01-Prima - Europa Quotidiano
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5 6/7 INTERVISTA CON SAVINO PEZZOTTA LA MALATTIA DI BOSSI Il leader della Cisl interviene sui temi del momento: dalla concertazione alle europee, dalle sfide per l’opposizione all’indifferenza del governo 9 771722 205202 40602 ALVPLQGBcafcacA CIDEDKDODQ Provato e affaticato, invia a Radio padania un messaggio registrato. Orgoglioso. Ma pieno di sofferenza M E R C O L E D Ì 2 G I U G N O 2004 www.europaquotidiano.it Montezemolo, Perché Fazio e la sordità della destra stavolta non ci saremo PIERLUIGI CASTAGNETTI EDOARDO PATRIARCA ull’altro che la casualità è all’origine della sequenza cronologica di alcuni recenti avvenimenti altamente significativi per il nostro paese: il discorso di insediamento al vertice confindustriale di Luca Cordero di Montezemolo, il congresso di Forza Italia e le “Considerazioni finali” del Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Eppure, grazie a questa casualità una manciata di giorni, gli ultimi di maggio 2004, ci restituiscono un quadro che forse non sorprende ma certo dà corpo ad una svolta nella vicenda nazionale. Da un lato il vertice dell’associazione degli imprenditori e la più importante Authority italiana e dall’altra il partito di maggioranza relativa della coalizione di governo, il partito del premier o, meglio, il premier stesso. Non è scontro “politico” e guai, nel centrosinistra, ad arruolare Montezemolo o Fazio sotto le proprie insegne. L’uno e l’altro hanno però detto cose chiare ottenendo dal governo o, più precisamente, dal congresso di Forza Italia e dai ministri forzisti-leghisti un’alzata di spalle nella più generosa delle interpretazioni. Con lo sguardo rivolto al futuro, com’è giusto, entrambi hanno delineato una strategia per riportare l’Italia dentro i binari di uno sviluppo all’altezza delle sue potenzialità che cozza con la “filosofia” assunta dalla destra italiana. Montezemolo riprende la bandiera della concertazione, ammainata dal suo predecessore D’Amato, issandola sull’asta dell’innovazione. Fazio segnalando che «occorre» una politica economica «chiara, sicura, basata su dati concreti e su interventi ben definiti, largamente condivisi, inseriti in una visione di lungo periodo» aggiunge all’idea della collaborazione virtuosa tra i diversi protagonisti della vita sociale ed economica quella del rigore, della serietà. Sia il presidente di Confindustria che il Governatore della Banca d’Italia hanno fatto intendere di considerare inutile e/o rischiosa, oggi, la riduzione delle aliquote Irpef ma senza infierire. Eppure proprio su questo aspetto la destra li ha contestati. Perdendo di vista la “sostanza” dei loro interventi. O, forse, deliberatamente oscurandoli perché molto ma molto più lacerante per essa. Il congresso forzista colpisce proprio per questo aspetto: sordità totale e anche, in alcuni, compiaciuta rispetto al pacchetto delle indicazioni confindustriali (e non solo ad esse). Un evento autoreferenziale, ostinatamente indifferente a quanto è accaduto e sta accadendo nel paese dopo mille e passa giorni di governo della destra. Neppure una finestra s’è aperta sull’esterno. Solo feritoie per dardeggiare con offese e insolenze gli avversari e svillaneggiare gli alleati. Stessa linea d’azione nel dopo-Fazio come testimonia la dichiarazione di Tremonti. Questa caparbia volontà di “non vedere” è senza dubbio un elemento centrale nella destra. Èquesta che, sommata alla qualità delle osservazioni contenute negli interventi di Montezemolo e Fazio, segna di sé la seconda fase della legislatura. A Milano, sabato 22, alla seconda Convenzione nazionale della Lista uniti nell’Ulivo Prodi ha parlato dell’Italia che «oggi sta sprecando se stessa» e invece «ha un grande futuro» a patto che giochi «come una grande squadra», si concentri sui giovani, sulla ricerca, sull’innovazione. Mi paiono le linee adeguate non solo per lavorare, con fatica, alla ricostruzione dell’Italia, ma anche per corrispondere alle indicazioni ascoltate in questo fine di maggio. a da sé che la venuta del presidente degli Stati Uniti nell’occasione del 50° anniversario della liberazione di Roma sarebbe stato per noi tutti un momento di festa e di rinnovata alleanza con questo grande paese che ha mandato una generazione di giovani a combattere una guerra di in Europa contro il fascismo e il nazismo. Ma la storia non sempre si lascia governare, anzi, talvolta ci riserva amare sorprese. Come questo momento della nostra vita politica e sociale che rischia di zittire le nostre intelligenze e i nostri cuori pervasi da un clima di pessimismo e di insicurezza imperanti. Angustiati dall’esplosione dei conflitti – non da ultimo la tragica guerra in Iraq – e dall’azione del terrorismo che colpisce con una violenza e un sadismo che mai avremmo immaginato, rischiamo per davvero di perdere la capacità di fare politica. Lo sgozzamento degli ostaggi da una parte, e per converso la tragicità delle immagini delle torture nelle carceri irachene, ci dicono di un logoramento di quella stagione entusiasmante e di quella cultura dei diritti scritta nelle Carte della seconda metà del secolo scorso. Ma il presidente degli Stati Uniti sarà in visita nel nostro paese, nonostante tutto. Di nuovo si pone al mondo dell’associazionismo cattolico e laico che poco ha a che fare con i “professionisti del pacifismo militante” o del “profetismo senza se e senza ma”, il difficile compito di offrire una piattaforma politica e una bussola per orientarsi in queste giornate che ci attendono. Oggi è la festa della repubblica, è bene non dimenticarlo. Sfileranno le forze armate, i corpi della protezione civile, i vigili urbani; sfilerà un piccolo contingente di ragazze impegnate nel servizio civile volontario. La presenza dei nostri militari in Iraq non può disconoscere il lavoro prezioso e competente da essi svolto nelle zone di conflitto in varie parti del mondo. E dunque, per cortesia, nessuna manifestazione “anti”, nonostante la politica avventuristica del governo Berlusconi. Il 4-5 giugno giungerà a Roma Bush per celebrare il 60° dell’anniversario della liberazione di Roma. A me pare che questa memoria non vada dimenticata, a ricordare che la nostra democrazia è nata anche dal dolore e dal sacrifico di militari e partigiani. SEGUE A PAGINA 5 N V I N F O R M A Z I O N 1 E A N A L I S I SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE, ART.2, COMMA20/B LEGGE 662/96 - ROMA A N N O Trentasei morti nel primo giorno del presidente iracheno Yawar È nato fragile il governo di Bagdad. All’Onu è vicino l’accordo sulla risoluzione a scelta finale di Brahimi ha spiazzato quasi tutti. Il nome di Ghazi Yawar, il presidente designato del governo ad interim dell’Iraq, non era stato previsto da nessuno. Tanto meno dagli americani, che fino all’ultimo hanno anzi cercato di dissuaderlo offrendogli (con Bremer) il ruolo di ambasciatore a Washington. Il nuovo presidente è un leader sunnita che ha studiato negli Usa e ha vissuto in Arabia Saudita, ma ha soprattutto una buona base di consenso tribale, ai vertici di una tribù di oltre tre milioni di persone, anche fuori dall’Iraq, che comprende sia sciiti che sunniti. Il limite suo e del nuovo governo (in tutto trentuno persone) è di non comprendere alcuna delle fazioni ostili agli Stati Uniti, e di es- L sere quindi molto esposto alle ricorrenti ventate di violenza. Come si è capito del resto fin dal suo primo giorno: due pesantissimi attentati hanno colpito Bagdad causando in tutto 36 vittime, soprattutto nell’esplosione che ha devastato la sede di un partito curdo. L’insediamento del governo provvisorio è stata salutata come un grande successo da Bush (che ne ha attribuito a Brahimi la formazione, “tirando fuori” gli Usa). Ma gli americani e gli inglesi puntano a un altro risultato che sembra a portata di mano: già oggi verrà presentata a New York la seconda bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza, emendata secondo le osservazioni critiche di Russia, Cina, Francia e Germania. A PAGINA 3 ARRIVEDERCI NELSON Non chiamatemi, vi chiamerò io. A 86 anni, dopo essersi ritirato dalla politica attiva nel 1999, Nelson Mandela ha deciso di «andare in pensione dalla pensione». In tutti questi anni infatti il leader anti-apartheid ha continuato a impegnarsi con la sua Mandela Foundations nella raccolta fondi per costruire scuole e ospedali e, soprattutto, nella lotta all’Aids. (Ap) Il dialogo è l’essenza della democrazia. Il 2 giugno di Ciampi dedicato alla pace l dialogo come essenza della democrazia. La pace come priorità. Assieme alla concordia tra i cittadini, il rispetto reciproco tra i partiti e fra le forze sociali. Il presidente Ciampi ha rivolto ieri il suo messaggio al paese alla vigilia della festa della repubblica. Un augurio, ha detto, rivolto a tutti gli italiani, «a coloro che vivono in patria e a coloro che portano con orgoglio il nome d’Italia nel mon- I do». Ricordando che il 2 giugno del 1946, scegliendo la repubblica con un libero voto, «gli italiani scelsero, nella scia degli ideali del Risorgimento, la libertà e l’unità della patria. L’Italia che avevamo in mente, dopo la dittatura e dopo la tragedia della guerra – ha continuato il presidente – era una nazione in pace con tutti i suoi vicini, in un’Europa unita, in un mondo di pace. Volevamo costruire, e abbia- mo costruito, un’Italia in pace anche con se stessa». Poi Ciampi ha spiegato che «senza rispetto non c’è dialogo, nel paese e in parlamento; e il dialogo è l’essenza della democrazia». Infine un riferimento ai più di novemila militari italiani, uomini e donne, che in Kosovo, in Bosnia, in Albania, in Afghanistan, in Iraq e in altre parti del mondo sono portatori di questi valori. «A loro va la nostra gratitudine». R O B I N La campagna di Diliberto, tra eredità genetica e calcolo politico Totò Il più antiamericano di tutti Ecco perché il governatore STEFANO MENICHINI della Sicilia vuol trasferirsi a Bruxelles: nelle casse della regione c’è un buco di tre miliardi. Deve cioè 600 euro ad ogni siciliano. E gli isolani si sa son gente tosta. Ma Totò vasa vasa non si scoraggia: «Io c’entro» confessa follinianamente dai muri di Palermo prima di scappare. ue paia di piedini sporchi, irrigiditi, sbucano da sotto una coperta, sudario improvvisato per bambini ignoti. Affianco c’è scritto, lapidario: «È colpa di Bush». Roma in questi giorni è tappezzata di manifesti così, mentre in cielo va un aeroplanino con lo striscione: «Comunisti italiani. Bush no grazie». Niente di male in assoluto, da metterci una firma se il presidente americano se ne andasse da Roma solo con questo viatico. D Però forse, tra le cose che andranno “revisionate” dopo il 14 giugno, c’è a questo punto anche quella (apparentemente minore) del rapporto nell’Ulivo con il partito di Diliberto e Cossutta. Perché, è vero, tutto il centrosinistra è pacifista. E poi, è vero, la sinistra della coalizione è dura nella polemica contro le colpe Usa. Ma nessuno, neanche Rifondazione, sta usando nella campagna elettorale in maniera così esasperata e monomaniacale la carta dell’odio verso gli americani: non c’è praticamente altro, nella propaganda del Pdci. I primi a chiamare in piazza per il 4 giugno. Quelli che spendono di più per pubblicità e cartelloni sul tema. I più estremi nelle dichiarazioni. L’antiamericanismo estremo di Diliberto ha una prima spiegazione di tipo genetico. C’erano due componenti filosovietiche nel Pci: una di destra e una di sinistra, quella dei Bufalini e degli Amendola e quella di Secchia. Gente che poteva dividersi su tutto, ma si ritrovava dietro allo stato guida. Cossutta ha tenuta viva la memoria di quell’epoca e non è bastata l’autocritica sulla rottura con Berlinguer: quel tipo di sinistra comunista è passata attraverso due scissioni e ha conservato intatte due caratteristiche peculiari di quel Pci. Il moderatismo in politica interna (per cui, se si può, al governo sempre e comunque) e l’idea che gli Usa siano il diavolo in terra. Tratti genetici che rendono il Pdci molto diverso sia dal Prc che da altre sinistre radicali. Per alcuni di costoro dirsi antiamericani è impossibile, essendo nati non a Mosca ma sulla controcultura americana. SEGUE A PAGINA 5 II • N°111 • € 1,00 Non sono più portatori d’acqua FRANCESCO SAVERIO GAROFANI osa viene dopo l’inesorabile e sempre più rapido tramonto berlusconiano? La domanda guarda oltre la campagna elettorale e la “sfida” di giugno. Supera persino la scontata e legittima risposta delle opposizioni: verrà il governo dell’Ulivo. Già. Ma nel frattempo c’è un vuoto politico che comincia ad essere colmato attraverso una dinamica destinata a cambiare lo scenario cui eravamo abituati. Il declino berlusconiano e il fallimento di un’azione di governo che si era annunciata “rivoluzionaria” per la sua volontà di cambiamento hanno innescato una reazione. Dal conflitto sociale che si è prodotto in questi anni è scaturita una nuova realtà. Non si tratta solo di una ricollocazione dei cosiddetti “poteri forti”, delusi e pentiti per il loro sostegno a Berlusconi. Ciò che accade in questi mesi mostra – ancora in filigrana – un fenomeno inedito: di fronte al fallimento della politica di governo, i “corpi intermedi” tendono a riacquistare e in qualche misura a blindare, esaltandola, la loro autonomia. In questo modo costituendosi a loro volta in veri e propri soggetti politici. Succede con i sindacati (si legga l’intervista con Savino Pezzotta che pubblichiamo in questo numero). È accaduto in modo netto con la svolta confindustriale di Montezemolo. Succede con il sistema bancario, uscito rapidamente dall’angolo buio in cui era stato cacciato dai crack finanziari di Cirio e Parmalat. Succede, più in generale, con le associazioni di categoria grandi e piccole. Con le associazioni di volontariato. Con il terzo settore. E, su altri fronti, con i movimenti. Non solo quelli mobilitati per la pace. Ma anche quelli che si sono costituiti spontaneamente su grandi “emergenze” sociali, da Scanzano Jonico a Melfi. Dai più grandi ai più piccoli, ognuno di questi nuovi soggetti è portatore di istanze e rappresentante di diritti e interessi che sempre più passano attraverso canali alternativi a quelli tradizionali. E in primo luogo a quelli dei partiti. Ha ragione Pezzotta nel segnalare che questo fenomeno di autorganizzazione sociale, di nuova partecipazione, è anche la risposta alla deriva rappresentata dal leaderismo berlusconiano. SEGUE A PAGINA 6 C Chiuso in redazione alle 20,30 DOMANI 3 GIUGNO UNITI NELL’ULIVO L’ORA DELLE SCELTE NELLE EDICOLE DI MILANO E DELL’HINTERLAND IL NUMERO DEL SUPPLEMENTO MENSILE