrazione pubblica di riferimento40, incapace di distaccarsene, se non a pena di mutare lo schema giuridico cui va ricondotta la sua soggettività. Ora, lasciando da parte le valutazioni sull’opportunità di continuare ad avvalersi di tali forme giuridiche che nella fattispecie probabilmente creano più problemi di quanti ne risolvano41, preme sottolineare come il quadro descritto sia coerente col fatto che 38 Art. 17, Direttiva 2014/23/CE, art. 18, Direttiva 2014/24/CE, art. 28, Direttiva 2014/25/CE. Nello stesso senso, anche le Conclusioni presentate il 23 gennaio 2014, causa C-15/13, Datenlotsen Informationssysteme, dall’Avvocato Generale, Paolo Mengozzi, pt. 43-46. 40 Siffatte conclusioni si desumono dal diritto pretorio derivante dalle pronunce delle più alte Corti nazionali. Si veda in merito la giurisprudenza del Consiglio di Stato, di cui si ricordino tra le tante, a mero titolo d’esempio, le pronunce n. 7636/04, 962/06, 1513/07, 2765/09, 5808/09, 7092/10 ed 1447/11, nonché, da ultimo, le decisioni delle sezioni unite della Cassazione civile, secondo cui la società in house si caratterizza sia per la già ricordata subordinazione dei suoi gestori all’ente pubblico partecipante, nel quadro di un rapporto gerarchico che non lascia spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso, sia per l’impossibilità stessa d’individuare nella società un centro d’interessi davvero distinto rispetto all’ente pubblico che la ha costituita e per il quale essa opera (Cass. civ., sez. un. 10299/13, 7374/13, 20940/11, 20941/11, 14957/11, 14655/11, 16286/10, 8429/10, e 519/10, ed in particolare Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, in Giur. comm., 2015, 2, II, p. 236, con nota di E. CODAZZI, La giurisdizione sulle società cd. in house: spunti per una riflessione sul tema tra “anomalia” del modello e (in)compatibilità con il diritto societario. Ed, infine, occorre ricordare l’intervento della Corte costituzionale nella sentenza del 20 marzo 2013, n. 46. 41 Intendiamo riferirci, con specifico riferimento all’in house, alla difficoltà di trovare un punto di mediazione coerente tra le regole privatistiche a disciplina del modello organizzativo prescelto e la 39 9 nelle parti delle direttive dedicate all’in house, non venga mai contemplato il gruppo economico, il quale presuppone l’esistenza di una serie di imprese formalmente, e talvolta anche sostanzialmente, distinte. Ciò sembra porsi in piena armonia sistematica con gli orientamenti giurisprudenziali illustrati42, soprattutto in seno alla massima giurisdizione civile, in un quadro in cui il diritto societario nazionale deve piegarsi alla metamorfosi dell’organizzazione del pubblico potere. 2. L’apparente asimmetria del diritto interno: obblighi di alienazione e processi di aggregazione Alla luce del contesto descritto, nel quale il legislatore europeo sembra attenzionare e tener conto della capacità “mutante” di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, sempre più propense ad utilizzare moduli invalsi nel mercato, lascia perplessi che il legislatore nazionale, nel metter mano all’irregolare galassia delle società partecipate, peraltro con l’ambizione di definire un testo unico, non abbia mai fatto alcun riferimento al gruppo economico43, se non implicitamente con il flebile richiamo al controllo di cui all’art. 2359 c.c.44. Prima di approfondire la problematica, occorre però soffermarsi brevemente a valutare la sopravvivenza del TU appena citato alla nota sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale45, per violazione del principio di leale collaborazione, della relativa legge di delegazione, nota come riforma Madia della p.a.46, pure per la parte sostanza amministrativa del medesimo fenomeno, ben sintetizzata recentemente, dalle stesse sezioni unite della Cassazione civile, quando si osserva “Il tipo di rapporto che lega gli organi di una società in house all’ente pubblico da cui la società promana è, infatti, fin troppo simile a quello che intercorre tra la medesima amministrazione ed i propri dipendenti per poter giustificare un diverso regime di responsabilità, quanto alla giurisdizione ed ai riflessi sulle regole che presidiano la responsabilità di quei soggetti. Ciò non implica però, necessariamente, che anche sotto ogni altro profilo l’adozione del paradigma organizzativo societario che caratterizza le società in house sia irrilevante e che le regole proprie del diritto societario siano poste fuori gioco”, Cass. civ. sez. un., 1 dicembre 2016, ord. n. 24591, in materia di nomina o revoca di amministratori e sindaci delle società partecipate anche in house. Del resto, più i generale, sull’utilizzo dello strumento societario per la gestione dei servizi pubblici, già all’inizio degli anni ’90, acuta dottrina avvertiva che lo scopo delle società di capitali sia “mettere in comune capitali e non risorse professionali e manageriali, le quali semmai conseguiranno necessariamente, ma per scelta autonoma della s.p.a., di massimizzarne la redditività”, così G. DI GASPARE, Le società miste, in Servizi pubblici locali in trasformazione, Padova, Cedam, Cedam, 2001 p. 108. 42 Vedi supra nota n. 40. 43 Se si esclude il riferimento meramente descrittivo a Gruppo Anas, Gruppo GSE, Gruppo Invitalia e Gruppo Eur cui si riferisce l’allegato A per salvaguardare la sussistenza di alcune società, le partecipazioni nelle quali potrebbero non essere giustificate in base ai nuovi criteri dettati dall’art. 4. 44 Non merita forse neppure commento il Dossier degli uffici studi parlamentari sul punto (Servizio studi Senato e Camera, Dossier. Atto del governo n. 297, maggio 2016, p. 11, nota 7), nella parte in cui si arriva a sostenere che il richiamo al controllo di cui all’art. 2359 c.c. contenuto nella parte di TU dedicata alle definizioni, senza specificazione di comma, potrebbe riferirsi anche alle ipotesi di collegamento di cui al comma 3 (sic!!), quando è invece notorio che nel diritto interno le due ipotesi sono distinte da indici certi e inconfondibili, trovando riscontro pure nella rubrica dell’articolo. Sorge il dubbio, che la confusione possa derivare dalla diversa terminologia in uso nel diritto europeo dei contratti pubblici e di cui nella parte inziale di questo lavoro si è dato conto. 45 Corte cost., 25 novembre 2016, n. 251. 46 Legge 7 agosto 2015 n. 124. 10 in cui essa demandava al Governo il riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche47. In sintesi, secondo la Consulta, poiché la complessa riforma della p.a. attiene a materie di interconnessa competenza legislativa statale e regionale, è necessario che la legge delega assicuri il coinvolgimento delle autonomie tramite un’intesa da svolgersi in Conferenza unificata; si tratterebbe, infatti, di un necessario procedimento di co-decisione non surrogabile con il mero ricorso al parere obbligatorio, previsto dalla legge censurata48. La sentenza, nel tentativo di contenere l’incertezza del diritto49, espressamente esclude che la dichiarazione di incostituzionalità si estenda ai decreti attuativi – non oggetto di impugnazione in via principale, ovvero nei sessanta giorni dalla loro pubblicazione in gazzetta –, sebbene, nel corso di un qualsiasi giudizio a quo, la parte interessata potrà sollevare, in via incidentale, la questione di legittimità, rimettendo alla Corte il compito di “accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione” (pt. 9 della sentenza)50. In realtà, dalla stessa sentenza della Corte si evince che la maggior parte delle previsioni del TU sono ben ancorate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e concorrenza, con la sola eccezione dei “profili pubblicistici” delle partecipate, laddove sotto forma di società strumentali rappresentino “modalità organizzative di espletamento delle funzioni amministrative e dei servizi riconducibili alla competenza residuale regionale”. Inoltre, le medesime previsioni potrebbero aver leso l’autonomia regolamentare degli enti locali, estranea alle materie riconducibili alla competenza statale di cui all’art. 117, comma 2, lett. p) Cost. È da dire, nondimeno, che il legislatore delegato ha riconosciuto la piena facoltà a tutte le amministrazioni di costituire società strumentali, purchè nel rispetto delle direttive europee (su cui si tornerà meglio in seguito) e contemperando i limiti espressi con la salvezza delle “diverse previsioni di legge regionali adottate nell’esercizio della potestà legislativa in materia di organizzazione amministrativa” 51. In ogni caso, non era possibile, in assenza di previa intesa, per il legislatore delegato disciplinare le società strumentali con clausole che possano apparire limitative delle competenze regionali. Pertanto, le previsioni più “instabili” del TU paiono quelle relative agli oneri di motivazione analitica, all’assetto degli organi amministrativi e di controllo delle partecipate ovvero alla gestione della crisi, limitatamente alla loro estensione alle società strumentali regionali o locali non attinenti funzioni fondamentali. Se, poi, è vero che le norme sugli organi societari e sul fallimento paiono indiscussa manifestazione della materia “ordinamento civile”, incidendo sull’organizzazione e sull’esistenza stessa dell’apparato, necessitavano probabilmente di un raccordo decisionale volto a garantire la manifestazione dell’autonomia 47 Art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), sulle società partecipate dagli enti locali, numeri da 1) a 7), della legge n. 124/2015. 48 Per maggiori approfondimenti, anche in merito alla differenza tra intesa forte e intesa debole, si rinvia a A. POGGI, G. BOGGERO, Non si può riformare la p.a. senza intesa con gli enti territoriali: la Corte costituzionale ancora una volta dinanzi ad un Titolo V incompiuto, in federalismi.it, 2016. 49 Non dichiarando la invalidità derivata dei decreti delegati, ex art. 27, l. n. 87/1953, probabilmente per controbilanciare gli esiti del suo innovativo orientamento. 50 Il Governo sembrerebbe infatti intenzionato ad emanare decreti correttivi, oggetto di intesa in conferenza unificata, in modo da superare il vulnus consumatosi e recuperare la leale collaborazione. 51 Art. 4, comma 5, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit., sul divieto alle società strumentali controllate da enti locali di costituire nuove società e di acquisire nuove partecipazioni sociali. 11 costituzionalmente protetta. Al contrario, le norme del TU sulla razionalizzazione delle partecipate o sul contenimento della spesa non possono essere considerate in contrasto con l’art. 119 Cost. – invocato dalla regione, ma neppure preso in considerazione dalla Corte – infatti costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica, perché, in ossequio ad una ormai consolidata giurisprudenza costituzionale in materia52, lasciano agli enti stessi discrezionalità di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di risparmio, senza imporre alle regioni l’osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti. Tornando al nostro tema, conviene soffermarsi proprio sulle norme volte a riordino e razionalizzazione delle partecipate, perché inevitabilmente esse si intersecano con i processi di aggregazione. Questi hanno ad oggetto, in genere, società satelliti a specifici nuclei di attività suscettibili di economie di scala o di gamma, o polverizzate sui territori, a causa della frammentazione gestionale ancora tipica di molti servizi pubblici locali di rilievo economico. In simili ipotesi, la mancanza di un potere di direzione e coordinamento in capo all’ente pubblico controllante diviene allora ancor più preoccupante. Infatti, gli istituti su cui viene ad affastellarsi l’aggregazione sono, oltre alla fusione, l’alienazione o lo scambio di azioni e i conferimenti di rami d’azienda, vale a dire i cardini su cui si eleva il gruppo societario, il quale resta però in qualche modo “distaccato” dall’ente pubblico controllante, anche all’esito delle modifiche dell’art. 2497 c.c. di cui si è discorso, nonostante il legislatore delegante avesse disposto la razionalizzazione della governance delle società a partecipazione pubblica53, dettando indirizzi più incisivi per le partecipate locali54, rimasti però inattuati. Né a diverso avviso può condurre la previsione nel decreto delegato di un articolo intitolato a “Monitoraggio, indirizzo e coordinamento sulle società a partecipazione pubblica”55, in realtà, meramente attributivo del potere del Mef di assicurarsi il controllo sul rispetto del decreto. Mentre, nessuna norma si occupa di direttive gestionali, configurando una disciplina speciale della direzione-coordinamento rispetto a quella codicistica. Ebbene, se il “distacco” dall’apparato, ottenuto attraverso l’utilizzo di partecipazioni societarie, grava sulle entità economiche deputate all’erogazione di servizi pubblici essenziali, non si può ignorare come, nelle attuali dinamiche di mercato, queste ultime sembrino destinate a divenire sempre più grandi e sempre più distanti dagli enti locali titolari delle funzioni fondamentali56. Ecco perchè sarebbe 52 Da ultimo, Corte cost., 2 aprile 2014, n. 72; Id., 24 luglio 2013, n. 236; Id., 10 giugno 2011, n. 182; Id., 14 novembre 2005, n. 417, nonché sentenze n. 297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007. 53 Cfr. art. 18, comma 1, lett. a), l. 7 agosto 2015 n. 124, in tema di deroghe rispetto alla disciplina privatistica, in materia di organizzazione societaria. 54 Si veda l’art. 18, comma 1, lett. m) pt. 2, l. 7 agosto 2015 n. 124, riferita alle sole società partecipate dagli enti locali, per introdurvi, in conformità con la disciplina dell’Unione europea, criteri e strumenti di gestione volti ad assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico e ad evitare effetti distorsivi sulla concorrenza, anche attraverso forme di controllo sulla gestione. Poca cosa invece i corrispondenti contenuti del decreto delegato, cfr. art. 6, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit., dedicato ai principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico. 55 Cfr. art. 15, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 56 In merito, sia consentito il rinvio a M. PASSALACQUA, La regolazione amministrativa degli ambiti territoriali per la gestione dei servizi pubblici locali a rete, in Il disordine dei servizi pubblici locali. 12 stato utile attenuare la portata disgregante del fenomeno attraverso una disciplina speciale del potere di direzione-coordinamento, quando imponendone l’esercizio, con conseguente responsabilità erariale da omissione, quando “blindandolo” all’interesse generale, piuttosto che imprenditoriale. Senza giungere, ovviamente ad ulteriori e più stringenti forme di incidenza del socio pubblico nella governance societaria integranti poteri speciali non compatibili con il diritto europeo57. L’impressione è allora che il legislatore nazionale, al solito, si trinceri nella tecnica, rifuggendo qualsiasi visione strategica d’insieme, quasi fosse troppo faticoso dedicarvisi58, e facendosi così addirittura sorpassare dal legislatore economico europeo, che seppur ripiegato sul soddisfacimento delle esigenze emergenti dal mercato unico per rafforzarlo, finisce per intercettare un fenomeno di più ampio respiro ed in via di evoluzione. Ciò è ancor più grave perché non sempre il diritto europeo riesce in materia a svolgere una funzione di supplenza, sia per l’incidentalità che ratione materiae dedica al fenomeno del gruppo economico, sia perchè, comunque, non tutti i servizi essenziali rientrano nella disciplina dei settori speciali e delle concessioni, si pensi ad esempio alla gestione dei rifiuti urbani. Di più. Il TU, come vedremo (infra § 2.1), proprio perché non si avvale di tutto lo strumentario giuridico all’uopo esperibile concentrandosi sull’ovvio, fallisce nel far definitivamente chiarezza sulle procedure esperibili per l’alienazione di partecipazioni societarie indirette (assai numerose nella prassi59, poichè una holding comunale non se la fa mancare nessuno o quasi), spesso a base del riassetto dei gruppi. Ora, ben si comprenderà la rilevanza della sopravvivenza di margini d’incertezza in tema, poiché è assai difficile promuovere veramente le aggregazioni societarie se poi si lasciano i soggetti interessati nell’indeterminatezza delle norme di diritto applicabili, e comunque, ci si assume il rischio che operazioni societarie di notevole impatto industriale per il paese – sebbene per effetto solo riflesso e mai governato –, vengano poi messe in discussione in un eventuale contenzioso giudiziario. In sostanza, la lacuna è imputabile alla parte del TU dedicata alle definizioni, dove ci si limita a riassumere il quadro normativo vigente, senza incidere sulla nozione di Dalla promozione del mercato ai vincoli di finanza pubblica, Torino, Giappichelli, 2015, pp. 63 ss. e 75 ss. 57 Il riferimento è al decreto legge 31 maggio 1994, n. 332 (conv. l. n. 474/1994), come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia, 26 marzo 2009, causa C-326/07, che aveva stigmatizzato l’ampiezza e la genericità dei poteri, poi abrogato dal decreto legge 15 marzo 2012, n. 21, il quale ha previsto, con norme più puntuali, poteri speciali nei soli settori nevralgici dell’energia, trasporti e comunicazioni. 58 Sebbene all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, non dimentichi di recitare che le disposizioni in esso contenute sono applicate avendo riguardo, tra l’altro, «alla tutela e promozione della concorrenza». 59 Per quanto riguarda le amministrazioni centrali (esclusi gli enti di previdenza e assistenza), al 2013, si registrano 195 quote di partecipazione detenute indirettamente attraverso un’altra società, 89 sono pari o superiori al 50% e tra queste 33 sono totalitarie; in particolare, considerando solo le partecipazioni dirette, le quote di possesso pari o superiori al 50% rappresentano il 24,5% del totale mentre, considerando le quote complessivamente detenute (in via diretta e/o in via indiretta), le partecipazioni di maggioranza rappresentano il 33,2% del totale. Le partecipazioni indirette dichiarate dalle amministrazioni locali sono invece 12.462 (su 41.834 partecipazioni comunicate), di cui 10.736, rappresentate da partecipazioni di minoranza con quota di possesso inferiore al 5%. Fonte: Ministero dell’economia, Dipartimento del Tesoro, Rapporto sulle partecipazioni detenute dalle Amministrazioni Pubbliche al 31 dicembre 2013, dicembre 2015. 13 pubblica amministrazione lasciata al diritto pretorio, con la conseguenza che, di massima e salvo il caso dell’in house, le società partecipate restano autonomi e distinti soggetti di diritto rispetto alle amministrazioni e pertanto rimangono sottoposte alle norme civilistiche, in quanto non espressamente derogate sul punto. Fatte queste doverose premesse, occorre indagare il mutare dei presupposti fondanti gli obblighi di alienazione delle partecipazioni, per come disposto dal TU. Come si è già accennato (supra § 1), nell’ordinamento nazionale, in forza della generale capacità di diritto privato riconosciuta agli enti pubblici, la pubblica amministrazione può costituire società o acquistare partecipazioni sociali, solo se ciò corrisponda all’interesse pubblico. Infatti, in ossequio al costituzionalizzato principio di legalità, gli enti pubblici possono creare società o divenirne soci esclusivamente per il perseguimento dei propri fini istituzionali, tipicamente non lucrativi. La questione non è certo nuova ed ha impegnato, per i profili economici, generazioni di studiosi di scienza delle finanze, nel tentativo di rinvenire l’equilibrio efficiente dei rapporti tra Stato e mercato60. Personalmente credo giuridicamente sostenibile, in forza del richiamato principio di legalità, soltanto un approccio economico, moderatamente restrittivo, ritenendo che il campo dell’azione delle partecipate debba essere strettamente limitato ai compiti istituzionali dell’ente di controllo, che, presumibilmente, non includono la produzione di beni e servizi, non soddisfacenti interessi generali, e che possano essere forniti, in quantità ritenute adeguate, dal settore privato. Sul versante strettamente giuridico, il limite dei fini istituzionali dell’ente alla riconosciuta capacità di diritto privato è un principio generale dell’ordinamento, codificato fin dall’art. 3, comma 27, della l. n. 244 del 2007 (adesso confluito nel TU), secondo cui, in assenza di disposizioni normative specifiche, le amministrazioni non possono costituire società commerciali con scopo lucrativo, il cui campo di attività esuli dall’ambito delle relative finalità istituzionali61, al fine dichiarato di evitare che soggetti dotati di privilegi, ad esempio per essere in parte beneficiari di finanziamenti pubblici, operino in mercati concorrenziali. Tuttavia, il diritto positivo, per come formulato, non consente di escludere la legittimità della costituzione di società commerciali da parte di pubbliche amministrazioni, unicamente finalizzate a procacciare risorse economiche da destinare allo svolgimento delle suddette attività tipiche, con inevitabile perdita di pregnanza della limitazione, la quale, di fatto, resta solo minacciata62. Diversamente sembra adesso muovere – almeno all’apparenza – il legislatore, nel corpo del decreto delegato recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica63, dove, dopo essersi ribadito il limite della funzionalizzazione 60 Come sostenuto dal Commissario straordinario alla spesa pubblica in documenti ufficiali, cfr. Programma di razionalizzazione delle partecipate locali, Roma, 7 agosto 2014, p. 12 ss., dove si rimarca “Che il campo di azione della mano pubblica debba essere limitato in una economia di mercato è un principio accettato anche se trova diverse formulazioni”. 61 Letteralmente “non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”. 62 Confindustria ha recentemente stimato che “circa i due terzi delle partecipate non svolgono attività di interesse generale, pur assorbendo, nel 2012, il 56,4% degli oneri sostenuti dalle PA”, Audizione parlamentare sullo schema di decreto legislativo in materia di società partecipate, 24 maggio 2016, p. 5. Nel parere del Consiglio di Stato sulla bozza di TU si legge “la relazione della Corte dei Conti per l’anno 2015 individua circa 3.000 società che svolgono attività strumentali, a fronte di altre 1.700 che svolgono attività di servizio pubblico”, Cons. di Stato, ad. comm. spec., 21 aprile 2016, n. 968. 63 Cfr. art. 4, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 14 dell’acquisizione di partecipazioni societarie ai fini istituzionali dell’ente, si riconosce alle amministrazioni pubbliche la facoltà di “costituire società e acquisire o mantenere, direttamente o indirettamente, partecipazioni in società” esclusivamente per la produzione di servizi d’interesse generale64, ovvero per la progettazione, realizzazione e gestione di un’opera pubblica, oppure per l’autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti, o ancora per lo svolgimento di servizi di committenza. Infine, è specificamente previsto, al solo fine di ottimizzare e valorizzare il patrimonio immobiliare, che tutte le amministrazioni pubbliche, a prescindere dai fini istituzionali, possano acquisire partecipazioni in società tramite il conferimento di immobili allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore di mercato. A riprova che l’elencata tipologia d’intervento nell’economia tramite propaggine societaria debba intendersi tassativa, oltre al dato letterale connesso all’utilizzo dell’avverbio “esclusivamente”, è utile considerare svariati riscontri di diritto positivo. In primo luogo, la puntuale menzione delle società d’investimento immobiliare sarebbe priva di senso se il quadro normativo continuasse ad ammettere la sussunzione nell’interesse generale di ogni partecipazione societaria ad esso anche indirettamente strumentale. In secondo luogo, pure pleonastiche risulterebbero le parti dello stesso articolo, chiamate a far espressamente salva la facoltà di costituire società svolgenti attività, certo passibili di esser ricomprese nei fini istituzionali di molti enti pubblici, come lo sviluppo locale partecipativo o la gestione di eventi fieristici65. Stessa considerazione per la deroga a singole società partecipate disposta addirittura con decreto del presidente del Consiglio66. Infine, la disposizione dell’art. 24 sugli obblighi di dismissione conferma la tenuta speculare dell’assunto. Quest’ultima norma prevede, infatti, che, nel corso della prima revisione straordinaria, volta a tener conto dei nuovi limiti introdotti alla capacità di agire degli enti pubblici, dovranno essere individuate e alienate le società non ricomprese nelle categorie ammesse o, seppur ivi comprese, non superanti il vaglio del controllo motivazionale sancito dal TU67. 64 L’art. 14, ult. comma, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit., dispone però che “Nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita”. 65 In realtà, la relazione illustrativa pare sul punto contraddire il tenore del testo, sembrando voler piuttosto configurare l’elenco di attività ammesse come dotato di mera valenza esemplificativa di legittimità presunta, da intendersi “in aggiunta” al limite generale e non volto a dettagliarlo. 66 Cfr. art. 4, comma 9, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit., secondo cui “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze o dell’organo di vertice dell’amministrazione partecipante, motivato con riferimento alla misura e qualità della partecipazione pubblica, agli interessi pubblici a essa connessi e al tipo di attività svolta, riconducibile alle finalità di cui al comma 1, anche al fine di agevolarne la quotazione ai sensi dell’articolo 18, può essere deliberata l’esclusione totale o parziale dell’applicazione delle disposizioni del presente articolo a singole società a partecipazione pubblica. Il decreto è trasmesso alle Camere ai fini della comunicazione alle commissioni parlamentari competenti”. 67 V. art. 5, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. Si ricordi che la legge delega, in effetti, aveva implicitamente previsto il rafforzamento degli oneri motivazionali posti a presidio della scelta di costituire società a partecipazione pubblica (cfr. art. 18, comma 1, lett. b), m), pt. 2, l. n. 124/2015). 15 Ebbene, in forza dei principi generali e degli stessi obblighi di cui alla l. n. 241/1990, mai si è dubitato della necessità di motivare gli atti amministrativi di organizzazione deliberanti la costituzione societaria o l’acquisto di partecipazioni, anche indirette, adesso però si impone68 di dar conto della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria dell’operazione “anche in considerazione della possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impegnate, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato”. In ogni caso, ritengo che sul punto non vi siano spazi per un’interpretazione rigorosamente escludente, che apparentemente sembrerebbe trapelare dalla lettera della norma, essendo, in linea di principio, astrattamente sempre possibile l’esternalizzazione a società private. In verità, la missione d’interesse generale o comunque il soddisfacimento di altri interessi pubblici, come quello ambientale, mi sembrano passibili di poter motivatamente prevalere sulla mera analisi economica dei costi, che poi, tra tutti gli elementi indicati è l’unica, a mio parere, a potersi ergere a requisito ostativo, stante la valutazione discrezionale cui sembrano restare assoggettati gli altri motivi espressamente contemplati. Del resto, per quanto possa valere, una diversa interpretazione sembrerebbe contrastare con il c.d. principio di libera amministrazione69, quanto meno per quelle società incaricate di erogare sieg ricadenti nello spettro della direttiva concessioni, che invece il legislatore nazionale ha voluto probabilmente evocare, sebbene in modo non troppo felice. Grave lacuna del quadro tracciato, colmabile – io penso – solo attraverso una disciplina del gruppo economico in cui si calano le partecipate, è poi la normativa della circolazione delle partecipazioni indirette (infra § 2.1.), che restando in titolarità di autonomi soggetti di diritto – le società partecipate appunto – rimangono estranee ai citati atti deliberativi, formando oggetto unicamente di atti negoziali di diritto privato70, salvo essere incidentalmente riguardate dai piani di razionalizzazione che però sembrano destinati a restare sempre un passo indietro rispetto al dinamismo dei mercati, cioè intervenendo a riassettare movimenti già compiutisi nel passato nella piena autonomia delle parti o comunque dovendo subire il mantenimento di partecipazioni indirette di controllo in origine non motivatamente decise, se, allo stato, non rientrati in alcuno dei casi da dismettere71. 68 Salvi i casi in cui ciò avvenga in conformità a espresse previsioni legislative. Art. 2, par. 1, Dir. 2014/23/CE rubricato Principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche, il cui comma 1 recita: «La presente direttiva riconosce il principio per cui le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione. Tali autorità sono libere di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici. Dette autorità possono decidere di espletare i loro compiti d’interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli a operatori economici esterni». Se ne veda il quinto Considerando: «[...] In particolare, la presente direttiva non dovrebbe in alcun modo incidere sulla libertà degli Stati membri e delle autorità pubbliche di eseguire lavori o fornire servizi direttamente al pubblico o di esternalizzare tale fornitura delegandola a terzi». 70 Quali contratti di compravendita, preliminari ecc. 71 Perché partecipazioni societarie non rientranti nelle categorie ammesse; in società prive di dipendenti o con numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; in società che svolgano attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali; in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro; in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d’interesse generale (si pensi in 69 16 Critiche sono state sollevate per la menzione, tra le categorie di società ammesse, delle strumentali, già oggetto di trascorsi provvedimenti restrittivi72, peraltro dichiarati incostituzionali per violazione dell’autonomia organizzativa regionale73, in analogia con la recente sentenza n. 251/2016. In realtà, questo ipotizzato favor deve essere molto ridimensionato. Intanto, per quanto discorso, se operanti nei settori speciali o negli ambiti assoggettati alla direttiva concessioni, le strumentali ricadono nelle previsioni delle direttive europeo, per cui l’affidamento diretto è possibile solo nei limiti sopra descritti (supra § 1)74. Addirittura l’utilizzo del termine «autoproduzione» di servizi strumentali75 ha fatto dubitare dell’ammissibilità di strumentali non in house, sebbene per il circoscritto contesto normativo in cui esso è utilizzato, sembra indiscutibile doverlo interpretare come riferito a produzione di servizi nell’ambito di un gruppo economico al di fuori del mercato degli appalti, con ammissione, quindi, che l’ente pubblico, nel diritto interno, si consolida, di fatto, nei gruppi, anche nei settori ordinari. È poi vero, che se operanti nei settori ordinari, tali società sono passibili di assumere in concreto il ruolo di mezzo di aggiramento delle prescrizioni europee sul public procurement, ma a ciò dovrebbe validamente sopperire il limite della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, oggetto della illustrata motivazione analitica, per ogni ipotesi di costituzione societaria o di acquisto di partecipazione, messo in sicurezza sia dai poteri di controllo della Corte dei conti, cui l’atto deliberativo deve essere inviato per conoscenza, sia dai poteri di competition advocacy dell’Autorità garante ex art. 21 bis della l. n. 287/1990, espressamente richiamati dal decreto76. Semmai, l’inserzione delle strumentali tra le società ammesse sembra mettere a dura prova la tenuta dell’intento di limitare per legge la piena capacità di diritto privato della p.a. Infatti, in difetto di una definizione di società strumentale limitativa del suo oggetto sociale, vi è il rischio che si consumi una dilatazione delle attività passibili di consentire la costituzione, acquisizione o mantenimento di società, che invece il legislatore sembra voler contenere. In verità, la mancanza di severità sul punto è proprio da ascriversi alle resistenze emerse nel mondo delle autonomie territoriali. Va da sé che alla luce della sentenza n. 251/2016 della Corte costituzionale, un’eventuale futura limitazione dovrebbe passare attraverso la concertazione rimessa all’intesa con le autonomie. Al di là delle illustrate perplessità e difficoltà di raccordo, più in generale, il legislatore cerca adesso, con la riforma delle partecipate, di stabilizzare un sistema particolare alle società strumentali) che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti. Ancora le partecipazioni possono esser gravate da un obbligo di dismissione per necessità di contenimento dei costi di funzionamento o per esigenze di aggregazione ora non più limitate al solo settore dei servizi pubblici locali (art. 20, comma 2, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit.). 72 Art. 13 d.l. n. 223/2006 e art. 4 d.l. n. 95/2012. 73 Corte Costituzionale, 16 luglio 2013, n. 229. 74 Cui, in origine, la bozza di decreto aggiungeva l’oggetto sociale esclusivo, già previsto dall’art. 13 d.l. n. 223//2006. Mentre il limite dell’80% del fatturato su cui già si è discorso (supra § 1) è sancito espressamente solo per le in house dall’art. 16, richiamato dallo stesso art. 4, comma 4, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit., ma non vi è dubbio che esso debba operare per tutte le strumentali beneficiarie di affidamenti diretti, infatti per conformità al diritto europeo diversamente non può interpretarsi il criterio della prevalenza menzionato dallo medesimo comma 4, da ultimo citato. 75 Art. 4, comma 2, lett. d), D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 76 Art. 5, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 17 binario tra le partecipazioni societarie che la pubblica amministrazione voglia motivatamente acquisire o mantenere e quelle che deve dismettere77, o perché non rientranti nelle tipologie tassativamente ammesse o perché non più detenibili motivatamente, anche in forza dei rilievi della Corte dei conti cui vengono trasmessi i piani amministrativi di razionalizzazione, cercando di superare la legislazione, talvolta ad efficacia temporale limitata, succedutasi nella materia. L’ipotizzato sistema binario, sul versante delle dismissioni, si articola poi nella razionalizzazione ordinaria, a scansione annuale78, da apprezzarsi a regime, e nella revisione straordinaria, tesa ad avviare il riassetto alla luce dei più stringenti limiti all’acquisto di partecipazioni societarie, ora introdotti79. Per comprendere la portata del nuovo approccio “razionalizzatore” delle partecipazioni esistenti occorre quindi cennare al contesto normativo cui il TU inerisce. È evidente come i cosiddetti obblighi di dismissione concernano la cessione delle partecipazioni, quindi, la prima questione da risolvere è comprendere come si sia posto tale plesso normativo rispetto alla disciplina codicistica. In primo luogo, ritengo che le variegate disposizioni normative, avvicendatesi a partire dal 2007, in materia di dismissioni delle quote di capitale detenute dallo Stato e dagli Enti Locali nelle società dagli stessi partecipate, stante il tenore puntuale, non possano integrare una complessiva disciplina speciale derogatoria delle norme codicistiche, palesandosi piuttosto come un dedalo di deroghe non estensivamente applicabili oltre i casi specifici. Prima del TU partecipate, infatti, il diritto positivo si è frammentato nelle disposizioni applicabili unicamente alle partecipazioni detenute in via diretta da Stato ed enti pubblici80, in altre concernenti partecipazioni di controllo dirette o indirette in titolarità di pubbliche amministrazioni locali81, o che comunque considerano come destinatari esclusivi gli enti pubblici detentori delle stesse82. In questi determinati casi, le partecipazioni vietate perché non funzionali agli stretti scopi istituzionali, dovevano essere alienate nel rispetto di procedure ad evidenza pubblica. Fin troppo facile intuire, intanto, che un sistema così disomogeneo si presti a facili lacune, come è il caso – ancora una volta – delle partecipazioni indirette, in 77 Ciò si desume dalla lettura combinata del menzionato articolo 5 con gli artt. 20 e 24. Di cui all’art. 20, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 79 Ex art. 25, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. Si ricordi che in caso di mancata adozione dell’atto ricognitivo (entro sei mesi dall’entrata in vigore del TU), ovvero di mancata alienazione entro i termini previsti (nei successivi dodici mesi), il socio pubblico non può esercitare i diritti sociali nei confronti della società e, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la medesima è liquidata in denaro in base alle norme del c.c. (art. 24, comma 5). Sull’adempimento degli obblighi vigila la Corte dei conti, cui gli atti ricognitivi devono essere trasmessi. Stessa sorte per l’omissione della ricognizione annuale (cui si aggiunge la comminazione di sanzioni amministrative pecuniarie), da effettuarsi a regime, entro il 31 dicembre di ogni anno. Dubbi, però, sono sorti sulla tenuta costituzionale di queste sanzioni non limitate alle strumentali locali, come previsto dalla delega (in questi termini Cons. di Stato, ad. comm. spec., 21 aprile 2016, n. 968, cit.). 80 Si veda l’art. 3, commi 27-29, della legge n. 244/2007, norma nata imperfetta perché mancava, in origine, di sanzione alcuna, da qui la ragione principale della sua non applicazione da parte delle amministrazioni, cui l’ordinamento ha reagito con il sistema delle proroghe, a più riprese, delle scadenze. 81 Art. 1, comma 568 bis, l. n. 147/2013. 82 Art. 1, commi 611-614, l. n. 190/2014. 78 18 linea di massima, assoggettate alle consuete regole civilistiche in tema di alienazione (infra § 2.1). Occorre sottolineare, inoltre, come l’alluvionale normativa appena richiamata, contenuta nelle due citate leggi di stabilità83, integri una disciplina speciale, peraltro temporanea, volta a favorire il processo di razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche, questa volta attraverso forme di incentivazione, vista la fallimentare applicazione della legislazione risalente alla seconda metà degli anni 2000. Invero, in entrambi i casi, le pubbliche amministrazioni e le stesse società partecipate dagli enti locali hanno la facoltà – e non l’obbligo – di alienare le partecipazioni detenute. Inoltre, la legge di stabilità per il 2014 invitava amministrazioni locali e società da queste controllate alla dismissione e qualora vi provvedessero, “a condizione che [ciò avvenisse] con procedura a evidenza pubblica”, e quindi al solo scopo di fruire della disciplina di vantaggio, avrebbero ottenuto privilegi amministrativi, cioè il subentro del cessionario nella concessione84, oltre ad una serie di benefici fiscali85. In ultimo, tale disciplina si è applicata alle alienazioni deliberate entro circoscritti limiti temporali86, ormai abbondantemente esauritisi, sebbene il TU riesuma detti benefici sine die, attraverso una tecnica di rinvio de plano destinata però a creare molti dubbi interpretativi87. Una parte cospicua di tali agevolazioni si applicava in effetti anche agli atti di alienazione attuativi dei piani di razionalizzazione deliberati dalle amministrazioni entro il 31 dicembre 201588. Evidentemente simili norme non hanno potuto trovare applicazione ad eventuali successive cessioni, a causa dell’avvenuta scadenza dei termini per la deliberazione dell’alienazione. In definitiva, soltanto gli enti e le controllate che abbiano inteso avvalersi di tale normativa di razionalizzazione delle partecipazioni societarie e accedere ai relativi benefici amministrativi e fiscali, ne sono rimaste riguardate, con esclusione di tutte le operazioni di cessione non corrispondenti alla ratio delle richiamate disposizioni speciali di razionalizzazione delle partecipazioni societarie detenute dagli enti pubblici89. Non sembra pertanto che la disciplina illustrata abbia saputo incidere sul perimetro delle partecipate, riducendolo, probabilmente a causa della facoltatività e temporaneità della sua applicazione, forse anche per l’inadeguatezza degli incentivi previsti. D’altro canto, limitatamente alle società erogatrici di servizi pubblici locali, la normativa parrebbe esser stata meglio congegnata, sebbene alla fine anch’essa abbia subito i risvolti negativi dei difetti che hanno intaccato le norme di razionalizzazione delle società partecipate. 83 Peraltro entrambe sopravviventi in parte qua al TU. La norma si riferisce alla “contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a decorrere dal 1º gennaio 2014” a favore del cessionario. 85 “Le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi”. 86 Entro il 6 maggio 2015, ovvero in corso alla data del 5 maggio 2014. 87 L’art. 20, comma 6, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit., recita, infatti, “resta ferma la disposizione dell’art. 1, comma 568 bis della legge 27 dicembre 2013, n. 147”. 88 Art. 1, comma 614, l. n. 190/2014. 89 Si pensi al caso, non certo infrequente nella pratica, in cui la cessione della partecipazione societaria rappresenti, in realtà, la definitiva estinzione del credito vantato nei confronti di quella o altra società. 84 19 Se, a ben vedere, l’introduzione di misure per l’incentivazione delle operazioni di aggregazione dei gestori di sieg risale alla metà degli anni 2000 in connessione con l’utilizzo del modulo organizzativo dell’ambito90, è solo più di recente, con il Piano di revisione della spesa pubblica, che si è promossa «l’aggregazione di partecipate che offrono servizi simili», come ad esempio acqua e rifiuti. Lo scopo palesato era economicistico: sfruttare economie di scala. Questo sembra potersi ottenere mediante il potenziamento della disciplina sugli ambiti territoriali ottimali, promuovendo gare e affidamenti su territori sufficientemente ampi91, attraverso un sistema di incentivi, quali: ausili pubblici, anche sotto forma di sgravi fiscali ai processi di fusione; mantenimento delle concessioni in essere a favore del subentrante; deroghe al Patto di stabilità interno per le entrate provenienti dalle dismissioni funzionali alle aggregazioni. Ed effettivamente, la legge di stabilità per il 201592 ha adempiuto alle indicazioni del Piano, al fine di promuovere processi di aggregazione e di rafforzare la gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. Nella specifica materia dei servizi pubblici locali, è stata infatti prevista per l’effetto una disciplina parallelamente simmetrica a quella introdotta per incentivare la razionalizzazione delle partecipate: la facoltà di subentro nelle concessioni a favore dell’operatore economico succeduto al concessionario iniziale a seguito di operazioni di fusione o acquisizione93; premi finanziari ad impulso di tali aggregazioni; esclusione dai vincoli del patto di stabilità interno di proventi derivanti dalla dismissione totale o parziale, anche a seguito di quotazione, di partecipazioni in società94. Il simbiotico legame tra obblighi di alienazione e tentativi di aggregazione dei gestori si rinviene laddove l’obbligo di dismissione, sancito dal piano amministrativo di razionalizzazione delle partecipate, può derivare dall’esigenza di aggregazione delle società di servizi pubblici di rilevanza economica, che trova posto tra i criteri suggeriti alle amministrazioni per articolare il relativo programma operativo95. Non a caso, la razionalizzazione può avvenire attraverso cessione, oltre che per fusione, soppressione e messa in liquidazione. È sul crinale dell’aggregazione che si rinviene uno snodo d’intersecazione tra disciplina delle società partecipate, disciplina dei servizi pubblici locali – pure oggetto di riordino normativo – e legislazione in materia di contratti pubblici. 90 Su cui sia consentito il rinvio a M. PASSALACQUA, La regolazione amministrativa degli ATO per la gestione dei servizi pubblici locali a rete, in federalismi.it, 2016. 91 «Secondo la banca dati del MEF, le partecipate dei comparti elettrico, gas, idrico e dei rifiuti erano circa 1.500 a fine 2012. Di queste ben il 62 percento è rappresentato da piccole imprese (valore della produzione inferiore a 10 mln), che nell’insieme coprono soltanto il 7 percento della produzione e che si presentano concentrate prevalentemente al Sud», Commissario straordinario per la revisione della spesa, Programma di razionalizzazione delle partecipate locali, cit., p. 22. 92 Dopo aver modificato in più parti l’art. 3 bis del d.l. n. 138/2011, per superarne criticità e dubbi interpretativi. 93 Cfr. comma 2 bis dell’art. 3 bis, del d.l. n. 138/2011, introdotto dalla l. 23 dicembre 2014, n. 190, cit. 94 Cfr. comma 4 bis dell’art. 3 bis, del d.l. n. 138/2011, introdotto dalla l. 23 dicembre 2014, n. 190, cit. 95 Art. 1, comma 611, l. n. 190/2014, riferito però esclusivamente alle società partecipate regionali e locali, preposte alla gestione di servizi pubblici locali di rilievo economico. I criteri sulla cui base redigere il piano sono adesso tutti confluiti, con analoga dizione letterale, nel TU; per la loro individuazione, si veda anche supra nota n. 71. 20 In ultimo, la più volte citata legge delega «in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»96, indirizza il governo ad introdurre nuovi ausili e facilitazioni amministrative a sostegno degli enti locali che promuovano l’aggregazione delle attività e delle gestioni97. In questo senso sembrava timidamente muovere la bozza di TU sui servizi pubblici locali di interesse economico generale 98, nella parte in cui manteneva i benefici amministrativi e finanziari, sopprimendo, però, l’allentamento dei vincoli del patto di stabilità. Ulteriore punto d’intersezione, non senza attrito, del trittico normativo è che le operazioni societarie effettuate per l’attuazione delle aggregazioni dei gestori debbano essere effettuate con “procedure trasparenti”, comprese fusioni o acquisizioni99, mentre l’alienazione delle partecipazioni in s.p.a. e s.r.l. deve avvenire nel rispetto dei “principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione”100. Resta da capire in cosa si distinguano le procedure trasparenti rispetto all’evidenza pubblica e come si coniughino con la specifica tipologia negoziale della fusione (v. infra § 2.2.). 2.1. Procedure ad evidenza pubblica e cessione delle partecipazioni Pacificamente, il contratto di alienazione di partecipazioni societarie non resta assoggettato alle procedure ad evidenza pubblica di cui alla normativa sui contratti pubblici, trattandosi di un contratto attivo, laddove, le norme citate limitano il proprio oggetto ai “contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere” (c.d. contratti passivi)101. Nondimeno, l’adozione di una procedura ad evidenza pubblica in relazione ai contratti attivi, cioè generanti un’entrata, è sicuramente imposta per le Pubbliche Amministrazioni, e verosimilmente, per gli enti ad esse equiparabili (come ad esempio le c.d. società in house ovvero le società inserite nell’elenco Istat di cui all’art. 1, comma 2, l. n. 196/2009), in virtù vuoi della normativa in materia di finanza pubblica vuoi, comunque, del principio generale di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione, nonché dei principi di imparzialità trasparenza e pubblicità nell’individuazione del contraente fissati dai Trattati europei102. Più problematico, in mancanza di previsioni di legge, assoggettare a tali principi soggetti che pubbliche amministrazioni non sono, né risultano convincentemente ad esse assimilabili. 96 Legge 7 agosto 2015 n. 124. Art. 19, comma 1, lett. f) e q), nonché art. 18, comma 1, lett. m), legge n. 124/2015. 98 All’articolo 33; come noto il decreto è stato ritirato all’indomani della pronuncia di illegittimità costituzionale della legge delega, cfr. Corte cost., sent. n. 251/2016, su cui supra nel testo. 99 Cfr. art. 3 bis, comma 2 bis, d.l. n. 128/2011, riproposto nell’art. 33 di cui alla nota precedente. 100 Art. 10, D.Lgs. n. 175/2016. 101 V. adesso art. 1, comma 1, D.lgs. n. 50/2016. 102 In tal senso, si è ormai pacificamente espressa la giurisprudenza amministrativa, da ultimo si veda la chiara ricostruzione di T.A.R. Piemonte, sez. I, 18 giugno 2015, n. 1154. 97 21 Né può essere d’aiuto invocare l’art. 29 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui, su un piano generale, prevede che le norme sul procedimento si applicano anche «alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative»103, poiché il contratto di cessione delle azioni non può certo essere ricondotto all’attività autoritativa della p.a., restando al contrario sottoposto alle norme di diritto privato ai sensi art. 1, comma 1 bis della stessa legge. Al medesimo punto critico sembrano condurre le norme speciali che prescrivono specifiche procedure per l’alienazione di partecipazioni. Il riferimento è alle discipline per la selezione del socio privato di società mista; alle dismissioni di partecipazioni azionarie (su cui supra § 2) e alle fusioni e acquisizioni di società affidatarie di servizi pubblici locali di rilevanza economica a rete, cui pure si è accennato (supra § 2)104 tornandovi meglio in seguito (infra § 2.2.). Nei primi due casi, il soggetto agente è infatti una pubblica amministrazione, per cui non si fatica a rifarsi ai principi generali a questa applicabili; nella terza ipotesi, effettivamente, l’agente è una società di capitali, operante in un settore specifico, per il quale il legislatore speciale impone “procedure trasparenti”. Attualmente (come accennato, v. supra § 2), il TU, più in generale – in quanto prescinde dal settore di attività –, sottopone l’alienazione delle “partecipazioni” al rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione105, ammettendo, tuttavia, che la cessione possa avvenire all’esito di negoziazione diretta con un singolo acquirente quando l’ente pubblico sia in grado di dare “analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita” 106. In verità, ritengo che tale norma si applichi soltanto alle partecipazioni dirette. Il decreto contiene infatti una definizione di “partecipazione” e una separata di “partecipazione indiretta”, ma la prima non risulta però comprensiva della seconda. Infatti, per “partecipazione” si intende107 la titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi108, peraltro utilizzabili proprio nei processi aggregativi; mentre è “indiretta” la partecipazione in una società che sia a sua volta partecipata da una 103 Non trovano applicazione, pertanto, solo i principi generali dell’attività amministrativa (art. 1, comma 1 ter, della legge n. 241/1990) ma anche le puntuali regole procedimentali. 104 Si noti che, di fatto, tale disciplina di cui all’art. 3 bis, comma 2 bis, d.l. n. 128/2011 (riproposto nell’art. 33 dello schema di TU sui servizi pubblici locali, cit.), ha sostituito l’art. 113, comma 12, del Tuel, il quale imponeva all’ente locale titolare di partecipazioni in società erogatrici di un servizio pubblico l’adozione di una procedura concorrenziale, in caso di cessioni di tali partecipazioni. 105 Per un approfondimento dei criteri di trasparenza e non discriminazione si veda in dottrina S. COLOMBARI, Le “modalità trasparenti e non discriminatorie” nelle alienazioni delle partecipazioni societarie dello Stato e degli enti pubblici, in Giust. amm., f. 7, 2009; F. GOISIS, Principi in tema di evidenza pubblica e di rinegoziazione successiva del contratto: conseguenze della loro violazione sulla serie pubblicistica e privatistica, autotutela e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm., f. 2, 2011, pp. 815 ss. 106 Art. 10, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 107 Art. 2, comma 1, lett. f), D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 108 Quali, ad esempio, il diritto di intervenire nelle assemblee; il diritto di voto; il diritto di chiedere agli amministratori la convocazione o il rinvio dell’assemblea dei soci; il diritto per gli assenti o dissenzienti di impugnare le deliberazioni assembleari invalide; il diritto di denunciare al Collegio sindacale fatti censurabili. 22 società o da altro organismo soggetto a controllo da parte di un’amministrazione pubblica109. Ne deriva, in primo luogo, che la normativa di deroga di cui al TU si applichi, oltre che alle partecipazioni dirette, alle sole indirette di controllo; in secondo luogo, ogniqualvolta il legislatore delegato si riferisca, nell’articolato del testo, alle “partecipazioni”, dovranno intendersi richiamate solo quelle dirette, cioè che attribuiscano la qualità di azionista senza interposizione societaria, o che comunque, anche prescindendo dallo status di socio, in virtù di vincoli contrattuali, attribuiscano la titolarità di azioni o quote cui conseguono diritti amministrativi nella società “partecipata”. Tant’è che, con disposizione definitoria di chiusura, sono “società a partecipazione pubblica”: “le società a controllo pubblico, nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico”110, a conferma che le partecipazioni sociali delle amministrazioni pubbliche comprendano solo le partecipazioni dirette. Occorre allora chiedersi, se la partecipazione pubblica indiretta, eventualmente calata nelle sempre più diffuse catene societarie, non accompagnata da forme di controllo analogo, consenta di superare la forma giuridica societaria, generando un’assimilazione dell’ente privato all’apparato amministrativo. Ritengo che le cessioni di partecipate debbano, in linea di principio, rispettare esclusivamente le norme civilistiche, salva la presenza di una disposizione di legge speciale che disponga ad hoc, imponendo l’effettuazione di procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente nei contratti attivi – come appunto, dispone il Codice dei contratti pubblici per i contratti passivi, in presenza dei presupposti soggettivi ivi previsti –. Tali disposizioni in deroga sono attualmente rappresentate da talune norme sopra richiamate in tema di dismissioni (supra § 2) o ancora nelle norme sulla privatizzazione delle partecipate statali111 (la cui vigenza sopravvive al D.Lgs. n. 175/2016112), o in quelle sull’alienazione delle partecipate locali dirette, ovvero in ultimo, dal citato articolo sull’alienazione delle partecipazioni sociali contenuto nello stesso TU sulle società pubbliche. Pertanto, dal rispetto delle procedure di evidenza, restano escluse le alienazioni di partecipazioni indirette in società locali, avulse dal piano di riorganizzazione dettato dall’ente pubblico, salvo queste si fossero volute (o si vogliano qualora ripristinati) avvalere degli incentivi, peraltro a vigenza temporale limitata, di cui si è dato conto113 (supra § 2). La conclusione qui proposta trova conforto, oltre che nello spettro definitorio su cui si innesta il corpo del TU, in un principio generale e in un ulteriore dato normativo specifico. Il principio generale è rinvenibile nell’art. 41 della Costituzione. Le società partecipate sono titolari del diritto fondamentale d’impresa, il quale può essere limitato soltanto nel rispetto della riserva di legge che può imporre programmi e controlli per la tutela d’interessi generali. Pertanto, sono illegittimi limiti allo svolgimento dell’attività d’impresa e, segnatamente, alla libera trasferibilità delle 109 Art. 2, comma 1, lett. g), D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. Art. 2, comma 1, lett. n), D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 111 Art. 1, commi 2 e 3 della L. n. 474/94. 112 L’art. 10, ult. comma, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. fa, infatti, salva la disciplina speciale in materia di alienazione delle partecipazioni dello Stato. 113 Cfr. art. 1, comma 568 bis, l. n. 147/2013, cit. 110 23 partecipazioni societarie, in assenza di una disposizione normativa specifica in tal senso. Il dato normativo è costituito dall’art. 1, comma 3 del D.Lgs. n. 175/2006, dove si conferma che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato” 114. Norma di analogo tenore era, infatti, prima contenuta nell’art. 4, comma 13 secondo inciso, del d.l. n. 95/2012115, adesso abrogato dal medesimo TU116. Inoltre, in riferimento alle alienazione correlate al piano di razionalizzazione periodica, il TU ribadisce che “I relativi atti di scioglimento delle società o di alienazione delle partecipazioni sociali sono disciplinati, salvo quanto diversamente disposto nel presente decreto, dalle disposizioni del codice civile [..]”117. Del resto, alla medesima conclusione era già giunto il Giudice Supremo, esprimendosi più volte in tal senso, a sezioni unite, in occasione del regolamento del conflitto di giurisdizione in tema di responsabilità erariale. Il riferimento è al già citato orientamento118, presto consolidatosi e ora a base del sistema di responsabilità sancito all’art. 12 del TU, che muove dalla nota sentenza della Corte di Cassazione, a sezione riunite, n. 26806 del 2009119, secondo cui, “le società di capitali eventualmente costituite o comunque partecipate da enti pubblici per il perseguimento delle finalità loro proprie non cessano sol per questo di essere delle società di diritto privato, la cui disciplina, se non diversamente disposto, riposa tuttora sulle norme dettate dal codice civile”. E ancora “In ossequio ad un principio comune a tutti gli enti dotati di personalità giuridica, la società si configura come un soggetto di diritto pienamente autonomo e distinto, sia rispetto a coloro che, di volta in volta, ne impersonano gli organi sia rispetto ai soci, ed è titolare di un proprio patrimonio, riferibile ad essa sola e non a chi ne detenga le azioni o le quote di partecipazione” 120. 114 Sono state infatti accolte le osservazioni del Consiglio di Stato che invitava il governo a non fare riferimento, in modo generico, alla legislazione speciale, inevitabilmente comprensiva di norme, sia di diritto pubblico sia di diritto privato, nel primo caso, in aperto rinnego dell’intento riordinatore, Cons. di Stato, ad. comm. spec., 21 aprile 2016, n. 968, cit. 115 Conv. nella l. n. 135/2012: “Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”. La Corte costituzionale aveva, infatti, dichiarato l’illegittimità dell’art. 4, nella sola parte in cui ha previsto particolari forme di “soppressione” di società strumentali anche regionali, cfr. Corte cost., 16 luglio 2013, n. 229; si v. anche Corte cost. n. 159 del 2008. 116 Cfr. art. 24, comma 1, lett. q), D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 117 Art. 20, comma 5, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 118 Supra § 1, nota n. 40. 119 Alla quale anche la giurisprudenza successiva si è allineata quasi senza eccezioni: si vedano, ad esempio, sez. un. 10299/13, 7374/13, 20940/11, 20941/11, 14957/11, 14655/11, 16286/10, 8429/10, e 519/10 e ancora Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283; Id., 10 marzo 2014, n. 5491; 26 marzo 2014, n. 7177; 9 luglio 2014, n. 15594; 24 ottobre 2014, n. 22609; 24 marzo 2015, n. 5848; 1 dicembre 2016, ord. n. 24591, cit.; si v. anche Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1. 120 Ne deriva che i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate rispondono dei danni diretti arrecati all’ente societario dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, potendo essere sottoposti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina comune dettata nel c.c. Resta salva, invece, la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. Di contro, la Corte dei conti conserva la giurisdizione per il danno erariale direttamente arrecato all’ente pubblico socio “ivi compreso il danno 24 La disciplina speciale dettata per le società partecipate – come anche la più attenta dottrina non ha mancato di rilevare – non ha dunque tuttora assunto le caratteristiche di un sistema conchiuso ed a sè stante, ma continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale di cui al codice civile, con la conseguenza che dette eccezioni debbano interpretarsi restrittivamente. In ogni caso, la valutazione dell’eventuale necessità di avviare una procedura ad evidenza pubblica per la cessione delle quote di capitale sociale detenute da società partecipate indirettamente da enti locali deve essere verificata prendendo in considerazione anche l’eventuale titolarità, in capo alla partecipata ceduta, di un incarico di gestione di servizio pubblico locale. Già si è detto, infatti, che l’art. 113, comma 12, del TUEL imponeva all’ente locale titolare di partecipazioni in società erogatrici di un servizio pubblico l’adozione di una procedura concorrenziale, in caso di cessioni di tali partecipazioni. Detta disposizione – replicata in parte nell’art. 33 dello schema di TU sui servizi pubblici locali, con riferimento alle aggregazioni societarie –, in particolare, potrebbe astrattamente considerarsi come indicativa di un principio generale applicabile a tutte le ipotesi in cui le cessioni di tali partecipazioni societarie indirette incidano in qualche modo sul soggetto affidatario del servizio. In realtà, la norma non è suscettibile di applicazione alle partecipazioni di carattere meramente finanziario, non comportanti alcun contributo operativo allo svolgimento del servizio. Per individuarle, occorrerà, di volta in volta, indagare sulle modalità attraverso cui è avvenuta l’acquisizione della partecipazione indiretta121. Di estremo rilievo sono, infatti, le origini dell’acquisizione della partecipazione che consentono di qualificarla come meramente finanziaria, se il relativo acquisto si risolva nell’esigenza di effettuare un mero investimento monetario, nella sostanza volto a migliorare o conservare diritti patrimoniali, non rivelatore della volontà di acquisire una partecipazione per la gestione operativa del servizio. Le modalità e le cause della acquisizione di ogni partecipazione possono rappresentare, pertanto, un indice della natura meramente finanziaria e non operativa della partecipazione detenuta in società di servizi che può essere oggetto di circolazione senza la necessaria adozione di procedure ad evidenza pubblica122. In definitiva, lo strumento societario, una volta costituito e distaccato dall’apparato, tramite interposizione societaria, tende naturalmente ad essere attratto nell’orbita privatistica, dominata, fra l’altro, dai principi di libera circolazione dei capitali; l’effetto di ciò, tuttavia, è destinato ad avere ripercussioni su quella stessa finanza pubblica di cui ogni partecipazione indiretta è inevitabile emanazione. Ne consegue l’urgente necessità di porre delle limitazioni al proliferare di questa tipologia di partecipazioni, connotate dall’illustrato “rischio specifico” per le ragioni conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione” (art. 12, D.Lgs. n. 175/2016). 121 Si pensi ad esempio al caso di conversione di credito in una partecipazione di corrispondente valore, mediante l’aumento di capitale. 122 Cfr. Cons. di Stato, sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369; Id., 18 dicembre 2009, n. 8376. Tuttavia, onde escludere qualunque possibile interpretazione contraria, risulterebbe opportuna la predisposizione, nell’atto definitivo di cessione, di apposite clausole finalizzate ad evitare che il cessionario possa partecipare alla gestione o allo svolgimento del servizio pubblico affidato alla società cedente. 25 della stabilità finanziaria, perché di fatto rimesse all’autonoma determinazione delle società intermedie rispetto all’amministrazione. Chiarito l’ambito soggettivo di applicazione delle regole dell’evidenza, occorre soffermarsi sulle caratteristiche delle procedure da seguire, che proprio in riferimento alle aggregazioni dei gestori di servizi essenziali presentano differenziazioni rispetto alle ipotesi standard. 2.2. La ricerca di un equilibrio tra vicende societarie e subentro nelle concessioni di servizio pubblico Dopo aver constatato come la normativa abbia tentato a più riprese di incentivare i gestori ad aggregarsi per rinvenire una dimensione confacente rispetto all’ambito territoriale ottimale, occorre soffermarsi sulle procedure da seguire allo scopo. Lo stesso Testo unico enti locali123, nella versione attualmente vigente, continua ad ammettere che le società partecipate derivanti dai processi di trasformazione delle aziende speciali possano essere oggetto di procedure di riorganizzazione e ristrutturazione cui si applica, per espresso rimando, la nota disciplina sulle privatizzazioni statali risalente al 1994124. Quest’ultima normativa, più volte modificata, dal 2003 precisa che l’alienazione delle partecipazioni “è effettuata con modalità trasparenti e non discriminatorie”125. In verità, dal tenore letterale delle disposizioni, pare chiaro che il legislatore abbia inteso conformare ai criteri di trasparenza e non discriminazione, più in generale, le “operazioni” di alienazione, comprensive di una pluralità di atti e negozi, non limitandosi a riferirsi al solo contratto di compravendita. Tale conclusione è confermata da una pluralità di riscontri. Lo stesso disposto dei primi due commi dell’art. 1 del D.l. n. 332/1994 configura la deroga alla disciplina ordinaria della contabilità pubblica, sia per le alienazioni delle partecipazioni pubbliche, sia per i conferimenti delle stesse società partecipate, ma soprattutto, per gli atti e le “operazioni complementari e strumentali alle medesime alienazioni”. Al successivo art. 10, già di per sé significativo in quanto concernente le “operazioni di riorganizzazione e ristrutturazione di società e gruppi di società di cui all’articolo 1 e loro controllate, funzionali alle cessioni”, il medesimo decreto, nel disciplinare le “operazioni societarie”, fa espresso riferimento a fusioni e scissioni. Infine, di recente, il legislatore ordinario si è riferito alle procedure di dismissione di cui all’appena citato art. 1, comma 1, qualificandole come “operazioni di alienazione delle partecipazioni”126. Non si condivide affatto, pertanto, la soluzione adottata, sebbene soltanto in via cautelare, dal Consiglio di Stato nell’operazione di fusione riguardante ASM Brescia e B.A.S. s.p.a., dove ignorando completamente e nulla argomentando sul contesto 123 Se ne veda l’art. 115, comma 4, in cui è confluito il testo dell’art. 17, comma 54, della c.d. legge Bassanini bis per la privatizzazione delle aziende speciali (Legge 15 maggio 1997, n. 127). 124 Precisamente, il decreto legge del 31 maggio 1994, n. 332 (conv. nella l. n. 474/1994) sull’accelerazione delle procedure di dismissione delle partecipazioni in società per azioni dello Stato e degli enti pubblici. 125 Cfr. art. 1, comma 2, come sostituito dall’articolo 4, comma 218, lettera a), della legge 24 dicembre 2003, n. 350. 126 Articolo 80, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in tema di determinazione del prezzo. 26 normativo appena citato, si è ritenuto insussistente alcun previo obbligo di gara “trattandosi di operazione che coinvolge[va] una società integralmente pubblica e altra controllata da ente pubblico con capitale privato flottante”127. In ordine ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, è poi subentrata la già menzionata disciplina speciale prevalente per materia, secondo cui, con terminologia ormai a noi nota e in effetti stabilizzatasi, le “operazioni societarie” “comprese fusioni o acquisizioni” devono essere effettuate semplicemente con “procedure trasparenti”128, le quali non possono che essere chiamate a garantire il rispetto del principio di imparzialità129, per cui deve valere quanto già dissertato sopra al § 2.1 in merito al disposto dell’art. 97 della Costituzione, che nel “buon andamento” già ricomprende la trasparenza130. La procedura sarà quindi trasparente soltanto qualora consenta a qualsiasi interessato di conoscere, attraverso adeguate forme di pubblicità, tutti gli elementi essenziali dell’operazione e principalmente il prezzo, su di un piano di parità rispetto a qualunque altro terzo controinteressato, in modo da poter presentare un’offerta nell’esercizio del proprio diritto d’impresa. La trasparenza rileva infatti “non solo quale principio, ma anche quale fondamento di diritti che i cittadini vantano nei confronti dell’amministrazione”131. La conclusione circa le corrette procedure da seguire, in ossequio agli argomenti testuali appena illustrati, non sembra quindi facilmente superabile muovendo dall’assunto che la fusione tra entità societarie mal si presterebbe a soggiacere a procedure ad evidenza, ancorchè non tipizzate, perché incorporato e incorporante presenterebbero una sorta di intuitus personae: ciascuno intendendo aggregarsi unicamente con quel soggetto determinato. L’argomento si presta a venir posto in 127 Cons. di Stato, sez. VI, 1 aprile 2005, ord. n. 1610. Così art. 3 bis, comma 2 bis, d.l. n. 138/2011, cit. 129 Si condividono le chiose a Corte di Giustizia UE, 3 giugno 2010, causa C-203/08, Sporting Exchange Ltd c. Minister van Justitie, punto 41, fatte da F. GOISIS, Principi in tema di evidenza pubblica e di rinegoziazione successiva del contratto: conseguenze della loro violazione sulla serie pubblicistica e privatistica, autotutela e riparto di giurisdizione, cit., pp. 815 ss., il quale scrive “come da ultimo affermato in punto di concessioni di giochi pubblici, sarebbe enucleabile ‘un obbligo di trasparenza ’, che, seppur ‘senza necessariamente comportare il ricorso ad una gara’ imporrebbe ‘all’autorità concedente di assicurare, a favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura delle concessioni di servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione... ”; si veda anche Corte di Giustizia Ue, 6 aprile 2006, causa C-410/04, Anav c. Comune di Bari e Amtab. Del resto, il Consiglio di Stato, in due pronunce ha recentemente precisato che “l’obbligo imposto dalla legge di stabilità per il 2014 costituisce l’evoluzione del principio sancito dall’art. 1 del citato decreto-legge n. 332 del 1994, secondo cui l’alienazione delle partecipazione pubbliche avrebbe dovuto essere effettuata ‘con modalità trasparenti e non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell’azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali’ (da fissare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), e cioè una più compiuta realizzazione delle modalità prefigurate dal decretolegge in questione, nella direzione di una di una più ampia apertura alla concorrenza”, Cons. di Stato, sez. V, 7 giugno 2016, n. 2424; Id., 20 ottobre 2016. 130 Come è stato correttamente osservato la trasparenza costituisce un “logico, indefettibile corollario” del buon andamento, in questi termini M.R. SPASIANO, Il principio di buon andamento: dal metagiuridico alla logica del risultato in senso giuridico, in www.ius-publicum.com, aprile 2011, pp. 16 e 24. 131 C. MARZUOLI, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F. MERLONI (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 45 ss., peraltro la giurisprudenza amministrativa nazionale ha correlato la trasparenza all’imparzialità fin dagli anni ’80 del secolo scorso, cfr. T.A.R. Puglia, Bari, 13 dicembre 1985, n. 783, Cons. di Stato, sez. IV, 12 aprile 1986, n. 325. 128 27 correlazione alla derogabilità delle procedure ad evidenza per “infungibilità” del fornitore di beni o servizi132, perché “unico che può garantire il soddisfacimento di un certo bisogno” 133, come in effetti sembra essere accaduto nel noto caso dell’operazione di aggregazione tra LGH e A2A134. Tuttavia, la giurisprudenza europea135 e nazionale è molto severa in merito alla portata della deroga, pretendendo una rigorosa motivazione circa la necessità della trattativa con un unico imprenditore, dovendosi “dimostrare che un determinato soggetto sia l’unico imprenditore nella Comunità a disporre del know how necessario per eseguire la prestazione”136. Simile orientamento giurisprudenziale è stato integralmente recepito nelle già citate direttive europee e negli articoli attuativi del nuovo Codice degli appalti137, ammettendosi, in via assai stringente, la pattuizione diretta con l’operatore infungibile solo quando non esistano altri operatori economici o soluzioni alternative ragionevoli e l’assenza di concorrenza sia effettiva. Del resto, quanto argomentato trova adesso una sorta di conferma nel TU sulle società partecipate. Infatti, come già si è osservato (supra § 2.1.), il medesimo espressamente fa salve le norme della legge sulle privatizzazioni del 1994138 ed omette di abrogare il rinvio ad essa operato dal Tuel, ciò perché si è scelto di disciplinare all’art. 10 solo le alienazioni di partecipazioni azionarie in mano pubblica, mantenendo in vita, in corpi separati, le diverse disposizioni relative alle più complesse “operazioni” societarie, esperite a fini di riorganizzazione e/o ristrutturazione; scelta probabilmente criticabile, soprattutto se si pensa che lo stesso Testo si dedica comunque al riordino della “razionalizzazione” delle partecipazioni dagli indubbi esiti dismissionari. Riguardo, poi, la specifica tipologia di aggregazioni concernenti gestori di servizi pubblici locali a rete, permane la normativa dell’illustrato comma 2 bis. In ogni caso, la disciplina di riordino sembra comunque ispirata all’assetto a noi noto, nella parte in cui, dopo aver previsto, in via generale, che “l’alienazione delle 132 Cfr. art. 57, comma 2, lett. b), D.lgs. n. 163/2006, adesso sostituito dall’art. 63, comma 2, lett. b) pt. 2-3, D.Lgs. n. 50/2016, nonché dall’art. 125, comma 2, lett. c), pt. 2-3 D.Lgs. n. 50/2016, per i settori speciali, in attuazione rispettivamente degli artt. 26, comma 6, e 32, comma 1, lett. b), pt. ii)-iii), Direttiva 2014/24/Ue, e dell’art. 50, comma 1, lett. c), pt. ii)-iii), Direttiva 2014/25/Ue; si veda, infine, il parere del Cons. di Stato, ad. comm. spec., 1 aprile 2016, n. 464, pp. 93-94. 133 Cons. di Stato, ad. comm. spec, 26 ottobre 2016, n. 1887. 134 A2A, A2A: presentata l’offerta vincolante ai soci di Linea Group Holding, Comunicato stampa del 9 novembre 2015. 135 In generale, come noto, la procedura negoziata senza bando di gara costituisce una deroga al normale principio di concorrenzialità e pertanto i casi in cui essa è legislativamente consentita sono tassativi e da interpretarsi restrittivamente, con onere dell’amministrazione di motivare espressamente la sussistenza dei presupposti giustificativi, cfr. per il costante orientamento in tal senso del Supremo giudice europeo: Corte Giustizia UE, grande sezione, 8 aprile 2008, causa C-337/05, Commissione c. Repubblica italiana; Id., sez. I, 2 giugno 2005, causa C-394/02, Commissione c. Repubblica ellenica; Id., sez. II, 13 gennaio 2005, causa C-84/03, Commissione c. Regno di Spagna; Id., sez. I, 14 ottobre 2004, causa C-340/02, Commissione c. Repubblica francese; Id., sez. II, 14 settembre 2004, causa C385/02, Commissione c. Repubblica italiana; Id., sez. V, 10 aprile 2003, cause riunite C-20/01 e C28/01, Commissione c. Repubblica federale di Germania. 136 T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 1 giugno 2012, n. 4997; T.A.R. Liguria, sez. II, 2 febbraio 2011, n. 191; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 16 gennaio 2010, n. 286; Cons. di Stato, sez. V, 3 luglio 2007, n. 889. 137 V. supra nota n. 132. 138 Al comma 4 dell’art. 10 del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. 28 partecipazioni è effettuata nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione”, ammette, per casi eccezionali, debitamente motivati, la cessione all’esito di negoziazione diretta con un singolo acquirente qualora l’ente pubblico sia in grado di dare “analiticamente atto della convenienza economica dell’operazione, con particolare riferimento alla congruità del prezzo di vendita”139. L’eccezionalità potrà dipendere da “esigenze aggregative”, come ha cura di sottolineare la relazione governativa140, certo purchè l’aggregazione non sia effettuata tramite fusioni o altre “operazioni” societarie, ma attraverso mere alienazioni, poiché nel primo caso prevalgono inevitabilmente le norme speciali sulle privatizzazioni e sui servizi pubblici locali a rete appena esaminate. Come già si è accennato (supra § 2), il comma 2 bis consente all’aggiudicatario dell’operazione di aggregazione di subentrare nella concessione in essere beneficiando delle originarie scadenze di questa, purchè siano rispettati i “criteri qualitativi stabiliti inizialmente”141. La formula, non a caso introdotta sul finire del 2014, sembra invocare le disposizioni – di identico tenore – contenute nel testo delle tre direttive europee sul public procurement 142, in tema di modifica dei contratti di appalto e concessione, puntualmente recepite nel nuovo Codice, agli artt. 106 (appalti) e 175 (concessioni)143, dove è chiarito, in attuazione del diritto europeo, che il subentrante deve soddisfare “i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente”, mentre la modifica soggettiva non potrà essere occasione per alterare l’equilibrio economico della concessione a favore del concessionario in modo non previsto dalla concessione iniziale, né estenderne notevolmente l’ambito di applicazione, a pena di integrare una mai consentita modifica sostanziale dell’originario provvedimento concessorio. Se dunque si è trovata una base di diritto europeo per “far salve” le concessioni esistenti, evitando una procedura a doppio oggetto che probabilmente avrebbe disincentivato i tanto auspicati processi aggregativi, pare molto difficoltoso far perno su quel medesimo disposto per sostenere che le concessioni affidate a società in house – ovvero gran parte di quelle appetibili – possano, in conformità al diritto europeo, sic et simpliciter trasmigrare in capo ai subentranti non in house e dunque sprovvisti dei requisiti soggettivi dei predecessori avverso l’amministrazione concedente. Non è solo un problema di stretto diritto e di simmetria ermeneutica – che pure sussiste –: il subentro, nelle direttive europee, sembra doversi limitare alle concessioni 139 Art. 10, D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, cit. Relazione illustrativa del Governo allo Schema di decreto legislativo recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 26 aprile 2016. 141 Art. 3 bis, comma 2 bis, d.l. n. 138/2011, cit., introdotto dalla legge di stabilità per il 2015 (art. 1, comma 609, lett. b), l. n. 190/2014). 142 Cfr. art. 72, comma 1, lett. d), pt. ii), Direttiva 2014/24/Ue sui settori ordinari, art. 89, comma 1, lett. d), pt. ii), Direttiva 2014/25/Ue sui settori speciali e art. 43, comma 1, lett. d), pt. ii), Direttiva 2014/23/Ue sulle concessioni, dove si ammette, che un nuovo contraente o concessionario possa sostituire quello a cui l’amministrazione aggiudicatrice aveva inizialmente aggiudicato l’appalto o la concessione qualora all’aggiudicatario iniziale succeda, “in via universale o parziale, a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione della presente direttiva”. 143 Si aggiunge l’obbligo di ottenere l’autorizzazione del concedente, ove richiesta sulla base della regolamentazione di settore. 140 29 affidate con gara, in cui, per particolari circostanze, la competizione svoltasi a monte può compensarne la successiva temporanea carenza nell’intento di preservare la concessione in essere al mutare di un elemento non essenziale come ad esempio, a certe condizioni, la persona del titolare, mentre non pare potersene estendere la ratio ad affidamenti mai assegnati secondo criteri di mercato. Ed invero, il legislatore nazionale, con la norma di “salvaguardia” omnia, implicitamente di certo estesa anche alle concessioni in house, finisce per traslare l’esonero di procedure concorsuali riferito all’assenza di un soggetto distinto dalla pubblica amministrazione a favore di un soggetto separato e talmente market oriented da rendersi attore di acquisizioni sul mercato. Si tratta certamente di tecnicismi procedurali sufficienti ad aprire un contenzioso a carico dello Stato italiano per violazione del diritto europeo, ad opera di un eventuale imprenditore non interessato all’aggregazione ma soltanto al subentro nella concessione. È infatti pacifico che ogni modifica soggettiva nella compagine sociale dell’in house, ove non faccia seguito ad una procedura competitiva, determini una violazione dei principi del diritto europeo in materia di concorrenza144 non sanabile dal disposto della direttiva concessioni per i motivi appena esposti, anzi passibile di integrare un’elusione della stessa. Nel merito, posto che da un regime in house si passa, tramite operazioni societarie, ad un regime di mercato, sarebbe probabilmente opportuno che le ragioni d’interesse pubblico, sancite nella concessione originaria, venissero rafforzate in termini oggettivi, in modo da trovare una tutela sostitutiva al venir meno dell’originario involucro soggettivo posto a loro intrinseca garanzia145. Peraltro, proprio le ragioni di pubblico interesse, unite al passaggio da un regime amministrativo ad uno di mercato, potrebbero suggerire al legislatore di giustificare una temporanea deroga alla concorsualità nell’affidamento della concessione in house in corso di validità, stante l’esigenza di imporre al subentrante, quale condizione della successione, un rafforzamento degli oneri di servizio pubblico. 3. La «trama» del gruppo economico nell’«ordito» dei contratti pubblici Nel testo si è tentato di dimostrare che una speciale disciplina del potere di direzione-coordinamento dei gruppi economici in mano pubblica è indispensabile per garantire che l’intervento nell’economia si consumi nell’intento di dominare il 144 “[..] Come risulta dalla sentenza della Corte di Giustizia resa inter partes (sentenza del 6 aprile 2006 Causa C-410/04), il diritto comunitario è nel senso che se nel corso della durata di un rapporto di concessione sorto per affidamento diretto muta la compagine sociale dell’affidatario (con l’ingresso anche minoritario di privati) ciò comporta vulnerazione dei principi sanciti dal Trattato in materia di concorrenza. Se ne ricava che, oltre a dover sussistere nel momento genetico del rapporto, la proprietà pubblica della totalità del capitale sociale non solo deve permanere per tutta la durata del rapporto ma deve anche essere garantita da appositi e stabili strumenti giuridici, quali il divieto di cedibilità delle azioni posto ad opera dello statuto”, Cons. di Stato, sez. V, 8 aprile 2008, n. 591. 145 Già in relazione alla prima fase delle privatizzazioni, evidenziava l’inadeguatezza degli strumenti giuridici utilizzati per assicurare “il corretto funzionamento del servizio”, imputabile “[..] all’aver rinunciato a distinguere il rapporto societario dal rapporto di concessione” G. DI GASPARE, Le società miste, in Servizi pubblici locali in trasformazione, cit., p. 107. 30 mercato, conformandolo o comunque sfruttandone i benefici, evitando di subirne gli intrinseci meccanismi con l’esito di restare da questo dominato. Viene però da chiedersi in che cosa l’ente pubblico a capo di un gruppo economico, nei contorni emergenti dal diritto europeo degli appalti, differisca dai noti enti pubblici di gestione. Intanto, la prima grande differenza sta nel perimetro del gruppo, circoscritto ai servizi pubblici essenziali. Inoltre, a molti anni di distanza da quell’esperienza, vi è il contesto culturale e giuridico per mutare la portata della capacità di tensione verso l’interesse pubblico, sostituendo lo strumento della direttiva circolare146 con il potere di direzione e coordinamento, eventualmente sfruttando in tal senso l’esperienza civilistica. L’esigenza sembra divenire impellente a fronte delle illustrate prospettive di aggregazione societaria, destinate, se non governate a rimettere la direzione dei gruppi pubblici, e per l’effetto, dei servizi essenziali erogati, a mere logiche di mercato. La vicenda è ben esemplificata dal brusco passaggio da gestioni in house, ancorchè sotto forma di gruppo, a gestioni rimesse a entità aggregate molto spesso quotate, senza alcuna mitigazione ottenuta tramite qualsiasi possibile strumento di diritto amministrativo che consenta di tutelare le ragioni d’interesse generale sottese ad ogni servizio di pubblica utilità. Il presupposto logico di tale assenza è che comunque il mercato assicurerà il buon andamento dell’attività amministrativa correlata all’erogazione dei servizi. L’assunto è però aprioristicamente dato, ben lungi dall’essere concretamente dimostrato. A questo si aggiunga che la direttiva concessioni sembra avvicinare l’atto di affidamento al contratto piuttosto che al provvedimento, assimilando, di fatto, la concessione all’appalto con il conseguente scemare dei tradizionalmente connessi pubblici poteri147. Infine, l’ente pubblico a capo di un gruppo potrebbe oggi meglio essere attuazione di un modello di economia collaborativa piuttosto che manifestazione della rodata economia mista. Concludendo e tentando di contestualizzare al meglio il gruppo economico nella grammatica giuridica del nuovo Codice sui contratti pubblici, merita allora vagliare se esso possa essere ricompreso in un’ipotesi di partenariato. Invero, la legge delega, come interpretata anche dal parere del Consiglio di Stato148, indica al legislatore delegato di estendere le forme di partenariato149, significando che il gruppo economico possa rappresentarne un’ipotesi normata, peraltro in conformità allo stesso diritto europeo sui partenariati. Ribadendo che i gruppi in house sono al massimo assimilabili al partenariato orizzontale, i gruppi economici non in house, a mio avviso, rappresentano un partenariato pubblico-privato, non tanto per la presenza di una strutturazione societaria, quanto perché il gruppo, come il partenariato150, si sostanzia nelle clausole 146 In tema, si rinvia al noto studio di F. MERUSI, Le direttive governative nei confronti degli enti di gestione, Milano, Giuffrè, 1964. 147 Rileva il rischio di una “fuga” dalla concessione poiché essa viene equiparata all’appalto e dunque priva l’amministrazione concedente di poteri pubblici, G. GRECO, La direttiva in materia di “concessioni”, in AA. VV., La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione, Milano, Giuffrè, 2016. 148 Cons. di Stato, ad. comm. spec., 1 aprile 2016, n. 855. 149 Art. 1, comma 1, lett. ss), legge 28 gennaio 2016, n.11. 150 L’180, ultimo comma, D.Lgs. n. 50/2016, rubricato partenariato pubblico-privato, nell’annoverare 31 contrattuali di riparto rischi-benefici tra pubblica amministrazione ed entità societarie, dunque formalmente private, anche financo le partecipazioni fossero completamente in mano pubblica. L’utilità della nozione si rinviene nell’avere a disposizione un’etichetta giuridica cui ricondurre il fenomeno dello “sforamento” dei confini della pubblica amministrazione che nella parte iniziale di questo studio si è cercato di approfondire. Anche perché all’insegna del partenariato si può recuperare al meglio la ratio della collaborazione e rinvenire criteri che possano colmare le lacune del pur attuale assetto normativo delle partecipate pubbliche di cui si è più volte sottolineata la mancata assunzione a sistema conchiuso ed a sè stante, quanto insieme di deroghe alla disciplina generale contenuta nel codice civile, basti pensare, in proposito, al tema trattato delle partecipazioni indirette (supra § 2.1.). Non appare dunque casuale che lo stesso diritto europeo sul public procurement, rispetto al passato151 sembri adesso, attraverso le nuove direttive, incrementare la portata delle deroghe alle procedure di evidenza proprio per rafforzare i partenariati istituzionalizzati, secondo modalità e ratio indagati in esordio (supra § 1). Compito del legislatore nazionale – al momento rimasto inadempiuto – è sfruttare tale occasione per creare un sistema normativo non appiattito sullo strumento societario di stampo civilistico, ma in grado quanto meno di governare il fenomeno originato dall’innegabile esigenza di condivisione dei rischi e sfruttamento delle competenze del settore privato, unito al bisogno di alleviare le finanze pubbliche grazie a fonti di capitale aggiuntivo152. la finanza di progetto tra i contratti di partenariato, non esclude che un partenariato possa comportare la costituzione di una società, sebbene esso abbia una valenza soltanto oggettiva e non soggettiva. Inoltre, sono ammessi i partenariati atipici rappresentati da “qualunque altra procedura di realizzazione di partenariato in materia di opere o servizi che presentino le caratteristiche” descritte nell’art. 180. 151 Commissione europea, Comunicazione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI), 5.02.2008, C (2007) 6661, pp. 8-9, dove si ribadiva che “i PPPI devono continuare ad operare nel loro ambito di attività iniziale e non possono, in linea di principio, ottenere nuovi appalti pubblici o nuove concessioni senza una procedura di gara che rispetti il diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni”. 152 Commissione europea, Comunicazione Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato, 19.11.2009, C (2009) 615 def. 32