Coltivare la relazione tra marito e moglie è un dovere

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Coltivare la relazione tra marito e moglie è un dovere
13 gennaio 2008
Coltivare la relazione tra marito e moglie
è un dovere che diventa dono per i nostri figli.
Trascorrere una giornata lontani dai figli e magari anche un week-end all’anno, non toglie nulla ai
nostri bambini, ma dona alla coppia momenti di ricarica, di intima unione, di sguardi che tornano a
incrociarsi, esperienze di cui beneficheranno la coppia e i figli stessi.
C
ari Genitori,
oggi vorrei parlarvi di una cosa che ho molto a cuore e che penso rappresenti il centro della vita
familiare: l’importanza di coltivare la relazione tra gli sposi.
Mi capita spesso di incontrare genitori distrutti e affannati, perché da quando è nato un figlio, la
loro vita ruota tutta attorno a lui. Talvolta, poi, se si associano difficoltà intrinseche del bambino,
come disturbi del sonno e dell’alimentazione, coliche gassose, reflusso gastroesofageo (per parlare
di bambini piccoli sotto l’anno di vita), la loro stanchezza e le loro ansie finiscono per sfinirli.
In questi casi, entrando nel profondo della loro vita, osservo con grossa frequenza che la loro
relazione è spesso fioca, secondaria, addirittura talvolta inesistente. Molto spesso è la mamma
quella che “chiude i rapporti”, accentrando tutte le sue forze e attenzioni esclusivamente sul figlio.
Il marito si sente così scalzato, addirittura escluso da questa nuova relazione simbiotica tra madre e
figlio. Ma non è raro trovare che la scelta di “annullarsi per il figlio” venga fatta di comune accordo.
Non ci sono più uscite a due. Le passeggiate mano nella mano sono un ricordo sfumato del periodo
del fidanzamento. Non ci sono più attenzioni e premure per l’altro. Talvolta, la sessualità non trova
più spazi e tempi o avviene senza trasporto e complicità. Ora, il centro della vita, e anche del
lettone, è quel pargolo. Tanto atteso, tanto desiderato, che come un cuneo si insinua tra i due.
Giorni fa parlavo con una mamma. Una brava mamma. Stanca. Dodici mesi di notti continuamente
disturbate dai risvegli del piccolo.
La nonna diceva: «Gli ho detto di lasciarmelo qualche giorno e andarsi a riposare un poco, loro
due da soli, ma non se la sentono…».
«Perché?», chiedo alla neo- mamma.
«Non so! Abbiamo timore di lasciarlo. Non sappiamo come reagirebbe…».
E intanto la stanchezza comincia a prendere corpo e anima nei singoli e nella coppia.
«Siete più usciti solo voi due, per una pizza, una passeggiata? Un momento per tornare a guardarvi
negli occhi, proprio come facevate non più tardi di un anno fa?».
«No, dottore! Niente più! Sembra tutto così monotono… Eppure lo amiamo così tanto questo figlio,
ma… sì, è vero: ci mancano quei momenti solo nostri!».
Dopo qualche giorno incontro una mamma con due ragazzi, ormai grandi.
E’ sempre lei, come accade spesso, a portare i bambini dal pediatra. Il marito lo avrò conosciuto
forse dieci anni fa, quando mi portarono per la prima volta il nuovo arrivato!
«Come sta vostro marito?», le chiedo.
«Oh, lui bene, anche se… non c’è mai! Ma io sono felice, perché questi ragazzi sono tutta la mia
vita! Vivo per loro!».
«Ma una pizza ogni tanto, una serata per passeggiare, l’avete per voi?, soprattutto adesso che i
ragazzi sono grandi?».
La mamma scoppia a piangere. «Forse la colpa è mia! Quando nacque il primo e poi subito dopo il
secondo figlio, la mia vita era solo per loro… Lui spesso mi chiedeva di uscire, di fare l’amore, ma
io ero sfinita e piena di ansie per i figli e mi sono chiusa. E lui sempre giù, sempre più a capofitto
nel lavoro…».
Sono solo due della tante storie che conosco e che osservo ogni giorno. Il rischio di “darsi tutto per i
figli” a scapito della relazione è reale e le conseguenze dure. Esse non riguardano, però, solo la vita
degli sposi, ma hanno delle ripercussioni enormi anche e soprattutto nella vita dell’intera famiglia e
sull’evoluzione dei nostri figli, che non hanno bisogno di attenzioni e premure continue, di mamme
e papà sempre dietro col guinzaglio, ma di vedere che loro si amano e come si amano.
Penso a quante volte i nostri figli ci abbiamo chiesto esplicitamente «Datevi un bacio!». Eppure lo
facciamo molto spesso, anche davanti a loro, ma per il figlio quella richiesta specifica, in quel
momento, è la richiesta di una conferma: “Voglio sapere se vi amate ancora e quanto vi amate!”.
Questo, e solo questo, è ciò che un figlio veramente desidera da due genitori. Che essi si amino.
Trascorrere una giornata lontani dai figli e magari anche un week-end all’anno, non toglie nulla ai
nostri bambini, ma dona alla coppia momenti di ricarica, di intima unione, di sguardi che tornano a
incrociarsi, esperienze di cui beneficheranno la coppia e i figli stessi. Dopo questi momenti, ci
rivedranno più sereni, più felici, più complici, più disponibili e, allora, capiranno che ogni tanto
mamma e papà devono stare un po’ da soli, perché dopo è sempre così bello!
C’è però un altro risvolto, ed è legato alla richiesta inconscia dei bambini che vogliono vedere
“come i genitori si amano”. Il “come si amano” rappresenta un forte momento educativo, una sorta
di imprinting che li segnerà per tutta la vita. Da chi un bambino impara come si ama? Come “si
tratta” una moglie o un marito? Cosa significare “amare”? Da chi un bambino impara come si fa il
papà o la mamma? La risposta è ovvia, ma oggi non sempre scontata: dai propri genitori. Se
avranno il tempo di coltivare bene la loro relazione, di tornare ogni tanto ad essere fidanzati e
riscoprire la bellezza dell’amore, delle tenerezze, dei gesti, degli abbracci, saranno più felici,
saranno più complici, più sereni e passeranno queste informazioni non verbali ai propri figli, che
riceveranno così degli imput positivi su cos’è l’amore tra un uomo e una donna, sulla bellezza e la
forza che sprigiona l’amore tra gli sposi. Essi saranno certamente più felici di tanti bambini “orfani
di genitori vivi”, pieni di giocattoli vuoti e di giochi virtuali che insegneranno loro il nulla.
Coltivare la relazione, curare la vita di coppia, è ricordarsi di un preciso dovere insito nella natura
stessa del ma trimonio e della vita familiare: quello di fare grande l’altro nell’accoglienza e nella
verità. Questo perché la relazione sponsale, quella cioè che fa dei due un dono continuo e gratuito,
rappresenta una forza primordiale in grado di alimentare l’amore vero, l’amore bello tra un uomo e
una donna, quell’amore che nel tempo diventa sorgente di vita, di fecondità.
Tornare, allora, ad attingere continuamente a questa sorgente, rappresenta l’unica fonte in grado di
rafforzare e sostenere l’amore tra i due, perché lo autoalimenta, lo sostiene e lo rafforza. Solo così
avremo la possibilità di educare i nostri figli nella verità e nell’amore.
Essi impareranno così a rispondere con i gesti dell’amore e della reciprocità. Coltivando il “noi
coniugale” avremo dato tanto ai nostri figli e contribuito a creare veramente uomini e donne del
domani.
Dr. Raffaele D’Errico
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