Università Cattolica del Sacro Cuore
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commentary Commentary,27gennaio2016 SUNNITI VS SCIITI O ARABIA SAUDITA VS IRAN? DUE NARRATIVE A CONFRONTO RICCARDO REDAELLI V i sono due opposte narrative per spiegare il conflitto fra sunniti e sciiti che divampa da tempo nel Medio Oriente; entrambe sono molto popolari ma ambedue rischiano di portarci fuori-strada, se percepite come dicotomiche e esclusive. Una prima spiegazione di questo scontro è, per così dire, “culturalista e perennalista”: la cesura fra sciiti e sunniti è sempre esistita; le due comunità si sono sempre cordialmente detestate e – in alcuni periodi storici particolari – questo conflitto deflagra con virulenza, come avviene in questi anni. Una sorta di irriducibile alterità fra le due correnti principali dell’islam che ha portato all’attuale polarizzazione. L’ascesa geopolitica dell’Iran sciita – una repubblica islamica pan-sciita – ha acuito, secondo questa visione, lo scontro fra l’asse sciita (Iran, Iraq, Siria, Hezbollah) e asse sunnita (monarchie del Golfo, Turchia, tribù sunnite del Levante, etc.). ©ISPI2016 Questa narrativa ha il pregio di essere comoda, facilmente comprensibile anche da non esperti, offre una spiegazione apparentemente convincente della grande lotta in corso dentro il Medio Oriente. Purtroppo, ha il difetto di essere sostanzialmente fal- sa. O meglio: unisce realtà storiche e culturali a sovra-semplificazioni inaccettabili. Considera Siria e Iran paesi “sciiti” e quindi alleati, mentre le differenze socio-culturali fra la repubblica islamica duodecimana iraniana e la Siria secolare, socialista e dominata dalla minoranza alawita sono abissali. Teheran appoggia il regime di Damasco per convenienza geopolitica, non certo per solidarietà pan-sciita, che rappresenta un semplice mito. Tanto che, durante la guerra fra l’Armenia cristiana e lo sciita Azerbaijan, l’Iran si è schierato completamente a favore della prima. E per solide ragioni di opportunità geopolitica e strategica. Sostenere che la divisione fra sciiti e sunniti in Iraq ha portato alla guerra civile e che gli sciiti iracheni sono “naturalmente” vicini a quelli iraniani è una sciocchezza. Prima della disastrosa invasione anglo-statunitense del 2003, in Iraq un terzo delle famiglie era religiosamente “mista” (ossia sia sciiti sia sunniti); e gli arabosciiti si sono avvicinati politicamente agli iraniani sciiti soprattutto come conseguenza del settarismo e delle brutali violenze del jihadismo sunnita, oltre che per il rifiuto dei paesi arabi sunniti di riconoscere la nuova realtà irachena, in cui la maggioranza arabo-sciita ave- Riccardo Redaelli, Professore ordinario di Geopolitica e di Storia e istituzioni dell'Asia, Università Cattolica del Sacro Cuore 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non necessariamente riflettono l‘opinione dell’ISPI. Anche le pubblicazioni online dell’ISPI sono pubblicate con il supporto della Fondazione Cariplo. commentary invertire la tendenza. Anche se ciò è avvenuto in modo strumentale, il settarismo entra nella vita quotidiana delle popolazioni, obbligando a un lungo e faticoso processo di de-radicalizzazione dell’opposizione identitaria. va finalmente avuto accesso al potere, da sempre appannaggio della minoranza arabo-sunnita. La seconda narrativa adotta, al contrario, una prospettiva economico-sociale e strategico-politica. Lo scontro non è fra sunniti e sciiti, bensì una semplice lotta per il predominio nel Medio Oriente fra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita: uno scontro geopolitico che si maschera da scontro religioso. Per risolvere il conflitto, allora, occorre agire a livello diplomatico-politico. Anche in questo caso, per quanto questa visione si basi su evidenze facilmente dimostrabili e contenga un forte nucleo di verità, la narrativa risulta insoddisfacente. È infatti indubitabile che lo scontro settario sia la conseguenza di uno scontro geopolitico fra quei due paesi, ma non bisogna sottostimare la pervasività e la virulenza della polarizzazione identitaria. Quando si attivano, per i motivi più diversi, i germi della politicizzazione delle identità (vuoi cultural-religiose, vuoi etniche), risulta poi difficilissimo disattivarli, come dimostra molto bene – tanto per fare un esempio vicino a noi – la tragedia della ex Jugoslavia, incapace di superare realmente il settarismo e la separazione delle comunità nella sua lunga fase post conflict. Queste due narrative, infine, sottacciono anche lo scontro e la divisione tutta interna all’islam sunnita, con la frattura fra i paesi sostenitori del cosiddetto islam politico (quello dei Fratelli Musulmani), come Qatar e Turchia, e i loro avversari, come Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che vedono nell’attivismo politico della Fratellanza una minaccia pericolosa al potere delle locali famiglie reali e che quindi li combattono a favore del sostegno ai movimenti salafiti. La diffusione di questi ultimi, portatori di un radicalismo virulento e intollerante, accentua la frattura con gli sciiti, dato che – per la maggioranza dei salafiti – essi sono considerati apostati o poco meno. La diffusione salafita, come un’infezione, sta alterando i rapporti fra sunniti e minoranze religiose e culturali, sia dentro l’islam, sia al di fuori, come provano le violenze e le pressioni contro le comunità cristiane del Medio Oriente. Soprattutto, radica a livello identitario e culturale uno scontro nato come lotta geopolitica. E che un’analisi puramente “razionalista” non riesce a comprendere pienamente. ©ISPI2016 La storia dimostra come per una società multiidentitaria frammentata e polarizzata sia difficilissimo 2