intervista a don nizar semaan _3

Transcript

intervista a don nizar semaan _3
INTERVISTA A DON NIZAR SEMAAN
Don Nizar Semaan, sacerdote siriaco della diocesi di Mosul in Iraq, vive da anni in
Italia, ma segue con attenzione le vicende del suo paese e periodicamente vi ritorna. Per
questo rappresenta una voce autorevole per raccontare il fronte iracheno. Recentemente
lo abbiamo intervistato in occasione di un incontro con i ragazzi del Progetto di Servizio
civile.
Dalla composizione sociale, etnica e religiosa della popolazione agli usi e costumi locali,
dal ruolo delle donne ai problemi religiosi e dell’informazione: le domande dei ragazzi e
le risposte di don Nizar permettono di avere un quadro accurato ed attuale della
situazione irakena, soprattutto a pochi giorni dal voto. In questo senso don Nizar ci
aveva già sottolineato come “la costruzione della democrazia non è qualcosa che avviene
dall’oggi al domani; si tratta di un processo lungo e delicato, che necessita dell’appoggio
della comunità internazionale e locale, per cui è indispensabile che la popolazione ne
conosca il valore e sia ad essa educata. Un ruolo fondamentale riveste allora, in questo
processo, il nuovo sistema scolastico e l’investimento sociale sui giovani”.
- Partendo da una frase citata in Internet: “In Iraq, le tensioni maggiori si hanno
tra le due grandi etnie: sciiti e sunniti in lotta per il potere e gli attacchi alle
moschee. Malgrado gli sciiti siano la maggioranza il regime è sempre stato
dominato dai sunniti”. Quali differenze e conseguenti tensioni fra le due
componenti? Quale legame con il potere politico? E partendo dal punto di vista
religioso lei cosa ne pensa a riguardo?
I sunniti rappresentano circa il 35% della popolazione. Gli sciiti, che sono la
maggioranza, contano circa il 60% degli iracheni mentre il rimanente 3-5% è
rappresentato dai cristiani, esigua minoranza che si concentra nella zona di Mosul. La
divisione tra i due gruppi è anzitutto politica, poi teologica. Durante il regime di
Saddam, a governare erano i sunniti, che godevano della protezione del Rais. Ora,
invece, la situazione sembra essersi ribaltata: con buona probabilità, gli sciiti
prenderanno il potere dopo le elezioni del 30 gennaio. Questo, però, non è solo un
problema di politica interna, ma tocca anche gli Stati vicini. Se ci sarà un’affermazione
degli sciiti, infatti, essi potranno appoggiarsi all’Iran, con il rischio che nasca un governo
teocratico sullo stile di quello iraniano, perché nella mentalità islamica non si separa mai
lo Stato dalla religione. Si spera tuttavia che la comunità internazionale impedisce ciò.
In questo scenario, si inseriscono poi i curdi che vivono nel nord del paese e avranno
nuovi diritti, ma al momento non uno stato indipendente.
-Il digiuno come viene vissuto: per scelta o per imposizione? E per chi lo pratica in
che cosa consiste e ogni quanto viene praticato?
Il Ramadan, mese di digiuno annuale, è una delle cinque colonne dell’Islam. Si può dire
che esso non è frutto di una scelta totalmente libera, ma che in qualche modo tutti sono
costretti a praticarlo. Esiste una legge che afferma che, nel mese del Ramadan, tutti i
ristoranti devono chiudere. Nel caso in cui ad alcuni venga consentito di rimanere aperti,
essi devono abbassare un velo per nascondere il ristorante alla vista dei passanti che
stanno praticando il digiuno e potrebbero rimanere scandalizzati nel vedere qualcuno che
mangia.
-Per quanto riguarda l’aspetto storico-politico, si è visto che gli Stati Uniti hanno
fortemente appoggiato l’Iraq nella guerra contro l’Iran, dandogli informazioni
riservate e bloccando, in un primo momento, ogni condanna da parte delle Nazioni
Unite. Nel 2003, invece, sono stati gli Stati uniti ad invadere l’Iraq: come si spiega
questo cambiamento? E com’è vissuto dalla popolazione?
Nella storia moderna e contemporanea, spesso la politica è stata associata alla falsità,
piuttosto che a valori quali l’onestà, la trasparenza e il bene comune. Nel 1980, l’Iraq ha
invaso l’Iran adducendo come pretesto i continui sconfinamenti di quest’ultimo nel
proprio territorio, ma le vere motivazioni erano di carattere economico: l’Iran, infatti,
stava acquistando troppo potere nel controllo del mercato petrolifero e questo non stava
bene agli iracheni e agli americani, che hanno quindi fornito il loro appoggio. Questo è
quello che è realmente accaduto, ma gli iracheni avevano ben altre notizie: sapevano di
essere stati attaccati dall’Iran e quindi consideravano l’Iraq, nella persona di Saddam in
particolare, il vero difensore del Golfo. In questa situazione, egli, che già era un
dittatore, è diventato un dittatore forte, grazie all’appoggio dell’Occidente.
-Il 30 gennaio in Iraq si svolgeranno le prime elezioni democratiche dopo 46 anni:
come vivono i giovani l’avvento della democrazia? C’è la consapevolezza di cosa
essa significhi?
La costruzione della democrazia non è qualcosa che avviene dall’oggi al domani e non
basteranno le elezioni del 30 gennaio per far sì che terminino la guerriglia e il
terrorismo; si tratta di un processo lungo e delicato, che necessita dell’appoggio della
comunità internazionale e locale, per cui è indispensabile che la popolazione ne conosca
il valore e sia ad essa educata. Un ruolo fondamentale riveste, in questo processo, il
nuovo sistema scolastico, che potrà insegnare la democrazia e sensibilizzare le
coscienze. Inoltre, si deve puntare su quell’80% di giovani iracheni laureati, che
potenzialmente rappresenta una ricchezza per lo sviluppo futuro del paese.
Ho letto che il Corano impone alle donne di indossare il velo per preservare la loro
dignità e femminilità. Volevo sapere se per le donne irachene è una scelta o una
imposizione. Nel caso fosse un’imposizione, come si conciliano tali imposizioni
religiose con un paese che si professa laico?
Inoltre, le donne e le ragazze irachene prima della Guerra del Golfo godevano di
maggiori diritti tra tutte le donne del Medio Oriente e avevano un ruolo attivo nella vita
politica e nell’ economia del Paese, ma dopo hanno subito molte restrizioni sulla loro
libertà di movimento e protezione della legge. Ora che il regime è caduto e la
Costituzione temporanea prevede che il 25% dell’Assemblea Nazionale sia costituita da
donne, come cambia di fatto la loro condizione?
All’università molte donne, portano il velo: in alcuni casi, sono i precetti religiosi che
impongono di farlo, in altri è una semplice questione di tradizione culturale. Negli anni
dell’embargo, anni di povertà estrema per gli iracheni, chi portava il velo riceveva un
compenso e quindi esso era diventato un mezzo per guadagnare qualcosa in più. Il
problema non è il velo in sé, che può anche essere espressione di una moda se vogliamo,
ma la mentalità che ne è alla base.
Ovviamente ora la nuova Costituzione può migliorare la condizione della donna,
restituendole i diritti di cui prima godeva. In linea di massima, a Saddam non interessava
l’Islam, per cui c’era una certa libertà, ma dopo la guerra del Golfo egli, trovandosi solo
e in condizioni difficili, cerca sostegno in alcuni gruppi islamici più radicali e in cambio
di favori politici ed economici vende la libertà del suo popolo.
-A livello di informazione diretta alla popolazione come viene gestita la campagna
elettorale in vista delle prossime elezioni?
Oggi i mezzi di informazione sono sicuramente più liberi rispetto al periodo della
dittatura, anche se risentono dell’influenza di alcuni gruppi. Durante l’embargo, non
c’era il satellite, c’erano due soli canali televisivi, persino la comunicazione telefonica
era difficile. Ora c’è Internet, i mezzi vengono utilizzati per la campagna elettorale e
nella città troneggiano grandi manifesti con i volti dei candidati. Non possiamo pensare
ad una campagna elettorale sullo stile dei paesi occidentali, ma si stanno comunque
muovendo i primi passi.
- Partendo da un tentativo di incardinare nella coscienza popolare l’identità
irachena ho trovato scritto su un articolo della rivista Limes che esso è faticoso e
quasi impossibile poiché l’iracheno soffre una condizione di non appartenenza allo
Stato. Questo sentire lo Stato straniero ha seminato nelle profondità della cultura
irachena la paura verso ogni cosa che si chiama <innovazione ideologica>. Vorrei
chiederle se è vero che l’iracheno vive questa condizione di orfano e se è qui che va
cercato il segreto della sua sofferenza. Da qui la difficoltà di identificare la cultura
irachena in tradizioni popolari proprio perchè l’Iraq continua a non rappresentare
tutti gli iracheni,né la maggioranza ma solo alcuni. Come il cristiano sta in questa
diversità,in un paese di religione islamica con molte tradizioni legate al Corano,
come per esempio il venerdì giorno di riposo? Che rappresentano esse e quanto
influenzano la vita di fede di un cristiano?
E’ vero che esiste una grande diversità all’interno dell’Iraq, ma è anche vero che c’è da
parte degli iracheni il senso di appartenenza al proprio territorio. I cristiani sono una
minoranza e contano circa un milione di fedeli. Durante il regime di Saddam, essi erano
tutelati da leggi abbastanza laiche, ma con la sua caduta si sono affermati dei gruppi
islamici radicali, che hanno creato non pochi problemi ai cristiani. Nel Nord dell’Iraq,
essi hanno due giorni festivi: il venerdì, giorno di festa per i musulmani, e la domenica.
A Baghdad, invece, l’unico giorno di festa è il venerdì.
Pur essendo una minoranza nel paese, i cristiani hanno una forte identità e hanno dato
vita ad una Chiesa giovane e vivace. Tanti, infatti, sono i giovani che ogni settimana,
divisi per fasce d’età, si incontrano per degli incontri di formazione, mentre il
catechismo tradizionale, quello che prepara ai sacramenti, viene svolto separatamente.
- La guerra del Golfo ha quasi del tutto cancellato il ricchissimo patrimonio
musicale iracheno. Volevo sapere come mai questo è accaduto e che valore ha la
musica nella vita di un iracheno. L’intellettuale, l’artista che figure rappresentano?
Non è vero che la musica è sparita, anzi c’è stato un grande movimento musicale in Iraq.
I musicisti sono andati via dal paese non per motivazioni politiche, ma per cause di forza
maggiore poiché durante l’embargo non c’era abbastanza ricchezza per poter incidere.
- In una testimonianza rilasciata a Milano il 20 dicembre 2004, durante un incontro
fra la Lega Obiettori di Coscienza, Obiettori alle Spese Militari per la Difesa
Popolare Nonviolenta e i Berretti Bianchi, il Dottor Ryadh Nassir Abdul Razaq
Aladhadh (medico specialista in tecnica della riabilitazione, membro del consiglio
cittadino di Bagdad, responsabile dei diritti umani e dei problemi dell’ambiente e
Presidente dei Berretti Bianchi a Bagdad) ha affermato che “L’occupazione
dell’Iraq ha cancellato alcune strutture del paese senza sostituirle davvero ovvero:
l’esercito, il ministero degli interni e i sistemi di informazione”. Alla luce di questo
mi interesserebbe sapere come funziona ora l’informazione, chi la gestisce e con
quali mezzi. Vorrei sapere inoltre come funzionava durante gli anni del regime.
Durante il regime di Saddam, c’erano solo due o tre canali televisivi, per di più sotto
controllo. Durante le guerra, le sedi dei mezzi di informazione sono state bombardate.
Oggi sono nate piccole televisioni locali simbolo di maggior libertà e ricchezza per il
paese. Con l’avvento del nuovo governo si vedrà come potrà ulteriormente evolversi la
situazione.