Plutonium: la porta degli inferi

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Plutonium: la porta degli inferi
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Barbara Mazzotti
PLUTONIUM
la porta degli inferi
Plutonium: la porta degli inferi
di Barbara Mazzotti
Copyright © 2016 Barbara Mazzotti
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Tutti i personaggi di quest’opera sono fittizi
e qualsiasi somiglianza con persone reali
viventi o defunte è puramente casuale.
I Edizione Giugno 2016
PLUTONIUM
la porta degli inferi
A tutti quelli che non si fermano
alla prima impressione
I
Diario di Mary
“Se state leggendo queste parole vuol dire che qualcosa è andato
storto e io non sono più qui. Quando pensavo che la mia vita sarebbe stata stravolta dal trasloco, non immaginavo che mi sarebbe successo tutto questo. Proprio a me che ho solo diciassette anni
e dovrei pensare ad andare bene a scuola e a uscire con le amiche.
Forse se fossimo rimasti a Cesena tutto questo non sarebbe mai
accaduto. Avrei continuato a frequentare Martina e Francesca
facendo con loro le cose stupide di sempre. Invece no, il destino ha
voluto che conoscessi Maddalena e Sara rimanendo coinvolta in
questioni molto più grandi di me.
Papà, con quel cavolo di trasloco sei riuscito veramente a complicarmi la vita! Ho conosciuto cose di cui prima ignoravo l’esistenza, che adesso mi spaventano a morte e non so assolutamente
come gestire. Mentre voi dormite tranquilli ignari di tutto nella
camera accanto, cercherò di spiegarvi brevemente quello che mi
è successo. Sono talmente agitata che non so neppure da dove
cominciare. E mi devo sbrigare perché il tempo passa in fretta e
devo andare a prendere Maddalena per raggiungere Don Luigi.
Mamma, papà, se state leggendo queste parole nel mio diario
è perché mi è successo qualcosa di brutto che non avrò mai modo
di raccontarvi di persona. Lo so che quello che vi sto per dire può
sembrare impossibile, ma vi assicuro che non me lo sono inventato e che è la pura verità. Se non mi credete, chiedete conferma
a Maddalena e a don Luigi, sempre che anche loro non abbiano
fatto la mia stessa fine.
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Papà, se mai prenderai in mano questo diario, nel qual caso
sono sicura vorrai leggere tutto, non far caso ai commenti poco
piacevoli che posso aver scritto sul tuo conto. Oggi mi sento una
persona diversa, molto più matura di quella ragazzina che ha
sfogato le sue emozioni in questo quaderno segreto. Potrei evitare
che li leggessi strappando tutte le pagine precedenti, ma fanno
parte del mio passato e mi piacerebbe conservarle nel caso fossi
così fortunata da riuscire a tornare indietro.
Mamma, tu che sei sempre stata così attenta e premurosa nei
nostri confronti, tieni a bada papà e prenditi cura di lui, ne
avrà bisogno. Mi dispiace davvero tanto che sia andata a finire
in questo modo. Ricordatevi che vi voglio bene e ve ne vorrò per
sempre ovunque io sarò.
Adesso basta però, se no finisce che mi metto a piangere, invece
di sbrigarmi a dirvi cos’è successo prima che si faccia ora di
andare a salvare il mondo. Per un qualche assurdo motivo infatti
sembra proprio che tocchi a noi tre farlo, o quantomeno, questo è
quello che ci auguriamo vivamente di fare.
Ecco in poche parole quello che sta succedendo…”.
Mary tirò un profondo respiro e iniziò a scrivere quello che
le era accaduto e che si sarebbe accinta a fare con Maddalena e
don Luigi. Se qualcosa fosse andato storto, avrebbe almeno lasciato una spiegazione ai suoi genitori e probabilmente anche
al mondo intero. Quella stessa notte si sarebbe infatti decisa
la sorte di tutto il genere umano. Il giorno preannunciato era
arrivato e l’uomo era stato di nuovo messo alla prova nella
lotta perpetua fra il bene e il male.
Il sole era già tramontato da un pezzo e l’aria pungente che
entrava dalla finestra scompigliava le pagine fra le sue dita,
quasi volesse impedire di lasciare traccia di quell’incredibile
storia. L’unico punto di luce di tutta la stanza era la lampada
ricurva sulla scrivania che illuminava a malapena oltre la seduta. La penombra della camera, che solitamente Mary adorava,
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quella sera le stava incutendo un’insolita sensazione di terrore.
Scrivendo senza sosta sotto il debole bagliore, era come se
cercasse con la penna di scampare il vorace tentativo del buio
di inghiottirne l’inchiostro. Nel silenzio della sua camera il
fruscio della carta si confondeva con quello delle fronde degli
alberi, che dall’esterno le ricordavano del bosco nel quale si
sarebbe dovuta presto addentrare.
Mary lottava contro il tempo per fissare nella memoria la
sua storia, sforzandosi di rimanere concentrata per evitare di
cadere nel panico. Con gli occhi fissi sul diario e i crampi
che le indurivano la mano, continuò a scrivere finché le lacrime si riversarono abbondanti sulle guance. Con un gesto
della mano deviò il corso di quella sofferenza, strisciandosi
sotto al mento appena in tempo prima che potesse macchiare
la sua preziosissima testimonianza. In quell’istante provò un
forte senso di sconforto, che peggiorò non appena una nuova
ventata le scostò i capelli dalle orecchie sussurrandole che era
quasi giunto il momento di andare. Uno strano senso di allerta aveva irrigidito tutto il suo corpo, preparandola a reagire
a qualsiasi cosa si discostasse dall’ordinario. Più si addentrava
nelle parti salienti del racconto, più aveva l’impressione che
qualcun altro fosse presente nella stanza. Giratasi più di una
volta per controllare che non ci fosse nessuno, si era lasciata
suggestionare a tal punto che le sembrava che le ombre degli oggetti proiettati nel muro fossero dotate di vita propria.
Considerando gli avvenimenti a cui aveva assistito negli ultimi tempi, non si sarebbe meravigliata se qualcosa o qualcuno
avesse cercato di spaventarla per farla desistere dal suo intento. Stringendosi nelle spalle si sforzò di ignorare gli scherzi
che l’immaginazione le stava giocando e terminò il discorso
lasciandolo aperto con un enorme punto interrogativo.
Mentre il racconto prendeva forma nelle righe dell’inchiostro, la lancetta dei minuti segnava inesorabile l’avvicinarsi
dell’ora decisiva. Mary non aveva la più pallida idea di come
sarebbe andata a finire quella giornata, né tanto meno se don
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Luigi avrebbe trovato un modo per ripristinare l’equilibrio.
Qualsiasi cosa fosse successa però, di una cosa poteva considerarsi assolutamente certa: quella notte lei, don Luigi e Maddalena avrebbero fatto l’impossibile per cercare di salvare il
mondo.
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II
Don Augusto
«Pensavo avessi risolto i tuoi problemi legati al controllo»
disse il Cardinale Vicario Abati guardando impassibile fuori
dalla finestra del suo appartamento.
Dietro di lui don Augusto allargava il collarino ecclesiastico
per deglutire meglio l’ansia senza proferire parola.
«La Chiesa sta attraversando un forte momento di crisi, Augusto. Dopo gli ultimi scandali di pedofilia in America e in
Europa, non possiamo più permetterci simili errori. Il numero di fedeli è in calo e, se si venisse a sapere che anche qui a
Roma esistono casi di questo genere, sarebbe un ulteriore colpo per la reputazione della Chiesa e la sua credibilità a livello
mondiale».
Augusto strinse il rosario che teneva in tasca e fece per avanzare verso Monsignor Abati, quando fu preceduto da un suo
scatto repentino che lo congelò sul posto.
«Questa è l’ultima volta che ti faccio un favore. Se dovessi
cadere di nuovo in tentazione, sarai giudicato e non potrai più
esercitare la tua opera in nessuna diocesi» lo ammonì puntandogli contro il dito indice su cui splendeva austero l’anello
cardinalizio.
«Sì, sua Eminenza» rispose Augusto con voce tremula, riuscendo a stento a sostenerne lo sguardo. «È stato solo un
momento di debolezza, ma sono riuscito a trattenermi e non
l’ho toccato».
«Non l’hai toccato, ma ci è mancato poco. E comunque
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qualcuno ti ha visto e si è fatto delle domande» replicò
Monsignor Abati alzando il tono della voce. «Per tua fortuna
era uno dei nostri e sono riuscito a convincerlo che si stesse
sbagliando. Al giorno d’oggi però la gente è molto più attenta
a queste cose e non possiamo più permetterci simili errori.
Soprattutto a Santa Croce, dopo tutto il putiferio che è successo in passato e l’intervento che ha dovuto fare Benedetto
XVI per risollevarne la reputazione. Considerando tutti gli
scandali che ci sono stati, non mi meraviglierei se un giornalista spuntasse fuori con la notizia del giorno, tanto per gettare
nuova carne sul fuoco. I tempi sono cambiati, caro mio, e
anche con questo nuovo Papa non abbiamo più la libertà che
avevamo un tempo. Capisci cosa intendo dire…».
«Capisco Monsignor…».
«Allora vedi di trovare un’altra valvola di sfogo per le tue
perversioni» aggiunse con tono perentorio guardandolo dritto
negli occhi. «Ho ancora qualche vescovo amico nelle diocesi
di altre regioni, vedrò di mettere una buona parola. Ti concedo un paio di settimane di ferie così potrai schiarirti le idee e
fare penitenza. Al tuo rientro ti comunicherò la sede della tua
nuova parrocchia».
«Ma come, intendete trasferirmi di nuovo in un’altra diocesi? Io in realtà…».
«Non credo tu sia nella posizione di poter replicare».
Con il gomito appoggiato sul braccio conserto, Monsignor
Abati prese a camminare avanti e indietro pensando a una
città in cui poterlo ricollocare.
«Ritieniti fortunato ad avere un’ultima possibilità» concluse
il suo discorso portandosi di nuovo davanti a don Augusto.
«Questo è quanto ho deciso. Devo solo trovare una scusa convincente per farti accordare il trasferimento. Non sarà semplice. Mi hai messo di nuovo in una situazione difficile. Ricordati: questa è l’ultima volta che ti aiuto e solo perché se sono
qui è anche per merito tuo».
«Sì, sua Eminenza, grazie infinite cardinale Abati» rispose
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Augusto prostrandosi ai suoi piedi e baciandogli l’anello in
segno di riconoscimento.
Quando don Augusto uscì dalla residenza del Vicario Generale, aveva le gambe che gli tremavano e la fronte che sudava
freddo. Si sentiva colpevole per quello che aveva desiderato e
si odiava a morte per la sua incapacità di resistere al peccato.
Con passo celere attraversò piazza San Pietro senza curarsi
di quello che gli stava intorno, spinto dalla necessità di ritornare in basilica per spendere il resto della giornata a fare
penitenza. Pregare lo avrebbe aiutato a sconfiggere il maligno,
come pure scegliere un luogo di culto dove trascorrere le ferie
forzate. Assisi, Medjugorje e Fatima furono le prime opzioni
che gli vennero in mente, che lo avrebbero senz’altro aiutato a
liberarsi della sua debolezza.
Mentre si affrettava nella ricerca di un taxi libero, un mano
decisa lo afferrò per un braccio distogliendolo dai suoi pensieri.
«Augusto, che piacere vederti!» disse un uomo tutto
sorridente vestito in abito cardinalizio. «Qual buon vento ti
porta in Vaticano?».
«Paolo, mi hai spaventato» rispose lui col cuore in gola,
sforzandosi di non sembrare troppo agitato. «Ero in visita da
Monsignor Abati. Ci saranno dei cambiamenti e sembra che
vogliano trasferirmi in un’altra Diocesi».
«Ma come, di nuovo? Che peccato. Proprio adesso che ti eri
ambientato a Roma».
«Quando una comunità è nel momento del bisogno non si
può fare altro che accoglierne la chiamata» rispose don Augusto cercando di tagliare corto.
«Giusto, giusto. In fondo noi siamo emissari di Dio nel
mondo e dobbiamo portare la fede e l’amore dove occorre
il nostro aiuto» commentò il cardinale prendendolo sotto
braccio. «Anche se una figura di tutto rispetto come la tua
faceva comodo a Santa Croce… Ma piuttosto, lo sai che sono
stato di recente in Turchia a visitare le rovine dell’antica chiesa
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di Laodicea? Ti ricordi che nel 2011 era stato annunciato il
suo ritrovamento in seguito a una spedizione archeologica? È
proprio come avevo sentito a Radio Vaticana: i resti dell’edificio sacro sono ancora in un ottimo stato di conservazione.
Lo stesso ministro si era complimentato tanto per il ritrovamento, orgoglioso che l’archeologia turca avesse portato alla
luce una scoperta così significativa, oltre a quella già nota del
sito cristiano di Efeso. Considerando che la città di Laodicea
esisteva già intorno al IV secolo a.C., è un vero e proprio
miracolo ritrovarla in un così buono stato, non trovi?».
Don Augusto reagì alla notizia rimanendo immobile e completamente basito. Laodicea era l’ultima delle sette chiese
menzionate nell’Apocalisse di Giovanni, ad ognuna delle quali era stata inviata una lettera da Dio contenente tre precise direttive: rimanere fedeli alla tradizione delle origini nonostante
il dilagare delle novità, ritornare alla fede di un tempo e sostenere senza paura la prova che proviene dal mondo. Per quanto
a tutte volesse essere ricordata la vera tradizione apostolica
e inviato un avvertimento per evitare la rovina, il messaggio
a Laodicea aveva rappresentato nello specifico un giudizio e
una chiamata immediata al pentimento. In quel particolare
istante, considerando le circostanze, Augusto aveva avvertito
quella notizia come un messaggio indiretto rivolto a se stesso.
«Conosco la tua condotta, so che non sei né freddo né caldo.
Se tu fossi almeno freddo o caldo. E invece poiché sei tiepido
io sto per vomitarti…» iniziò a recitare a fil di voce.
«Come dici, Augusto?» chiese l’amico non riuscendo a capire cosa stesse bisbigliando.
Augusto non rispose. Con gli occhi fissi nel vuoto e la mente assorta in quei passi, andò avanti nella recita ripetendo a
memoria tutto il brano.
«…Quelli che amo li rimprovero e li castigo. Affrettati a
convertirti…» ripeté per tre volte.
«Ah, la lettera a Laodicea! Complimenti Augusto, vedo che
te li ricordi bene i passi dell’Apocalisse».
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Augusto si girò verso l’amico e, senza nemmeno lasciargli il
tempo di salutarlo, lo congedò di tutta fretta per precipitarsi
alla basilica. L’idea che quel fortuito incontro non fosse stato
una coincidenza lo aveva sconvolto a tal punto da non rendersi neppure conto di averlo scaricato in mezzo alla piazza.
Fermato il primo taxi in cui si era imbattuto, per tutto il
tragitto non fece altro che ripetere a memoria quelle parole
di monito. Più le ripeteva, più si convinceva che quello che
gli aveva raccontato cardinal Paolo dovesse per forza rappresentare un segno. Dio lo stava chiamando a pentirsi dei suoi
peccati, come aveva fatto in passato con le sette chiese dell’Apocalisse. Lo stava rimproverando nella stessa maniera in cui
aveva ammonito la chiesa di Laodicea, dato che la sua fede si
era affievolita e lui era diventato “tiepido” nell’esercizio delle
sue funzioni.
Preso da un forte senso d’angoscia, Augusto si portò la croce
al petto per cercare di placare il senso di colpa che provava.
Era assolutamente convinto che Dio avesse visto quello che
aveva fatto e lo stesse richiamando all’ordine prima che fosse
troppo tardi. La sua fede non poteva rimanere tiepida né tantomeno raffreddarsi. Doveva pregare, scacciare le tentazioni
del maligno, oppure sarebbe stato punito.
Arrivato a Santa Croce, attraversò di corsa la navata centrale
per andare a chiudersi dentro la sagrestia. Per sua fortuna l’apertura al pubblico non sarebbe arrivata prima delle sedici e il
viceparroco si era ritirato nella sua stanza per riposare.
Con le mani ancora tremanti e il fiato corto per l’affanno,
Don Augusto aprì l’armadio dei paramenti liturgici e indossò
camice e cingolo. Si chinò sull’inginocchiatoio posto al di sotto di una finestrella e strinse il cingolo attorno alla vita.
«Praecinge me, Domine, cingulo puritatis, et exstingue in
lumbis meis humorem libidinis; ut maneat in me virtus continentiae et castitatis» recitò stringendo il cingolo ancora più
forte, come se il gesto punitivo rivolto al fisico potesse alleviare la sofferenza spirituale.
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Per un’ora ininterrotta don Augusto rimase immobile nella stessa posizione, pregando Dio affinché lo perdonasse e lo
assolvesse dai suoi peccati. Dicendo parole di pentimento e
promettendo di diventare il parroco modello nella nuova diocesi, chiese che gli venisse dato un suggerimento sul luogo in
cui spendere i giorni di riflessione prima del trasferimento.
Fu proprio in quel momento che uno strano rumore catturò la sua attenzione, distogliendolo da quel profondo stato
di preghiera. E mentre faceva leva con la mano sull’inginocchiatoio per sollevarsi, quello stesso rumore si ripresentò una
seconda volta.
«Chi è?» si lasciò scappare guardando attraverso il vetro della porta. «Giuseppe, sei tu?» aggiunse pensando che si trattasse del viceparroco.
Ancora ciondolante per il formicolio alle gambe, don Augusto si avvicinò alla porta e spinse la maniglia verso il basso.
Un colpo di vento inaspettato entrò prepotente nella stanza
sollevandogli il camice e facendo scivolare il cingolo a terra.
Aggrappandosi alla maniglia, scese lo scalino e uscì nella navata laterale guardandosi attorno con fare circospetto. Era sicuro
di aver chiuso il portone principale e non riusciva a capire
da dove potesse provenire tutta quella contraria. Anche se la
basilica era completamente deserta, aveva come la sensazione
di non essere da solo.
«Giuseppe, sei tu?» chiese di nuovo con tono più sostenuto,
sperando in una risposta che lo potesse rassicurare.
Giuseppe però non si trovava nella chiesa e l’eco della sua
voce si disperse nel silenzio.
Afferrando il rosario che aveva in tasca, don Augusto si portò
nella navata centrale girandosi di tanto in tanto per guardarsi
le spalle. Sotto il camice aveva iniziato a sudare e una fitta al
petto gli stava rendendo il respiro incostante e affannato. Avvicinatosi all’altare, gli tornarono alla mente i pensieri impuri
che aveva provato per il chierichetto e le parole di monito
della chiesa di Laodicea. Forse Dio non era stato disposto a
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perdonarlo e quella era la punizione che gli stava infliggendo
come espiazione del proprio peccato. Mentre si sforzava di liberarsi dai brutti pensieri, ebbe di nuovo l’impulso di punirsi
stringendo il cingolo ancora più forte. Fu allora che, tastandosi la tunica all’altezza della vita, si accorse di averlo perduto. Girandosi verso la porta della sagrestia, perlustrò con lo
sguardo tutto il pavimento finché non lo individuò all’altezza
del gradino.
Nella fretta di recuperarlo riuscì a malapena a fare un paio
di passi, che un tonfo improvviso lo bloccò a metà strada.
Giratosi di scatto verso l’altare, identificò l’esatto punto da
cui era provenuto e vi si recò precipitosamente con fare spazientito.
Oltre il pulpito, quasi all’altezza della croce, la Bibbia era
caduta a terra aperta, con le pagine che giravano come se fossero mosse dal vento. Quando don Augusto si chinò per afferrarla, quel movimento cessò di colpo andandosi a fermare
in corrispondenza dell’Apocalisse di Giovanni. Leggendone
il contenuto, si rese immediatamente conto che il libro si era
aperto in corrispondenza del capitolo in cui veniva narrata la
storia di Laodicea.
Col fiato trattenuto e gli occhi sgranati, Augusto si girò verso il Cristo crocifisso e si fece il segno della croce. Con la faccia inebetita e la Bibbia stretta fra le braccia, deglutì il groppone di spavento e gridò al miracolo. Dio aveva ascoltato le
sue preghiere e il messaggio che gli aveva inviato era semplice
e chiaro: doveva trascorrere le ferie in Turchia e fare visita ai
ritrovamenti di Laodicea.
Il fatto che Dio gli avesse concesso una possibilità di redenzione rafforzò l’idea che l’incontro con l’amico Paolo non
fosse stato affatto casuale. L’informazione che gli aveva fornito
in piazza San Pietro non era servita solo come monito per il
suo comportamento, ma anche come invito a recarsi in quel
luogo sacro per la purificazione della sua anima. Tirando un
profondo respiro di sollievo, don Augusto ritornò in sagre17
stia sentendosi meno colpevole. Dio si era dimostrato ancora
una volta compassionevole, manifestandosi con un segno che
non avrebbe ignorato. Preso in mano il telefono compose il
numero di Monsignor Abati e comunicò la decisione presa in
merito al luogo delle ferie.
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III
Il trasloco
Con la faccia schiacciata contro il finestrino posteriore Mary
osservava passiva il paesaggio di fronte. Gli occhi si posavano
su un gruppo di case poi sulla fitta vegetazione, per ritornare
nella medesima posizione e ricominciare tutto da capo. Non
riusciva a capacitarsi che stesse lasciando Cesena per andare
ad abitare in un piccolo paese di montagna. Non riusciva a
credere che suo padre le avesse stravolto la vita a un solo anno
dal diploma.
Pur sapendo che non c’era risposta che potesse placare la sua
disperazione, Mary continuava ad interrogarsi sul perché non
avesse almeno aspettato che finisse le scuole superiori. Una
volta iscritta all’università avrebbe cercato un appartamento da condividere con le amiche e sarebbe potuta rimanere
a Cesena. Niente trasloco, nessun pianto isterico dell’ultimo
minuto e tutto sarebbe andato liscio come l’olio. Suo padre
invece aveva preferito complicare tutto, con la complicità della madre che lo assecondava in ogni sua decisione. In quell’occasione, tra l’altro, lo aveva addirittura incoraggiato, avendo
sempre desiderato vivere in mezzo alla natura, lontana dai rumori e dagli odori della città.
Il solo pensiero di doversi distaccare dalla routine quotidiana a Mary proprio non andava giù. Aveva paura di rimanere
esclusa dal gruppo delle amiche, anche se avrebbe continuato
a frequentare la stessa scuola. Come sarebbe potuta essere presente nelle vite di Martina e Francesca se, appena terminate
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le lezioni, sarebbe dovuta correre a prendere l’autobus per ritornare a Sarsina? Per non parlare poi dei sabato sera in cui
nessuno l’avrebbe accompagnata a Cesena, per poi andare a
riprenderla alle tre del mattino dopo la discoteca. Tutto sarebbe stato molto più complicato, considerando anche il fatto
che rimanere a dormire da un’amica era assolutamente fuori
discussione. Per il padre, che aveva bisogno di tenere sempre
tutto sotto controllo, era impensabile saperla fuori di casa anche solo per una notte.
La vita di Mary stava dunque volgendo inesorabilmente
verso la sua conclusione. Il giorno del trasloco rappresentava
il principio della fine e i tentativi della madre di trovare dei lati positivi erano solamente fiato sprecato. Nella testa di Mary
stava lentamente prendendo forma un’immagine che presto
sarebbe diventata reale: se stessa su una panchina accanto alla
sua solitudine, di fronte al muro insormontabile della montagna che l’avrebbe separata per sempre dalle sue amiche.
Durante il viaggio lungo l’E45 la macchina assorbiva le
buche della strada facendo muovere in tutte le direzioni le
scatole ammassate sul sedile posteriore. Pigiando il tasto del
volume dell’iPhone, era come se Mary sperasse che il padre
pigiasse sul pedale dell’acceleratore: considerando il destino
ormai segnato, tanto valeva porre fine a quell’agonia e arrivare
il prima possibile a destinazione. Fissando il display del cellulare, con la musica che le martellava incessantemente nelle
orecchie, sfogava la sua rabbia inviando messaggi alle amiche
in cui scriveva quanto fosse disperata. Martina, l’amica più
cara, era quella che la sosteneva più di tutte in quel lungo e
interminabile viaggio. Vicina di casa e compagna di scuola
fin dai tempi delle elementari, era cresciuta insieme a Mary
ritrovandosi ogni giorno per fare i compiti e condividere ogni
esperienza. Le due erano talmente affiatate, che avevano addirittura deciso di fare la stessa scuola pur di rimanere insieme.
L’istituto tecnico turistico piaceva sia a Martina, che avrebbe
voluto fare l’agente di viaggi, sia a Mary che avrebbe voluto
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lavorare in un albergo sfruttando la sua perfetta conoscenza
dell’inglese.
Fra un messaggio di rabbia e uno di disperazione, Mary fece
una pausa e sollevò gli occhi proprio all’altezza del cartello di
benvenuto di Sarsina. Alla prima curva in paese individuò subito la fermata dell’autobus dove si sarebbe dovuta recare ogni
mattina per andare a scuola. Aveva già controllato gli orari
della linea 138 e visto con disappunto che si sarebbe dovuta
svegliare molto presto per prendere la corriera delle 6.30. Per
quanto riguardava il ritorno, le lezioni sarebbero terminate
alle 14.05 e in soli quindici minuti sarebbe dovuta uscire dalla
classe, salutare le amiche e correre alla fermata per riprendere
l’autobus. Arrivata a casa dopo le quindici, con il pranzo a
metà pomeriggio, le sarebbe rimasto ben poco tempo da dedicare a se stessa una volta finiti i compiti.
Quello che avrebbe fatto da quel giorno in poi, comunque,
ormai non aveva più alcuna importanza: a Sarsina non conosceva nessuno con cui passare il tempo ed era sicura che in
quel posto desolato non ci sarebbe mai stato nulla di interessante da fare.
Quando Giorgio accostò sul lato destro di una stradina
chiusa, Mary alzò di nuovo la testa dal cellulare e vide per
la prima volta la nuova casa. Nonostante la detestasse a prescindere per il fatto di essere lontana dal suo mondo, dovette
ammettere che dall’aspetto esterno non sembrava affatto male. Altro che il misero appartamento di settanta metri quadri
in cui aveva sempre vissuto: quella era una piccola reggia di
legno costruita secondo i più moderni canoni della bioedilizia
tedesca. Sembrava addirittura una di quelle case che si vedevano nei film americani affacciate sull’oceano: finestre molto
grandi, un ampio patio di legno lungo tutta la facciata e un
piano terra semi interrato adibito a garage e lavanderia. L’unica differenza rispetto alle residenze californiane era il color
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scuro del legno e il fatto che da lassù il mare se lo poteva anche
scordare.
Mentre Mary aiutava la madre Erin a scaricare gli scatoloni dalla macchina, una ragazza all’incirca della sua stessa età
stava camminando verso di loro sul lato opposto del marciapiede. Alta sul metro e sessantacinque, con i capelli castani e
la carnagione chiara nonostante fosse tempo di abbronzatura, indossava un’orribile maglietta viola che cadeva lenta sui
jeans poco aderenti. Ai piedi un paio di Converse di colore
verde faceva a pugni con il resto dell’abbigliamento. – Tempo
un paio di mesi e mi ridurrò anch’io così – pensò Mary fra sé,
guardandosi la canotta di Liu Jo che aveva comprato all’outlet
di Castel Guelfo.
Mary non era una di quelle che amava spendere soldi in vestiti firmati, ma se capitava una buona occasione non si tirava
di certo indietro. Le piaceva vestirsi bene e prendersi cura di
se stessa, soprattutto considerando che aveva a che fare con
delle amiche che non mancavano mai di tenerla aggiornata
sulle tendenze dell’ultima moda.
La ragazza passò davanti alla loro casa e con sguardo curioso
diede un’occhiata a Mary impegnata a trasportare delle scatole
in equilibrio precario. Un crescente tintinnio aveva catturato
l’attenzione di tutti preannunciando l’imminente rottura di
quello che c’era all’interno.
«Attenta Mary, lì dentro ci sono le boccette di papà» le urlò
la madre dal giardino.
«Sì, sì, sto attenta» replicò lei incrociando lo sguardo della
ragazza, che fissò come per dire “spero che anche i tuoi genitori
non siano così rompipalle”.
La ragazza ricambiò quell’attenzione con un mezzo sorriso,
poi abbassò lo sguardo e proseguì per la sua strada.
Quando Giorgio, Erin e Mary ebbero finalmente portato
tutto in casa, fecero una pausa in cucina di fronte a un bicchiere di tè freddo. La madre di Mary era australiana ed era
solita fare scorte di tè come esigeva la tradizione inglese. Che
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fosse inverno o estate, nella credenza non poteva mai mancare
Jasmine, il suo tè verde preferito. Papà Giorgio era invece italiano, nato e vissuto sempre a Cesena. Per anni aveva lavorato
in un’azienda di erbe medicinali e per la prima volta aveva
avuto l’idea giusta e il coraggio di mettersi in proprio. Stanco
delle continue discussioni col capo, aveva deciso di gestirsi
quell’attività in autonomia occupandosi sia della produzione
che della vendita di olii essenziali. Il mercato del biologico e
delle medicine naturali era in forte espansione e la peculiarità
di quella casa, con il laboratorio nella serra, era un’ottima occasione e probabilmente anche l’unica. Conosciuta la moglie
durante un viaggio di lavoro in Australia, per prendere contatti per l’importazione del tea tree oil, aveva deciso di provare a produrlo lui stesso facendosi aiutare da lei che in quelle
piantagioni ci aveva lavorato sin da ragazzina. Erin avrebbe
lavorato la mattina come collaboratrice madrelingua nella
scuola elementare e dato una mano a Giorgio nel pomeriggio
nella gestione delle piante.
Tutto era dunque perfetto in quel caldo pomeriggio di fine giugno: la casa era splendida, Giorgio aveva un sogno da
realizzare ed Erin un’entrata economica di supporto su cui
poter contare. L’unica che non sembrava rientrare nel quadretto perfetto era invece Mary che, di fronte a quel nuovo
tipo di vita, sentiva crescere sempre di più il profondo senso
di disperazione.
«Non vuoi vedere la tua nuova camera?» chiese ad un certo
punto Erin cercando di spezzare il mutismo della figlia. «Vedrai che ti piacerà, è esattamente il doppio rispetto al bugigattolo in cui stavi prima» aggiunse prendendola per mano per
accompagnarla al piano di sopra.
«A me piaceva il mio bugigattolo…» rispose Mary con tono
avvilito.
«Sarà meglio che te lo fai passare questo atteggiamento da
diva scocciata» urlò Giorgio dalla cucina stanco di vederla
scontrosa ormai da diversi mesi.
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«Dai Giorgio, stai tranquillo, è questione dei primi giorni.
Vedrai che poi si abituerà e cambierà idea» replicò la madre
dalle scale per evitare l’ennesima litigata.
Il piano superiore era composto da tre camere da letto che si
disponevano ai lati di un lungo corridoio: una matrimoniale
per i genitori, una altrettanto grande per Mary e una terza da
utilizzare come studio o camera per gli ospiti. Quando Mary
entrò nella sua nuova camera, non poté fare a meno di rimanere a bocca aperta. L’arredamento era nuovo e in stile Ikea
proprio come piaceva a lei: scaffali e mensole dappertutto, un
letto a una piazza e mezzo, una scrivania di fronte alla finestra e una porticina che, a sorpresa, dava in un piccolo bagno
privato.
«So, sweetie, do you think you will miss your little room?»
chiese Erin parlandole in inglese, come era solita fare quando
Giorgio non c’era.
«Mmm… I guess I’ll survive…» rispose lei tutta eccitata nel
breve attimo di contentezza.
«I knew you would have liked it, darling» replicò la madre,
felice di aver finalmente rotto il muro di indisposizione della
figlia.
Mary fece il giro della stanza rovistando nei cassetti e dentro
l’armadio. Ogni angolo era stato curato nei minimi particolari e tutto era stato disposto in ordine perfetto. Dato che
la madre sapeva quanto sarebbe stato difficile vivere lontana
dalle amiche, aveva cercato di alleviarle quella sofferenza preparandole una stanza davvero invidiabile.
«Erin, cara, esco un attimo» urlò Giorgio all’improvviso dalla tromba delle scale.
«Dove vai proprio adesso che dobbiamo svuotare gli scatoloni? Bisognerebbe anche andare a fare la spesa, in frigorifero
non c’è nulla».
«Faccio presto cara, te lo prometto. Faccio un salto da don
Luigi e poi torno».
Ecco le parole magiche che spezzarono l’incantesimo di
24
Mary. Ancora una volta suo padre aveva rovinato un momento felice parlando di cose che lei detestava.
Mary non aveva una gran predilezione per le questioni religiose, mentre ovviamente suo padre era un cattolico praticante. Sempre partecipe delle attività della parrocchia, adesso
che si era visto costretto a cambiarla, non aveva perso tempo
a conoscere il nuovo parroco per fare parte del consiglio pastorale. Per sua fortuna, da quel punto di vista, la madre era
l’opposto e non le faceva pressioni. Non era mai stata una
cattolica praticante e non le era mai interessato conoscere la
comunità religiosa di cui Giorgio faceva parte. Quando lui
la invitava con la scusa di conoscere le altre mogli, trovava
sempre un modo per declinare l’invito e rimandare alla volta
successiva. Era talmente brava in quel genere di gioco, che era
riuscita a portarlo avanti per ben diciassette anni.
Mary aveva inoltre un piccolo segreto che condivideva con
la madre assicurandosi di tenerlo nascosto al padre. Ereditata dalla nonna materna una specie di capacità intuitiva nella
lettura dei tarocchi, si divertiva a metterla in pratica leggendo il futuro alle amiche. Lo faceva per divertimento e non si
prendeva mai troppo sul serio, ma in più di un’occasione era
rimasta stupita di come molte delle sue previsioni si fossero
poi rivelate azzeccate. Confessate quelle strane coincidenze alla madre, più di una volta si era sentita ricordare quanto fosse
in quello simile alla nonna scomparsa. Di tutto ciò ovviamente il padre non doveva sapere nulla, dato che considerava ogni
pratica magica appartenente al Demonio. Quello che Giorgio
potesse pensare, però, a Mary proprio non interessava: lui aveva le sue riunioni in parrocchia, lei la sua piccola attività di
maga.
Mentre Erin scese al piano di sotto per iniziare a svuotare
gli scatoloni, Mary si trattenne in camera e si buttò sul letto
a riflettere. Aperto il cassetto del comodino ritrovò la bustina
contenente i tarocchi e le venne in mente di fare una stesa per
vedere quale futuro l’avrebbe attesa a Sarsina. Seduta con le
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gambe non incrociate mescolò le carte un paio di volte, poi
pensò intensamente alla domanda e iniziò la sua stesa.
Le prime tre carte rappresentavano la condizione presente
ed erano simili a quelle venute fuori nell’ultima lettura fatta
a Cesena: il matto significava il viaggio e lo spostamento, la
ruota il cambiamento delle proprie abitudini e il mondo il
nuovo paese in cui era andata ad abitare. Quelle successive,
indicanti il futuro, mostravano un andamento lineare della vita quotidiana, fino a quando non comparvero nella terza riga
l’imperatore, la torre, l’imperatrice, il diavolo e la morte. Riportando un cambiamento repentino e la presenza di una persona giovane, Mary pensò immediatamente all’incontro con
un ragazzo. L’imperatore era il giovane che avrebbe portato
qualcosa di nuovo nella sua vita, che sarebbe però stato messo in crisi da una donna che avrebbe determinato un nuovo
cambiamento. Di che tipo di cambiamento si trattasse, però,
Mary non lo riusciva a vedere. Dopo la morte le carte erano
finite e non c’era niente che potesse indicarle la direzione che
avrebbe preso.
Curiosa di sapere come sarebbe andata a finire quell’improbabile storia, Mary ricompose il mazzo e rifece la stessa
domanda. Disponendo le carte di nuovo su tre file, rimase
molto sorpresa quando vide che quelle alla fine erano sempre
le stesse e nel medesimo ordine.
Osservandole per alcuni istanti in attesa di una qualche ispirazione, nessuna interpretazione plausibile le balzò alla mente.
Forse i tempi non erano sufficientemente maturi per sapere
che tipo di cambiamento avrebbe portato la morte. Di solito
le carte svelavano solo quello che l’interlocutore era pronto a
recepire e non sollevavano mai questioni che egli non fosse in
grado di risolvere. L’unico dubbio che le venne fu il fatto che
l’imperatore non si riferisse a un ragazzo, ma fosse piuttosto
la rappresentazione di suo padre. Come il fulmine della carta
della torre si sarebbe scagliato contro il suo mondo e avrebbe
distrutto definitivamente la sua vita di adolescente. Conside26
rando anche quell’ipotesi però, rimaneva comunque il problema di sapere che tipo di cambiamento avrebbe portato. Mary
non riusciva a immaginare che cosa avrebbe potuto fare di
così catastrofico, da renderle la vita peggiore di quanto non lo
avesse già fatto con il trasloco. Un secondo trasferimento non
sembrava un’opzione possibile, come non lo era del resto neppure l’incontro con un ragazzo, dato che non era dell’umore
giusto per fare delle amicizie del genere.
Non riuscendo a venirne a capo e non sapendo quale interpretazione dare alla stesa, Mary decise di lasciar perdere e si
sdraiò completamente sul letto. Cullata dal cinguettio degli
uccelli e dalla leggera brezza che entrava dalla finestra, aveva
preferito non pensare più a niente lasciandosi avvolgere dal
torpore del dormiveglia. Con il volto sprofondato nel cuscino
e il corpo completamente rilassato, si addormentò lasciando
scivolare dalla mano tutte le carte che caddero sul pavimento.
Come una specie di fisarmonica si adagiarono a faccia in giù
una dopo l’altra, tutte tranne quella della morte che concluse
la pila con la sua immagine rivolta verso l’alto.
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IV
Aria di vacanza
Approfittando delle questioni burocratiche da sbrigare con
la vecchia casa, Mary strappò un passaggio a Cesena per trascorrere il pomeriggio insieme alle amiche.
«Hai chiesto a tuo padre se ti lascia venire in campeggio
a Cesenatico?» le chiese immediatamente Martina, eccitata
all’idea della prima vacanza senza i genitori.
«Gli ho accennato qualcosa, ma non mi ha ancora dato una
risposta definitiva. Ogni volta che introduco l’argomento
storce il naso e cambia discorso…».
«Insisti, vedrai che cede» aggiunse Francesca. «Anche i miei
all’inizio erano un po’ titubanti, ma alla fine si sono resi conto
che non c’è nulla di cui preoccuparsi».
«Anche perché stiamo nella roulotte dei miei genitori, mica
in mezzo a una strada» ribadì Martina. «Abbiamo i cellulari.
Se proprio avessero bisogno, potrebbero chiamarci in qualsiasi momento. Dai, Mary, ci divertiremo un sacco».
«Fosse per me, non ci sarebbe nessun problema. Lo sapete
però com’è fatto mio padre… Adesso poi che siamo nel mezzo
del trasloco dovreste vederlo, sembra impazzito. Si alza presto
la mattina, lavora ininterrottamente nella serra e quando ha
un attimo di tempo si assenta per andare in parrocchia».
«Che palle la parrocchia. Non finirà mica che ti obbligherà
ad andarci?» le chiese Martina sarcastica.
«Scordatelo, io non ci metto piede in chiesa. Piuttosto faccio l’eremita in casa».
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«Tua madre, invece? Non puoi chiedere a lei di aiutarti a
convincerlo?» propose Francesca.
«Sì, infatti, è sempre così gentile. Sono sicura che per lei non
sarebbe un problema lasciarti venire» aggiunse Martina.
«Il fatto è che adesso è molto indaffarata con la casa e con
la nuova attività di papà. L’altro giorno mi ha confessato che
non le dispiacerebbe un aiuto in casa per sistemare le cose…».
«Cavolo, ma stiamo parlando di due settimane di vacanza,
mica di un mese» commentò Martina.
«Lo so, ma quando mia madre si trova in una nuova situazione va un po’ in panico e ha sempre paura di non riuscire a
fare tutto in tempo. Ci sono le piante da preparare, le lezioni
da organizzare per quando ricomincerà la scuola… iniziare
una cosa nuova la rende nervosa e vuole essere sicura che tutto
sia pronto per settembre».
«Che palle, Mary, non è la stessa cosa senza di te. Vuoi mettere noi tre in giro per Cesenatico fra un aperitivo e due salti
in pista al porto canale?».
«Appunto, credo sia proprio questo che preoccupi mio padre. Lo sai che non sopporta l’idea di non sapere dove vado.
Tra l’altro li ho sentiti parlare proprio oggi di una possibile vacanza ad agosto e credo che si aspettino che io vada con loro».
«Mi rifiuto di crederci. Come possono aspettarsi che a diciassette anni tu abbia ancora voglia di andare in vacanza con
loro?!».
«Marti, non ci posso fare niente. Tenterò un’ultima volta,
ma credo che sarà difficile riuscire a convincerli».
«E quindi, cosa farai mentre noi saremo a Cesenatico a divertirci?».
«Non lo so, li aiuterò e nei tempi morti approfondirò lo
studio dei tarocchi».
«Studiare?! Cazzo che palle. Mi dispiace dirtelo, ma non ti
invidio per niente» commentò Francesca.
«Dai, non è ancora detto che non venga» la interruppe Martina non sopportando l’idea di starle lontana.
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«Ancora un anno, ragazze, e poi avremo la libertà» replicò
Mary sognando ad occhi aperti. «Quando andremo all’università e vivremo nello stesso appartamento, sarà tutta un’altra
storia».
«Ben detto, Mary. Ancora un anno e finalmente prenderemo quel benedetto diploma. Niente più ansia da interrogazione né compiti in classe» aggiunse Francesca.
«Guarda che all’università ci sono gli esami» le ricordò
Martina prendendola in giro.
«Lo so, non sono mica scema. Però è diverso. Lì sei tu a
programmarti lo studio e a decidere quando dare gli esami».
«E inoltre, in teoria, dovresti studiare le cose che ti piacciono, non di sicuro chimica ed economia» precisò Mary.
Le tre scoppiarono a ridere e per il resto del pomeriggio non
affrontarono più l’argomento campeggio. Passeggiarono sotto
i porticati delle vie del centro e osservarono le vetrine finché
non raggiunsero la gelateria.
«A proposito di tarocchi, Mary, non è che mi faresti una lettura al volo? Ho conosciuto un ragazzo sabato scorso al Rock
Planet e vorrei sapere come andrà a finire» chiese Francesca
sedendosi nella prima panchina libera.
«Non sarà mica il tipo del Comandini?» replicò immediatamente Martina con espressione di disappunto.
«Sì, perché? Cosa c’è che non va?».
«A me sembra uno sbandato. Ha I capelli che non hanno un
verso e si veste sempre di nero».
«Scusa tanto se non è uno di quei fighetti che piacciono
tanto a te. Comunque, per tua informazione, ha un fisico
mozzafiato e mi manda sempre un sacco di messaggi carini».
«Ti manda dei messaggi carini finché non ottiene quello che
vuole…».
«Bene, vediamo allora cosa succederà e se sarà come dice
miss invidia» replicò Francesca con una smorfia.
Mary si mise a cavallo della panchina e assecondò la richiesta dell’amica iniziando a stendere i tarocchi.
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Francesca non stava nella pelle di sapere cosa sarebbe venuto
fuori, mentre Martina sperava uscisse qualcosa di negativo per
poter confermare che aveva ragione.
«Allora, vediamo… c’è un imperatore e un’imperatrice che
potreste essere voi due… poi la carta della forza indica che ci
potrebbero essere delle tensioni…».
«Aha!» commentò subito Martina.
«Stai zitta, falla finire» replicò Francesca fulminandola con
lo sguardo.
«La carta degli amanti potrebbe rappresentare la vostra
unione, ma molto spesso indica anche una scelta».
«Forse è indeciso fra due…» continuò sghignazzando Martina.
«Non saprei…vediamo cosa c’è dopo… temperanza, stella e
mondo. Beh, direi che le cose si mettono bene. Ci fosse anche
una scelta, andrebbe comunque nella tua direzione».
«Visto? Te l’avevo detto che non era uno scemo».
«Vuoi un giro di carte anche tu, Marti?».
«No, in questo momento non mi interessa nessuno.
Piuttosto, vediamo se tuo padre ti lascerà venire a Cesenatico».
«Okay, dai, vediamo. Caviamoci questo dente una volta per
tutte».
Mary mescolò il mazzo, pensò alla domanda e iniziò la nuova stesa.
«Le prime tre carte rappresentano il presente e lo stato in
cui mi trovo. Papa, appeso e matto. Non fa una piega. Il papa
è mio padre che con l’appeso tiene in sospeso il mio viaggio».
«Caspita, Mary, sei fenomenale» commentò Francesca compiaciuta.
«Vai avanti, vai avanti» disse Martina curiosa di sapere il
verdetto finale.
«La prima fila indica generalmente il futuro più prossimo,
mentre le altre si riferiscono a quello più lontano. Nell’immediato non vedo alcun movimento in particolare, se non gli alti
e bassi della routine quotidiana. Vediamo se le prossime carte
dicono qualcosa di più».
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Mary stese tutti i tarocchi e completò l’ultima fila con l’imperatore, la torre, l’imperatrice, il diavolo e la morte. Con lo
sguardo fisso su quella sequenza rimase in silenzio per parecchi secondi.
«Vieni o no?» le chiese impaziente Martina.
Mary non rispose, ma l’espressione sconvolta sul suo volto
fece preoccupare l’amica.
«Sono così brutte? Cosa c’è che non va? Perché c’è la morte?» continuò con le domande Martina.
«No, no, non sono brutte…cioè, non è detto. La morte in
realtà non è una brutta carta. Non significa la morte fisica, ma
quella di un periodo della nostra vita. Una sorta di recisione
del vecchio per qualcosa di nuovo. Ovviamente la direzione
del cambiamento te la danno le carte che seguono».
«E qui come fai a vedere cosa c’è dopo, visto che le carte
sono finite?» chiese dubbiosa Francesca.
«È proprio questo il punto. La cosa strana poi è che è già la
terza volta che la stesa finisce in questo modo. Le ultime carte
si ripropongono sempre nello stesso ordine, ma non riesco
mai a terminare il discorso perché dopo la morte non ce ne
sono altre da aggiungere».
«Ma comunque cosa ci vedi? Cioè, ci vieni a Cesenatico o
no?» chiese Martina più interessata a sapere se avrebbe passato
le vacanze con lei.
«La prima interpretazione che mi viene in mente è che l’imperatore sia di nuovo mio padre che con la torre fa scoppiare
un putiferio in casa. Poi però interviene l’imperatrice, mia madre, che con le strategie del diavolo mi porta verso la morte».
«Cioè verso un cambiamento, giusto?» disse Francesca.
«Ovvio, no? Il cambiamento dell’opinione di suo padre»
precisò Martina. «È andata, verrai a Cesenatico».
«Calma, Marti, calma. Questa è solo un’ipotesi».
«Sì ma, se è un’ipotesi come tutte le altre che hai fatto e che
si sono poi avverate, dovremmo essere a posto».
«Ottimo, io starò col punk e Mary verrà con noi a Cesena32
tico» riassunse Francesca soddisfatta.
«Basta però che non ce lo ritroviamo tutti i giorni fra i piedi.
Ti ricordo che questa è una vacanza per sole donne».
«Tranquilla, Marti, le amiche prima di tutto. Giusto, Mary?
Maaaary?».
Mary aveva perso di nuovo il filo del discorso e continuava a
fissare le carte dell’ultima fila. Anche se l’interpretazione che ne
aveva dato era più che convincente, le sembrava troppo strano
che si fossero presentate ancora una volta esattamente nello
stesso ordine. Peccato che nonna Rose non fosse lì con lei per
poterle dire se quella ripetizione avesse un significato preciso.
Come autodidatta aveva ancora tanto da imparare, ma i pomeriggi che avrebbe trascorso da sola a Sarsina le sarebbero serviti
per approfondirne il suo tanto amato studio dei tarocchi.
Quando Mary fece ritorno a Sarsina era praticamente già
l’ora di cena. Erin aveva preparato un’insalatona fredda al tonno, mentre Giorgio era appena uscito dalla doccia dove si era
ripulito dal terriccio delle piante.
Mary si sedette a tavola raccontando quello che aveva fatto
nel pomeriggio, pensando nel frattempo alle parole giuste per
convincere il padre a lasciarla andare in campeggio.
«Dobbiamo proprio parlarne adesso?» chiese Giorgio a bocca piena.
«Sì, papà, dobbiamo parlarne adesso perché la partenza è la
prossima settimana».
«Come la prossima settimana? Ma qui ci sono ancora un
sacco di cose da sistemare. Non siamo ancora arrivati che te
ne vuoi già andare?».
Erin ascoltava la conversazione aspettando che si facesse il
momento giusto per intervenire. Conosceva bene il modo
di fare del marito e sapeva che era meglio lasciargli qualche
minuto per metabolizzare il fatto che la figlia sarebbe stata
lontana da casa.
33
«Dai, papà, per favore. Quando mai mi ricapiterà di stare
così tanto insieme alle mie amiche? Adesso che ci siamo trasferiti non avrò più modo di vederle così spesso. Il prossimo
anno c’è il diploma e …».
«Dai, Giorgio, non farne sempre un affare di stato» intervenne Erin per darle man forte. «In fondo si tratta solo di un
paio di settimane. A scuola è stata brava e finirà di darci una
mano quando tornerà dalla vacanza».
Giorgio muoveva il bicchiere avanti e indietro senza dire
una parola. Di solito quando faceva così era perché valutava
attentamente tutti i pro e i contro della situazione. Non bisognava interromperlo per nessun motivo e l’unica cosa che si
poteva fare era aspettare speranzosi che cedesse.
«E va bene. Te lo concedo solo perché il trasloco è stato un
duro colpo e quest’inverno dovrai fare il sacrificio di alzarti
presto per andare a scuola».
«Grazie, papà» urlò Mary alzandosi di scatto dalla sedia per
andare ad abbraccialo. Quello era stato per lei il regalo più
grande che le avesse potuto fare.
Senza nemmeno finire di mangiare, Mary afferrò il cellulare e inviò un messaggio a Martina che le rispose immediatamente con una valanga di cuoricini. Era fatta. La sua vita
triste in quel paese sperduto sarebbe stata interrotta da una
parentesi di puro divertimento. Considerando poi che sarebbe andata in vacanza anche con i genitori, le giornate da trascorrere in solitudine si sarebbero ridotte ulteriormente. Una
volta ripresa la scuola l’anno scolastico sarebbe passato in un
batter d’occhio e con l’iscrizione all’università tutto sarebbe
tornato come prima. Grazie alla decisione di suo padre, Mary
era ritornata ad essere ottimista e aveva cominciato a sentirsi
decisamente meno miserabile.
Giorgio, in realtà, non era una persona cattiva e questo
Mary lo sapeva benissimo. Per tutta la vita aveva lavorato sodo
per mantenere la famiglia e, se a volte si comportava in maniera protettiva, lo faceva solamente come compensazione alla
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sua insicurezza. Poco incline per natura a gestire le situazioni
fuori dal suo controllo, preferiva rimandare certe decisioni per
evitare di cadere in possibili complicazioni. Era una persona
talmente introversa e modesta che, quando aveva conosciuto Erin in Australia, si era stupito del fatto che una donna
così affascinante avesse potuto innamorarsi di uno come lui.
Dando per scontato il forte senso della famiglia e la passione
che aveva nei confronti della natura, non aveva mai pensato
che fossero state proprio quelle qualità ad averla convinta a
seguirlo fino in Italia.
Quella sera la famiglia aveva ritrovato, dopo tanto tempo,
un momento sereno da trascorrere insieme. Dopo cena Mary
non era scappata in camera sua come al solito ed era rimasta ad
ascoltare i discorsi dei genitori che, come formiche laboriose,
stavano pianificando tutta la settimana di lavoro nella serra.
Osservandoli mentre discutevano sul da farsi, si meravigliava
del modo in cui i pensieri dell’uno si incastrassero perfettamente con quelli dell’altro. Giorgio ed Erin erano talmente
complementari nel loro vivere quotidiano, che sembravano
essere fatti esattamente l’uno per l’altra.
Sprofondata nel divano davanti alla televisione, Mary trascorse tutta la serata in loro compagnia senza pensare più a
niente. Fuori dalla finestra il sole era appena tramontato e delle nuvole bluastre all’orizzonte avevano oscurato il rosso del
cielo dando l’impressione che la notte sarebbe sopraggiunta
prima del tempo. Alcuni tuoni in lontananza stavano annunciando l’arrivo del temporale insieme al vento pungente che
aveva abbassato di molto la temperatura.
Mary, Giorgio ed Erin rimasero davanti alla televisione finché alcune folate di vento più intense li costrinsero ad alzarsi.
Le persiane avevano preso a sbattere contro i muri esterni della casa, lasciando passare le prime gocce di pioggia che rimbalzavano sui davanzali.
«Forse sarebbe meglio spegnere la televisione» disse Erin
sentendo il fragore dei tuoni aumentare.
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Facendo cenno a Giorgio di occuparsi della finestra della
cucina, si precipitò al piano di sopra per chiudere le imposte
delle camere.
«Ti accompagno mamma» disse Mary subito dopo, non volendo rimanere da sola nel salotto.
Il rumore della foresta dietro casa non era uno di quei suoni
a cui era abituata, come non lo era neppure quello dei tuoni
amplificati dalla vallata nel silenzio della notte. Gli spazi ampi
e luminosi delle stanze erano meravigliosi durante il giorno,
ma di sera con il temporale facevano tutto un altro effetto.
Attraverso le grandi vetrate si poteva vedere tutto quello che
c’era all’esterno, inclusi i grossi fulmini che dal cielo si scaricavano verso terra. Il patio di legno all’esterno aveva iniziato a
scricchiolare e dava l’impressione che qualcuno stesse camminando fuori dalla porta.
Mary seguì Erin al piano di sopra dove corse nella sua camera per chiudere la finestra. Senza nemmeno dare un’occhiata
fuori, tirò velocemente le imposte verso di sé riuscendo a bagnarsi in quei pochi istanti sia il volto che le braccia.
«Ci vediamo domani» le urlò Erin dal corridoio, avendo a
quel punto deciso di andare direttamente a dormire.
Mary accennò una risposta dal bagno dove si stava asciugando, sforzandosi di non prestare troppa attenzione ai rumori della natura. Con la luce del comodino accesa si infilò
immediatamente sotto le lenzuola e indossò gli auricolari per
addormentarsi con la musica.
La pioggia cadde battente per diverse ore, riversandosi incessantemente sui tetti di Sarsina. I tuoni scandivano nel cielo
la prepotenza della tempesta, mentre il forte vento faceva volare via tutto quanto non fosse ben radicato a terra. Le strade
si riempirono in breve tempo di rami spezzati, mentre l’acqua
in eccesso usciva dai tombini rigettandosi lungo i marciapiedi. Quello che poteva sembrare un normale acquazzone estivo
stava durando molto più a lungo del previsto, portando con
sé complicazioni poco gradevoli.
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Quando Mary e i genitori stavano dormendo ormai già da
un pezzo, un’esplosione improvvisa li svegliò di soprassalto.
Giorgio fu il primo a saltare giù dal letto, non appena una
seconda esplosione gli fece intuire di cosa si stesse trattando.
Mary chiamò un paio di volte la madre spaventata da quei
colpi, poi corse direttamente in corridoio per chiederle cosa
fosse successo.
«Giorgio l’impermeabile» la vide urlare dalla cima delle scale, dato che il marito stava uscendo di casa senza indossare
niente sopra il pigiama.
Mary ed Erin scesero a loro volta al piano di sotto e, dopo
essersi coperte bene, raggiunsero Giorgio nella serra.
Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi fu impressionante
e li lasciò senza parole. Un fulmine aveva squarciato un grosso
albero in due e una metà si era riversata proprio sopra il tetto
della serra facendo scoppiare i vetri di alcune finestre. Molte
delle piante erano state distrutte e il pavimento si stava allagando infradiciando tutto quello che era stato appoggiato a terra.
Giorgio tentò in tutti i modi di salvare le piante ancora intatte, ma il tronco non gli permise di muoversi agilmente dentro
la serra. Sotto l’insistenza della moglie e forzato dalla violenza
del temporale, fu costretto ad abbandonare tutto com’era e
aspettare il giorno dopo per fare la cernita dei danni.
«Questa proprio non ci voleva» continuava a ripetere alla
moglie mentre ritornavano in casa.
«Domani chiameremo i vigili del fuoco e faremo rimuovere
subito l’albero» replicò lei per cercare di tranquillizzarlo.
Erin e Giorgio sparirono nella loro stanza dopo aver detto a
Mary di ritornare a dormire.
«Ci vorranno parecchi soldi per risistemare la serra. Le vetrate e il tetto devono essere riparati e dovremo ricomprare
tutte le piante rovinate» continuava Giorgio rigirandosi nel
letto non riuscendo a darsi pace. «A questo punto credo che
dovremo dire addio alla vacanza, inclusa quella di Mary a Cesenatico. Ci servirà anche il suo aiuto per rimettere tutto a
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posto. Domani vedrò di trovare un modo per darle la brutta
notizia» concluse con un sospiro di apprensione che non gli
fece chiudere occhio per tutta la notte.
Erin appoggiò una mano sulla spalla del marito con la preoccupazione per la figlia oltre che per il danno alla serra. Sapeva quanto Mary ci tenesse ad andare in campeggio ed era
sicura che avrebbe reagito malissimo alla notizia. Sforzandosi
di pensare a una soluzione che potesse evitare una nuova discussione, si addormentò avendo come ultimo pensiero quello di non procurarle l’ennesimo dispiacere.
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V
Una nuova amica
Quando Mary scese in cucina trovò la stanza vuota e il tavolo sguarnito delle tovagliette della colazione. Di solito sua
madre la tirava giù dal letto con due urli dalle scale e le faceva trovare già pronti biscotti e cappuccino. Col tono di voce
ancora basso provò a chiamarla un paio di volte, poi aprì il
frigorifero e la credenza per servirsi la colazione da sola. Con il
cartone del latte e il barattolo del cacao in mano ritornò verso
il tavolo e si mise a sedere.
Mentre affondava il cucchiaino nella tazza con gli occhi ancora semichiusi, un vociare di uomini all’esterno le ricordarono all’improvviso quello che era successo la notte precedente.
Corsa alla finestra guardò nella direzione della serra e notò
alcuni Vigili del Fuoco impegnati a rimuovere il tronco caduto. Erin e Giorgio, ricurvi sul pavimento, stavano radunando
tutto quello che era volato via rendendo il giardino un vero
disastro.
«Mamma» urlò dalla finestra gesticolando per farsi vedere.
«Arrivo, Mary, fai pure colazione con calma. Tuo padre ed
io ti raggiungiamo appena finito con i Vigili».
«Okay, ma’» rispose lei continuando a fissare il grosso albero
squarciato in due.
Tornata di nuovo a fare colazione, allungò la mano sul telecomando e accese la televisione. In quel momento il telegiornale stava trasmettendo la notizia sul temporale che si era
abbattuto la notte precedente su tutta la Romagna e buona
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parte delle Marche. Le immagini mostravano case allagate,
fiumi straripati dagli argini e frane ai bordi delle strade provinciali che avevano provocato delle crepe nell’asfalto. Un vero e proprio disastro considerando che il temporale era durato
solamente poche ore.
– Il tempo sta cambiando e la natura si sta ribellando – pensava Mary fissando quelle immagini, convinta che fosse l’uomo
il primo responsabile di tutte quelle sciagure.
In quell’istante Giorgio ed Erin entrarono in casa, con la
faccia sconvolta e gli abiti sporchi di fango.
«È proprio un bel casino» ripeteva Giorgio alla moglie,
mentre si versava dell’acqua in un bicchiere.
«Faccio il caffè» cambiò discorso Erin, sapendo dove il marito volesse andare a parare. «Mary, ne vuoi?».
«Sì mamma, grazie. Considerando quanto poco abbiamo
dormito, un po’ di caffeina farà bene a tutti quanti» le rispose
mentre leggeva alcuni messaggi nel cellulare. «È la Marti. Mi
sta chiedendo cosa mettere in valigia».
Erin si fece seria tutto d’un tratto e guardò Giorgio con aria
dispiaciuta.
«A proposito della vacanza…» azzardò per introdurre la
conversazione.
«C’è una cosa che tua madre ed io dobbiamo dirti» la interruppe Giorgio preferendo essere lui a darle la cattiva notizia.
«Ci sono stati molti danni nella serra. Molte vetrate si sono
rotte, il tetto è stato danneggiato e diverse piante si sono rovinate...».
Mary lo ascoltava perplessa, non avendo la minima idea del
perché le stesse dicendo quello che aveva già visto con i propri occhi. Era talmente scontato per lei che sarebbe andata
in campeggio, che non avrebbe mai pensato che un semplice
temporale avrebbe potuto compromettere tutto.
«Insomma… quello che voglio dire, Mary, è che dovremo
spendere parecchi soldi per sistemare il laboratorio, quindi non
credo ce ne saranno a sufficienza per andare anche in vacanza».
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«Quindi, niente vacanza ad agosto?» chiese lei ingenuamente, pensando che si riferissero solamente a quella di famiglia.
«Niente vacanza ad agosto, ma neppure quella a Cesenatico» precisò Giorgio.
«Coosa?! Stai scherzando, vero?» urlò Mary guardando la
madre nella vana speranza che le dicesse il contrario.
«Mi dispiace tanto, Mary. Ci abbiamo pensato molto, credimi, ma il nuovo business di papà ci ha fatto investire quasi
tutti i nostri risparmi e dobbiamo ponderare bene le prossime
spese».
«No, mamma, lo sai quanto ci tenevo ad andare via con
Martina e Francesca. È sempre così: mi illudete che possa fare
una cosa e poi alla fine rimango sempre fregata».
Erin fece per avvicinarsi nel tentativo di consolarla, ma
Mary la scansò prima che potesse abbracciarla ed uscì dalla
cucina. Corsa in camera sua, lanciò il pigiama sul letto, si vestì
con le prime cose che le capitarono e si precipitò fuori di casa
sbattendo la porta dietro di sé.
Giorgio ed Erin si guardarono con rassegnazione esprimendo con lo sguardo quello che entrambi stavano pensando:
non potevano essere arrabbiati perché capivano come si potesse sentire, ma sapevano che quella era l’unica soluzione per
cercare di rimediare al danno.
«Le passerà» si limitò a dire Giorgio mentre si preparava a
tornare a lavorare.
Erin annuì senza aggiungere altro e con il volto amareggiato
si mise a rassettare la cucina prima di raggiungerlo nella serra.
Camminando per le vie di Sarsina, Mary sfogava la sua rabbia al telefono con Martina.
«Non posso credere che i tuoi genitori ti abbiano fatto una
cosa del genere» urlava l’amica sconvolta.
«La mia vita è uno schifo» ripeteva Mary disperata. «La mia
vita è finita. Lo odio questo paese di merda. È un buco e non
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c’è anima viva. Ma dove sono finiti tutti quanti? Sono le undici
e mezza del mattino, cazzo. Si può sapere cosa fa qui la gente?».
«Si spara in testa» si lasciò scappare Martina, sentendosi però subito in colpa per non essere riuscita a trattenere il
commento.
«Cazzo che palle, non ci voglio stare io qui. Sarà possibile
che non veda l’ora di tornare a scuola?»
«Mary, mi spiace, mi è scappato. Non volevo farti agitare
ancora di più».
«Figurati, non è colpa tua. È solo che sto posto di merda
proprio non lo sopporto».
«Arrivo» urlò Martina allontanando per qualche istante il
telefono dalla bocca. «Mary, mia mamma mi sta chiamando.
Dobbiamo andare a mangiare fuori per il compleanno della
nonna. Ti richiamo nel pomeriggio, okay? Cerca di stare su».
Quando Mary sentì l’amica riagganciare, provò una forte
sensazione di solitudine. Le strade erano deserte, passava una
macchina ogni dieci minuti e tutto sembrava immobile come
se anche il tempo si fosse fermato. Dato che aveva camminato senza prestare attenzione alla strada, tutta presa com’era
dalla conversazione con l’amica, quando alzò lo sguardo per
orientarsi si rese conto di non sapere dov’era. – Ci sono quattro
strade in croce in questo cavolo di paese, è impossibile che mi sia
persa – si ripeteva per autoconvincersi, mentre leggeva il nome
delle vie.
Arrivata in fondo alla strada che stava percorrendo, svoltò l’angolo e si ritrovò in un parchetto alberato racchiuso da
delle abitazioni. Era talmente nascosto e confinato, che dava
quasi l’impressione di essere un giardino privato.
Attraversandolo lungo il sentiero pavimentato, ne costeggiò
buona parte del perimetro, finché non raggiunse un piccolo passaggio nascosto sotto a un porticato. Anche se non era
sicura che quel cunicolo l’avrebbe portata da qualche parte,
l’attraversò fino ad arrivare all’estremità opposta dove sbucò
nella piazza principale. Un brulicare di persone stava uscen42
do proprio in quel momento dal portone della basilica, accompagnati dal suono delle campane che annunciavano l’ora
di pranzo. – Ecco dov’erano finiti tutti – pensò controllando
l’orologio mentre si confondeva nella folla. Senza nemmeno
rendersene conto, era stata per più di un’ora al telefono con
Martina camminando senza meta per le vie di Sarsina.
Venendole in mente in che modo se n’era andata di casa,
pensò che avrebbe fatto meglio a tornare indietro per non
fare arrabbiare ulteriormente i genitori. Indecisa se tentare la
strada a ritroso oppure passare dalla strada statale, optò per
la prima ipotesi sperando in un po’ di fortuna. Riattraversò
la piazza principale, si infilò nel cunicolo sotto il porticato e
sbucò nel parchetto alberato dove il vociare caotico di alcune
persone catturò inevitabilmente la sua attenzione. In sella alle
loro biciclette c’erano tre ragazzi più o meno della sua stessa età, che si stavano divertendo ad importunare una ragazza
che inutilmente tentava di dileguarsi. All’inizio Mary diede
loro un’occhiata veloce, troppo presa com’era dalla paura di
fare ancora più tardi. Quando però alcuni commenti poco
piacevoli giunsero alle sue orecchie, non poté fare a meno di
fermarsi per controllare cosa stesse succedendo. Fu allora che
realizzò che la malcapitata era la ragazza che aveva incrociato
il giorno precedente durante il trasloco. – Poverina – pensò
fra sé, vedendola impacciata e palesemente in difficoltà. – A
ognuno la sua croce – commentò subito dopo, stupendosi di
aver parlato esattamente come suo padre.
Gli insulti andarono avanti per parecchi minuti, con i ragazzi che non sembravano avere alcuna intenzione di mollare la
preda. Anche se Mary aveva fretta e non voleva immischiarsi
in affari che non la riguardavano, non poté esimersi dall’intervenire quando uno dei ragazzi si lasciò scappare un apprezzamento sessuale.
«Lasciatela in pace» urlò loro d’istinto.
I tre si voltarono contemporaneamente e in quell’istante
Mary si pentì di aver parlato, considerando quanto quell’in43
tromissione le sarebbe costato in termini di tempo.
«Cos’hai detto?» replicò uno dei tre avvicinandosi in sella
alla bicicletta.
«Ho detto di lasciarla in pace» gli ripeté mostrandosi sicura
nella speranza di tenerlo a distanza.
«Che t’impicci tu?» aggiunse il secondo.
«Ehi raga, una straniera» disse il terzo raggiungendo gli amici. «Si vede che non sei di qui. Bei pantaloncini» aggiunse
fissandola insistentemente sotto gli short.
Mary era talmente infastidita da quell’atteggiamento strafottente, che non diede loro corda e proseguì per la sua strada.
Riprendendo a camminare con passo spedito, si fece strada fra
i ragazzi urtando la spalla di quello che le stava davanti.
«È il tuo giorno fortunato» rispose lui a quel gesto, guardandola allontanarsi senza intervenire.
«Ci rivediamo presto però» aggiunse il secondo, continuando a far commenti insieme ai compagni.
Mary, senza neppure voltarsi, fece il gesto del dito medio e si
avvicinò alla ragazza che nel frattempo si era spostata.
«Tutto a posto?» le chiese per assicurarsi che stesse bene.
«Sì, grazie, tutto okay. Sono degli stupidi. Parlano tanto, ma
poi alla fine non fanno niente».
«Non faranno anche niente, ma tre contro uno è da vigliacchi».
«Io ti ho già vista. Sei la ragazza che ha appena traslocato in
via Oberdan, vero?».
«Sì, ci siamo trasferiti proprio ieri da Cesena. Piacere comunque, io mi chiamo Mary».
«Maddalena» rispose la ragazza stringendole la mano. «Come mai sei venuta ad abitare quassù da Cesena?» le chiese
mentre ripresero a camminare.
«Bella domanda, me lo chiedo sempre anch’io» rispose Mary
sbuffando. «Scherzi a parte, mio padre ha deciso di mettersi
in proprio e ha acquistato la casa che hai visto per avere un
laboratorio e più spazio per le piante».
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«Quella casa è bellissima. Ogni volta che ci passavo davanti
mi chiedevo come mai fosse sempre disabitata».
«Forse perché non a tutti interessa avere una serra in giardino».
«Sì, effettivamente… Se tuo padre è quello che penso io,
credo di averlo già visto in chiesa un paio di volte».
Alla parola chiesa Mary sentì un brivido freddo attraversarle
tutta la schiena. Venendole il dubbio che potesse essere come
suo padre, per un attimo pensò che potesse essere stato quello
il motivo per cui quei ragazzi l’avessero presa in giro.
«Non vi ho visto oggi a Messa, come mai?» continuò Maddalena insistendo sullo stesso argomento.
«In realtà io non vado mai a Messa. La religione non è una
cosa che mi interessa» specificò subito Mary come se volesse
prendere le distanze. «È mio padre quello credente, mentre
mia madre lo segue solamente la domenica. Questa notte
però abbiamo avuto un problema col temporale e i miei sono
dovuti rimanere a casa a sistemare la serra».
«Mi dispiace. Sì, cioè… mi dispiace per la serra e mi dispiace che a te non interessi venire in chiesa. Sai, qui la maggior
parte della comunità di Sarsina è molto credente».
«E come mai?» chiese Mary con tono stupito, come se non
fosse affatto una cosa normale.
«Perché Sarsina è un posto speciale».
Mary alzò un sopracciglio in segno interrogativo.
«Per la storia di San Vicinio e la sua catena contro i posseduti».
Mary continuava a guardarla non avendo la minima idea a
cosa si stesse riferendo.
«Come, non lo sai? Vicinio è stato il primo vescovo del
paese, famoso per aver guarito gli infermi e scacciato i demoni
dai corpi dei posseduti».
«Non lo sapevo, non me ne intendo molto di religione»» le
rispose Mary piuttosto imbarazzata.
«Ma questa è molto più che semplice religione».
«Che intendi dire?».
«Intendo dire che sono proprio questi gli aspetti più inte45
ressanti della religione. Quelli tenuti più nascosti e di cui nessuno vuole parlare. Scommetto che a scuola e a catechismo
nessuno ti ha mai parlato del Demonio e delle possessioni.
Qui a Sarsina invece, col fatto che c’è vissuto Vicinio, abbiamo sempre affrontato questo genere di cose».
Mary ascoltava Maddalena stupendosi di quanto entusiasmo mettesse in quello che diceva. Per lei la religione era
sempre stata una materia noiosa, mentre quella ragazza gliela
stava raccontando come se fosse l’argomento più interessante
del mondo.
«Il nostro parroco poi è fenomenale» continuò Maddalena
nella speranza di incuriosirla. «È molto moderno e durante le
benedizioni fa sempre un sacco di battute spiritose».
Mary rimase in silenzio non sapendo esattamente cosa dire. Avendo sempre associato quegli argomenti al padre e alla
costrizione del catechismo, non si era mai sforzata di considerarli da un punto di vista diverso.
«Ogni tanto ci ritroviamo per discutere di queste tematiche.
Se ti va potresti provare a venire una volta».
«Mah… non credo che…».
«Dai, prova. Potresti trovarlo interessante. Vieni una volta,
vedi se ti piace, e se non lo trovi divertente non ci torni più».
Mary non era molto sicura di voler accettare quell’invito.
L’idea di frequentare un ambiente come quello non la convinceva per niente e aveva paura che, se l’avesse saputo il padre,
avrebbe iniziato di nuovo a farle delle pressioni.
«Con una mia amica ho fondato un piccolo gruppo di studio…» aggiunse Maddalena.
«Che gruppo di studio?».
«Una specie di società segreta in cui approfondiamo delle
tematiche particolari cercando di cogliere i segni nascosti delle cose».
Mary la fissava con aria interrogativa aspettando che le desse
qualche indicazione più precisa.
«Hai presente quando alcune cose stanno andando in un
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certo modo, ma solo tu riesci ad accorgertene perché hai notato determinati segnali? Come se per ogni evento ci fossero dei
collegamenti sottili che solo un occhio attento può riuscire a
vedere. È difficile spiegarlo a parole. È un po’ come quando
accadono certe cose che sapevi già che si sarebbero verificate.
E più indizi riesci a mettere insieme, più diventi brava a prevedere quello che succederà».
Ascoltando quelle parole, seppure intricate, a Mary vennero
subito in mente le carte dei tarocchi. Quello che Maddalena
stava cercando di spiegarle sembrava avere una qualche corrispondenza con quello che le stava capitando nelle ultime
letture. Forse il fatto che uscissero sempre le stesse carte rappresentava un segnale premonitore di qualcosa che sarebbe
accaduto. Forse quei tarocchi avevano un significato preciso
che andava approfondito per riuscire a interpretarlo. Nonna
Rose le aveva ripetuto un sacco di volte che le carte mostravano la risposta solamente quando l’interlocutore era pronto a
riceverla. Forse doveva impegnarsi di più e cercare quei segnali che l’avrebbero portata alla soluzione della lettura.
«Comunque se ti interessano questi argomenti, oggi pomeriggio la mia amica Sara ed io ci ritroviamo in parrocchia alle
quattro» le disse Maddalena sperando di averla incuriosita.
«Magari ci penso un attimo e poi ti faccio sapere» replicò
Mary per prendere tempo, non sapendo come sarebbe stato
l’umore dei genitori.
«Ti potrei presentare don Luigi, così potrebbe raccontarti la
storia di San Vicinio. Credimi: non è affatto noiosa e, raccontata da lui, fa tutto un altro effetto».
«Okay, vedo di fare il possibile, ma non ti prometto niente.
Tutto dipenderà da quanti lavori ci sono da fare nella serra».
«Perfetto, allora ti lascio il mio numero di telefono. Se riesci
a liberarti, ricordati che sei la benvenuta».
Quando Mary salvò il contatto di Maddalena si rese conto che era stata fuori casa davvero troppo a lungo. L’ora di
pranzo era già passata da un pezzo e non poteva permettersi
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di perdere altro tempo girando a caso per trovare la sua via.
Con un po’ di vergogna, ma costretta dalla necessità di fare
il prima possibile, chiese il favore a Maddalena di poterla accompagnare.
«Siamo praticamente già arrivate» le disse indicando il cartello stradale. «Se oggi pomeriggio vieni al gruppo di studio ti
spiego anche le strade di Sarsina» aggiunse ridendo.
Quando Mary lesse via Oberdan e la ringraziò promettendole di chiamarla, si rese conto che Maddalena era praticamente la sua vicina di casa.
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