Lavorazione del latte - "Cöös" La produzione di burro e formaggio

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Lavorazione del latte - "Cöös" La produzione di burro e formaggio
Lavorazione del latte - "Cöös"
La produzione di burro e formaggio era, e in alcuni casi rimane, un’attività che
consente alle famiglie di produrre due tra gli elementi principali della dieta di un
tempo.
Il latte è lasciato riposare per almeno una notte nei contenitori in rame appositi
(cónch), viene scremato. La panna ottenuta costituisce la base per la produzione del
burro (che sarà prodotto versando la panna stessa nel penàc o centrifuga).
Il formaggio si ottiene cagliando il latte con tempistiche e temperature ben stabilite.
Il formaggio può essere grasso, magro o semigrasso a seconda della quantità di
grassi (panna) che viene lasciata nel latte.
Dopo la preparazione il formaggio sarà opportunamente salato e fatto stagionare in
baitéi a temperatura e umidità regolari.
Le mucche erano munte di mattina presto e nel tardo pomeriggio. Durante la
mungitura, nella stalla o all'aperto durante la stagione estiva negli alpeggi, i
mungitori, posti di lato rispetto all'animale, stavano seduti su un apposito sgabello
rotondo o ovale con una gamba sola, lo scagn . Tenendo occupate entrambe le mani
si appoggiavano sul fianco della vacca con la testa. Il latte veniva raccolto entro un
secchio tenuto tra le gambe, il segìin, generalmente in legno. Il latte veniva portato
alla casera, la casine, per la lavorazione, con gli stessi secchi o se la casìne era
lontana per mezzo di particolari contenitori per il trasporto a spalla, chiamati brentài.
Per misurare la quantità di latte portata in casine dai singoli proprietari si usava un
bastoncino di legno, il moél. Il latte era filtrato attraverso il cóol, un catino circolare
di legno sul cui fondo erano posti un tempo dei rametti che fungevano da filtro; più
recente l’uso di una retina. Il cóol poggiava sulla tréne , un piccolo telaio, posto
sopra il contenitore in rame stagnato, la cónca. Le varie conche erano poste al fresco
su vasche in pietra o cemento, in cui talvolta scorreva anche dell’acqua di sorgente
per mantenere bassa la temperatura. Tutto questo procedimento, serviva per far
affiorare la panna vale a dire la parte grassa del latte. Il casaro (solitamente una
donna esperta del mestiere) procedeva all’operazione della scrematura nelle conche
per la preparazione del burro. Intanto si preparava la coldére nella quale era versato
il latte scremato. La coldére veniva spinta sul fuoco per mezzo di un braccio di legno
girevole chiamato scigógne(cicogna) . Quando il latte raggiungeva la temperatura di
circa 30°, si toglieva il grosso recipiente dal fuoco e si versava il caglio, un enzima
ricavato dalla stomaco del vitello o del capretto lattante. Lo si lasciava riposare
lontano da fonti di calore e la massa bianca si trasformava in un enorme yogurt. La
coldére veniva controllata di tempo in tempo con la paletta apposita, che segnalava
quando la superficie bianca s’increspava e tendeva a resistere: allora la cagliata era
pronta. Poi la cagliata veniva disfatta col tarài o frangicagliata, un bastone ricavato
da un ramo di larice con più rametti che venivano tagliati nella lunghezza di
dieci/dodici centimetri.
Disfatta la cagliata, la coldére era di nuovo spinta sul fuoco ed il siero continuamente
rimescolato col tarài fin quando le particelle solide acquistavano la forma e la
consistenza grumosa desiderata; allora il casaro lasciava riposare la caldaia finché la
massa bianca del formaggio si raccoglieva sul fondo della stessa. Il casaro prendeva
allora tra i denti una specie di grande tovagliolo di tela ol patìin, si curvava sul
grande paiolo e raccoglieva sul fondo la massa bianca che rimaneva per un po’
sospesa sul paiolo a gocciolare. Questa massa bianca e morbida infine veniva posta
nell’apposita singéle , la fasciera di legno che doveva dare la forma al formaggio, già
posta sullo sprisóor, la spersola o sgocciolatoio. Il casaro la schiacciava con forza
perché si facesse compatta costringendo il siero che vi era presente a fuoriuscire
sullo sprisóor e, attraverso quest’ultimo. in uno scarico. Per favorire la fuoriuscita di
tutto il siero veniva posto sulla forma un disco di legno con sopra un peso e si
stringeva lateralmente la fasciera. Dopo pochi giorni la forma di formaggio veniva
liberata dalla fasciera e veniva salata per facilitare la conservazione e, in alcuni casi,
la stagionatura. Per stagionare il formaggio, lo si metteva in un luogo fresco della
casera su ripiani in legno vicino alla parete e al riparo dalla luce solare. Di tanto in
tanto veniva risalato e rigirato con accuratezza.
L'ultimo prodotto della lavorazione del latte era la ricotta, la mascàrpe. La coldére
veniva risospinta sul fuoco ed il latte, a cui è aggiunto il lac dól bedűül cioè il
latticello scarto della centrifugazione della panna per fare il burro, era nuovamente
riscaldato fino a bollitura; si aggiunge anche un po’ di siero vecchio e inacidito o
maèstre che viene conservato nell' agrèer. Poco prima della ebollizione, la superficie
del latte si rifà ancora bianca e schiumosa e a poco a poco si rapprende dando
origine alla ricotta. La ricotta veniva tolta con la schiumarola di rame e posta nelle
caròt, dei piccoli recipienti a doghe di legno bucherellato poste a scolare sullo
sprisoor. La ricotta, se conservata, viene salata o affumicata.
Ciò che rimane dopo la produzione della ricotta viene raccolto in apposite tinozze; e
nutrimento prezioso che ogni giorno viene versata nell' àlbio: il trogolo per i maiali.
La scrematura del latte la si faceva con il cazzìin da sbedülà o spannarola; la panna,
raccolta in un secchio, veniva versata nel penàc o centrifuga: un cilindro in legno
sorretto da un cavalletto, che ruotava intorno a un asse orizzontale ed era azionato
con una manovella o tramite una cascatella d’acqua. Se la panna era poca, la si
versava nel penağìin, una zangola che era appoggiata in terra e nella quale la panna
era emulsionata tramite uno stantuffo azionato manualmente.
Dopo qualche ora il burro era pronto. Lo si estraeva dalla centrifuga dopo che da un
foro si era fatto uscire il latticello. La massa del burro si appoggiava sullo sprisóor,
per essere impastato e compresso onde levare tutto il latticello e per essere
confezionato, talvolta, in pani di mezzo chilo con l’apposito stampo in legno; il burro
così confezionato era incartato e destinato alla vendita.
Il burro per l’uso famigliare era invece provvisoriamente confezionato in un unico
pane a forma tonda: la mòte dól bedűül, che presto sarebbe stato cotto a lungo e
molto adagio per essere poi versato nel lavél, recipiente di pietra dove era
conservato (in pratica si produceva del burro chiarificato, di facile conservazione,
quasi privo di lattosio e caseina, più stabile alle alte temperature).