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GENNAIO - FEBBRAIO 2010
SPECIALE
Acqua: bene
pubblico o
privato?
AMBIENTE
Copenaghen:
racconto
dell'altro
vertice
CINEMA
Penelope, diva
da “Otto e ½”
ISSN 2035-701X
“Poste Italiane. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Torino n° 1 Anno 2010”- € 1,20
GIOVANI CRITICI
RUBRICHE
BACKSTAGE
IERI ACCADRÀ
SEGNALIBRO
GIRA LA MODA
INTERNET
VOTI NOTI
FORUM
16
BENVENUTO IN ITALIA
Immigrazione: la rivolta
di Rosarno
22
TROPPO PIGRI PER SALVARCI
Emergenza clima: cosa è
cambiato dopo il vertice di
Copenaghen?
24
ENERGIE UNDERGROUND 36
Le periferie viste da Botto&Bruno
FRULLATO
GUSTO FOTOGRAFIA
Tanti segreti per rendere
unici i vostri scatti
NINE, UN MUSICAL
42
DA 8 E ½
L’anteprima più attesa dell’anno
MIAOOOO!
Dietro le quinte di “Cats”
COSTUME E SOCIETÀ
L’ONDA VERDE DELL’IRAN
Un movimento che
ha molte facce
50
PROGETTI E IDEE
PER CRESCERE
PartecipAzione
PICCOLI FANTASMI DI RIO
Viaggio dentro alle favelas
del Brasile
52
TITOLI NUOVI,
TENDENZE ANTICHE
Se le nuove uscite vanno
al macero
MUSICA
32
44
WELCOME TO
PECHINHAGEN
Il diario di viaggio di una
partecipante
27
30
39
APPUNTAMENTO
CON L’EMERGENTE!
A caccia di nuove proposte tra
locali e Myspace
…E VISSERO FELICI
E CONTENTI
Una visita guidata nel
mondo delle fiabe
SEMPLICEMENTE, DENTE
Intervista col cantautore
indie-pop
Inchiesta
ACQUA AZZURRA,
ACQUA CARA
18
Grazie al Decreto Ronchi la privatizzazione
dell’acqua in Italia è ormai realtà. Se i benefici
sono così tanti, perché Paesi come la Francia
tornano al pubblico?
56
58
APPUNTAMENTI
Le date da non perdere
60
CRUCIRIPASSO
Questo mese… ricreazione!
62
genaio - febbraio
n°1
Direttore responsabile Renato Truce
Vice direttore Lidia Gattini
Coordinamento di redazione
Eleonora Fortunato
Segreteria di redazione Sonia Fiore
Redazione di Torino
Valeria Dinamo
corso Allamano, 131 - 10095 Grugliasco (To)
tel. 011.7072647 / 283 - fax 011.7707005
e-mail: [email protected]
Redazione di Genova
Giovanni Battaglio
e-mail: [email protected]
Redazione di Roma
Simona Neri, Matteo Marchetti
via Nazionale, 5 - 00184 Roma
tel. 06.47881106 - fax 06.47823175
e-mail: [email protected]
Hanno collaborato
Giovanni Battaglio, Patrizia Battaglio, Stefania
Benetti, Roberto Bertoni, Fiammetta Bertotto,
Marco Billeci, Lorenzo Brunetti, Andrea Boutros,
Maria Elena Buslacchi, Giulia Cerino, Annalisa
Citoni, Chiara Colasanti, Emanuele Colonnese,
Giorgio Comola, Mario Coppola, Daniela Vitello,
Alessandra D’Acunto, Isabella Del Bove, Chiara
Falcone, Paolo Fornari, Benedetta Gaino, Marzia
Mancuso, Matteo Marchetti, Francesca Marrollo,
Caterina Mascolo, Benedetta Michelangeli, Serena
Mosso, Elena Prati, Luca Sappino, Samuele
Sicchio, Jacopo Zoffoli.
Direttore dei sistemi informativi
e multimediali Daniele Truce
Impaginazione Giorgia Nobile,
Gianni La Rocca
Illustrazioni Alessandro Pozzi
Fotografie e fotoservizi
Circolo di Sophia, Massimiliano T., Fotolia,
Agenzia Infophoto, Giulio Sciarappa.
Sito web: www.zai.net
Francesco Tota
Editore
Mandragola Editrice
società cooperativa di giornalisti
via Nota, 7 - 10122 Torino
Stampa Stige S.p.A. - via Pescarito, 110
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Anno IX / n. 1 - gennaio-febbraio 2010
Autorizzazione del Tribunale di Roma
n°486 del 05/08/2002
Abbonamento sostenitore: 10 euro
Abbonamento annuale studenti: 7 euro
(9 numeri)
Servizio Abbonamenti MANDRAGOLA Editrice
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versamento su c/c postale n° 73480790
via Nazionale, 5 - 00184 Roma
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Sorpresi dalla bellissima Penelope Cruz in copertina? È il nostro
omaggio a una grande attrice e all’ultima pellicola che ne
celebra talento e fascino, “Nine”: i curiosi corrano a pag. 42
per leggere la recensione di Lorenzo, che l’ha vista in
anteprima a Roma. Chi, invece, ama sfogliare la rivista pagina
per pagina, dopo le consuete rubriche dedicate alle novità in
libreria, alla moda e ai “voti noti” del piccolo schermo, troverà
tre argomenti di sicuro interesse (da conservare, perché no,
anche in vista dell’esame di maturità). A pag. 16 si
ricostruiscono i tristi fatti di Rosarno, fine dell’illusione di una
pace razziale in Italia; le ripercussioni del decreto Ronchi e la
lotta per l’acqua come bene pubblico a pag. 18; la grande
sfida ecologica rilanciata dal vertice di Copenaghen, di cui vi
offriamo due punti di vista molto diversi tra loro (da pag. 22).
Dedicato all’attualità anche il nostro forum, all’interno dei
quale i giovani reporter hanno espresso la loro opinione
sull’introduzione del tetto del 30% di immigrati nelle classi.
Pausa musicale con le band emergenti recensite per noi da
Chiara (pag. 30) e con l’intervista a Dente, cantautore
indipendente a modo suo (pag. 32), mentre con i giovani
critici ci immergiamo nel concorso “Vivere di periferia”, giunto
alla sua fase culminante: dal 1° gennaio si sono infatti aperte
le iscrizioni, che scadranno il 28 febbraio. Ospiti d’eccezione
di questo numero sono Botto&Bruno, duo di artisti torinesi noti a
livello internazionale per il loro bellissimo e innovativo lavoro
fotografico sulle periferie, di cui a pag. 36 vi proponiamo un
assaggio. Elena subito dopo ci dà tante dritte su come dare
quel tocco in più anche ai nostri scatti (tenete conto dei suoi
consigli se volete partecipare al concorso con una sequenza
fotografica!).
Un tuffo in Iran nell’ultima sezione del giornale, dove Giulia
analizza il movimento di protesta dell’Onda Verde (pag. 50);
Fiammetta, invece, ha studiato per noi la breve vita dei nuovi
libri sfornati ogni giorno dalle case editrici: che fine fanno tutti
questi volumi se poi in Italia nessuno li legge? Da non perdere,
a pag. 52, il racconto di Martina, che si è spinta fino alle
favelas di Rio per documentare le terribili condizioni di vita in
cui sono costretti milioni di bambini.
Buona lettura!
In collaborazione con:
La rivista è stampata su carta riciclata E 2000,
Cartiere Cariolaro
Questa testata fruisce dei contributi statali
diretti della legge 7 agosto 1990, n. 250.
Questo periodico è associato
all’Unione Stampa Periodica Italiana
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Hanno contribuito a questo numero:
Alessandra D’Acunto
Serena Mosso
20 anni, vive a Roma, dove
frequenta l’università di Tor
Vergata, corso di laurea in
Lettere. Il suo sogno è diventare
giornalista di moda (non a caso
è sua la rubrica più fashion del
nostro giornale). Le altre grandi
passioni sono il pianoforte e i
bambini dell’Acr, Azione Cattolica
Ragazzi, cui fa da educatrice. E’,
inoltre, impegnata in una piccola
compagnia teatrale, che
allestisce spettacoli a livello
amatoriale.
18 anni, direttrice del giornale
del Liceo “Manara” di Roma,
adora gli anni '70 e il rock.
Suona la chitarra elettrica, legge
molto, recita, scrive racconti,
ride e si interessa a qualunque
forma d'arte, che sfrutterà da
grande per cambiare il mondo.
La sua frase del momento è di
Jimmy Page dei Led Zeppelin:
"Tanto di cappello a chiunque fa
ciò in cui crede e rifiuta di
compromettersi".
Elena Prati
Vive in un microcosmo tutto suo e
la maggior parte delle volte in cui
esce, lo fa per combinare disastri.
Neomaggiorenne di Alessandria, non
vede l’ora di finire il liceo e iniziare
l’avventura universitaria, nonostante
sia ancora incastrata nel tornado
della scelta della facoltà. Se potesse
non si fermerebbe nemmeno per
dormire, per questo motivo ha fatto
sua la frase “I’ll sleep when I’m
dead” del mitico Bon Jovi. Con la
scoperta della fotografia, ha trovato
il mix espressivo perfetto e nessuno
più la ferma.
Chiara Colasanti
Andrea Boutros
È l’inviata speciale di Zai.net per
la musica emergente e si diverte
un mondo a fare la nostra talent
scout. La passione in
quest’ambito l’ha spinta persino
ad attraversare l’Oceano
Atlantico e a continuare la caccia
delle band più cool negli States
(l’oroscopo è pieno dei suoi
consigli!). Nel tempo libero, studia
Mediazione Linguistica
all’Università di Perugia,
dividendosi tra il capoluogo
umbro e la sua città natale, Terni.
16 anni, genovese, è al terzo
anno del liceo scientifico
“Cassini” ed è entrato da poco a
far parte della redazione di
Zai.net. Ama molto scrivere di
attualità, ma non perde mai
l’occasione per parlare delle sue
origini egiziane, cercando sempre
di approfondire le abitudini, gli
usi e le tradizioni dei nostri
corrispondenti del Nilo (senza
tuttavia tralasciare gli
avvenimenti degni di nota).
Adora viaggiare, conoscere
nuova gente e fare esperienze
che lo aiutino a crescere.
Giulia Crovo
Questa simpatica diciottenne di
Rapallo frequenta l'ultimo anno
dell’Istituto Tecnico per ragionieri
della sua cittadina.
Ama molto leggere, ma scrivere
è da sempre la sua più grande
passione: tra i suoi progetti
futuri c'è proprio quello di
diventare giornalista e di
viaggiare per poter conoscere
quante più culture possibile. Nel
frattempo si esercita sulle nostre
pagine proponendoci ogni mese
articoli e recensioni.
IER
IA
CC
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RA
’
A cura di Isabella Del Bove, 18 anni
Notizie serie e curiose selezionate dai calendari del passato
FEBBRAIO
2004 Nasce Facebook
6
14
FEBBRAIO
2000 L'ultima striscia dei Peanuts
appare sui quotidiani il giorno dopo
la morte di Charles M. Schulz
19
FEBBRAIO
1985 William Schroeder è il primo
paziente dotato di un cuore artificiale
a lasciare l'ospedale
FEBBRAIO
20
1908 A Milano viene inaugurata la
Borsa
11 FEBBRAIO
49 a.C. Gaio Giulio Cesare
oltrepassa il fiume emiliano
Rubicone, recitando la celebre frase:
"Alea iacta est"
14
FEBBRAIO
1929 Strage di San Valentino: Al
Capone stermina la banda rivale di
Bugsy Moran
FEBBRAIO
2002 È il cosiddetto giorno
"palindromo": la data 20/02/2002
può essere letta da sinistra verso
destra, o da destra verso sinistra
2003 Muore la pecora Dolly, il
primo mammifero frutto di
clonazione
28
1978 La Cina mette all'indice le
FEBBRAIO
2002 La Lira italiana cessa di
avere corso legale, sostituita
dall'euro
opere di Shakespeare, Aristotele e
Charles Dickens, la cui lettura
diviene pertanto proibita
17
FEBBRAIO
1867 La prima nave attraversa il
Canale di Suez
FEBBRAIO
4
O
IL BR
A
N
G
SE
A cura di Marzia Mancuso, 17 anni
CHE LA FESTA COMINCI
OSCURI PERSONAGGI CHE RIEMERGONO DALLE VISCERE DELLA TERRA;
STOLIDI ZOTICONI ARRICCHITI INTENTI A CELEBRARE IL PROPRIO TRIONFO
TRA VELINE, CALCIATORI E INTELLETTUALI BORIOSI. SULLO SFONDO UNA
ROMA CHE NON È MAI STATA COSÌ NOIR
uesto mese abbandoniamo i classici per una
breve, ma mi auguro proficua, immersione nel
bacino delle ultime uscite. Le vacanze di Natale
sono uno dei pochi periodi – a parte quelli in cui è prevista l’uscita di un qualche bestseller adolescenziale –
in cui vedo aggirarsi nella piccola libreria della mia città
qualcuno che non siamo io e le commesse. Ma cosa può
avermi spinto a mettere in pausa il sanissimo proposito di rendere più vivi i miei studi di letteratura (nel
2009 ci siamo lasciati con I dolori del giovane Werther)?
La risposta è negli occhi di un animale grassoccio, parzialmente immerso nell’acqua, che mi osservava dallo
scaffale delle ultime uscite. Si tratta dell’ippopotamo dallo
sguardo scettico (non chiedetemi come faccia un ippopotamo ad assumere un’espressone scettica, fatto sta che
questo ce l’ha) che occupa la copertina dell’ultimo libro di
Niccolò Ammaniti. Come si può resistere ad un ippopotamo scettico e ad Ammaniti insieme? Lo compro.
Che la festa cominci, edito da Einaudi collana Stile libero,
abbandona lo scenario della provincia nordica e industriale
di Come dio comanda, nebbiosa e inquietante, per trasferirsi in una capitale non meno nera e addirittura “demoniaca”.
Oltre che nella variazione dello sfondo, la differenza con l’opera precedente si riscontra nel tono profondamente diverso assunto dalla narrazione: molto meno serio, in cui predomina quell’umorismo a tratti nerissimo che, da sempre
nelle corde di Ammaniti, aveva trovato sino ad ora uno spazio piuttosto ridotto. Un umorismo che non sfugge a chi
Q
abbia letto articoli o interviste dello scrittore e che pare
abbia causato qualche perplessità nella critica, ma che personalmente apprezzo molto.
La Roma festaiola di quest’ultimo romanzo si presenta
al lettore con il sorriso stolido e poco spontaneo di veline e calciatori, vip di varia natura, intellettuali boriosi,
zoticoni arricchiti e palazzinari affetti da delirio di onnipotenza. È un sorriso divenuto quasi diabolico, che
ricorda quello del pagliaccio mostruoso di King, quando
entrano a far parte della trama gli strani e obesi abitanti
delle catacombe sotto Villa Ada e una sgangherata setta
satanica emula di Charles Manson.
Una straordinaria accozzaglia di personaggi tra i più disparati e di eventi solo apparentemente scollegati compone
e anima la trama del libro, la cui forza centrifuga ha il suo
punto nodale proprio nella festa che ispira il titolo: un evento faraonico, organizzato come celebrazione a se stesso dal
palazzinaro mafioso Sasà Chiatti.
Non è difficile intuire che l’intera storia, per quanto assurda,
sia un richiamo grottesco all’attualità, a partire dalla variegata e italica fauna dei personaggi, naturale abitatrice di talk
show, industrie, Parlamento e attici in centro. Tale marmaglia eterogenea si riversa oltre le mura di Villa Ada, location
del super party, per offrire al lettore la più ridicola, penosa
ed egocentrica immagine di sé.
Libro consigliato agli amanti degli ippopotami scettici e,
in particolare, a chi voglia affrontare con un po’ di allegria
e sano cinismo questo nuovo anno nel bel (?) Paese.
CHE LA FESTA COMINCI
di Niccolò Ammaniti
Einaudi Stile Libro, 18 euro
LA
A
A
R
GI OD
M
A cura di Alessandra D’Acunto, 19 anni
GOSSIP
GIRL
FOREVER
IL NOSTRO TOUR IN GIRO PER LE
CAPITALI DEL FASHION SYSTEM SI
SPINGE NELLA MEGALOPOLI PIÙ
CHIACCHIERATA DEL MONDO: NEW
YORK. SARÀ IL LOOK DEGLI ESTROSI
PERSONAGGI DI “GOSSIP GIRL” A
FARCI DA GUIDA
rogrammare un viaggio negli Usa spesso appare,
nell’immaginario collettivo, un’impresa omerica, di
quelle che si compiono una volta nella vita e per le
quali si temporeggia, aspettando il momento giusto, o
una grande occasione. Pochissimi sono, infatti, i ragazzi
della nostra età che hanno visitato la Grande Mela, simbolo di successo e ricchezza. Attraverso, però, il mezzo di
comunicazione per eccellenza, la Tv, tutti abbiamo un’idea
piuttosto definita del lifestyle del Nuovo Mondo, in particolare grazie alla proficua produzione cinematografica e
alle innumerevoli serie televisive. Ultimamente un telefilm
di nome Gossip Girl, che racconta i pettegolezzi di un
gruppo di liceali dell’Upper East Side, nel cuore di Manhattan e del lusso, ha spopolato in tutta Europa riecheggiando il successo che ebbe Beverly Hills 90210, ambientato a Los Angeles, negli anni ’90. Si può dire che Gossip
Girl abbia lanciato non una sola tendenza, ma delle vere
P
e proprie mode a seconda dei personaggi d’ispirazione,
portati a sfoggiare un gran numero di abiti diversi per via
di quotidiane occasioni mondane.
La “reginetta” Blair Waldorf, famosa per i suoi party a tema, ha scatenato un amore sfrenato per gli accessori, in
particolar modo per i cerchietti e le fasce per capelli, rigorosamente infiocchettati. Quello di Blair è uno stile molto elegante e raffinato, sempre adatto all’occasione, composto e mai volgare, seppure stravagante: basti pensare
che, in una scena, ha indossato impermeabile arancione
e calze gialle! Interessante, per altri versi, è la figura di
Jenny Humphrey. Pur abitando a Brooklyn e non essendo
ricca come Blair, Jenny è altrettanto invidiata e riesce a entrare in competizione con lei perché ha stile da vendere.
La piccola Humphrey segue tendenze più casual e a volte
trasgressive, senza indugiare di fronte a calze a rete e mini dai colori accesi, oppure a kilt e stivaletti stringati.
Gossip Girl rappresenta un variopinto affresco dei gusti e
delle tendenze giovanili: appassionati di shopping, non
perdetevi la terza serie!
A cura di Lorenzo Palaia, 19 anni
IN
TE
RN
ET
Duemiladieci: fine degli anni zero o
anno zero?
I (nostri) buoni propositi per l’anno
nuovo
nche il web dà il suo giudizio su questo pezzetto di storia che si sta chiudendo. Analisi più
o meno nostalgiche degli avvenimenti accaduti
si susseguono nei blog, nei vari gruppi nati nei social
network, accompagnate da sintesi dissacranti e pessimistiche che a volte non lasciano spiragli di speranza
nemmeno per l’anno appena iniziato.
In effetti, il simbolo che su più di un sito viene usato
per rappresentare questa epoca è proprio lo zero: un
grande ovale completamente vuoto, come è vuoto il nostro portafogli di valori andati in crisi, materialmente
prosciugato dalla depressione economica (e col 2010 si
chiude la serie degli “anni zero”: 02, 03, 04...).
Un decennio di catastrofi, insomma, ancora più in declino degli anni Novanta, tanto che gli avvenimenti-simbolo citati sono quasi tutti negativi: Bush, Putin, Berlusconi, i mancati accordi sul clima, le calamità naturali,
la repressione del G8 di Genova, l’euro, la xenofobia, le
guerre, i problemi bio-etici mal risolti, la crisi economica, la politica-spettacolo e lo spettacolo-politica, il tutto aperto con l’attentato dell’11 Settembre e chiuso con
le aggressioni a Berlusconi e al Papa.
Ma non è tutto nero, perché il decennio è stato segnato anche da una notevole crescita tecnologica che ha
influenzato la vita di tutti (basta pensare a Facebook,
Google, Youtube e l’I-Pod) e da una buona produzione
culturale - nel web impazzano le classifiche per il miglior film, il miglior romanzo…, non disdegnate neanche
dalle grandi testate come La Repubblica e Il Fatto Quotidiano. Insomma, se proprio zero deve essere, che almeno sia preceduto, o subito seguito, da un più.
a rete, al suo secondo decennio di vita globalizzata, vive un grande momento di espansione. E’
lo strumento di comunicazione decisamente più in
crescita, tanto che secondo Highway.it nel nostro Paese
il 50% della popolazione dai 15 anni in su usa Internet
tutti i giorni o quasi. Non solo: il 10% degli internauti italiani si informa sui blog - quello di Beppe Grillo è il nono
più visitato al mondo (!), il primo è Huffington Post.
Il successo dei social network, poi, negli ultimi anni è stato planetario, ma accanto a questo convivono gli insopportabili condizionamenti che l’informazione su web ha
subito e continua a subire in varie parti del pianeta. Uno
specchio della società, ecco che cosa è Internet; ci si trova di tutto: da chi vende a chi compra, da chi racconta a
chi è violento e infrange la legge; e in particolare questi
ultimi stanno creando non poche polemiche. La discussione sui contenuti illegali o pericolosi in rete sta toccando il punto nevralgico di contatto tra il rispetto della legalità e la libertà di espressione: sono venute a galla in
questi giorni le restrizioni previste dalla nuova Legge su
internet e tv, come il rispetto del diritto d’autore anche
per i video che vanno su Youtube. Di questo e di altre
questioni parleremo nei prossimi numeri.
Tenteremo di capire come Internet si sta organizzando per
porsi accanto ai bisogni e ai desideri della società del nuovo decennio, senza ovviamente trascurare di esaminare i siti di interesse socio-culturale offerti dal web (come abbiamo
sempre fatto). Porremo, poi, particolare attenzione a fenomeni come il giornalismo partecipativo, che caratterizzano e
migliorano qualitativamente il web ormai da tempo, e che
sono sempre più in crescita nella comunità degli internauti.
A
L
TI
O
N
TI
VO
A cura di Lorenzo Brunetti, 19 anni
PARADOSSI CATODICI
TRA SENTIMENTALISMO VOLGARE E INTRATTENIMENTO TRASH,
BARBARA D’URSO, SEDICENTE ICONA GAY DELLA TV TARGATA “5”, È
RIUSCITA A SUSCITARE L’INDIGNAZIONE DELLA COMUNITÀ DI CUI SI
PROCLAMA PROTETTRICE
a televisione italiana è la peggiore d’Europa e su
questo non ci piove. Ma ho sempre pensato che il
buonismo e la bigottagine dei palinsesti nostrani
potessero paradossalmente avere un lato positivo: se è
vero che ogni sperimentazione innovativa sul piano stilistico e del linguaggio è considerata totalmente impraticabile (con la convinzione che al pubblico, che continuiamo ad identificare con l’asticella dei grafici auditel,
non bisogna dare nulla di più di ciò che si aspetta),
speravo almeno che questo atteggiamento potesse essere un freno anche per la pericolosa “deriva cinica” del
trash. E invece no, e Barbara D’Urso ne è la prova.
Dopo aver presentato il Grande Fratello (ma alla Bignardi lo abbiamo perdonato…), è stata la madrina, con
scarsissimo successo, del reality La Fattoria, finendo per
approdare all’edizione italiana del format internazionale Lo Show dei Record. La bella signora si è divertita a
presentare al pubblico l’uomo più basso del mondo (un
ragazzo di 24 anni affetto da una grave malattia che lei
L
Voto 1
Barbara D’Urso
coccolava come fosse un neonato) accompagnato dall’uomo più alto; la donna con il seno più grande (un’afroamericana affetta da una deformazione fisica alla
quale la D’Urso ha fatto battute del tipo “chissà com’erano contenti i tuoi compagni di classe!”), oltre a una
serie di squilibrati mentali (vi cito solo un uomo che si
è sottoposto a una serie di interventi chirurgici per assomigliare il più possibile ad un gatto). Ditemi se questo non è cinismo trash.
Ma era solo l’inizio. Di lì a poco Barbara D’Urso è diventata la signora incontrastata del palinsesto di Canale5: Mattino5, Pomeriggio5, Domenica5… un incubo!
Dopo la serie di simpatiche trasmissioni che finiscono
tutte con “5”, però, ha cominciato a pretendere di occuparsi (tra una tetta e un fondo schiena) di approfondimento giornalistico. E così si sono incontrati i grandi
mali della televisione italiana: l’intrattenimento trash e
il sentimentalismo volgare. Domenica5 inizia sempre
con un dibattito sui temi più vari, che spaziano dai casi di attualità al costume, con gli interventi di qualificati opinionisti come Alba Parietti, Alessandro Cecchi Paone e Rosita Celentano, mentre Vittorio Sgarbi è arbitro
della discussione.
Trans e omosessualità sono tra gli argomenti preferiti,
perché più di altri si prestano a scatenare bassissimi dibattiti rissosi a sfondo omofobo. La D’Urso, nonostante
sia la voce del regime, continua a dirsi vicina alla causa omosessuale e ad autoproclamarsi icona-gay. Ma lo
fa con frasi incredibilmente idiote e discriminatorie tipo:
“io adoro i gay!”, e la comunità gay si è stancata.
Sul sito gaywave.it si legge: «La conduttrice ha stancato con tutti questi proclami di affetto verso la comunità
lgbt, dal momento che si sono rivelati poco sinceri se
diamo un’occhiata al modo in cui ha lasciato che gay e
trans venissero tranquillamente offesi durante le sue
trasmissioni. (…) Durante l’epica lite sull’omofobia scatenata da una frase del cattolico Maurizio Ruggiero, il
quale dall’inizio del dibattito ha apostrofato i gay con
epiteti come “sodomiti”, la signora D’Urso ha lasciato
correre aspettando la rissa per risollevare gli ascolti del
suo contenitore (…). Io sono pazza di gioia: del fatto di
essere la signora della domenica, ma soprattutto di essere diventata un’icona gay, come Raffaella Carrà ha dichiarato Barbara ad un settimanale. Amerai pure i tuoi
collaboratori gay, come hai avuto modo di dire nell’intervista, ma la tua indifferenza fa più male degli insulti
che ci lanciano. Pertanto, aspetta a nominarti icona gay
e ad equipararti alla Carrà!».
M
RU
FO
A cura di Jacopo Zoffoli, 20 anni
IMMIGRATI: UNA MEDICINA
AMARA DA DILUIRE?
IL TETTO DEL 30% DI STRANIERI NELLE CLASSI SERVIRÀ A FAVORIRE
L’INTEGRAZIONE – COME NELLE INTENZIONI DEL MINISTERO – O DI
FATTO CREA UNA DISCRIMINAZIONE? ECCO LE OPINIONI
DEI NOSTRI LETTORI
Cosa ci aspetta in futuro?
Considerando il punto di partenza,
la proposta leghista di creare delle
classi per soli immigrati – con la
scusa che così possono imparare
meglio l’italiano e apprendere i
nostri costumi, magari conversando
col compagno senegalese o col
vicino di banco ucraino – verrebbe
quasi da plaudire alla proposta
gelminiana di un tetto del 30% di
studenti stranieri in ogni classe.
Questa proposta, al di là delle
considerazioni sul razzismo che
qualcuno ha formulato, è però
inattuabile, dato che oggi ci sono
già molte classi con ben più del
30% di studenti stranieri. Che
facciamo? Li cacciamo via, anche se
sono regolari e perfettamente
integrati?
Spiega a “la Repubblica” la preside
Chiara Conti (dirigente della scuola
elementare di via Narcisi a Milano):
“Scuole come la mia elementare di
via Narcisi, dove il 60 per cento dei
ragazzini sono stranieri, sono il
futuro. Nelle classi trovo quella
società colorata e armoniosa che da
ragazza avevo osservato per la
prima volta, con stupore, sulla
metropolitana londinese”.
Come se non bastasse, sempre su
“la Repubblica”, Stefano Merlini
(docente di Diritto costituzionale a
Firenze), aggiunge: “Questa
disposizione è lesiva dell’autonomia
della scuola e della libertà
d’insegnamento, garantiti dai primi
due commi dell’articolo 33”. E
ancora: “L’intervento del ministro
dell’Istruzione rischia anche di
violare gli articoli 2 e 3 della
Costituzione. Rischia di essere una
norma discriminante”. Infine:
Il ministro dell’Istruzione Mariastella
Gelmini nell’insolita veste di “maestrina”
“Questi atteggiamenti centralisti e
neoautoritari mi pare contrastino
nettamente con lo sviluppo del
federalismo così caro alla
maggioranza di governo”.
Non pretendiamo che la Gelmini
ascolti i consigli degli avversari,
ma almeno per Schifani
(esponente del suo partito e
Presidente del Senato) potrebbe
fare una piccola eccezione.
Schifani ha detto saggiamente che
non si deve toccare la prima parte
della Costituzione.
Dopo le classi per soli stranieri e il
tetto del 30%, si aspettano nuove
proposte. Tanto la scuola pubblica
è uno “stipendificio”, un “Ente
inutile”. O no?
Di Roberto Bertoni, 19 anni
A quando il “30% di
persone castane”?
Articolo 26 della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani:
“Ogni individuo ha diritto
all'istruzione”, “l’istruzione deve
promuovere la comprensione, la
tolleranza, l'amicizia fra [..] i
gruppi razziali e religiosi”. Questa
legge di certo non favorisce
integrazione o tolleranza.
Oltretutto è stata proposta dalla
Lega, che come sappiamo non è
esattamente un movimento
attivista in favore dell’inserimento
degli immigrati.
La percentuale di studenti
stranieri non favorirà alcuna
integrazione, servirà soltanto a
assegnare una categoria A o B ai
cittadini, a decretare quanti
“diversi” possono essere ammessi
nei ristretti gruppi delle classi.
Inoltre, il numero di immigrati
aumenterà sempre di più, mentre
le classi diventeranno sempre
meno e con un maggior numero di
studenti per favorire i tagli. Cosa
facciamo, ci inventiamo dal nulla
nuove classi in cui smistare i vari
30% che avanzano da quelle
15
esistenti?
Di questo passo non ci resta che
aspettare il momento in cui
diranno che la percentuale
massima di persone castane per
classe è del 30% in favore del
70% di gente bionda. I veri
problemi della scuola non sono le
classi degli immigrati, sono i tagli
finanziari e al personale, gli edifici
maltenuti, la qualità negata, i
servizi negati. Si sa, lo si ripete
da mesi. Quello degli immigrati è
una tematica minore, la fretta con
cui si cerca di ovviare alla loro
collocazione e “integrazione” e la
risonanza con cui se ne parla sui
media sono solo un comodo
modo per mascherare i veri danni
perpetrati nell’ombra dal governo.
Di Serena Mosso, 18 anni
Non bocciamola subito
La mia visione filantropica della
vita mi porterebbe a rifiutare una
scelta del genere da parte del mio
Paese. Tuttavia vi è anche una
visione realistica che spesso fa
capolino tra i miei pensieri, infatti
a mio avviso è vero che avere
molti stranieri in classe,
intendendo per stranieri però
coloro che non parlano la lingua
italiana, può essere difficoltoso
per il normale svolgimento delle
lezioni.
Bisogna comunque fare attenzione
che questo atteggiamento non
venga amplificato fino
all’esaltazione! Per esempio non
trovo né corretto né produttivo
introdurre classi solo per stranieri,
perché l’italiano si impara solo a
contatto con altri italiani, perciò,
almeno da un lato, l’idea del
ministro Gelmini è positiva.
Forse la cosa migliore da fare, per
evitare che si rallenti troppo il
ritmo della classe, sarebbe un test
selettivo per poter smistare gli
allievi stranieri nelle classi a loro
più adatte. In questo modo i
numerosi stranieri che, vivendo
nel nostro Paese ormai da tempo,
parlano un italiano corretto non
verrebbero danneggiati o
penalizzati. In cuor mio, però,
spero che tutti questi
provvedimenti non nascondano
ideali più radicali e meno nobili.
Di Cristina Fiandaca, 18 anni
Preservare le identità
di ciascuno
Quando si affrontano temi delicati
come quello dell'integrazione, la
prima cosa da fare è liberarsi da
pregiudizi di ogni genere sorta. Ciò
che dovrebbe interessare noi italiani,
visti il momento storico,
l'anacronismo e l'infondatezza delle
teorie che vorrebbero bloccare
totalmente l'immigrazione verso
l'Italia e l'Europa, è far sì che gli
extracomunitari si integrino nella
società italiana condividendone e
rispettandone usi, costumi, lingua,
tradizioni, insomma quelle istituzioni
che costituiscono la nostra identità.
Per raggiungere un simile risultato
occorrerebbe che ogni classe fosse
organizzata in modo tale da
rispettare i bisogni, le capacità, i
tempi di apprendimento di ciascuno.
Perciò, a mio modo avviso, quello
che ci vorrebbe nella scuola è una
separazione, a livello di
composizione delle classi, fra gli
allievi italiani e quelli extraeuropei:
agli italiani sarebbe garantito il
diritto all'istruzione con i ritmi e i
tempi che sono permessi in una
classe composta da individui dotati
già degli stessi mezzi basilari MINIMI
per l'apprendimento (conoscenza
della lingua e della scrittura), agli
extracomunitari il rispetto doveroso
della loro identità (sempre
nell'ambito di un percorso che porti
all'integrazione). Per gli allievi
immigrati e provenienti da realtà e
culture completamente diverse,
occorrerebbe inoltre garantire
insegnanti madrelingua, da
affiancare agli insegnanti italiani, in
modo da favorire sia la
conservazione della propria identità
linguistica e culturale, sia
l'integrazione con quella della
società italiana che li ha accolti.
Di Samuele Sicchio, 20 anni
Non sono una
medicina amara!
Secondo il ministro della Pubblica
istruzione Mariastella Gelmini è
necessario porre un tetto massimo
del numero di studenti immigrati per
classe, che non dovranno superare il
30%. Gli immigrati probabilmente
non conoscono ancora alla
perfezione la lingua e quindi hanno
bisogno di maggiori attenzioni da
parte dell'insegnante, attenzioni che
verrebbero sottratte agli studenti
italiani in loro favore; infine la loro
“diluizione” in più classi potrebbe
favorire l'integrazione degli stranieri.
Perché dovrebbero essere “diluiti”?
Mica sono una medicina amara che
si è costretti ad assumere! Esistono
ragazzi immigrati, come italiani, che
non hanno grande interesse per
l'istruzione e preferirebbero poter
lavorare, ma esistono anche stranieri
che vedono nell'istruzione una
possibilità di crescita sociale e di
riscatto. Le possibilità d'integrazione
non vengono ridotte se ci sono più
stranieri nella stessa classe perché
l'integrazione non avviene solamente
tra italiani e stranieri ma anche tra
stranieri e stranieri; bisogna infatti
riconoscere che l'Italia del futuro non
sarà composta solo da “Italiani
DOC” ma è già e sarà sempre più
multiculturale e quindi l'integrazione
dovrà avvenire anche tra immigrati e
immigrati. Le attenzioni che gli
insegnanti rivolgono agli stranieri
possono giovare anche ai compagni,
che in questo modo senza dover
lasciare il paese possono conoscere
altre culture anche molto differenti.
In che modo è stato deciso che il
40% è troppo il 20% è troppo poco
mentre il 30% è il numero giusto? Se
una legge simile entrerà in vigore
sarà palese che non esistono uguali
diritti; bisognerebbe promulgare
anche una legge che limita il numero
di belle ragazze per classe perché
distraggono l'attenzione dei
coetanei?
Di Nicole Michelin Salomon, 17 anni
Immigrazione
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BENVENUTO IN ITALIA
LE VIOLENZE IN CALABRIA CI FANNO ANCORA UNA VOLTA RIFLETTERE
SULLA NOSTRA ARRETRATEZZA RISPETTO AI PROBLEMI
DELL’IMMIGRAZIONE. CON UNA DOMANDA IN PIÙ: PERCHÉ SI SPARA
CONTRO I NERI E NON CONTRO LA ‘NDRANGHETA?
di Matteo Marchetti
Italia brucia. La buona, sana, laboriosa Italia di
provincia brucia. Ad appiccare l’incendio, manco a
dirlo, i soliti immigrati. Abitanti di tuguri, incivili,
sporchi. Negri. Violenti, sfaccendati, pericolosi. Negri.
Stranieri, braccianti, sfruttati. Negri, per l’appunto.
Rosarno, provincia di Reggio Calabria, per un giorno
Alabama, terra d’origine e proliferazione del Ku Klux Klan.
È il 7 gennaio, le vacanze di Natale sono appena finite.
Solo che quest’anno l’Epifania, oltre alle feste, sembra
portarsi via tutte le illusioni che hanno popolato questi
anni. La rivolta esplode nel primo pomeriggio, un corteo
e poi un saccheggio, auto bruciate, barricate. Dagli abituri che straripano di umanità disperata erutta una colata di
rabbia cieca. I braccianti, clandestini e sottopagati, anziché tornare a chinare il capo di fronte all’ennesima mattinata di reclutamento caporalesco, escono in strada e
distruggono tutto. Rapida la reazione della popolazione:
fucili a pallini e bastoni, si spara nelle strade e nei campi.
Basta che tu sia nero e il tuo destino è segnato.
L’
Mancavano solo pece, piume e cappi per impiccare i negri
ai lampioni, poi sarebbe stato tutto una cartolina degna
del peggior Deep South americano, dove i linciaggi pubblici (approvati dalle autorità) sono cessati poco più di
cinquant’anni fa. Praticamente ieri. E poi dicono che gli
immigrati distruggono le tradizioni…
Nelle reazioni sta tutto l’ennesimo, gravissimo fallimento
della politica. «È colpa della sinistra e del suo buonismo»,
«No, della destra e del suo immotivato autoritarismo, del
clima di intolleranza costruito da due anni di sparate contro i clandestini». Un po’ e un po’, in fin dei conti. A
Rosarno si è dimostrato, una volta di più, che l’Italia sull’immigrazione è ancora in mare aperto: mentalmente
siamo ancora alla prima ondata, a quando gli stranieri
arrivavano alla spicciolata, pochi per volta; purtroppo,
però, siamo da tempo entrati nella seconda generazione,
gli immigrati, regolari e non, sono ormai quasi dieci milioni e noi siamo ancora qui a discutere se sia giusto o meno
farli entrare. Manca una visione politica di lungo periodo,
comune alle varie tendenze che vogliono governare il
Paese, o almeno sostengono di volerlo fare.
Pensare che le persone arrivino in una città, sgobbino per
17
Manifestazione antirazzista a Roma;
a fianco, intolleranza a Napoli
quanto serve e poi spariscano dalla nostra vista è ridicolo; l’idea che, stretti dalla fame e attanagliati dal desiderio di “fare fortuna”, aspettino compostamente in fila che
il padroncino di turno ne richieda l’importazione al
Ministero è una favola. I clandestini esistono da quando
esistono le frontiere, e non sarà certo la faccia feroce di
Bobo Maroni a cancellarli. Il centrodestra è fermo al filo
spinato, alla cultura dei muri, alla limpieza de sangre, a
un’idea di società bianca e cristiana, monolitica e immutabile, senza ricordare che l’Italia è stata una società
monoetnica non per scelta o abilità politica, ma suo malgrado: era un Paese da cui si andava via, non dove si cercava di entrare.
Guardando dall’altra parte, però, si è forse ancor più
preda dello sconforto. Incuranti delle varie “svolte”, dei
cambiamenti di nome, di simboli, di riferimenti culturali,
le teste di buona parte della sinistra italiana sono rimaste
al Pci e alla sua incrollabile fede – di derivazione marxista – nell’inarrestabile evoluzione positiva delle società.
Ehi, gli italiani hanno imparato (?) a non essere fascisti,
che non bisogna sparare nelle strade per vincere contese
ideologiche, che la flessibilità è un’incancellabile condizione del lavoratore moderno, impareranno pure a non
essere razzisti, no? No, purtroppo: la società italiana ha
imboccato la direzione opposta a quella auspicata. Gli
anni Novanta hanno portato due novità nella vita degli
italiani: da una parte, il lavoro assumeva forme nuove,
meno garantite, arrivava la “delocalizzazione” a ridurre le
tutele e i salari; dall’altra, cominciavano ad affacciarsi “gli
altri”. In mancanza di un’elaborazione politica, come evitare che si identificasse la prima novità (disoccupazione,
chiusura di fabbriche, concorrenza al ribasso sul mercato
del lavoro e dei salari) con la seconda? Ah, dite che non
era possibile evitarlo? Infatti è successo.
Nella testa del cittadino medio, del famoso “uomo della
strada” – di cui ci si cura solo quando si vuole far piombare il livello dialettico della politica a bassezze indegne
di una rissa da incrocio stradale – sono stati loro, i “negri”
oggi e i rumeni non più di cinque minuti fa (il bersaglio
cambia a turno), a rovinare tutto. Prima avevamo posti
vitalizi, stipendi in continua crescita, sindacati potenti.
Ora, non abbiamo più certezze, i nostri quartieri sono
preda di criminalità e delinquenza (vagli a spiegare che
negli anni Settanta quegli stessi quartieri erano teatro di
sparatorie fra spacciatori e polizia o fra terroristi politici),
le nostre figlie sono preda di lazzi e nei casi più drammatici di stupri. E come ha risposto la sinistra, quella
forza che si riempie la bocca di parole come “popolo”,
“gente”, “lavoratori”? Facendo la faccia dolce, distribuendo ganascini e buffetti paternalistici. Voi non capite, è
stato detto a tutti quei camerieri, muratori e braccianti che
di colpo costavano troppo (rispetto a un clandestino, un
italiano chiede almeno il triplo del salario); questo è il
futuro. Infatti, nelle sue non frequenti comparsate al
governo la sinistra non ha fatto praticamente nulla, certa
che, aspettando sul ciglio della strada, presto o tardi la
soluzione sarebbe arrivata a passo di carica. Anzi, ancora
peggio: ha cercato di spiegare che il clandestino, in realtà, è buono, immacolato, perfetto, mescolando teoria del
“buon selvaggio” di Rousseau e italica faciloneria. In fin
dei conti, non si sa chi sia stato più carico di pregiudizi.
È più razzista la destra che dipinge un’orda pronta a
distruggere il nostro Paese o la sinistra che sembra convinta che l’unica possibile salvezza passi per gli stranieri?
In attesa dell’ardua sentenza, che ovviamente e banalmente toccherà ai posteri, possiamo vedere chi razzista lo
si è ampiamente dimostrato. La rivolta di Rosarno è stata
scatenata dal ferimento di un africano (regolare, per giunta) a colpi di piombini, probabilmente da parte di un sicario della criminalità organizzata che gestisce il caporalato
agricolo. Come già a Castelvolturno (Na) nel 2008, sono i
“negri”, gli “inferiori”, a ribellarsi. Basta soprusi, basta
mafia, qui spacchiamo tutto. E la gente, il popolo, anziché
andare a ingrossarne le file, si mette a sparargli contro. Di
colpo, quei clandestini che buona parte del paese ha
sfruttato (nei campi, nelle case) come manodopera a bassissimo costo, quegli africani che fino al giorno prima non
davano nessun problema, andandosi a rintanare nei loro
tuguri subito dopo il lavoro, di colpo queste persone
diventano il nemico. Si sono ribellati ai caporali, e dunque alla ‘ndrangheta. Vanno puniti. Sarebbe stato meglio
se non fossero mai venuti, dicono tutti. Pochi giorni dopo
la rivolta, un corteo, partecipato anche da molti membri
delle famiglie mafiose locali, cercava di dimostrare che
Rosarno non è razzista. Magari non è razzista; molti suoi
abitanti, però, si sono dimostrati vigliacchi.
I rosarnesi strepitano contro uno Stato che li ha abbandonati nelle mani di feroci guerriglieri tribali, ma tacciono ogni giorno, mentre il loro territorio viene violentato da abusi edilizi di ogni genere e incendi. Cercando
notizie su Rosarno, i più si saranno imbattuti in un’agenzia del 21 settembre 2009. Un agguato mafioso
aveva spezzato la vita di Antonio Morano, 20 anni, mentre Salvatore Cellini, di anni 19, era stato ferito alla
testa. Per quanto la città abbia potuto piangere, nessuno è sceso in strada armato di fucile. Si vede che i killer della ‘ndrangheta non sono negri.
Buon per loro, potranno continuare a regnare indisturbati
sulla Calabria bianca e cristiana.
PS: A proposito di “confusione politica”, il Ministro
dell’Interno, Roberto Maroni, che ha passato buona
parte del suo incarico a cercare di istituire il reato di
clandestinità, ha annunciato che rilascerà regolare permesso di soggiorno ai clandestini feriti nel pogrom.
Invisibili di tutta Italia siete avvertiti: basterà farvi sparare nelle gambe per restare in questo bellissimo, accogliente Paese.
Primo piano
18
ACQUA AZZURRA
ACQUA CARA
PASSATO SOTTO SILENZIO, IL DECRETO RONCHI DI FATTO PRIVATIZZA LA RETE
IDRICA ITALIANA. «AUMENTERÀ L’EFFICIENZA», DICE IL GOVERNO. SARÀ:
PROPRIO A GENNAIO PARIGI HA RINAZIONALIZZATO LA RETE PROPRIO PER LA
MALAGESTIONE PRIVATA. E POI L’ACQUA È UN BENE O UN DIRITTO?
di Serena Mosso, 18 anni
Liceo Classico “Luciano Manara”
ancora troppo poco. Ma forse è ora di iniziare a discuterne, quantomeno per sapere in nome di cosa combatteremo le nostre guerre future, siano tra Stati o nostre
personali contro carovita e bollette.
e si beve qualcosa di insapore, si dice “Non sa di
niente, è acqua fresca”. La famosa canzone romana dice “c’hai messo l’acqua nun te pagamo”. Il
governo ha risposto a entrambi: per i primi, l’acqua
acquisterà un sapore, diventerà “salata”; i secondi probabilmente pagheranno ancora di più proprio per la
presenza dell’oro blu.
Perché di oro inizieremo a parlare, anzi, già parliamo,
dato che la privatizzazione dell’acqua non è una possibilità ma è già realtà da mesi. Una realtà di cui tra
“Vallettopoli”, escort, maggiorate del Grande Fratello e
statuette del Duomo volanti si è parlato pochissimo, se
non per nulla. Di cui, ad ogni modo, il singolo cittadino sa
Tutta acqua al mulino dei privati: il decreto Ronchi
Il 18 novembre 2009 la Camera ha concesso la fiducia
al Governo sul decreto Ronchi, con 320 voti favorevoli
e 270 contrari. Tale emendamento riserva ampio spazio
alla “promozione dell’ambientalizzazione delle imprese
e delle innovazioni tecnologiche finalizzate alla protezione dell’ambiente e alla riduzione delle emissioni” e
altri pomposi titoli come “gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche” o “riduzione dell’uso di sostanze pericolose, nonché allo smaltimento
dei rifiuti”. Tutti argomenti nobilissimi, dall’apparente
intento di voler migliorare la già compromessa situazio-
S
19
ne ambientale – compromessa dallo stesso Governo che
ha proposto il decreto Ronchi e che, ricordiamo, ha
avviato il ritorno del nucleare, per giunta già obsoleto,
sul suolo italiano. La fregatura si trova più giù, verso
l’articolo 15. Lì, tra un comma incomprensibile e oscure
frasi chilometriche, la mente determinata riuscirà a
decodificare le procedure per il “conferimento della
gestione dei servizi pubblici locali”. Questa è “a favore
di imprenditori o di società in qualunque forma costituite”, e ancora “a società a partecipazione mista pubblica e privata” che andranno “individuate mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica”. Infine
“l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico”, ma solo per situazioni eccezionali che “non permettono un efficace e utile ricorso
al mercato”, ovvero alle gare d’appalto. In parole povere: il decreto Ronchi dà il via alla liberalizzazione della
gestione dell’acqua per mano di compagnie in parte o
totalmente private. Che cosa accade alle istituzioni che
hanno gestito l’acqua fino ad oggi? “Cessano, improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte
dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011”. Ciò
vale per le società a partecipazione mista pubblica e
privata. Ma vediamo cosa succede alle “società a partecipazione pubblica già quotate in borsa”. Anche queste
“cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio”, ma possono riprendere la gestione “a condizione
che la partecipazione pubblica, si riduca anche progressivamente, attraverso [..] forme di collocamento privato
presso investitori qualificati e operatori industriali, ad
una quota non superiore al 30 per cento entro il 31
dicembre 2012”. Ovvero, se vengono messe in mano ai
privati fino al 70%. E se non lo facessero? “Ove siffatta condizione non si verifichi, gli affidamenti cessano
improrogabilmente […] alla data del 31 dicembre 2012”.
Le velenose reazioni
Da subito l’opposizione si scaglia contro il decreto,
mentre le “storiche” regioni di sinistra come Emilia e
Toscana non tardano a far sentire il proprio dissenso. Il
Pd accusa il governo di «favorire interessi privati e ben
identificati»; l’associazione per la tutela dei cittadini
Italia dei Diritti commenta: «L’acqua non è un bene, ma
un diritto». Il movimento inoltre si dichiara perplesso
riguardo al rischio che mafia, camorra e ‘ndrangheta
possano adoperarsi per mettere le mani anche sulla
questione idrica.
Dalla Regione Lazio si fa avanti Anna Salome Coppotelli,
assessore alla Tutela dei Consumatori, descrivendo questa come «l’ennesima ingiustizia del governo ai danni
dei cittadini. A questo punto qualsiasi diritto potrà essere
negato: se resteremo a guardare senza fare niente,
dopo l’acqua potrebbe toccare all'aria e poi chissà a
cosa». Appare grottesco, ma qualche anno fa lo sarebbe sembrato anche privatizzare l’acqua. L’Antitrust si
dichiara invece favorevole alle delibere del decreto
Ronchi, che realizza una liberalizzazione di cui sentiva
da tempo la necessità. Spiega Antonio Catricalà: «Non
significa che necessariamente si avrà una privatizzazione, ma si apre ai privati la possibilità di entrare nell’esercizio di questo servizio pubblico essenziale». Ma
vediamo gli effetti di questa apertura ai privati: secondo una dichiarazione del Codacons (Coordinamento
delle Associazioni per la Difesa dell'Ambiente e dei
Diritti degli Utenti e dei Consumatori) il rischio per i cittadini sarà quello di ritrovarsi un aumento medio del
30% sulle tariffe dell’acqua da qui a 3 anni, tempo stimato per la completa attuazione del decreto. Il Mdc
(Movimento per la Difesa del Cittadino) è meno ottimista e prevede un aumento fino al 40%. L’esito penalizzante per i consumatori è palese anche per i sindacati,
tant’è che Cgil, Cisl, Uil e Fiadel hanno indetto nei mesi
passati uno sciopero nazionale dei lavoratori addetti ai
servizi di igiene ambientale.
Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di
Legambiente, commenta il decreto come una dispersione e mercificazione del più grande dei beni comuni e la
sua approvazione come una manovra in cui il governo
non ha lasciato spazio a discussioni. Una manovra che,
se portata avanti insieme alle privatizzazioni in atto sul
suolo mondiale, potrebbe portare tre multinazionali in
meno di venti anni al controllo del 65% del servizio idrico europeo e americano.
Il Governo dimentica i fallimenti delle passate esperienze di
privatizzazione dell’acqua in altri Paesi, che non a caso
Sopra a sinistra il ministro per le Politiche
Europee Andrea Ronchi; a destra, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola; nella
foto grande, sfruttamento idrico in Cina
Primo piano
20
hanno sapientemente ritrattato. D’altro canto, non ci si
poteva aspettare altro dall’Italia, che acquista centrali
nucleari proprio quando il resto dell’Europa ne inizia lo
smantellamento. Ma tornando alla questione idrica, vediamo più da vicino cosa è accaduto ai tentativi di privatizzazione all’estero, in particolare alla vicina Francia.
Parigi fa un buco nell’acqua... e torna al pubblico
Anno nuovo, acqua nuova. Così la Francia decide di
festeggiare l’arrivo del 2010, dato che a partire dal 1°
gennaio ha posto fine alla gestione privata dell’acqua in
favore di quella pubblica. Eau De Paris, questo il nome
dell’Ente pubblico che prende il posto delle multinazionali Veolia e Suez dopo 25 anni di privatizzazione. Nel
1984 l’allora sindaco di Parigi Jacques Chirac aveva affidato il controllo delle reti idriche alla società mista
Sagep, di proprietà del Comune di Parigi per il 74% e
di Veolia e Suez per il 14%. La Sagep avrebbe dovuto
controllare i gestori privati, ma la distribuzione venne
affidata proprio a una società privata controllata da
Veolia e Suez, GIE, determinando una supremazia
schiacciante delle multinazionali nell’intero processo
idrico. Dagli anni ’80 a oggi la privatizzazione ha portato solo una crescita smisurata dei prezzi, di cui accertamenti fondati dell’Ufficio Servizio Pubblico 2000
hanno attribuito la causa alla stessa GIE. In molte regioni francesi si sta facendo pressione affinché le multinazionali abbandonino i contratti, mentre il Comune di
Parigi ha deciso di rendere nuovamente pubblica la
gestione dell’acqua. Chissà se anche in Italia bisognerà
attendere 25 anni per far sì che accada.
Chi vuole acqua chiara vada alla fonte: il caso Puglia
La Puglia rivuole l’acquedotto pubblico. La giunta regionale, guidata dal presidente Nichi Vendola, ha così presentato il 20 ottobre 2009 un documento per difenderlo dalle speculazioni. La delibera intende trasformare la
società Acquedotto Pugliese in un soggetto di diritto
pubblico e ha trovato l’appoggio del Forum Italiano dei
Movimenti per l’Acqua, oltre a quello di altre comunità
locali le cui risorse idriche sono attualmente in mano ai
privati, specialmente multinazionali francesi e americane. Luigi D’Oronzo, presidente della Federconsumatori
Puglia, commenta positivamente questa iniziativa, ricordando che «l'acqua è un bene essenziale e insostituibile per la vita, come previsto tra l'altro dall'art. 2 della
Costituzione e dalla Carta Europea dell'acqua»
Ammirevole tentativo, ma è come “pestare acqua nel
mortaio”: il decreto regionale non è bastato a far fare
marcia indietro al Governo, che evidentemente non si
cura né della Costituzione né della Carta Europea.
L’acqua cheta rovina i ponti: colpo di scena in Sicilia
Mentre in Puglia l’amministrazione tenta di salvare il
salvabile, in Sicilia non troviamo maggiore fortuna.
Siamo anzi nel bel mezzo di uno scontro politico. La
gara d’appalto per la gestione dell’acqua vanta un solo
concorrente, la Voltano Spa, affiliata a una associazione
di imprese private. La maggioranza dell’assemblea
dell’ATO idrico (l’azienda di gestione) ha bloccato per
trent’anni l’affidamento dell’acqua ai privati, ma la delibera non può essere ufficializzata. L’ostacolo? La maggioranza espressa è del 61%, insufficiente visto che il
regolamento richiede una maggioranza qualificata del
66%. Una norma che sembra essere stata fatta apposta
per penalizzare l’interesse pubblico, che viene pericolosamente incontro agli interessi della Voltano Spa, che
ha molti consiglieri in comune con l’ente pubblico. Sono
io oppure questo si chiama “conflitto di interessi”?
Forse va cercato proprio qui il motivo del mancato raggiungimento del quorum richiesto, chissà. E anche nella
sparizione dall’aula di due sindaci di centrodestra, che
al momento della votazione sono risultati assenti e
hanno impedito il raggiungimento del fatidico 66%.
Coincidenza? Io credo di no; semplicemente, un ulteriore esempio di come il sistema democratico italiano faccia acqua da tutte le parti.
Un tipico “nasone” romano; in alto, manifestazione
contro la privatizzazione dell’acqua a Roma
Ambiente
22
T RO P P O P I G R I
P E R S A LVA R C I
COSA FANNO GRANDI E PICCOLI DELLA TERRA PER CONTRASTARE GLI
EFFETTI DISASTROSI DELLE ATTIVITÀ DELL’UOMO SUL CLIMA? PER ADESSO
SI INCONTRANO, ABBASTANZA SPESSO, SPERANDO CHE NON SI AVVERI LA
PREVISIONE DI VONNEGUT
di Roberto Bertoni, 19 anni
difficile stabilire se la conferenza sul clima che si è
svolta a Copenaghen lo scorso dicembre sia da
inserire tra i successi o tra gli insuccessi nella
lunga storia delle trattative internazionali. Per un’analisi
dei fatti, senza entrare nelle dispute di stretta competenza dei climatologi, è opportuno soffermarsi soprattutto
sulle posizioni assunte dagli Stati Uniti nel corso del vertice. Il concreto impegno di Obama e della Clinton a ridurre le emissioni di gas serra e a contribuire al fondo di
cento miliardi di dollari l’anno per i paesi poveri, entro il
2020, segna un netto passo avanti rispetto alle chiusure,
ai veti e al disinteresse mostrati dall’amministrazione
Bush su questo problema.
Tuttavia, come ha sottolineato Angela Merkel, “l’offerta
degli Stati Uniti di ridurre le emissioni solo del 4% rispetto ai livelli del 1990 non è abbastanza ambiziosa”.
Costretto a fare i conti con lo scetticismo e con i veti della
Cina – potenza mondiale in ascesa che, giustamente dal
suo punto di vista, non ha alcuna intenzione di frenare la
propria crescita – Barack Obama ha impegnato una buona
parte della sua credibilità in complesse trattative, stretto
tra i “no” dell’ingombrante alleato e le richieste, più che
mai condivisibili, dei paesi del Terzo Mondo o in via di sviluppo, ai quali non possono più bastare i buoni propositi e le promesse che vengono rivolte loro dai tempi del
protocollo di Kyoto.
Dinanzi alla prospettiva accertata di un aumento delle temperature, peraltro già in atto – al punto che, continuando a
È
usare gas, carbone e petrolio con il ritmo crescente degli
ultimi anni, arriveremmo a scaricare, nel 2030, 40 miliardi di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera, il
doppio di quanto si immetteva nel 1990, con un conseguente aumento della temperatura di ben sei gradi –
grandi e piccoli della Terra si sono visti quasi obbligati a
riunirsi per cercare di arrestare una deriva che rischia di
portare al collasso l’intero pianeta. Tralasciando gli allarmanti dati forniti dal rapporto dall’Agenzia internazionale
dell’energia (Iea) appena pubblicato, è bene chiarire ai lettori quale sarebbe l’immediato effetto di questo balzo delle
temperature. Esso provocherebbe lo scioglimento della
calotta antartica e dei ghiacciai, mandando sott’acqua
numerose città (pare sia a rischio anche New York) e causando decine di milioni di vittime.
Un problema economico e politico: il “carbon leakage”
Per esporre con maggiore chiarezza alcuni punti cruciali
del vertice di Copenaghen, mi affido alle parole del climatologo Antonello Pasini del Cnr che nella rubrica “Il
Kyoto fisso” (sul sito on-line de Il Sole 24 Ore) ha scritto:
«In effetti ci sono forze economiche che spesso “remano
contro” le posizioni espresse dai singoli leader e sherpa
degli Stati impegnati nelle trattative. E così alcune nubi
possono rendere l'atmosfera meno limpida e chiara.
Faccio solo un esempio: una nube è sicuramente la questione della cosiddetta “carbon leakage”. Con questo termine si intende il processo per cui si osserva un aumento di emissioni di CO2 in un Paese (dove le emissioni
non sono regolamentate) in seguito ad una diminuzione di emissioni in un Paese con una politica climatica
23
RIDURRE I GAS SERRA SENZA IL NUCLEARE
Secondo Greenpeace – l’associazione
ambientalista che a proposito del vertice di
Copenaghen ha parlato di “misero fallimento” – l’Italia ce la può fare, ha cioè le risorse
per tagliare le emissioni serra del 70 per cento
entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990 senza
ricorrere all’energia nucleare. In che modo?
Innanzitutto impegnandosi per rispondere
positivamente alle aspettative dell'Europa,
che ha fissato il suo obiettivo: 20 per cento di
energia pulita entro il 2020.
Oggi il contributo delle rinnovabili alla domanda di energia primaria in Italia è poco sotto il 7
per cento, mentre il 93 deriva da fonti fossili.
Per aumentarlo, la prima mossa è potenziare
le misure di efficienza energetica, che permetteranno di ridurre l'attuale domanda di
energia di circa il 32 per cento al 2050. Dal
punto di vista della produzione di energia elettrica, invece, entro il 2050 le rinnovabili arriveranno al 76 per cento soprattutto per merito del solare, dell'eolico e delle biomasse
prodotte in modo sostenibile. Buona parte
del calore sarà ricavata usando collettori
solari e geotermici.
www.greenpeace.it
che prevede riduzioni in casa propria».
Al quesito che sorge spontaneo su come e perché possa
verificarsi un simile fenomeno, Pasini risponde: «Mettiamo
che esista un accordo trasversale tra "forze" esistenti in
vari Paesi per ottenere vantaggi reciproci. Ad esempio, un
Paese che ha ratificato il protocollo di Kyoto può essersi
mostrato virtuoso, diminuendo le proprie emissioni di gas
ad effetto serra pur aumentando la propria crescita economica, non perché viene aumentata l'efficienza energetica e dei processi industriali, o perché si sviluppano fonti
rinnovabili o per altre azioni virtuose.
Basta semplicemente chiudere gli occhi, o favorire indirettamente la delocalizzazione delle proprie imprese più
inquinanti verso i Paesi in via di sviluppo, dove non esistono limiti alle emissioni (il protocollo di Kyoto non si
applica), dove ci sono meno controlli, si può inquinare più
liberamente e si può sfruttare la mano d'opera locale a
basso costo e senza protezioni (sindacali, di sicurezza,
sanitarie, ecc)».
Vedete quanto è politico ed economico questo problema,
all’apparenza esclusivamente climatico? A rendere ancora
più complessa la sfida per la riduzione delle emissioni di
gas serra, è proprio il fatto che non tutti si sono ancora
resi conto di quanto risparmio, energetico e monetario,
possa derivare dalla cosiddetta “green economy”.
Una ragione per essere ottimisti
Quello che può sembrare, ed in parte è, un atroce gioco
al massacro perpetrato dai paesi che maggiormente inquinano l’atmosfera, in realtà, è soprattutto la mela avvelenata della scarsa lungimiranza che ha caratterizzato negli
ultimi anni i governi delle nazioni più industrializzate.
A voler essere sinceri, dal vertice di Copenaghen ci si
aspettava molto di più, specie da determinati paesi, e non
c’è motivo di essere soddisfatti di fronte alle immagini dei
dimostranti che manifestano per chiedere ai leader mondiali di evitare che il pianeta precipiti nel baratro.
Nonostante tutto, questo vertice, assai deludente a livello di risultati concreti, ci ha permesso di vedere all’opera
su un piano così delicato la nuova America del premio
Nobel Obama, così diversa da quella con il volto cinico di
Bush. È l’unica ragione per essere ottimisti e guardare al
futuro. Sappiamo che è poco, che non basta, che bisogna
fare molto di più; ma è comunque un buon modo per
esorcizzare le parole del compianto romanziere americano
Kurt Vonnegut: “Se tra cent’anni arrivassero qui gli extraterrestri o gli angeli, e ci trovassero estinti come i dinosauri, quale messaggio potremmo lasciare loro, magari
inciso a grandi lettere su una parete del Grand Canyon?
Probabilmente avremmo potuto salvarci, ma eravamo
troppo pigri per sforzarci… e maledettamente spilorci”.
Questo vertice, assai deludente
a livello di risultati concreti, ci ha
permesso di vedere allʼopera la
nuova America del premio Nobel
Obama, così diversa da quella con il
volto cinico di Bush
Ambiente
24
WELCOME TO PECHINHAGEN
I MOVIMENTI DI OPPOSIZIONE AL VERTICE SONO STATI OGGETTO DI UNA
REPRESSIONE DURISSIMA, CONDOTTA ANCHE CON METODI NON
DEMOCRATICI. IL DIARIO DI VIAGGIO DI UNA PARTECIPANTE
di Annalisa Citoni, 21 anni
Ultima spiaggia per la Terra, ci hanno detto. I potenti del
mondo confluiscono a Copenaghen per rimediare a un
secolo e mezzo di scriteriata condotta verso l’ambiente.
Serve un accordo forte, vincolante per tutti. La piattaforma dell’Occidente è chiara: è colpa nostra, ora però a
riparare i danni siano tutti, anche i Paesi in via di sviluppo, soprattutto i Paesi in via di sviluppo, che a loro volta
rispondono che, non essendo i responsabili, non sta a
loro intervenire. Nessuno vuole fermare la gigantesca
macchina che sta uccidendo il pianeta, nessuno è pronto
a mettere in discussione il proprio stile di vita per fermare la desertificazione o lo scioglimento dei ghiacci. Questo
vertice è una bufala. Il mondo non può essere salvato da
chi lo ha martoriato per decenni. Forse, però, da noi sì.
11 dicembre – Si parte
La capitale danese è tirata a lucido, preparata al vertice da
mesi. Una martellante campagna pubblicitaria approntata
dal governo ha ricoperto la città di manifesti con le facce dei
capi di Stato che parteciperanno ai lavori.
Quando si pensa alla Danimarca, almeno qui in Italia, è difficile non immaginarsi una specie di Paradiso in terra, una
Disneyland della socialdemocrazia e del welfare. Un sistema
avanzatissimo, sussidi e aiuti per tutti, studenti, famiglie,
bambini, anziani. Invece di una città solare e gioiosa, però,
al nostro arrivo ci scontriamo con una realtà diversa: camionette della polizia ovunque, posti di blocco che fermano
anche le biciclette, un elicottero fisso sopra le nostre teste.
Ci siamo sistemati in un capannone ufficialmente adibito a
“Media center” e in realtà meraviglioso rifugio per la notte.
Scopriamo che due dei nostri compagni – tra cui il nipote
del sindaco di Venezia Cacciari – sono già finiti nelle maglie
della prima massiccia operazione di arresti.
Ansioso di ben figurare davanti ai mass media di tutto il
mondo, il governo danese ha infatti approntato un piano
di ordine pubblico incentrato sull’arresto preventivo. Dalla
prima azione, condotta da circa trecento persone, sono
tornati meno della metà. Gli altri, tutti dentro, fermati in
quanto “potenziali violenti”: non serve che si faccia qualcosa di illegale, basta essere contrari allo spirito del summit per essere bollati come criminali e venire fermati per
un tempo che varia dalle sei alle dodici ore. Per aiutare la
polizia locale sono confluiti agenti dalla Svezia e dal resto
d’Europa: prova generale della “polizia europea”?
12 dicembre
Ci incontriamo sotto il Parlamento danese. Un concentramento enorme, che riunisce un mondo intero, dagli indios
che combattono la deforestazione in Amazzonia ai clown
metropolitani. Tra i partecipanti è diffusa la sensazione di
essere presenti al battesimo di un movimento globale di
consapevolezza, figlio del movimento no-global, ma politicamente più maturo e dagli obiettivi meno sfumati. Il corteo
apre la settimana di “controvertice” e ha come obiettivo il
Bella Center, sede dei lavori delle delegazioni internazionali. Un corteo infinito, allegro, durato quasi sei ore, durante
il quale possiamo sperimentare di persona la preparazione
delle forze dell’ordine: nonostante i nostri ripetuti tentativi
di violare la “zona rossa” del vertice, la polizia riesce sempre ad anticiparci. Mentre la testa avanza, arrivano dalle
retrovie notizie allarmanti. L’arrivo al Bella Center ci costa
quasi duecento arresti, senza che si sia verificato un solo
atto di violenza o teppismo, senza una vetrina spaccata o
un’auto danneggiata. Basta riunirsi in più di tre persone per
essere considerati un’adunata sediziosa e venire condotti in
una delle aree di fermo allestite per l’occasione. Sparita la
paciosa Danimarca, ci siamo trovati proiettati nella Prussia
di inizio Novecento.
Precisazione doverosa: scordatevi Genova e il G8 del 2001.
I fermi preventivi, gli arresti immotivati, le sirene spiegate
che squarciavano la notte sono condotte attribuite da
tutti, giornali danesi compresi, a una volontà politica, a
un ordine del governo spalleggiato dagli organismi
25
dell’Unione Europea. Qui la polizia non è violenta, gli agenti – anziché abbandonarsi a pestaggi e altre vessazioni che
abbiamo fin troppo vive nella nostra memoria (la “macelleria messicana” della Diaz, Bolzaneto, le botte alle Acli e ai
pensionati) – hanno un meraviglioso sorriso nordico piantato sulla faccia, quasi fossero consapevoli di rappresentare ai
nostri occhi il sogno della socialdemocrazia. Niente manganellate nella folla, niente “legittima difesa” a colpi di pistola: tutt’al più, una spruzzata di spray urticante al peperoncino. Venivano ad avvisarci: attenti, state per entrare in
una zona non autorizzata, potremmo essere costretti ad
arrestarvi. Prevenire è meglio che curare. Disarmante
per noi, abituati a ben altre condotte e altre provocazioni, non riuscire a identificare la repressione con una
divisa, con una prevaricazione, con una violenza organizzata. È una macchina più grande di noi e di loro, le
condotte individuali non contano. I manifestanti vengono portati via così, senza botte o percosse, con una
rude gentilezza che impediva alla rabbia di unirsi alla
frustrazione per essere stati portati via innocenti.
14 dicembre
Sono seguiti due giorni di mobilitazione individuale,
sono stati bloccati i lavori del porto, sono scesi in piazza gli agricoltori. Oggi, però, è il giorno di un nuovo corteo, in nome di chi è costretto ad abbandonare la propria terra desertificata: i rifugiati climatici. Stesso copione del 12: corteo pacifico, tentativo di disobbedienza
civile, fermi di massa. Nel pomeriggio Christiania, la
famosissima comune della città, ospita un dibattito con
Naomi Klein e Micheal Hardt sulle conseguenze del riscaldamento globale.
Da dentro il capannone si sente l’eco di scontri lontani, poi
cominciano ad arrivare i candelotti lacrimogeni. Sul perimetro della comune i più facinorosi erigono due barricate per
cercare di attirare le forze dell’ordine, di fatto sequestrando
tutti quelli all’interno. In pochissimo tempo arriva ad accecarci il faro di un elicottero; siamo frastornati ma convinti di
essere al sicuro (in fin dei conti eravamo lontani dagli scontri), ma ben presto la linea del “fronte”, arretrando sotto i
colpi della polizia, finisce per includerci. Veniamo fatti sedere per terra. In sottofondo, a dare un tocco surreale alla
scena, uno stereo ancora acceso suona Bob Dylan. Dopo
due ore veniamo ammanettati e portati nelle “gabbie di
Ikea”, quadrati di tre metri per tre che contengono fino a
dieci persone. Ci portano coperte, acqua, ci lasciano andare
al bagno, ma non ci dicono perché ci hanno fermato. Questo
è il lato oscuro del vertice, “Pechinaghen”: il più fondamentale diritto giuridico occidentale, l’habeas corpus, l’obbligo
di dichiarare il motivo di un arresto, è stato violato. Durante
la nostra detenzione abusiva veniamo a conoscenza di
situazioni paradossali, ragazzi trattenuti quattro giorni dopo
essere arrestati davanti a una rosticceria, o perché sorpresi, stranieri e vestiti in un certo modo, in capannelli di
tre o quattro persone. Ci fanno uscire alle sei del mattino,
ma ci lasciamo dietro Luca, che verrà liberato soltanto il
7 gennaio (potete ascoltarlo dopo la sua liberazione su
www.globalproject.info). La città, intanto, è sotto choc,
ma nell’aria si respira intensa la voglia di normalizzazione. Le autorità controllano tutto.
17 dicembre – Il ritorno
La Danimarca si è dimostrata molto diversa dai nostri
sogni: welfare avanzatissimo, morale aperta, servizi
impeccabili, eppure manca qualcosa. Manca una cultura
del dissenso, la possibilità di opporsi all’ordine costituito.
Tutto nella nostra esperienza scandinava sembrava dire:
questo è il migliore dei Paesi possibili, il sistema più
equo, quello in cui le opportunità sono davvero garantite
per tutti. Cosa puoi volere di più? Una persona di buon-
senso non può non essere felicissima in questo ovattato
paradiso statale; qualsiasi rivendicazione, qualsiasi
dichiarazione di alterità rispetto al sistema ti qualifica
automaticamente come “criminale”. I ragazzi danesi ci
guardavano come alieni, per loro il governo non è affatto
un nemico, il governo è giusto e basta. Sono trent’anni
avanti a noi in termini di assistenza, di servizi, di benessere, ma è un Paese fossilizzato, le coscienze sono addormentate. Certo, può sembrare la terra promessa, ma i
danesi non sembrano più in grado di accorgersene; è una
prigione dorata, un sistema in cui ogni possibilità di evoluzione è preclusa dall’assenza di quel sano conflitto fra
le componenti della società che ne determina la tensione
verso un miglioramento. Per loro, l’evoluzione delle cose
è finita qui. Per il movimento globale no.
In questa e nella pagina a
fianco gli scontri in piazza
Test
26
ECOLOGISTI O PIGRONI?
RACCOLTA DIFFERENZIATA, ENERGIE RINNOVABILI, SPOSTAMENTI A IMPATTO
ZERO: FIN DOVE SI SPINGE LA VOSTRA COSCIENZA ECOLOGICA? RISPONDETE
ALLE DOMANDE DEL TEST E SCOPRITE IL PROFILO CHE FA PER VOI
di Emanuele Colonnese
A
B
C
Come vai a scuola la mattina?
Scuola? Mattina? Andare? Ma dico, stiamo scherzando?
Mi faccio venire a prendere da qualche amico
motorizzato che magari è di passaggio... non avrò
mai contribuito per la benzina, ma la vera gratitudine - si sa - non ha prezzo!
Ovviamente a piedi, o meglio ancora in bicicletta,
che fa molto alternativo di sinistra. Eh no, non ho
la limousine di papino con autista parcheggiata
dietro l'angolo!
B
C
A
A
B
C
A
B
C
A
Raccolta differenziata!
La differenza è che a buttare l'immondizia ci vanno
mamma o papà, fosse per me potremmo pure trasformare casa in una discarica a cielo aperto!
Eh sì, magari usiamo pure due o tre sacchetti di
plastica per dividere i vari tipi di rifiuti (con quello che costano ’sti sacchetti no eh!)…
Se è per questo io ‘differenzio’ di tutto, se spulciate nelle tasche dei miei jeans ad esempio, troverete un ottimo fertilizzante per le melanzane
biologiche che coltivo sul balcone!
L'automobile dei tuoi sogni...
Quella che mi viene a prendere sotto casa pure
per fare due metri, meglio se comoda e spaziosa, così ne approfitto per un pisolino durante il
tragitto...
Quella di Fred Flinstone, pratica ed economica...
altrimenti va bene chiunque abbia voglia di scarrozzarmi gratis!
Quella elettrica che non può andare veloce e
neanche troppo lontano... al massimo comincerò
a spostarmi di meno!
L'innalzamento globale della temperatura...
Vuol dire che terrò il condizionatore a palla tutto il
B
C
A
B
C
giorno, tanto pagano mamma e papà. E visto che
dopo il diploma farò lo studente universitario fuori
sede, tra un Erasmus e l'altro continueranno a pagare loro ancora per molto, moltissimo tempo.
Magari sarà la volta buona che mi trasferisco in
Siberia, tanto con l'Euro abbiamo pure il cambio
favorevole.
Un problema molto serio di cui ci dobbiamo occupare; io, per esempio, ho smesso di usare acqua
calda per lavarmi, anzi, a dirla tutta ho smesso di
lavarmi e basta – è tutta natura!
Fonti di energia rinnovabili!
Vuol dire che si rinnovano da sole, senza che io
debba muovere neanche un dito? Allora ci sto –
pollice alzato per l'energia rinnovabile.
Vuol dire che si rinnovano da sole e non pagheremo più le bollette? Allora ci sto pure io, tanti bei
soldoni risparmiati per rimpinguare il materasso Yuhuu!
Ho sempre sostenuto che le fonti d'energia rinnovabili siano il futuro di un mondo migliore e più
pulito, ma i consensi riscossi tra pigri e taccagni
della terra mi fanno pensare che forse ho sempre
pensato la cosa sbagliata... Boh?!
Una ragione per essere ottimisti?
Ho deciso di non usare più l'automobile – mi faccio portare a casa direttamente da un corriere
espresso tutto quello che mi serve!
Non saprei... magari avete intenzione di premiare
chi risponde al test con un bell’assegno?
Uhm... per esempio, che il costo della benzina
sta di nuovo salendo e, quindi, se non quello
dei pigri, noi ecologisti sostenitori delle fonti di
energia rinnovabili avremo dalla nostra parte
almeno il sostegno dei taccagni che vorranno
risparmiare a tutti i costi!
LEGGI IL TUO PROFILO A PAG. 59
PartecipAzione
27
PROGETTI E IDEE PER CRESCERE, INSIEME
COME SI DIVENTA GIOVANI IMPRENDITORI OGGI? QUALI LE IDEE
VINCENTI PER USCIRE DALLA CRISI? LE RISPOSTE DELLA CONSULTA
GIOVANI DOPO IL MEETING INTERNAZIONALE DI PARIGI SU
“IMPRENDITORIA GIOVANILE E LAVORO IN TEMPI DI CRISI ECOMONICA”
Di Enrico Deabate, 21 anni
Ambasciatore della Consulta Giovani del Piemonte per la Rete Regionale Europea dei Giovani
er essere imprenditori ai giorni nostri bisogna
curare dentro di sé un pizzico di follia”, disse
un grande imprenditore giusto due anni fa,
prima che prendesse piede la crisi economica che stiamo
ancora attraversando.
Ora, alla luce di questa frase pronunciata in momenti non
sospetti, verrebbe da chiedersi quanto un giovane, neodiplomato o neo-laureato, che vuole diventare un imprenditore, debba essere pazzo, poiché la stretta del credito e
la già nota diffidenza delle istituzioni nello scommettere
su progetti innovativi, dovrebbe chiudere tutte le strade
che portano alla realizzazione di questo progetto.
Ma le strade per diventare un imprenditore non sono chiuse, anzi, si sono allargate ed è proprio lo sviluppo di questa via per l’entrata nel mondo lavorativo il tema del Meeting della Rete Regionale Europea dei Giovani che si è tenuto a Parigi dal 10 al 12 dicembre 2009, intitolato “Imprenditoria giovanile e lavoro in tempi di crisi economica”.
All’incontro, organizzato dall’Assemblea delle Regioni
d’Europa, ho partecipato in qualità di delegato dalla Consulta Giovani del Piemonte, insieme a 110 ragazzi provenienti da 230 Regioni europee. Con Parlamentari Europei,
Presidenti di Consigli Regionali ed esperti della Commissione Europea abbiamo sviluppato un proficuo lavoro in
gruppo e in assemblee plenarie, dove abbiamo approfondito queste tematiche e scambiato idee e progetti intrapresi e da intraprendere a livello regionale e nazionale nei
paesi europei.
Da quest’approfondito confronto si è concluso che, per
uscire dalla crisi in cui siamo precipitati, sono necessari progetti e forze nuove, che possono essere riscontrate solo nei giovani. Infatti, in tutta Europa, ogni Stato
sta cercando di incentivare politiche giovanili incentrate
sullo sviluppo dell’imprenditoria giovanile e questo sta
“P
avvenendo secondo diverse linee guida, che si basano su
tre concetti fondamentali: educazione, facilità di sviluppo
ed esperienza. A livello europeo, infatti, si sta cercando di
integrare i programmi scolastici con lezioni di imprenditoria, seguendo l’esempio dell’ Inghilterra dove questo programma è già attivo nella Scuola Media Inferiore.
Si sta anche snellendo la burocrazia per l’avviamento e lo
sviluppo d’impresa in diversi paesi, soprattutto in quelli
in via di sviluppo, come la Polonia dove per costituire una
società bisogna compilare un solo foglio; infine, si sta
puntando molto sull’esperienza che un giovane europeo
può acquisire tramite i progetti messi in atto dalle istituzioni europee, come in Italia con le numerose possibilità
offerte dalle politiche giovanili nazionali.
Se questi concetti fondamentali saranno seguiti da tutti
gli Stati membri, l’Europa uscirà dalla crisi più stabile, più
forte e soprattutto più giovane.
LA CONSULTA GIOVANI DEL CONSIGLIO
REGIONALE DEL PIEMONTE
Istituita dal Consiglio regionale del
Piemonte nel 1996, è composta da rappresentanti
di associazioni giovanili, consulte studentesche, istituzioni scolastiche e universitarie, consulte giovanili
degli enti locali, consulte regionali, organizzazioni
sindacali e di categoria, movimenti politici giovanili
e gruppi consiliari regionali. Svolge attività di proposizione e di consultazione nell'elaborazione degli atti
e delle leggi regionali riguardanti i giovani e promuove progetti, ricerche, incontri e dibattiti pubblici
sui temi attinenti alla condizione giovanile.
www.consiglioregionale.piemonte.it/giovani
[email protected]
GIORNALISTI
CON UN
BASTA UN COLPO DI MOUSE PER ENTRARE
NELLA REDAZIONE DI ZAI.NET E FAR PARTE DEL
GRUPPO DI REPORTER PIU' GIOVANI D'ITALIA.
LORO L'HANNO FATTO...
Cos’è Zai.net?
Un network che prende vita nelle varie edizioni della rivista mensile
(nazionale, Lazio e Liguria), nel sito, nella radio e nelle tante iniziative che
coinvolgono le scuole di tutta Italia.
Dove si trova il mensile?
Zai.net non si compra in edicola, ma arriva direttamente a scuola, in
classe. Per ricevere la tua copia a casa, puoi abbonarti
individualmente andando sul sito www.zai.net e seguendo le
istruzioni alla voce “Abbonamenti”.
Come si entra a far parte della redazione?
Basta scrivere un’email alla redazione ([email protected]), oppure
cercare il gruppo Zai.net su Facebook: noi vi teniamo al corrente sul
percorso degli articoli e vi forniamo le dritte per svolgerli al meglio. Le
distanze non contano, contano solo l’entusiasmo e la voglia di scrivere.
Come si finanzia Zai.net?
Finora ha spesso contato sul contributo economico di Enti pubblici e
privati che ne condividevano l’approccio innovativo e le finalità
formative. Ma la parte più cospicua dei costi è da sempre sostenuta
dalla nostra cooperativa di giornalisti, Mandragola Editrice.
Info: [email protected] - tel. 06 47881106
ELISA, 15 ANNI
Ho conosciuto Zai.net grazie alla
mia professoressa di italiano, che
lo utilizza come un vero e proprio
laboratorio di scrittura. Anche se
ho appena preso contatti con la
redazione, già mi sento a casa e
spero di riuscire presto a
pubblicare qualcosa di mio e a
dare un contributo.
MIRKO, 15 ANNI
La prima volta che ho sfogliato
questa rivista è stato grazie a mio
fratello maggiore, che ci
pubblicava degli articoli. Così ho
cercato di imitarlo, ed eccomi qua!
All’inizio pensavo che sarebbe stato
difficile affrontare la sfida, ma poi
ho capito di poter imparare molto.
GIULIA, 17 ANNI
Leggo Zai.net da un bel po’, ma
pensavo che non fosse semplice
collaborare. Poi un giorno ho
mandato un’email e ho subito
ricevuto la risposta... incredibile!
Adesso ricevo spesso gli inviti della
redazione a scrivere per il forum e
nella rubrica delle recensioni.
30
EMERGENTI:
Quattro band da non
perdere!
MUSICA
32
INTERVISTA:
L’amore secondo Dente
Musica
30
Oyster
APPUNTAMENTO
CON L’EMERGENTE!
NON VOLETE PERDERVI LE NOVITÀ
CHE MYSPACE E IL WEB RISERVANO
AGLI ASCOLTATORI PIÙ ESIGENTI?
ECCO QUALCHE DRITTA PER
DISTRICARVI NELLA GIUNGLA DELLE
BAND EMERGENTI: VE NE
PROPONIAMO QUATTRO DI TUTTO
RISPETTO CHE, NE SIAMO CERTI, IN
UN MODO O NELL’ALTRO FARANNO
SENTIRE LA LORO VOCE!
di Chiara Colasanti, 19 anni
Amn3sia
Questi quattro ragazzi ternani (e lo dico con orgoglio,
essendo miei concittadini!) si incontrano per creare qualcosa nel “lontano” 2006 e cominciano ad esibirsi nei locali della zona e dei dintorni come cover band. Nel maggio
Amn3sia
31
Rock e condividono il palco con The
Get Up Kidz, The Briggs, The Gaia
Corporation. Ora sono in giro per promuovere il loro album: cercate la data
più vicina a voi su myspace!
www.myspace.com/cinderellasrevenge
Oyster
2006, dopo aver cambiato line-up, sono pronti per far
sgorgare dai loro cuori i propri brani, così incidono il
primo EP. L’anno successivo la band partirà alla volta del
Majestic Studio a Scorzè (VE) per registrare il primo
album, Non ci posso credere, che vanta la collaborazione
di Nicolò Gasparini (voce degli Scacciapensieri). Da qui
sono stati estratti due singoli che hanno spopolato nel
2008 in due compilation a tiratura nazionale (Berkeley
Dream Compilation e Spritz Compilation). Luca, Francesco,
Marco e Sasha hanno le idee ben chiare: nel loro futuro
c’è la musica. Come dar loro torto? Il talento non manca
certo! Date un’occhiata: www.myspace.com/amn3siapunk
e non uscitevene poi con “Non ci posso credere”!
Gli Oyster nascono nel 2007 e si impongono nel panorama musicale romano
come un gruppo di influenza prettamente british e blues/rock della musica
americana degli anni ’70 e ’80. Grazie
agli estimatori del genere, più che felici
di essere deliziati da un gruppo con
così tanto talento, arrivano a incidere il
primo album di inediti nel 2009: Meaning. Il gruppo è
composto dal cantante e tastierista Matteo Menduni, dal
batterista (nonché ideatore del progetto) Leonardo “Paul”
Falchetti, dai due chitarristi Alessandro Sepe e Mirko De
Rossi e dal bassista Alessio Barba. In attesa del nuovo cd
(che dovrebbe vedere la luce intorno all’estate 2010), gli
Oyster continuano le loro serate in giro per il centro Italia
e sponsorizzano il cd tramite canali mediatici quali web,
radio e televisioni locali. Per maggiori informazioni, fate
un
salto
sugli
spazi
ufficiali
del
gruppo:
www.myspace.com/oysteronline,
www.youtube.com/theoystertube e, naturalmente, cercateli su Facebook!
Cinderella’s Revenge
Notimefor
I Cinderella’s Revenge nascono a Como nell’estate 2006
dagli amici Alessandro Manzi, Matteo Scattaretica e
Stefano La Porta. La primavera successiva si aggiunge
Mattia Molteni e a metà 2008 entra a far parte della
band Gionata Salvioli. Dividono in questi mesi il palco
con Lost, Dari, Melody Fall, The Electric Diorama, Airway,
Your Hero, Dufresne e altri protagonisti della scena
emergente italiana. I ragazzi si ispirano alla scena
emo/screamo e pop/punk americana, dando vita a una
originale miscela che in Italia li distingue per la capacità di fare canzoni fortemente melodiche, potenti e
aggressive allo stesso tempo. Nel gennaio 2009 il gruppo entra in studio per registrare Fireworks Will Break
The Silence, uscito a
settembre
2009.
Nell’agosto 2009 vengono chiamati per suonare all’Eastpak Etnika
I Notimefor si formano nel 2006 dopo svariati concerti
e la registrazione del singolo Behind the Scenes.
Questo gruppo milanese di ragazzi tra i 18 e i 21 anni
incontra, nel 2008, Andrea Fusini, che diventa il loro
produttore esecutivo. Registrano i singoli Cut off the
movie e You say yes che riscuotono immediatamente un
inaspettato successo sul web. A pochi mesi di distanza
debuttano con l’album Dress up to get down, pubblicato anche in Giappone. Per gran parte del 2009 sono
impegnati in tour tra Italia, Francia ed Austria, che riserva loro piacevoli sorprese e nel quale riscuotono incredibili apprezzamenti, diventando così uno dei prodotti
del “sottobosco musicale” più gettonati del periodo. Il
3 ottobre 2009 Dress up to get down esce in Italia e su
iTunes. Andate a dare un’occhiata alle tappe del tour su
www.myspace.com/notimefor e godetevi il bellissimo
spicchio di web da dove riescono a renderti partecipe
del loro sogno e, cosa indispensabile, del loro innega-
Notimefor
Cinderella’s Revenge
Intervista
32
SEMPLICEMENTE,
DENTE
VOLTO NUOVO DELLA SCENA INDIE POP ITALIANA, HA UN’IDEA
TUTTA SUA DI COSA SIA LA LIBERTÀ ARTISTICA… E NON
DISDEGNEREBBE IL PALCO DELL’ARISTON
di Lorenzo Palaia ed Elena Proietti Rocchi, 19 anni
ossibile che il vincitore del PIMI (Premio Italiano per
la Musica Indipendente) 2009 voglia andare a
Sanremo? In effetti Giuseppe Peveri (Fidenza, 1976),
in arte Dente, indipendente lo è ma a modo suo. Non ci
sono ideologie, né posizioni estetiche di particolare rigore di mezzo: ce lo ha confessato lui stesso. Non si pensi
però che sia uno di quei musicisti pronti a sacrificare la
qualità artistica per i soldi: scrive solo per motivi personali, odia X-Factor e non ama mettersi in mostra. L’attività
musicale inizia a diciotto anni, prima coi Quic e poi coi
LaSpina, ma nel 2006 c’è la svolta da solista che lo porta
a pubblicare tre album con due etichette indipendenti nel
giro di tre anni e a partecipare con il brano Beato me al
progetto Il paese è reale. Viene paragonato ad artisti del
calibro di Fabrizio De André, Rino Gaetano e Lucio Battisti,
anche se afferma di non volersi definire un cantante, né
di ispirarsi ad uno stile particolare solo per il gusto di
farlo. Nonostante i temi un po’ ripetitivi, vuole scrivere
una musica che duri nel tempo e per farlo sceglie le forme
del moderno indie pop, con la formazione combo tradizionale affiancata dai tipici suoni elettronici. Per farvelo
conoscere più da vicino, l’abbiamo intervistato nel corso
P
di una delle nostre trasmissioni radiofoniche.
Che cosa vuol dire essere un artista in una casa discografica indipendente?
«Credo che in realtà sia più facile dal punto di vista umano
lavorare con un’etichetta indipendente, ti assicura quasi gli
stessi vantaggi di una major ma con una più ampia libertà
artistica, e questo per un musicista è fondamentale».
La tua scelta non è stata, quindi, dettata dalla volontà di
boicottaggio delle major?
«Non le voglio boicottare, dato che può capitare di trovarcisi in mezzo! Anzi, a dire il vero, in questo momento
collaboro con due editori che sono major, quindi un po’ ci
sono già dentro. La piccola etichetta è stata una scelta di
circostanza: quando l’ho fatta, nessuna major si era proposta. Dopotutto però, anche se ho avuto delle proposte
importanti negli ultimi tempi, credo che almeno per un po’
resterò dove sono».
La tua musica sembra un po’ anacronistica: che valore le
attribuisci? Ci possono essere stili che si adattano ad una
determinata epoca e basta?
«Dipende da cosa intendi per anacronistica! Io ho sempre
amato quei dischi che si possono ascoltare in ogni
momento, quindi più che anacronistici direi che sono
senza tempo, penso ad esempio a Revolver dei Beatles:
lo ascolti oggi e suona bene, è un disco che non ha tempo
33
Dente durante le sue esibizioni
anche se è stato fatto negli anni Sessanta, un disco che conper esempio a Quel mazzolino o anche a un nome che
tinua ad essere molto moderno, non invecchia, andava bene
ricorre spesso nei tuoi brani, Irene.
negli anni Settanta, andava bene negli anni Ottanta. Se que«Sì, è autobiografico al 100% tutto ciò che scrivo».
sto vuol dire “anacronistico”, per me è un buon risultato.
C’è un pubblico in particolare a cui ti rivolgi oppure sei
Certo non voglio dire di aver fatto un’opera paragonabile
aperto a qualsiasi tipo di ascoltatore?
all’album dei Beatles, però il mio stile e i miei suoni voglio«No, non mi rivolgo a nessun pubblico in particolare, non
no essere buoni in generale. Oggi un disco di cinque anni
scrivo con l’intento di andare a colpire un target preciso
fa suona già male, suona come una cosa vecchia, a diffeperché non mi interessa, sono cose che vengono dopo,
renza di un pezzo di Endrigo, i cui suoni rimangono connon riguardano secondo me il fatto di scrivere canzoni, io
temporanei e ti aprono il cuore».
scrivo perché ne ho bisogno».
Alcuni critici ti paragonano a Battisti o De André; cosa
Che cosa pensi dei nuovi modi di commercializzare la
pensi del tuo genere? A chi ti ispiri e
musica in TV? Mi riferisco per esemin quali stili credi di rientrare?
pio ai reality show, o anche a
«Non mi ispiro in particolare a qualcuAnzi, andresti mai a
Oggi un disco di Sanremo.
no quando scrivo una canzone, perché
Sanremo?
prima di comporre un pezzo non scel- cinque anni è già una «A Sanremo ci andrei anche, con qualcogo uno stile preciso, non è un generisa che mi piace, con una bella canzone
cosa vecchia,
co gusto estetico che mi guida: gli
sicuramente. Se parliamo di altre cose,
a differenza di un
spunti e le ragioni sono altre, tutto ha
come per esempio può essere X Factor,
pezzo di Endrigo,
origine da motivi molto personali. Ho
penso che siano semplicemente delle
cominciato a suonare molto tardi, a i cui suoni rimangono gare tra interpreti, che hanno lo scopo di
circa vent’anni, prima ero un assiduo
capire chi è più bravo a fare una cosa;
contemporanei e ti però io credo di fare tutt’altro, nel senso
ascoltatore, cioè compravo dischi e
studiavo i pezzi; credo quindi che tutto
che non essendo un cantante tecnico, io
aprono il cuore
quello che ho sentito e che mi è piami esprimo come mi viene, non ho mai
ciuto emerga adesso pian pianino
studiato e non voglio neanche essere un
quando scrivo una canzone. Riguardo all’influenza di
professionista, voglio usare la mia voce per quella che è, per
Battisti, sicuramente c’è, e penso che si senta anche, però
affermare quello che voglio dire».
non ho mai voluto dire: “ah, faccio questo giro piuttosto che
Benissimo. Prima di salutarti avevo una curiosità: perun altro perché è molto Battisti”, questo modo di fare musiché Dente?
ca non mi interessa».
«Perché è il mio soprannome, fin da bambino, sempliQuanto c’è di autobiografico nella tua musica? Mi riferisco
cemente».
36
VIVERE DI PERIFERIA:
Speciale fotografia con
Botto&Bruno
GIOVANI
CRITICI
42
CINEMA:
Nine, il musical
Speciale Vivere di Periferia
36
ENERGIE UNDERGROUND
STUFI DELLE SOLITE CITTÀ-CARTOLINA?
SCOPRIAMO INSIEME A BOTTO&BRUNO IL FASCINO E L’ENERGIA VITALE
DELLE PERIFERIE URBANE
Testo e immagini di Botto&Bruno
a nostra ricerca tocca argomenti in cui tutti si possono rispecchiare quali la perdita dell’infanzia, la
paura di un vuoto che è al tempo stesso fisico ed
esistenziale, il senso di solitudine metropolitano, l’at-
L
tesa di un qualcosa che forse non arriverà mai. A noi
interessa rivendicare una autonomia e una nuova concezione di vivere gli spazi urbani; infatti abbiamo sempre esplorato i luoghi di confine, ma lo abbiamo sempre fatto cercando in essi possibilità di rinascita.
Tutto ciò ci ha portato ad interessarci alle adolescenze
inquiete, ai suburb Kids che attraversano queste lande
37
desolate, alla ricerca di forme di aggregazione finalmente spontanee: abbiamo cercato di riflettere su che
fine avevano fatto i figli del proletariato; abbiamo cercato di dare un nome a questa nuova classe sociale, il
periferiato: chi è nato in periferia ha una percezione
dello spazio radicalmente differente, poiché per sopravvivere ricerca radici e nuove identità in questi spazi
generalmente considerati anonimi.
Le nostre periferie nascono da una ribellione allo stereotipo diffuso che le vorrebbe ancora come luoghi di
desolazione di degrado e di pura disperazione. Il nostro
lavoro é nato dalla ribellione al modello imposto dai
grandi media che pretendono di analizzare con assoluta superficialità la vita degli abitanti delle sterminate
periferie, nelle quali peraltro vive il novanta per cento
della popolazione. Il paradosso é che anche chi vive in
periferia finisce per farsi influenzare da questa visione
falsata: il martellamento a cui viene sottoposto quotidianamente dai giornali e dalla televisione é estenuante. Vorremmo cercare con il nostro lavoro di ribaltare
anche per un solo secondo questo luogo comune.
Vorremmo che il bambino che nasce in questi spazi non
cresca (come a noi é purtroppo successo) con la sensazione di sentirsi un cittadino di serie B a cui la possibilità di un futuro migliore é già stata negata in partenza;
subire questa convinzione crea di conseguenza la rinuncia a fare dei tentativi per cambiare le cose.
Partendo da queste considerazioni, abbiamo cominciato
all’inizio degli anni Novanta a girare per le periferie
della nostra città senza una meta precisa, con la nostra
Nikon a tracolla, arrivando fino a quando le strade
asfaltate della città terminavano e spingendoci oltre,
verso i cavalcavia, costeggiando il fiume fino a quando
non rimaneva che un palo della luce e una casa all’orizzonte. Attraverso questi vagabondaggi abbiamo riscoperto una dimensione del tempo assai più dilatata ed
un’esperienza vissuta della città
che solitamente nella routine quotidiana non si fa mai: si usa la
macchina, si prende un autobus
per andare al lavoro, si guarda la
città dai finestrini senza soffermarsi più di tanto su certi luoghi
all’apparenza anonimi e, dunque,
privi di ogni interesse. Invece proprio certi luoghi nascondono l’inaspettato. In quell’attimo il tempo e
lo spazio si dilatano e ciascuno di
noi può riappropriarsi dell’infanzia
che credeva perduta.
Di solito questi sono luoghi in
stato di abbandono che hanno
perso un’utilità produttiva: sono le
fabbriche dismesse che continuano ad esistere a fianco di anonimi
palazzoni; a volte é un prato incolto con l’erba cresciuta intorno ad
un muro di mattoni; altre volte
sono le scuole elementari che non
si capisce se sono ancora attive o
Disappearing house, 2005, stampa
vutek su pvc,cm 200x180,
courtesy Alfonso Artiaco, Napoli
Nell’altra pagina, Colors and the kids II,
2009, cm150x141, stampa su banner,
courtesy Galleria Alberto Peola, Torino
Accanto
no; altre volte ancora le aziende sanitarie locali; spesso sono architetture costruite negli anni Sessanta, con
una precisa ottica sociale che lentamente vediamo svanire sotto i nostri occhi. Vorremmo, per quanto ci é possibile, documentare tutte queste architetture che vanno
sparendo e che per noi sono organismi viventi, anche e
soprattutto quando abbandonate a se stesse; erano e
sono (le poche rimaste), lo stimolo per un’immaginazione non ancora addomesticata, i polmoni verdi dell’irrazionale in una città che alcuni vorrebbero trasformare
da organismo vivente a macchina di interscambio delle
merci funzionale al solo profitto, dove il tempo e lo spazio si riducono sempre più. Sono l’iconografia necessaria per la costruzione di un mito capace di custodire le
memorie di un’infanzia che anche nelle situazioni più
aspre sa trovare vie di fuga o, comunque, sa accettare
la quotidianità; sono le periferie dell’anima che noi
vogliamo sognare in quanto siamo convinti che proprio
Botto&Bruno sono nella giuria del concorso
“Vivere di periferia”; se partecipi con una
sequenza fotografica il tuo lavoro sarà giudicato da loro!
Vai sul sito, per partecipare c’è tempo fino
al 28 febbraio 2010
www.viverediperiferia.it
Vivere di periferia
38
Disappearing city, 2004, veduta
installazione, wall paper e pvc calpestabile, collage, La Caixa Forum,
Barcellona
nell’infanzia si é formata la nostra
attuale visione delle cose; la possibilità di mantenerne vivo il ricordo può rendere sopportabile la
vita da adulti.
Vogliamo liberarci dai codici a cui
il passato ci ha sottoposto soprattutto nella vecchia Europa, dove le
città sono strutturate spesso con
un centro in cui permane una estetica architettonica tradizionale e
una periferia totalmente rivolta al
futuro. Nelle città come Busan o
Seoul non esiste un centro, tutto
é periferia e siamo obbligati a
vivere la città in una maniera assolutamente nuova; non é questione
di meglio o peggio, ma sicuramente questa dimensione ci porta a fare uno sforzo: chi vive
in questi luoghi dell'ipermodernità é costretto ad accettarli per come sono.
In questo senso noi diciamo che chi vive in periferia é
sicuramente più adatto ad affrontare il futuro; quando
noi parliamo di periferie ci riferiamo a tutte le periferie
del mondo, ma tra la periferia di Seoul e la banlieue
parigina ci sono delle differenze che solo chi solitamente vive in periferia può notare. Chi si accontenta di
vivere nel centro città-cartolina con i suoi bei palazzi
queste problematiche non può comprenderle e rischia di
lasciarsi sfuggire il senso vero, nascosto, energetico,
Colors and the kids I, 2009, cm150x141, stampa su
banner, Courtesy Galleria Alberto Peola, Torino
underground delle città contemporanee: i laboratori delle
idee future sono lì in quei luoghi che continuiamo a definire anonimi, ma che in realtà nascondono al loro interno
musica, arte, creatività e nuovi modi per affrontare le cose
della vita.
Gianfranco Botto e Roberta Bruno sono
nati nel 1963 e nel 1966 e oggi vivono e
lavorano a Torino. Botto&Bruno iniziano la
loro collaborazione nel 1992; hanno partecipato a numerose rassegne internazionali,
tra le quali nel 2000 la personale dal titolo
“Under my red sky” al Palazzo delle
Esposizioni di Roma. Nel 2001 sono presenti
alla 49° Biennale di
Venezia curata da Harald
Szeemann con un progetto intitolato “House where
nobody lives”; nel 2002
sono invitati alla Biennale
internazionale di Busan in
Corea e, nel 2003, al
Mamco di Ginevra con
una mostra monografica.
Sempre nel 2003 realizzano
scene e costumi per “La
vergine della tangenziale”
per il Piccolo Regio con la
regia di Davide Livermore.
Nel 2004 sono chiamati a
fare un progetto site specific alla Caixa forum di
Barcellona; sempre nello
stesso anno una personale
al Mamac di Nizza. L’anno
successivo realizzano i
costumi e l’arredo scenico
per il “Don Giovanni” di
Mozart per il Teatro Carlo
Felice di Genova con la
regia di Davide Livermore.
Vivere di periferia
39
FRULLATO
GUSTO
FOTOGRAFIA!
NON È DIFFICILE DARE QUEL TOCCO
IN PIÙ ALLE VOSTRE FOTO: IMITARE
CHI È GIÀ PASSATO ALLA STORIA È
UN OTTIMO MODO PER INIZIARE, MA
POI BISOGNA FARE NOSTRI LO
SCATTO E IL MOMENTO
Esempio di diverso punto di vista. Un bar
e un chitarrista
Testo e foto di Elena Prati, 18 anni
Liceo scientifico “Galileo Galilei”
artiamo da un concetto basilare, semplice, ma non
così scontato. Sapete cosa significa fotografia? Chi
studia il greco lo saprà sicuramente, ma chi, come
me, al massimo conosce il latino, se ne renderà conto
solo attraverso la pratica: fotografia significa “scrivere con
la luce”. Suona poetico, vero? Sembra già qualcosa di più,
qualcosa di diverso. Eppure, è quello che fanno obiettivo
e macchina ogni volta che sentiamo click. Disegnano,
rigorosamente in bianco e nero, l’istante con la luce.
Un grande problema nato con l’avvento del digitale è il
cambiamento dell’idea di bella foto: “tanto se viene male
le ritocco”. Sbagliato! Sbagliato! Sbagliato! Se una foto
non è quella che vorreste, se c’è un palo di troppo, ad
esempio, buttatela, non serve a niente togliere il palo.
Vuol dire che quando scattavate eravate distratti.
Se nella vostra macchina fotografica (da oggi impariamo
a chiamarla “fotocamera”) disponete di oculare, dimenticate lo schermo e tornate al passato: inquadrate usando
un occhio e l’oculare! Perché? Perché l’occhio è il primo
anello della catena “cervello-cuore-stomaco”, quella che vi
permetterà di fare, finalmente, delle “belle” foto.
P
Una malattia chiamata passione
Tutto può essere interessante, ciò che rende qualcosa
banale è guardarla dal solito punto di vista. Ora, per fotografare è ovvio che vi serva un supporto. Ma sappiamo la
differenza?
Le fotocamere si dividono in amatoriali, professionali (o
reflex) e, per complicare ancora un po’ le cose, esistono
le cosiddette “bridge”, che sono un ibrido tra le prime
due. Naturalmente, ogni tipo ha i suoi pro e i suoi contro.
Chi non intende le foto solo come dei ricordi, ma vuole
provare, umilmente, a fare delle piccole opere d’arte, sceglierà le fotocamere professionali, nonostante siano
costose, pesanti, apparentemente difficili da utilizzare e
zeppe di funzioni che raramente utilizzeranno. Perché?
Perché con una fotocamera professionale siamo noi ad
avere il controllo sugli ISO, il diaframma, il tempo di esposizione e il flash. Sembrano nomi senza senso, ma, step
by step, spiegheremo tutto. Il lato positivo delle amatoriali, anche note come fotocamere compatte, è che sono
leggere e maneggevoli; ma fidatevi, se utilizzerete una
reflex non tornerete mai più a una compatta. Sopporterete
il peso dello zaino e risparmierete in funzione di un flash
o un obiettivo sempre migliori. Diventerà una malattia
chiamata passione.
Fuori dalle vostre scatole nere spuntano gli obiettivi,
anche loro suddivisi in innumerevoli categorie. Troveremo
“obiettivi zoom”, che sono obiettivo con escursione focale (cioè, ad esempio, un obiettivo 18-70 mm è un obiettivo il cui zoom varia dai 18 ai 70 mm) e diaframmi con
apertura maggiore o minore in rapporto alla qualità e,
necessariamente, al prezzo; per questo si dicono più
luminosi. Troveremo le “ottiche fisse”, obiettivi di qualità nettamente superiore agli zoom, ma meno adottati
UN LUOGO COMUNE DA SFATARE
La capienza della memory card. Le memorie sono supporti delicatissimi, meglio averne due o tre meno capienti e, proprio se vi
assiste la sfortuna, perdere le foto di una
memory, piuttosto che averne una unica
molto capiente e perderle tutte, no?
Vivere di periferia
40
(soprattutto da fotografi amatori) per motivi di prezzo e
peso. Un’ottica fissa molto comune è il 50 mm (chiamato
amorevolmente “cinquantino”), cioè un obiettivo che non
si può né ridurre né allungare. Sentirete anche parlare di
obiettivi “stabilizzati”: sono ottiche con un meccanismo
che riduce notevolmente il mosso.
La profondità di campo
Dobbiamo partire dal presupposto che ogni immagine è
suddivisa in piani che si allontanano dal nostro punto di
vista, e la loro messa a fuoco non è totale. E’ una scelta
meccanica che facciamo noi quando decidiamo che parte
dell’immagine vogliamo far prevalere. Il meccanismo di
messa a fuoco della fotocamera (che, in una reflex, controlliamo noi) semplicemente farà in modo che questa
scelta rimanga impressa sul rullino o sulla memory card.
Ovviamente, in tutto questo subentra la scienza ottica e
la conoscenza che noi abbiamo del nostro obiettivo: infatti, per far sì che una parte dell’immagine venga sfocata o
invece rimanga tutto perfettamente a fuoco, dovremo
impostare adeguatamente il diaframma.
Specifichiamo cosa intendo con diaframma. Un foro che si
può allargare e stringere, il meccanismo che fa entrare la
luce e che, quindi, disegna l’immagine. Necessariamente,
se un’immagine risulterà sovraesposta o sottoesposta,
significherà che il diaframma non è stato impostato correttamente o gli ISO (parleremo anche di loro) non sono
impostati correttamente, o che le condizioni di luce non
erano adeguate allo scatto. Tornando alla profondità di
campo: minore sarà il numero impostato del diaframma,
maggiore sarà la luce che entrerà, e anche lo sfocato nella
foto; mentre maggiore sarà il numero impostato del diaframma, minore sarà la luce, e la foto risulterà a fuoco.
La scala più diffusa è: 2,8 (tanta luce, tanto sfocato)-45,6-8-11-16-22 (poca luce, tutto a fuoco).
Citando il diaframma, non si può non parlare del tempo
di esposizione, cioè quella frazione di secondo che ci permette di fermare l’attimo che caratterizzerà la nostra fotografia. Le fotocamere, generalmente, vanno da un secondo (1”) fino a 1/1000 o 1/4000 di secondo. E’ chiaro che
Paesaggio. Meseta nel Camino de Santiago
più è rapido lo scatto, meno si rischia il mosso, ma è
tanto logico quanto non sempre praticabile, perché nel
momento in cui scattiamo la foto concorrono tantissimi
fattori, tra cui - è sempre lei - la luce. Inoltre, bisogna considerare gli ISO (sveliamo l’arcano: è la sensibilità della
pellicola virtuale. Più è basso il valore, meno è sensibile
la pellicola e maggiore sarà la luce; più è alto il valore,
più sarà sensibile la pellicola e minore sarà la luce disponibile, ergo, le foto verranno sgranate. Sicuro.) e il tipo
di obiettivo che usiamo.
Esempio di regola dei terzi.
Un semplice abbraccio tra
un fiore e una farfalla
La regola dei terzi
Ora che abbiamo riassunto brevemente queste poche
nozioni di base, possiamo parlare di qualche tecnica utile
per lo scatto. Una regola di cui sicuramente avrete sentito parlare è la cosiddetta “regola dei terzi”. Non è una
regola necessaria, ma come dicono innumerevoli saggi:
prima si imparano le regole, poi s’infrangono. Questa
regola si basa sul concetto secondo cui l’immagine deve
essere divisa in nove quadrati uguali e che, a cavallo delle
linee che li delineano, ci debbano essere gli elementi che
vogliamo far risaltare nella foto. Per semplicità si usa dire
che l’orizzonte dovrà essere a cavallo di una delle due
linee: la più bassa se si vuole far risaltare il cielo e la più
alta se si vuole far risaltare la terra. Allo stesso modo, se
faccio una foto di gruppo dovrò fare in modo che le teste
41
si trovino appena sopra la linea superiore. Addirittura, nell’immagine che vi propongo, non c’è nessuna di queste
due situazioni: c’è una farfalla, che è il soggetto della
foto, posta lateralmente. Questo cosa significa? Significa
che la regola dei terzi vale in tutti i casi, può valere ogni
volta che inquadrate! L’importante è averla stampata in
testa: una volta che l’avrete fatta vostra, potrete permettervi di dimenticarla (metaforicamente!).
LASCIATEVI SEDURRE DAL PAESAGGIO
URBANO E DALLA... PERIFERIA!
Un paio di dritte per la fotografia di paesaggi, ovvero, un paio di dritte su un tipo
di scatto che potrebbe servirvi per partecipare al concorso “Vivere di periferia”.
Quando parliamo di paesaggio, chissà
perché ci vengono sempre in mente colline e fiori, montagne e mare. In realtà,
anche il paesaggio urbano ha il suo
fascino ed è molto fotogenico! Esso ha il
grande pregio di presentarsi spesso
monocromatico e, quindi, si tende ad
acuire l’effetto trasformando le immagini
in bianco e nero, sminuendo i colori
“urbani” rispetto a quelli “agresti”. La
vera sfida, di fronte a un paesaggio
urbano è trovare lo scorcio che nella
quotidianità non si vede. Non immaginerete mai quanti amici stupirete, fotografando uno scorcio da un’angolazione
insolita! Praticamente, è consigliabile
fotografare un paesaggio con un diaframma il più chiuso possibile (affinché
sia tutto a fuoco) e con gli ISO a sensibilità minore. Lo zoom è a vostra scelta.
Lasciatevi ispirare.
www.viverediperiferia.it
Esempio di sfocato
NI N E
Cinema
42
MUSICAL DA 8 e ½
AMORE, FANTASIA, LUSSURIA, ELEGANZA, DELUSIONI, SOGNI:
ROB MARSHALL RENDE OMAGGIO A FEDERICO FELLINI CON UNA TRAMA
IRRESISTIBILE E UN CAST STELLARE
di Lorenzo Brunetti, 20 anni
utto è iniziato con Federico Fellini. 8 e ½ , il suo
capolavoro premio Oscar nel 1963, era il racconto
coraggioso, magico e surreale della crisi creativa di
un regista. Fu uno dei film più commentati, analizzati e
imitati di tutti i tempi. Ma dopo quasi cinquant’anni, 8 e
½ è diventato 9, e non è un’imitazione. La vorticosa girandola di immagini torna ad intrecciarsi ai tormenti di un
uomo di mezza età, che è un po’ Fellini stesso. Il regista
Rob Marshall (Chicago) rende omaggio a 8 e ½ tessendo
una trama originale e creativa, che mescola il teatro e il
cinema con una colonna sonora irresistibile.
Il film, che è l’adattamento cinematografico dell’omonimo
musical di Broadway, ruota attorno alle vicende del regista Guido Contini. Il suo lavoro e le sue donne, la moglie
Luisa, l'amante Carla, la sua musa Claudia e la defunta
madre, che gli appare sotto forma di fantasma, sono al
T
centro della storia.
Il cast è stellare: Penélope Cruz, Marion Cotillard, Judi
Dench, la divina Nicole Kidman e una stupenda Sophia
Loren, nei panni di mammà. Daniel Day-Lewis è nel ruolo
che fu di Mastroianni, e non potremo mai dire che regge
il confronto, ma è bello e bravo. La cantante Stacy
Ferguson, meglio conosciuta come Fergie, interpreta in
versione oversize una Saraghina più bella dell’originale
felliniana. E’ lei l’affascinate prostituta che riemerge dai
ricordi d’infanzia del protagonista. Kate Hudson, che
incarna una redattrice di Vogue, ci regala il balletto più
divertente del film.
Nine farà infuriare i cinefili italiani, coloro che vedono in
Fellini una specie di intoccabile divinità. Ma l’arte è anche
un gioco, un divertimento, e Fellini per primo lo sapeva.
Proprio per questo il film va preso per quello che è (e non
è poco), senza offendersi per i vari stereotipi e cliché
dell’Italia che ripropone.
La sontuosa e sensuale fotografia si ispira all’estetica
43
Una scena corale del musical; in
alto a destra, Sophia Loren, in
basso, Nicole Kidman
vibrante e personale del cinema italiano degli anni ’60,
quando era al suo apogeo. Questa esaltazione del nostro
cinema fa sorridere, amaramente, pensando alla pochezza delle produzioni di questi anni (a parte sporadiche
eccezioni). Il nostro è il Paese che ha dato i natali a
Fellini, Antonioni, Pasolini e Bertolucci, ognuno dei quali
ha contribuito a creare quello stile che ancora ci invidiano. Spaghetti, mafia, mammà, ma anche un’eleganza ineguagliabile, insomma.
I costumi sono estremamente ricercati e appariscenti:
dai body più semplici del corpo di ballo agli elegantissimi abiti da sera, l’energia femminile è vestita in tutti
i suoi aspetti. Sono stati utilizzati oltre un milione di cristalli Swarovski per adornare i costumi, inventando
disegni e composizioni cromatiche che fanno risplendere le protagoniste.
Alla conferenza stampa di Roma sono arrivate, a bordo
di Alfa Romeo d’epoca, una dopo l’altra Sophia Loren,
Penelope Cruz, Marion Cotillard, il regista stesso. Il pro-
tagonista Daniel Day-Lewis era a letto con la febbre. La
Loren, visibilmente emozionata, ha raccontato di quando fu proprio lei a consegnare l’Oscar a Fellini tra le
lacrime della moglie Giulietta. Erano presenti anche gli
attori del cast italiano della pellicola: Martina Stella,
Alessia Piovan, Monica Scattini, Remo Remotti.
E poi… una sorpresa: nelle riprese italiane del film sono
stati coinvolti anche gli stilisti Domenico Dolce e Stefano
Gabbana, che appaiono in un cameo nei panni di due
preti, ma attenti: potreste non riconoscerli!
Nine farà infuriare i cinefili
italiani… ma lʼarte è anche un
gioco, un divertimento, e Fellini
per primo lo sapeva
Musical
44
MIAOOOOO!
DOVEVA ESSERE SOLO UN FANTASTICO POMERIGGIO NELLA PLATEA DEL
MUSICAL PIÙ ATTESO DELL’ANNO, E INVECE LA NOSTRA GIOVANE
REPORTER È RIUSCITA PERSINO A ENTRARE DIETRO LE QUINTE PER
INTERVISTARE LA PIÙ GIOVANE DEI “CATS”, AZZURRA ADINOLFI
di Chiara Colasanti, 18 anni
inalmente arriva la grande serata: vado a vedere
Cats al Teatro Sistina di Roma! Non ci speravo, ma
grazie alla gentilezza di tutto lo staff, e in particolare di Sara Maccari, sono riuscita, in tre ore scarse, ad
ottenere un’intervista con la ragazza più giovane del cast:
Azzurra Adinolfi, classe 1988, che, devo dire, mi ha conquistata subito con la sua semplicità.
Sorvoliamo sul tremolio sospetto delle mie mani (le
gambe non si sa come ma hanno retto!), mentre entro nel
dietro le quinte del Sistina, e sulle orecchie drizzate mentre aspetto che Azzurra finisca di truccarsi. Intanto mi
godo la “vita del backstage”, assistendo a riscaldamenti
e vedendo quasi tutto il cast al completo: chi aggiusta il
trucco, chi il parrucco, chi l’abbigliamento e chi semplicemente chiacchiera (o festeggia: è il compleanno di uno
dei ballerini). Con Azzurra ci appartiamo in una stanza
tranquilla e cominciamo a parlare.
Una panoramica sulle tue esperienze…
«Ho iniziato come ballerina, studiando danza classica, a
dieci anni. A tredici ho lasciato la mia città, Pescara, per
proseguire gli studi a Milano, una decisione che avevo
preso fin da bambina, con l’appoggio dei miei genitori
ovviamente, che mi sono stati sempre molto vicino. Dopo
un’audizione, mi hanno presa al Teatro La Scala, dove in
realtà ho trascorso solo un anno: poi sono stata bocciata
perché “troppo grassa” (Arianna è una bellissima ragazza
F
45
magra, ma i canoni della danza classica non perdonano,
ndr). L’esperienza lontana da casa non finisce qui: dopo i
primi tre anni di superiori nuovamente a Pescara, sono
stata ammessa all’Opera di Vienna per un corso di perfezionamento. Avevo diciassette anni ed è stato allora che
ho capito che il mio sogno era fare la ballerina di danza
classica, consapevole però anche del fatto che non avevo
le caratteristiche per diventare prima ballerina in una
grande compagnia. Così ho deciso di affiancare alla danza
anche lo studio del canto e della recitazione: è così che
sono entrata all’Accademia di Saverio Marconi. Ho fatto il
provino, mi hanno presa, dopo due anni mi sono diplomata e ho finalmente capito che quello era il mio mondo!
Adesso mi sono avvicinata al genere del musical e sono
entrata nella Compagnia della Rancia che mi ha permesso
di partecipare a questo spettacolo che è spettacoloso! ».
Com’è essere Cats?
«Cats per me è “il” musical per eccellenza; quello che proponiamo noi è un classico completamente rivisitato, completamente nuovo! Coreografie, costumi, regia… tutto
diverso; bisogna considerare che Cats è stato fatto trent’anni fa e questa è la prima versione in italiano, e in più,
finalmente, io riesco a fare piano piano quello che voglio
e ad uscire dallo stereotipo della “ballerina”».
Com’è stato trovarsi a lavorare con quei grandi nomi dello
spettacolo che sono dietro Cats così come lo possiamo
gustare noi dalla comoda poltrona del teatro?
«La Rancia fa capo a Saverio Marconi, che ha creato il
musical in Italia; in più, abbiamo lavorato con Daniel
Ezralow, che è veramente tutto un altro mondo! Ci siamo
trovati bene, abbiamo fatto una settimana di workshop e
tre settimane di prove, che è comunque poco per uno
spettacolo del genere, ma penso stia andando bene».
La giornata tipo di una performer che si trasforma in
gatto?
«Dormire la mattina (per la voce!), mangiare, venire in teatro, riscaldamento vocale, trucco, riscaldamento fisico,
vestirsi, iniziare lo spettacolo, finire tardi, mangiare e tornare a casa. Certo, quando ci sono le doppie è più dura
perché dormi di meno, fai riscaldamento vocale e fisico
molto velocemente».
Un consiglio a coloro che vorrebbero intraprendere la tua
stessa carriera?
«La carriera dell’artista si fa per passione, bisogna avere
fiducia nelle proprie possibilità. Non si deve mai mollare,
ma cercare sempre le occasioni migliori, continuare a studiare perché se ci si ferma non si migliora».
Dopo le foto di rito arriva il momento di tornare davanti
al palco, in poltrona, a godersi lo spettacolo che, puntualissimo, inizia. Non posso dire che si alza il sipario perché… non c’è! La scena è già aperta e cominciano ad
apparire i primi felini. Costumi perfetti, trucco meraviglioso, scenografia fantastica e musiche da paura, accompagnate da una coreografia con i “controfiocchi”. Penso che
non si possa chiedere di più ad un musical che, dopo sei
anni di trattative, è finalmente arrivato sui palchi “dove il
sì sona”, con un adattamento che altro non può essere
definito se non una stupenda variazione sul tema. Tutti i
performer sono fantastici, ma è inutile dire che sono rapita dai movimenti e dai gorgheggi di Azzurra! Perlomeno
finché non sento le poltrone tremare e strani rumori dietro di me: i gatti ci stanno passando sopra! Ecco l’unica
dritta per chi andrà a vedere lo spettacolo: mangiate e/o
bevete solo nel secondo atto: i gatti sapranno come sorprendervi… anche chiedendovi delle coccole!
ARRIVANO I “CATS”!
MILANO – Allianz Teatro dal 27 gennaio al 14 febbraio 2010
BOLOGNA – Teatro Eupauditorium dal 17 al 21 febbraio 2010
TRENTO – Teatro sociale dal 23 al 28 febbraio 2010
LEGNAGO – Teatro Salieri 2 e 3 marzo 2010
PORDENONE – Teatro Verdi dal 5 al 7 marzo 2010
ASSISI – Lyrick Theatre dal 12 al 14 marzo 2010
GENOVA – Vaillant Palace dal 19 al 21 marzo 2010
RIMINI –105 stadium dal 26 al 27 marzo 2010
REGGIO EMILIA – Teatro Valli dal 9 all’11 aprile 2010
ROMA – Teatro Sistina dal 14 aprile 2010
Azzurra Adinolfi al trucco insieme alla
nostra Chiara; nelle altre foto,
momenti dello spettacolo
Recensioni
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LIBRI
Giuliano
Di Gore Vidal, Fazi editore, 663 pp, 12 euro
TEATRO
La malattia della famiglia M.
Regia di Fausto Paravidino, Piccolo Eliseo di Roma
Non è una malattia curabile, forse;
nessuno sa veramente definirla; nessuno può veramente dire di non esserne portatore. È un piccolo paese di
provincia, quello della famiglia M:
persone semplici, dai caratteri molto
diversi fra loro, a tratti quasi inconciliabili. Una storia familiare che si intreccia con avvenimenti esterni, dalle
notti brave di Gianni (Fausto Paravidino), che spesso
torna a casa ubriaco e totalmente distaccato dagli eventi, ai problemi sentimentali di Marta (Emanuela Galliussi) che, non riuscendo a mantenere il rapporto con Fulvio (Pio Stellaccio), intreccia una storia col suo migliore
amico Fabrizio (Jacopo Maria Bicocche). Il padre (Nicola
Pannelli) cerca di prendere una posizione e di farla rispettare, nella maggior parte dei casi invano, aggredendo l’unica figlia che ha vicino e che dimostra, più di tutti, di volersi occupare di lui - si tratta di Maria, interpretata da Iris Fusetti, la quale ha una relazione con il narratore, nonché dottore di famiglia, Paolo Pierobon.
Tra incontri nascosti al buio ed equivoci degni della
migliore commedia all’italiana, sarà inevitabile la scoperta dei vari segreti della famiglia, in un indimenticabile e imbarazzante pranzo familiare a cui il pubblico assisterà col fiato sospeso, un po’ per la tensione
e (molto) per le risate.
Fausto Paravidino, regista e autore della pièce, ruba letteralmente la scena agli altri interpreti nei panni dell’irriverente Gianni, mitigando puntualmente, con osservazioni
da giovane scapestrato e irresponsabile, la serietà e la
drammaticità delle scene più intense. Così troverà l’incondizionata simpatia degli spettatori, ma anche un epilogo
difficile che forse saprà insegnargli qualcosa.
Un motivo per vederlo: Grande Paravidino, ma grandi
anche gli altri attori perfettamente in parte, impeccabili,
naturali, con un copione che non può definirsi propriamente comico, ma che strappa in svariate scene risate e
applausi.
Un motivo per non vederlo: Se non avete voglia di scoprire che forse la “malattia della famiglia M” è un po’ anche la vostra.
Serena Mosso, 18 anni, e Riccardo Cotumaccio, 17 anni
Il capolavoro di Gore Vidal è strutturato in maniera molto originale, con una
vivace alternanza di memorie lasciate
dall’imperatore romano e un piccante
epistolario tra due filosofi. L’avventurosa vita del giovane principe viene ripercorsa sin dall’infanzia; gli intrighi di
palazzo, decisivi per l’epoca crepuscolare in cui sono ambientati, vi condurranno in un mondo
in declino, ma pur sempre affascinante. Il conflitto religioso si muove sullo sfondo dell’ascesa di Giuliano, personaggio caparbio e coraggioso: un uomo imbevuto di cultura classica, amante della grecità ed assai recalcitrante
nell’accettare il Cristianesimo come religione “ufficiale”.
Promotore della restaurazione dei vecchi culti pagani, si
guadagnerà l’appellativo, poco glorioso, di “apostata”.
Ogni pagina è scritta con accuratezza, la lettura è impegnativa ma piacevole, e grazie all’abilità dell’autore riuscirete a sentire i profumi di Costantinopoli o il tanfo degli
accampamenti anche da una banale descrizione. Ideale per
approfondire la vita pubblica e privata di un imperatore
tanto rivoluzionario quanto spesso sorvolato a scuola.
Un motivo per leggerlo: Se vi incuriosiscono i personaggi “minori”.
Un motivo per non leggerlo: Se più di 500 pagine vi
terrorizzano.
Caterina Mascolo, 20 anni
CINEMA
Dorian Gray
Regia di Oliver Parker, con Ben Barnes e
Colin Firth, Gran Bretagna 2009
Tratto dal celebre romanzo di Oscar Wilde, il film è la storia di un aitante giovane dell’alta società inglese, Dorian,
molto influenzato dai suoi due amici,
Lord Henry, cinico e amante dei piaceri,
e il pittore Basil Hallward, che realizza
un suo splendido ritratto. Proprio questa tela segnerà la vita di Dorian, sarà il
simbolo del suo patto con il demonio, che gli garantirà di
rimanere per sempre giovane e bello, portandolo però anche ad azioni delittuose e a una totale degenerazione morale. Il film di Parker si prende molte libertà rispetto al romanzo, come il personaggio della figlia di Lord Henry,
Emily, totalmente inventato. I piaceri di Dorian, che nel libro erano solo allusioni, si trasformano in complesse scene dove il protagonista appare come uno sfrontato libertino dedito a qualsiasi tipo di perversione.
Un motivo per vederlo: La grande interpretazione di Colin
Firth nei panni del seducente Lord Henry.
Un motivo per non vederlo: Il lato oscuro e peccaminoso
di Dorian è un po’ esasperato.
Paolo Fornari, 18 anni
Z a i . n e t è p e r i l d i r i t t o d i c r i t i c a … v o t a , c o n s i g l i a , s t ro n c a f i l m ,
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MUSICA
OPERA
Battle for the Sun
La Traviata
Dei Placebo, Gran Bretagna 2009
Regia di Franco Zeffirelli, Teatro dell’Opera di Roma
«Abbiamo realizzato un album ottimista, che parla di scegliere la vita, mettersi alle spalle l’oscurità ed andare incontro alla luce. Non è possibile rimuovere il buio perché è lì, c’è, e bisogna
farci i conti; è una parte di noi stessi,
ma crediamo che sia meglio scegliere di proiettarsi in avanti, verso la luce del sole»: così Brian Molko, front-man dei
Placebo, preparò i fan all’uscita su una radio britannica, il
17 marzo 2009 alle 19:00, del singolo Battle for the sun,
title track del sesto album (The Never Ending Why solo per
la madrepatria).
Il brano, tutto giocato su chitarre, distorsori e intensi
drumming, già faceva trasparire, come anche l’ultimo
singolo My Ashtray Heart, l’acceso sound della nuova
raccolta, che abbandona le sonorità elettroniche per
passare ai nuovi decisi influssi rock, introducendo l’impiego di strumenti mai utilizzati prima dalla band londinese, come trombe e sassofoni.
Oltre alla nuova energia della voce del cantante, il vero
cambiamento risiede nella sostituzione dello storico batterista Steve Hewitt, dopo undici anni di presenza nel
complesso, con il giovane membro Steve Forrest.
Un motivo per ascoltarlo: Se avete un’indole rock particolarmente sviluppata, allora non saprete resistere al
nuovo sole raggiante dei Placebo.
Un motivo per non ascoltarlo: Le buie anime dark, continuando a sognare un grigio cielo muto sotto le note di
Meds, non porranno questo disco fra i loro prediletti.
Parigi, anni Cinquanta del 1800. Alphonsine Plessis è la più nota cortigiana della città e ha una intensa storia
d’amore con Alexander Dumas figlio,
che scriverà per lei La signora delle Camelie e la non altrettanto nota pièce
teatrale, cambiando il nome della protagonista in Margherita Goutier. Verdi
viene rapito dal personaggio di Margherita e per lei scrive
La Traviata, la cui protagonista si chiama Violetta Valery.
Violetta è la regina indiscussa dell’opera lirica; non si può
rimanere indifferenti di fronte all’odissea personale di questa ragazza, che da donna abbandonata alla lussuria diventa grande eroina drammatica.
L’allestimento romano proposto da Franco Zeffirelli
rende il personaggio di Violetta di grande impatto
emotivo e il soprano Myrto Papatanasiu risulta estremamente efficace nella parte: accarezza le note ed
emoziona, enfatizzando i momenti giusti e commovendo nelle scene più tragiche - bellissima in scena al
punto da poterle perdonare qualche piccolissima imprecisione. Di grande effetto anche il baritono Carlo
Guelfi nel ruolo di Giorgio Germont, completamente
trasparente la parte del tenore Antonio Gandia.
Un motivo per vederlo: Da Oscar i costumi di Raimonda Gaetani.
Un motivo per non vederlo: Se andate dietro alle critiche mosse al regista Zeffirelli, spesso accusato di fare
spettacoli tutti “pizzi e merletti”.
Silvia De Meo, 17 anni
Jacopo Zoffoli, 20 anni
DA NON PERDERE
Il riccio
Di Mona Achache. Cast: Josiane Balasko, Garance Le Guillermic, Togo Igawa. Francia 2009
Una sagace dodicenne dai riccioli biondi, un distinto signore giapponese e una portiera di
mezza età piuttosto trasandata e dall’aria molto burbera. Tutti e tre abitano in un lussuoso
stabile al centro di Parigi e si eleggono, tra tanti inquilini snob, cinici e depressi, per condividere insieme i grandi capolavori della letteratura, del cinema giapponese, tra tanto
buon tè e tavolette di cioccolata amarissima. Un quadretto un po’ bizzarro, in fondo banale, se non fosse che Paloma ha deciso di suicidarsi il giorno del suo dodicesimo compleanno e medita una morte dolcissima, rubando sonniferi alla madre. Nel frattempo, noi
la vediamo incollata a una vecchia cinepresa intenta a filmare i suoi familiari, agli occhi
dei quali lei è una ragazzina intelligente ma “sprovveduta”: solo tra le braccia di Renée,
la portiera, la bambina riesce a rifugiarsi e a trovare un po’ d’affetto. E’ Renée il riccio che
sotto gli aculei nasconde l’eleganza che ha fatto impazzire i lettori di mezzo mondo: questo film è infatti “liberamente ispirato” dal romanzo rivelazione di Muriel Burbery – la precisazione è d’obbligo dopo le polemiche tra la produzione del film e la scrittrice –, ma non
fa rimpiangere le pagine scritte, risultato di un adattamento magistrale che ha saputo limare alla perfezione quello che facilmente poteva diventare un polpettone sentimentale e intellettualistico. Un film delicato, piacevole da vedere, una favola moderna con cui iniziare bene il nuovo anno.
l i b r i , m u s i c a e a l t r o s u i s i t i w w w. z a i . n e t e w w w. s t r o n c a . n e t
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ESTERI:
L’Onda Verde dell’Iran
COSTUME &
SOCIETÀ
52
VOLONTARIATO:
Viaggio nelle favelas di Rio
Esteri
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L'ONDA VERDE DELL'IRAN
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CI SEMBRA UN MONDO LONTANO,
EPPURE NON DISTA DA CASA NOSTRA
PIÙ DEL PORTOGALLO. NELL'IRAN
TERRA DEL PETROLIO NERO OGGI
SGORGA L'ONDA VERDE
di sovvertirlo o di creare una “Repubblica iraniana”.
La protesta verde, quindi, non è (almeno per il momento)
una contro-rivoluzione, ma la disperata richiesta da parte
del popolo di vedere rispettato l’articolo 27 della Legge fondamentale: libertà di stampa, libertà di associazione, sciopero e manifestazione, e la libertà di pensiero e parola.
E nel suo ultimo comunicato, Moussavi – leader pur debole del movimento, candidato sconfitto alle ultime presidi Giulia Cerino
denziali, politicamente vicino al vecchio Ayatollah
Khomeini – ha confermato di fatto questa linea. Anziché
porre in dubbio il dominio incontrastato di Khamenei
el 1979 l’Ayathollah Khomeini, la Guida suprema,
nella scena politica iraniana, l’ex premier ha chiesto una
istaurava il velayat-e faqih, il governo dei dotti. Il
serie di riforme, offrendo a Khamenei l’opportunità di
sistema religioso sorto in quegli anni rappresenripristinare i propri rapporti con l’ala riformista, una serie
tava una vera svolta per la vita politica iraniana: la nuova
di “passi indietro” rispetto agli atteggiamenti dell'ultimo
forma di Stato era agli occhi del popolo riformista molto
ventennio. Sulla stessa linea è l’iper spontanea Onda
più di una mera riorganizzazione amministrativa. Il 1979
verde, i cui leader hanno fatto continui riferimenti all’ayaera l’anno della rivoluzione. Una rivoluzione che faceva
tollah Khomeini come ispiratore religioso-politico.
dell’Iran, deposto lo Scià, una repubblica islamica, teoL’idea di gran parte dei manifestanti che si sono riversati
cratica certo, ma pur sempre repubblica.
in questi mesi nelle piazze di tutto il mondo, allude a una
Da trent’anni a questa parte, quindi, il sistema politico di
Repubblica islamica “riformata” e non a una Repubblica
Teheran ruota intorno alla Guida suprema, a cui è confeiraniana, non più islamica e teocratica. La lotta scatenarito il potere di decisione finale in tutte le questioni di
tasi a metà dicembre a causa delle continue repressioni
stato. Dopo la morte Khomeini, nel 1989, la nuova guida
operate dal governo, è una battaglia contro la corruzione,
suprema Khamenei, un apparente “riformista”, assunse il
a favore dello sviluppo economico e contro la censura e
ruolo di amministratore universale e unico del sistema
la repressione. Ciò non implica obbligatoriamente il ribaltapolitico, interrompendo nei fatti quello che fu lo “stile”,
mento dei principi contenuti nella dottrina islamica.
sempre moralista ma meno oppressivo, di Khomeini.
Se alcuni pensano che gli avvenimenti di questi ultimi mesi
Da allora, le redini della movimentata vita politica iraniavogliano mettere un termine al regime in sé, si sbagliano.
na sono nelle mani di Khamenei, l’uomo che pose i più
Questa forma di governo è stata, infatti, istituita dal poposeri ostacoli alla realizzazione della timida e poi insoddilo, che l’ha protetta da ogni minaccia durante questi trensfacente stagione di riforme sociali - promesse soprattutt’anni. I leader della contestazione (e cioè gli avversari
to a vantaggio delle donne e dei giovani - di Mohammad
elettorali di Ahmadinejad, Moussavi e Karoubi) credono
Khatami, quinto presidente del governo iraniano. Dopo il
che la Legge fondamentale della Repubblica non debba
fallimento dell'esperienza del presidente Khatami, le elecadere nel nulla.
zioni del 2005 sancirono la conquista del governo da parte
La guerra verde è condotta con uno scopo preciso: restaudel conservatore e populista Mahmoud Ahmadinejad.
rare un sistema di garanzia dei diritti umani senza modiL’Ayathollah Khamenei, allora, ufficializzò prontamente il
ficare l’essenza del regime iraniano, la sua solennità.
risultato elettorale. Come poi ha fatto nuovamente, nonPerò la piazza ha molte facce. E si possono distinguere
ostante le pesantissime prove di brogli elettorali, tra il 13
facilmente due schieramenti, gli estremisti e gli oppositoe il 19 giugno scorso, decretando la legittimità di un
ri. Entrambi contro il governo, pur per ragioni diverse, ed
secondo mandato di Ahmadinejad, già capo di un goverentrambi indeboliti da un limite: gli uni, spinti dal naziono autoritario, repressivo e illiberale, che vanta l’uccisionalismo sfrenato, rischiano di cadere nella trappola del
ne e l’incarcerazione di centinaia di studenti, giornalisti e
fondamentalismo; gli altri, i “riformisti”, rischiano di non
oppositori al suo governo.
riuscire a schierarsi su delle posizioni
chiare, passaggio indispensabile per
Quelli della rielezione di Ahmadinejad
Le manifestazioni ottenere dal governo in carica il rispetto
sono giorni tesi, ricchi di scontri, anche
diritti umani.
parlano chiaro. LʼOnda dei
internazionali. In Iran fu subito protesta,
In questo senso, spiega Siavush
verde è contro il
spontanea e di massa. “Where is my
Randjbar Daemi, corrispondente dall’Iran
vote?”, scandiscono ogni giorno da allo- governo e non contro per il quotidiano “Europa”, “l’insistenza
ra tantissimi giovani (in Iran gli under 30
‘buon governo’ da parte dei riformila repubblica islamica sul
sono il 75% della popolazione, ndr) nelle
sti potrebbe produrre una frattura con
di Komeini
piazze, per le strade delle città e nel web.
una parte dell’opposizione di piazza che
Il movimento di protesta, fino ad allora
nelle ultime grandi manifestazioni ha
rimasto nascosto, s’è fatto manifesto e
mostrato un disprezzo crescente nei conchiassoso: per tutti oggi, è l’Onda Verde. Verde com’era la
fronti di Khamenei e un calo d’interesse verso l’esempio
rivoluzione islamica. Le manifestazioni di piazza parlano
rappresentato da Khomeini”. Il compito dei leader riforchiaro. La protesta iraniana è rivolta contro il governo e
misti, continua, dovrebbe essere quello di conciliare “la
non (con le dovute eccezioni) contro la Repubblica islapropria visione gradualista con quella della protesta che
mica, come intesa da Khomeini. Ma molto meno chiara è
grida slogan nelle strade di Teheran o sulle pagine di
la linea all’interno dell’opposizione “riformista”.
Facebook, contro la Guida suprema e altri pilastri della
In un articolo apparso sul Jomhouri Islami, il quotidiano reliRepubblica”. Per fare ciò, sarà però necessario in primis
gioso della capitale, si dichiara che “quelli che esprimono
ristabilire la calma, abbattere tutte le attuali forme di
critiche nei confronti del regime, non sono per forza contrarepressione, di censura e linciaggio e ricominciare dalla
ri al velayat-e faqih”. Anzi. Da quanto scritto si deduce che
conciliazione. Affinché le istanze imperialiste di
l’opposizione è scesa in piazza con il solo proposito di renAhmadinejad cadano nel vuoto, ridando voce a migliaia di
dere più democratico il regime attuale. E non con lo scopo
giovani soffocati dalla repressione.
N
Volontariato
52
I PICCOLI
FANTASMI
DI
RIO
ABBANDONATI, ODIATI E
PERSEGUITATI. LE FAVELAS
BRASILIANE NASCONDONO
REALTÀ DURE DA DIGERIRE.
MARTINA È PARTITA DA
GENOVA PER VEDERE CON I
PROPRI OCCHI QUELLO CHE
SEMBRA UN ALTRO MONDO
di Benedetta Gaino, 17 anni
Liceo classico “Mazzini”
na strada polverosa come tante, in periferia.
Sporcizia e confusione ovunque: mezzi che transitano, persone a piedi e in bicicletta che affollano
i lati della via. E in mezzo a tutto questo una ragazzina.
Ha tredici anni, e in braccio tiene un bambino piccolo: “E’
mio figlio”, dice a chi le fa domande. Il cucciolo d’uomo
tra le sue braccia non è certo suo figlio, e neanche suo
fratello. E’ solo uno dei tanti bambini con i quali condivide la difficile sorte che le è capitata.
Quello che avete appena letto non è l’incipit di un romanzo
drammatico, ma la descrizione di una tragica realtà. Quello
che secondo alcuni potrebbe finire tra le pagine di un libro
è il mondo dei bambini di strada brasiliani. Nella periferia di
Rio de Janeiro, nell’intrico delle favelas, vive questo giovane popolo figlio della miseria e della polvere. Sono centinaia i bambini di età compresa tra i tre e i tredici anni e gli
adolescenti che vivono per le vie della città, senza una fissa
dimora, sopravvivendo con piccoli furti a danno di negozi e
supermercati. Spesso sono abbandonati dai genitori, in altri
casi preferiscono la strada alla propria famiglia, avendo un
padre alcolista o una madre che non si occupa di loro. E
così per un motivo o per l’altro si ritrovano a camminare
nella sporcizia della strada, vestiti di stracci, e presto diventano parte del “branco” del quartiere.
U
A Rio de Janeiro come in tutte le grandi città del Brasile non
è insolito veder transitare sciami di bambini e ragazzi che si
spostano in gruppo, come fossero un enorme nucleo familiare. Ed è proprio così: il “branco” sostituisce la famiglia, e
al suo interno c’è una gerarchia. I ragazzi più grandi “comandano”, guidano i più piccoli e organizzano gli assalti ai
negozi, coordinando il resto del gruppo. Le ragazzine fanno
le madri, accudiscono i bambini più piccoli, crescono in fretta. Per loro non esiste il periodo dell’infanzia: perdono la
propria famiglia e se ne costruiscono subito un’altra, dove
sono donne e non più bambine, dove perdono presto l’ingenuità perché esposte alla malizia del mondo.
Dimenticati ai margini della società
L’unica organizzazione che a Rio de Janeiro ha cominciato a
dare ai “meninos de rua” una nuova opportunità di vita,
oltre che una vera casa, è l’associazione “Casa do Menor”,
fondata nel 1983 da padre Renato Chiera, inviato dal vescovo in Brasile per lavorare insieme alla diocesi di Mondovì nel
tentativo di recuperare i ragazzi della periferia di Rio de
Janeiro. In Brasile infatti la situazione dei bambini di strada, “meninos de rua” in portoghese, è allarmante. Non
Già a sei anni fanno uso di
droga per non sentire i morsi della
fame
53
solo perché è loro negata l’infanzia, il diritto all’istruzione,
al cibo e all’acqua, ma anche perché non ricevono alcun
aiuto da parte della società in cui vivono. Corrono anzi un
grave e costante pericolo, perché le persone anziché aiutarli vorrebbero eliminarli per sempre. Sono numerosissimi i
negozianti che assoldano ex militari o ex poliziotti perché
formino gli “squadroni della morte”, gruppi organizzati per
uccidere i bambini che infestano le strade brasiliane. In una
sola notte molti gruppi di “meninos” possono essere decimati, senza che nessuno si opponga e dica nulla contro
queste stragi silenziose. Tutto avviene infatti con il consenso delle autorità: il vandalismo dei bambini di strada è una
piaga sociale da arginare il più possibile e il metodo più
rapido ed efficace, anche se drastico, sembra proprio quello di ucciderli barbaramente. In questo modo gli esercizi
commerciali e la popolazione sono maggiormente protetti.
Evidentemente la crudele eliminazione di questi figli della
strada non muove la coscienza di nessuno: del resto non
hanno una famiglia, non appartengono a nessuno se non a
sé stessi e vivono come fantasmi ai margini della società.
Testimone dell’ottimo lavoro che l’associazione “Casa do
Menor” sta svolgendo in Brasile è Martina Seminara, 21
anni, studentessa genovese al terzo anno dell’Accademia
di Belle Arti. Insieme al fidanzato Giovanni Montelatici,
che aveva già fatto esperienza in Tanzania e che l’ha coinvolta in questa missione, nell’estate del 2008 è volata in
Brasile per prendere parte all’iniziativa a Miguel Couto,
località nella periferia di Rio de Janeiro. Ognuno nell’associazione ha contribuito per migliorare le condizioni dei
“meninos”, e Martina ha escogitato un modo divertente
per tenere occupati e far tornare il sorriso ai bambini di
strada. «Siccome frequento un corso di studi di tipo artistico - spiega - ho pensato di organizzare alcuni laboratori di pittura nei quali i bambini potessero esprimere
liberamente la propria creatività, dimenticando almeno
per un po’ la difficile vita di tutti i giorni».
La “Casa do Menor” ha eretto alcune case-famiglia, centri
d’incontro e punti di riferimento per gli abitanti della “rua”,
all’interno delle quali Martina ha avuto l’opportunità di stare
in compagnia dei bambini facendoli disegnare. «Insieme
abbiamo dato vita a tre laboratori - continua - il primo aveva
come tema l’albero: ogni bambino dipingeva con le tempere uno sfondo di fantasia sul quale poi io aiutavo a individuare la sagoma della pianta. Poi in un’altra occasione ho
lasciato che su uno stesso foglio ognuno disegnasse una
forma casuale, dopodiché dall’intrico di forme astratte ricavavamo un oggetto reale. Ma l’esperimento più sorprendente è stato un laboratorio artistico al quale hanno aderito non più bambini, ma ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Un’età,
questa, nella quale si presume non si abbia più interesse
per un’attività come il disegno, accolto solitamente con più
entusiasmo dai bambini. Eppure hanno partecipato in tanti,
alcuni erano ragazzi già coinvolti nel traffico di stupefacenti
e che già si erano macchiati di delitti». Nonostante l’età, per
i ragazzi di strada brasiliani i laboratori artistici di Martina
sono stati un’occasione per stare insieme, svagarsi, dare
libero sfogo ai propri pensieri e alla frustrazione per una vita
difficile. «Quello che abbiamo visto e sentito raccontare
durante il nostro mese di permanenza ha dell’incredibile ricorda la giovane volontaria. Molti dei “meninos” fanno uso
di droghe come la colla, il crac o i solventi per non sentire
i morsi della fame. Nel mondo in cui viviamo noi è impensabile, ma nelle strade di Rio persino i bambini di sei o sette
anni si drogano. I ragazzi più grandi offrono lo stupefacente e loro ingenuamente lo accettano, senza sapere di cosa
si tratti, cominciando a sniffarlo quotidianamente».
A testimonianza dell’esperienza vissuta in Brasile, Martina e
Giovanni hanno deciso di organizzare nel novembre 2009
un’esposizione dei disegni frutto del lavoro svolto con i
bambini ospiti della “Casa do Menor”. La mostra, intitolata
“Pinturas de rua”, è stata allestita presso la biblioteca “E.
De Amicis” del Porto Antico dall’8 al 22 novembre. A Martina
e al suo ragazzo, che hanno vissuto un’esperienza come
questa, va tutta l’ammirazione, e l’augurio di continuare in
futuro a dipingere un sorriso sulla bocca dei “meninos”.
Sono numerosissimi i
negozianti che assoldano ex militari
o ex poliziotti perché facciano
sparire i bambini-vandali
COME AIUTARE L’ASSOCIAZIONE
- Si può andare in Brasile come volontari facendo la stessa esperienza di Martina Seminara. Per
questo si deve richiedere un colloquio presso “Casa do Menor Italia”, via Roracco 25, Villanova
Mondovì (Cn). Tel. e Fax 0174-698439. E-mail: [email protected]
- È inoltre possibile contribuire con una donazione sostenendo a distanza uno dei bambini ospitati presso le case-famiglia dell’associazione, oppure acquistando uno dei libri scritti da padre
Renato Chiera.
- Ulteriori info: www.casadomenor.org
- L’esperienza di Martina Seminara è anche sul web: www.martinaseminara.it
Volontariato
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LA SCUOLA MIGLIORA
SE DIVENTA INCLUSIVA
DUE GIOVANI DELL’ASSOCIAZIONE “IL NOSTRO PIANETA” TRA I DELEGATI
DEL VOLONTARIATO RICEVUTI AL QUIRINALE
stata un’occasione davvero importante! Prima di tutto per Ioana e Rody, due ragazzi
che hanno approfittato pienamente delle
opportunità che il progetto “orientamento e successo
formativo” ha offerto: possibilità di incontrarsi, essere
gli uni risorsa per gli altri, scambiare esperienze e riflessioni, accompagnarsi sulla strada dell’inserimento
attivo e positivo nella nostra città». Paola Giani, Presidente de Il Nostro Pianeta, associazione che promuove
l’educazione interculturale, la cittadinanza attiva, la cultura della cooperazione, dello scambio e della pace,
racconta così l’esperienza vissuta dai due volontari che
lo scorso 4 dicembre, in occasione della ‘Giornata internazionale del volontariato’, sono stati ricevuti al Quirinale dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Un'esperienza straordinaria per i due ragazzi, ma anche
un riconoscimento importante per il lavoro che l'associazione il Nostro Pianeta sta svolgendo.
«Sì, è vero. L’esperienza dei ragazzi “peer tutor” (mediatori interculturali), nelle scuole per aiutare l’inserimento scolastico e sociale torinese dei nuovi compagni
arrivati da Paesi lontani, è un’idea vincente e ci piace sapere che potrà diffondersi: la visibilità del nostro progetto offerta dall’incontro al Quirinale servirà spero proprio a
questo. I giovani anche oggi possono essere costruttori di
cittadinanza, portatori di energie positive, capaci di creare relazioni e di rendere coesa la nostra società».
Parliamo un po' del Progetto Orientamento e Successo
Formativo che si è appena concluso.
«Il P.O.S.F. si è proposto fin dall'inizio di prendere in carico i nuovi studenti non madrelingua di origine immigrata per aiutarli nel difficile percorso d'inserimento nella scuola superiore italiana. E' stato un progetto che ha
interessato 49 istituti superiori torinesi con 75 ragazzi
«È
Paola Giani, Presidente
de Il Nostro Pianeta
presi in carico e oltre 200 che hanno partecipato alle attività estive. La cosa più importante è che tra i giovani
seguiti, il tasso di dispersione scolastica si è praticamente azzerato. Questo è il risultato più significativo del
progetto, realizzato grazie al sostegno della Compagnia di
San Paolo, la collaborazione del Cosp (Centro di Orientamento Scolastico e Professionale della Città di Torino),
dell’assessorato comunale per l’Integrazione e dell'Ufficio
Scolastico Regionale, che ha visto una partecipazione fortissima di studenti, famiglie, insegnanti e scuole».
E ora che succede?
«Il P.O.S.F. si è concluso a fine anno. Certo le ragioni
che ci hanno indotto a pensare e realizzare il progetto
permangono e la scuola, anche a causa della profonda
crisi che sta vivendo, ha bisogno di iniziative di questo
genere. Siamo convinti che qualcosa si potrà fare anche
quest'anno, magari allargando l'iniziativa ad altre province del Piemonte».
L'associazione Il Nostro Pianeta è referente della Global
Education Week del Centro Nord Sud del Consiglio d'Europa, ha un proprio canale video su Youtube e persino
un'idea per un “format” televisivo dedicato ai ragazzi
delle scuole superiori. Non rischiate certo di annoiarvi...
«Decisamente no. Siamo un po' come i nostri ragazzi,
non ci fermiamo mai. Del resto anche l'idea alla base
del format televisivo citato, Talkschool, parte proprio da
questi presupposti: rendere protagonisti i ragazzi per
farli confrontare, in maniera documentata e razionale,
su diversi temi per aiutarli a farsi una propria idea sul
mondo che li circonda, senza pregiudizi e sempre con la
voglia di aprirsi agli altri. Infine, mi permetta di ricordare il nostro sito web www.ilnostropianeta.it che è diventato nel corso di quest'anno un punto di riferimento insostituibile per le nostre attività».
Editoria
56
T I TO L I N U OV I
TENDENZE ANTICHE
C’È UN SOLO DATO IN ASCESA
QUANDO SI PARLA DEL
RAPPORTO TRA GLI ITALIANI E LA
LETTURA: LE NOVITÀ CHE
INVADONO GLI SCAFFALI DELLE
LIBRERIE. MA SE NESSUNO
LEGGE, CHE FINE FANNO?
di Fiammetta Bertotto, 21 anni
studi dell’Associazione Italiana degli Editori
’Ufficio
si preoccupa da tempo di studiare il mercato libra-
L
rio nei suoi diversi aspetti (si pensi a Come leggo,
come compro: i comportamenti di lettura e acquisto di
libri, a cura di Giovanni Peresson), ma è sufficiente fare
un giro su Google per conoscere l’esistenza, va detto,
piuttosto avventurosa, riservata ad un libro nel nostro
Paese: rischi, fortuna, incomprensione, eclissi più o
meno motivate... Prima di entrare nel merito, però, sono
necessari alcuni dati puramente statistici, utili a renderci conto di cosa si sta parlando:
- in Italia sono pubblicati circa 170 libri al giorno, per
un totale di 55.000 volumi l’anno;
- la tiratura media per ogni titolo è vicina alle 5000
copie (circa 6000 per i titoli stranieri, che ricoprono il
22% delle opere stampate), ma quasi il 60% dei titoli
pubblicati non vende neanche una copia e circa il 35%
è destinato al macero;
- per far posto alle “novità”, i libri resistono mediamente
40-60 giorni sugli scaffali, anche se il massimale lo decidono i singoli negozi seguendo linee guida generali;
- in Italia ci sono intorno ai 7300 editori (ne nascono
circa 70 al mese), ma sono i grandi gruppi editoriali
(Mondadori, De Agostini, etc.) a dividersi il 90% del fatturato totale.
Ho cercato di confrontare questi dati con esperti del
settore, e una responsabile della Feltrinelli mi ha confermato che “il vero problema sta nella quantità dei libri
stampati quotidianamente – poiché essa non regge con
il ritmo di vendita che, invece, rimane costante – e
nella non abitudine alla lettura, sempre più diffusa”.
Gli editori, cercando di allargare il mercato, si affidano
a nuovi titoli, proposti ad un ritmo esponenzialmente
sempre più rapido, ma facilmente il progetto non va a
buon fine, dato che è minima la parte di opere che trova
un ampio pubblico (sono i cosiddetti bestseller) e, in
ogni caso, sono perlopiù successi effimeri, dai quali,
magari, trarre un film. Proprio attraverso la resa cinematografica - spesso solo una scelta interna alla strategia promozionale - si cerca di coinvolgere una platea più
numerosa, invogliando all’opera che di quel film è stata
ispiratrice, ma di nuovo le possibilità di un riscontro positivo su periodi di tempo più estesi sono ridottissime.
Sorge allora spontaneo chiedersi perché e per chi siano
pubblicati tutti questi libri, considerato che, come si è
anticipato, i lettori forti in Italia sono sempre più rari e
che solo il 6% circa della popolazione legge un libro al
mese. Sembrerebbe assurdo rispondere che sia l’ego
degli autori a dettar legge, visto che è soprattutto la
casa editrice a pagare il prezzo del possibile fallimento
e che tale eventualità difficilmente è accettata di buon
grado. Il mistero resta quindi irrisolto, ma lampante è
l’effetto che suscita: essendo i libri in voga ad essere
I lettori forti in Italia sono
sempre più rari e solo il 6% circa
della popolazione legge un libro al
mese
57
Su internet lʼacquisto dei libri,
negli ultimi anni, è aumentato di
oltre il 40%
più stampati, ed essendo instancabili le novità, gli autori tanto o poco sconosciuti non riescono ad emergere
dal fiume librario continuamente in piena.
Negozietti, superstore e… supermarket
Sono discorsi economici, ma che stonano con la consapevolezza che un libro è dotato di un valore aggiunto –
altrimenti detto “cultura” – che dovrebbe farsi base del
modo in cui ci si crea una coscienza critica, una visione
del mondo, un allargamento d’orizzonti. Non è solo
retorica; semmai, mi è stato spiegato, è una delle cause
che giustifica perché sia così difficile riuscire a procurarsi titoli alternativi, vale a dire ai margini di ciò che la
massa legge: “le grandi librerie dipendono strettamente dai grandi editori, motivo per cui non si possono permettere di acquistare in gran numero opere poco conosciute e di non venderle. Inoltre, la stessa piccola libreria, seppure possa rischiare maggiormente – poiché
diventa, in questo caso, una scelta fatta a propria discrezione – corre il pericolo pur sempre in modo relativo, ovvero rendendo disponibile sul mercato un testo
privo di fama solo in pochissime copie”.
La piccola libreria induce, poi, ad una riflessione a sè
stante, ma pur sempre sintomatica: il negozietto comporta inevitabilmente un contatto diretto con il venditore, insieme all’accostamento ad un catalogo più selezionato e settoriale, il che può mettere in difficoltà un
lettore poco esperto; in altre parole, la piccola libreria
è per un pubblico definibile “culturalmente aristocrati-
co”. “La grande libreria, il megastore, concede invece la
possibilità di entrare e cercare senza chiedere a nessuno, ti puoi muovere liberamente tra le diverse sezioni,
dal manuale della barzelletta al saggio sull’avanguardia
espressionista”. Ma, finché si mettono in relazione piccola e grande libreria, è facile rendersi conto delle differenze; il discorso si fa più sottile se, invece, si mettono in relazione grande libreria e supermercato. Infatti,
i libri sono venduti non solo nel megastore sul genere
della Feltrinelli, ma ormai persino in luoghi meno adatti quali gli scaffali di un centro commerciale. “Bisogna
riuscire ad immaginare l’uomo qualunque che va a fare
la spesa e, insieme al chilo di pomodori, compra anche
il primo libro che gli cade sott’occhio (magari il più economico) tra quei dieci titoli messi a disposizione”. È
sconfortante, perché è un chiaro segnale della crescente paralisi intellettiva che sta investendo la nostra
società: l’acquisto di un libro fatto con la mancanza di
scelta, di capacità critica o di curiosità, contribuisce a
decretare la morte di quel valore aggiunto che un libro
porta con sé, poiché si parte dall’ipotesi che quello che
legge la maggior parte della gente sia necessariamente
un buon libro. Il che, intendiamoci, può anche esser
vero, ma non è sicuramente vera la conseguenza che se
ne trae, ovvero che un libro che non vende è per forza
un libro sbagliato.
Infine, un’ultima osservazione. “La mancata reperibilità
d’opere letterarie è motivata, tra le altre cose, anche
dallo spazio che esse, concretamente, occupano”: ci
vorrebbe la mitica biblioteca d’Alessandria per poter
disporre di tutti i titoli in circolazione. A ben pensarci,
però, una biblioteca d’Alessandria esiste, forse meno
affascinante dell’originale, ma certo più al passo con i
tempi: è ovviamente internet, dove l’acquisto dei libri,
negli ultimi anni, è aumentato di oltre il 40%.
Insomma, ci sono sul piatto le più importanti tendenze,
tutte figlie del nostro tempo, nel rapportarsi con la cultura: perché scomodarsi a cercare di
persona ciò di cui si ha bisogno se lo
si può facilmente recuperare seduti
alla scrivania di casa? Oppure, l’altra
faccia della medaglia, perché preoccuparsi se una casa editrice rifiuta il mio
lavoro? Basta cliccare su siti quali
ilmiolibro.it per pubblicarlo sul web. E
ancora, perché comprare un libro sconosciuto se tanto tra gli amici sarò più
facilmente portato a discutere di quello
che leggono tutti? Quale infinita quantità di testi, probabilmente pure validi,
siamo impossibilitati a conoscere… Due
soluzioni mi vengono in mente: una
maggiore attenzione alla selezione, che
deve diventare molto più accurata, e la
volontà di riscoprire quella sensazione
profumata d’inchiostro che la carta di
un libro sa offrire.
Reportage Scuola Holden
58
… E VISSERO TUTTI
FELICI E CONTENTI
SCUOLA HOLDEN VI ASPETTA A
MARZO PER UNA VISITA GUIDATA
NEL MONDO DELLE FIABE. TRE
INCONTRI PER LEGGERE, CAPIRE E
APPREZZARE NUOVAMENTE IL
LINGUAGGIO DELL’IMMAGINAZIONE
er il secondo anno consecutivo la Scuola Holden
propone per gli appassionati di cinema e scrittura
una serie di corsi serali che rientrano nell'offerta
della Palestra 2009/10, il progetto nato con l’intento di
fare della Scuola uno spazio aperto dove allenarsi a scrivere storie e imparare i mestieri del grande schermo, ma
anche curiosare fra diverse espressioni della narrazione.
A marzo l'appuntamento è con una visita guidata nel
mondo delle fiabe pensato per tutti coloro che, per motivi personali o professionali, si sentono attratti da questo
genere e in particolare a genitori, nonni, educatori, insegnanti, animatori e artisti. Tre incontri in cui saranno presentate alcune mappe per camminare tra le fiabe, esplorarle e viverle in diversi modi, come quella “delle parole
ricorrenti”, per capire come percepiamo e reagiamo nell’ascoltarle e come essa riveli le qualità di tutti gli ingredienti narrativi.
I partecipanti saranno guidati dai classici, ma anche da
autori contemporanei attivi in diversi ambiti narrativi
(dal cinema all'illustrazione, dal teatro alla letteratura
per grandi e piccini), che hanno inventato nuove storie
a partire da fiabe classiMarina Gellona
che, e chi vorrà potrà
mettersi in gioco attraverso esercizi di scrittura.
Il corso è a cura di Marina
Gellona, docente di laboratori di narrazione, ricercatrice per la Scuola
Holden e fondatrice nel
2008 a Torino (con una
collega attrice e storyteller) del Circolo della
Fiaba, associazione nata
allo scopo di formare narratori di fiabe.
P
Per informazioni
e iscrizioni
Quando: mercoledì 10, 17 e 24 marzo 2010,
dalle 19 alle 21
Dove: Scuola Holden, Corso Dante 118 – Torino
Quanto costa: 90 euro
Scuola Holden – Corso Dante 118, Torino
www.scuolaholden.it – [email protected]
– tel. 011 6632812 – cell. 327 3819503
Risultati test
59
E tu, sei ecologista o pigrone? (pag. 26)
Punteggio:
per ogni risposta A:
1 punto - per ogni risposta B: 2 punti - per ogni risposta C: 3 punti
Fino a 10 punti:
Da 11 a 15 punti:
Da 16 a 21 punti:
Accidiosi
Avari
Non-violenti contro Natura
A tutti piace starsene in panciolle
di tanto in tanto, ma a voi non vi
smuovono neanche le cannonate –
figuriamoci prendere posizione a favore di una svolta ecologista! Eppure essere rispettosi della natura non
è poi così difficile come sembra, basterebbe un po' di lungimiranza e
giusto un pizzico d'impegno. Sperando che non siate del tutto irrecuperabili, vi consigliamo di partire
dalle basi – tanto per cominciare,
quando siete a casa, evitate di gettare gli avanzi dei pasti dove capita,
fate almeno lo sforzo di arrivare al
cestino della spazzatura!
Secondo la tradizione dei nostri fantastici test, il profilo di mezzo è
quello dei simpatici e dei moderati
con il sale in zucca, ma la vostra
taccagneria non ha rispetto neanche
delle buone consuetudini – figuriamoci quanto ne può avere della salute del nostro pianeta! Siete del
tutto privi di lungimiranza e chissà
perché, siete convinti che quattro
spicci in più nelle tasche vi garantiranno un futuro migliore... Ne riparleremo quando per fare una passeggiata in centro saranno obbligatorie
le mascherine per respirare un po'
meno anidride carbonica.
Il terzo profilo è sempre stato
quello dei disgraziati, mentre ’sta
volta è quello dei buoni (o dei
meno peggio). Avete rispetto della
natura e siete convinti che un minimo d'impegno concreto da parte
di tutti potrà fare la reale differenza negli anni a venire. Dico di più:
anche se le vostre convinzioni fossero dettate solo da mode alternative e non da una reale consapevolezza, va bene lo stesso. Qui
è in gioco il futuro dell’umanità e,
mode o non mode, ben venga tutto quello che scoraggia comportamenti irresponsabili.
Dopo “Piemonte Sotto i Venti” e
“Liguria Sotto i Venti”, “Lazio
Forteen” è la nuova guida monografica a misura di teenager realizzata da Zai.net in collaborazione
con Touring Club Italiano e promossa dalla Regione Lazio per gli studenti delle scuole medie inferiori.
Tra abbazie, riserve naturali, antichi
mestieri e leggende, tanti i
suggestivi itinerari che vi porteranno alla
scoperta
dell’Appennino
laziale.
Se amate la
natura e avete
voglia di nuove
emozioni, zaino
in spalla... si
parte!
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Lazio Forteen
TI
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E
M
A
NT
U
P
AP
30
29
A cura di Caterina Mascolo, 19 anni
GENNAIO
FEBBRAIO
FERRARA Due serate eccezionali allo Zoo Animal
Sound: qui si esibirà la celebre “cantantessa”
Carmen Consoli, reduce dal successo del singolo
Non molto lontano da qui. L’album, dal titolo
Elettra, dal quale è stata estratta la canzone è
l’ultimo lavoro dell’artista. Proprio la tragica figura
del mito greco ha ispirato, infatti, questo disco,
divenendo il sottile collegamento che unisce e
lega tutti i brani. Non temete però: non occorre
certo ripassare la letteratura greca del V secolo
per godersi il concerto; Eschilo, Sofocle ed
Euripide vi attenderanno semmai al ritorno!
Dal
6
al
16
GENNAIO
TORINO Siete amanti del lusso? Scoprite allora
gli sfizi più curiosi (e costosi) della Roma
imperiale. Tuffatevi nello sfarzo del passato
visitando il Museo delle Antichità del capoluogo
piemontese, dove potrete ammirare oggetti,
essenze, sapori e gioielli tra i più contesi ed
ambiti nell’Urbs. La mostra è articolata in cinque
sezioni e può sicuramente interessare anche i più
allergici alla storia antica.
FEBBRAIO
VENEZIA Il Carnevale accende e colora la laguna!
Scegliete la maschera che più vi si addice e non
mancate ad un evento che si prospetta, come ogni
anno, davvero spettacolare. Domenica 7 febbraio, il
giorno successivo all’apertura, si terrà il tradizionale
volo dell’angelo a mezzogiorno. Fino al 16 gli eventi
sono moltissimi e spaziano dal “Carnevale al buio”
alle serate di tango. Il tema dell’anno sono le
sensazioni: perdetevi nella vista in zona san Paolo,
udito in località Dorsoduro, tatto nei pressi del
Castello, gusto a Cannaregio, olfatto in quel di
Santa Croce e mente… a San Marco! Godetevi, poi,
una delle città più suggestive al mondo con tutti i
sensi e le emozioni di cui siete capaci.
14
Fino al 31
7
FEBBRAIO
PRIVERNO (LT) La prima domenica del mese è
molto animata da queste parti! Si tiene qui,
infatti, nella bella cornice di piazza Trieste, la
Sagra Nova. Cimentatevi nei giochi popolari come
la scoccia pignatte o la corsa dei sacchi.
Particolarmente forzuti? Il tiro alla fune vi aspetta!
Se invece siete un po’ pigri, provate almeno a
partecipare ai canti ed ai balli che animeranno
l’intera giornata. Tutto questo movimento potrà
generarvi un attacco di fame, ma non disperate:
è un’ottima occasione per assaggiare la falia, un
pane tipico, farcito con i broccoli.
FEBBRAIO
VERONA Ovunque voi siate, specie se in coppia, non sfuggirete alla morsa romantica di San Valentino!
Potrete anche fingere di ignorare questa attesissima festa, ma per evitare incidenti diplomatici è bene
organizzarsi. Cercate su internet un ristorante che prepari cenette a lume di candela, oppure, sempre grazie
alla rete, ordinate dei pratici fiori che farete direttamente consegnare al vostro amato/a. Le idee
scarseggiano? Abbondano i siti dai quali scopiazzare qualche trovata anche last-minute. Se desiderate
stupire il partner proponete un breve soggiorno a Verona: dal 7 al 15 febbraio si conferma infatti,
attraverso manifestazioni come le “luminarie d’amore”, la città più adatta per festeggiare!
61
Dal
3
al
6
FEBBRAIO
RHO (MI) In questi giorni si svolgerà la Fiera
di Milano dell’Architettura, del Design e
dell’Edilizia che attirerà tutti gli appassionati del
settore. Diversi i progetti da dibattere e
numerosi gli eventi protagonisti della
convention: dal forum della tecnica per le
costruzioni al laboratorio di architettura. Per
essere aggiornati iscrivetevi alla newsletter dal
sito www.madeexpo.it
Fino al
15
FEBBRAIO
BARI Cultori della scienza, ecco un
appuntamento degno di annotazione! Presso il
Castello Svevo potrete approfondire la vostra
conoscenza su una delle figure più importanti
nel campo della biologia: Charles Darwin. Sono
trascorsi, infatti, centocinquanta anni dalla
pubblicazione dell’“Origine della Specie”, uno
tra i libri più dibattuti di sempre e ancor oggi in
grado di suscitare polemiche.
TUTTO IL MESE
CONCORSO
C'è ancora tutto il mese per partecipare al
concorso giornalistico Una storia ancora da
raccontare: Maria Grazia Cutuli organizzato per il
quarto anno consecutivo dal Festival
Internazionale del Giornalismo e
dall’Associazione Ilaria Alpi. Maria Grazia Cutuli,
giornalista del Corriere della Sera, fu uccisa in
un agguato il 19 novembre 2001 mentre si
trovava nei pressi di Sorobi, sulla strada che da
Jalalabad porta a Kabul a circa 40 chilometri
dalla capitale afghana. Nell’attentato, forse teso
da una banda di predoni, sono morti anche
l’inviato di El Mundo Julio Fuentes e due
corrispondenti dell’agenzia Reuters, l’australiano
Harry Burton e l’operatore afgano Azizullah
Haidari. Il concorso intende premiare i lavori che
meglio avranno raccontato la storia di Maria
Grazia Cutuli ed è riservato agli studenti
universitari iscritti a qualsiasi facoltà, ai
giornalisti e praticanti al di sotto dei 30 anni di
età e agli allievi delle scuole di giornalismo.
Per ulteriori informazioni, la segreteria del
concorso è presso Il Filo di Arianna, tel.
075.5055807, fax 075.5017894, e-mail
[email protected]. Il bando si può
scaricare on line dal sito
www.festivaldelgiornalismo.com.
ROMA Appuntamento da non perdere per i
cinefili più incalliti, ma anche per chi ha voglia
di scoprire pellicole insolite riassaporando il
suono della lingua francese. Inaugurato l’11
gennaio, il Festival del Film Francofono di Roma
durerà fino al 31 marzo e ha in programma 12
film provenienti da tutto il mondo, il migliore
dei quali sarà premiato durante le Giornate
Romane della Francofonia. L’ingresso è libero; il
programma delle proiezioni è anche su
www.viverediperiferia.it
Cruciripasso
62
UPGRADE: FREE STYLE
GENNAIO È IL PRIMO MESE DELL’ANNO, MA ANCHE LA CHIUSURA DEL
QUADRIMESTRE: VI SIETE MERITATI UNA PAUSA!
ORIZZONTALI
1. Così è considerata l’H1N1
7. Ministro della Giustizia
11. Uguali in “losco”
12. Il primo nome della Gelmini
13. L’inizio dell’arca
14. Città del Belgio
17. Roberto, famoso ballerino
19. Quartiere di Napoli
22. Lo è quello Maggiore
24. Importante azienda italiana
25. Lo è FIAT
29. Una tipica azione a poker
30. Consonanti in “male”
31. …cream!
32. Hockey Club
33. Un pesce … d’acqua!
35. Fama, popolarità
40. Nei mutui, fisso o variabile
41. Uscire di senno
42. 3 romano
43. Potenza
44. Livorno
45. Isola teatro di un disastro aereo
47. Io ho, tu …
48. Pronome personale
49. Altare
51. Famosi quelli della polvere
53. Il materiale dei collant
55. Milano
56. 2 romano
57. Articolo determinativo
58. La “belle” alla fine dell’Ottocento
60. Trento
61. Abitavano l’Olimpo
63. Le consonanti di Linate
65. Alcuni tipi di radiazioni
66. Viceministro allo sviluppo economico
VERTICALI
1. Candidata alle Elezioni regionali del Lazio
2. Diciottenne campana resa famosa
dall’amicizia con il Premier
3. Guidava Venezia
4. Uguali in Emma
5. Al centro di “siamo”
6. Arezzo
7. Le vocali in “amaro”
8. Si può fischiare quello di mano
9. In un triangolo, si calcola base
per altezza diviso 2
10. Capitale della Norvegia
Una sbirciatina, piccola, alle soluzioni sul sito: www.zai.net
15. Un ordine dei capitelli
16. Lo stato con l’Onda verde
20. Li indossa Napolitano
21. Giro di…
23. Meglio non averne troppa!
26. Una fase dell’azione a pallavolo
27. Nino Rota
28. Al centro della fiera
30. Si ascolta con l’i-pod
33. La quarta nota
34. Eroi senza testa
36. Al centro di “soma”
37. Roy Paci
38. Le consonanti in “tazza”
39. Non si dovrebbero calpestare
40. Grave infezione
43. Un celebre Al
46. Iraq..a metà
47. E’ stata colpita da un terribile terremoto
50. Nilde Iotti
52. L’isola del Colosso
54. Al centro del topo
55. E’.. sana in corpore sano
57. La celebre Taylor
59. Le dispari in “urlare”
62. Gianna Nannini
64. Torino
Oroscopo
a cura di Cassandra
63
Ariete
Toro
21/03 - 21/04
21/04 - 21/05
Affari di cuore
San Valentino porterà buone
nuove nella vostra piatta vita
amorosa. Febbraio, mese così
corto eppure così pieno!
Amicizia & famiglia
Dovete proprio tenere bene
sott'occhio l'agenda o tutti questi
impegni vi sommergeranno.
Consiglio
Ascoltatevi (e/o guardatevi su
Youtube) Taylor Swift, per un po'
di dolcezza!
Affari di cuore
Le corna continuano a pesare,
ma... buone notizie: questo San
Valentino che vi lascerà senza
parole!
Amicizia & famiglia
Sotto questo punto di vista vi
siete un po' adagiati... non dico
di ammazzarvi di lavoro, ma un
po' più di impegno sia a scuola
che a casa non guasterebbe!
Consiglio
Gli All Time Low, per un po' di
energia!
Gemelli
21/05 - 21/06
Affari di cuore
Fate un bel regalo al partner: sarà
un San Valentino sicuramente da
ricordare per mooolto tempo.
Amicizia & famiglia
La vostra energia sprizza da tutti i
pori... bene!
Continuate così e tutto sarà più
semplice per voi, per chi vi è
accanto e per la sottoscritta, che
farà prima a leggere i pianeti,
grazie!
Consiglio
I Cobra Starship, per un po' di brio!
Cancro
Leone
Vergine
22/06 - 22/07
23/07 - 23/08
24/08 - 23/09
Affari di cuore
Allora, decidetevi: o è il mondo ad
avere qualcosa che non va o siete
voi! Quindi... fatevi due conti e
prendetevi una bella tisana.
Amicizia & famiglia
Posso dirvelo? Siete il numero tre
sulla lista degli insopportabili e
prima di voi ci sono Brontolo e il
Grinch!
Consiglio
I The Big Pink, per un po' di
novità!
Affari di cuore
Ok, il periodo è giusto! I pianeti
sono dalla vostra e vi sentite in
forma... provateci un po', io sono
con voi!
Amicizia & famiglia
Dopo qualche ben nota difficoltà
del primo periodo del mese c'è in
vista una bella ripresa di stile:
serve solo un po' di grinta.
Consiglio
I Secondhand Serenade, per un
po' di smancerie!
Affari di cuore
Lo so, vi state chiedendo che fine
abbia fatto Cupido... purtroppo
non lo so, ma ho letto che i
pianeti stanno lavorando per voi!
Amicizia & famiglia
Complimenti, ve lo devo proprio
dire! Il periodo che si sta per
aprire sento che sarà all'insegna
del divertimento!
Consiglio
John Mayer, per un po' di
romanticismo!
Bilancia
Scorpione
Sagittario
24/9 - 22/10
23/10 - 22/11
23/11 - 21/12
Affari di cuore
Amore, amore, amore... queste
cinque lettere vi dicono nulla? No,
non avete letto 'rumore'!
Amicizia & famiglia
Possibile che non vi vada bene
nulla? Non per essere disfattisti
ma... avete presente che tra un po'
per avere compagnia vi dovrete
mettere davanti allo specchio?
Consiglio
Florence And The Machine per un
po' di allegria!
Affari di cuore
Voi e Cupido siete proprio pappa
e ciccia, ma possibile che non vi
sentiate nemmeno un pochino in
colpa? Che dire, godetevela!
Amicizia & famiglia
Attenti agli oggetti taglienti e
affilati! Non sono la strega della
Bella Addormentata, ma con la
testa tra le nuvole e i cuoricini
alati…
Consiglio
Ben Jelen, per un po' di tenerezza!
Capricorno
Segno del mese
22/12 - 21/01
Acquario
Acquario
Affari di cuore
Ma possibile che ancora non ve ne
siate resi conto? C’è una persona
che vi sogna da mesi e vi segue
ovunque!
Amicizia & famiglia
Dopo i successi scolastici, in
famiglia sono così fieri di voi che
avrete quasi del tutto carta
bianca... che altro dire?
Consiglio
Bethany Joy Lenz, per un po' di
tenera grinta!
Affari di cuore
Cupido è sulle vostre tracce e
non vi lascerà stare finché non vi
avrà trovato: Venere ce l'ha con
voi, mi spiace!
Amicizia & famiglia
Se da un lato va tutto a rotoli...
dall'altro pure! Che ne dite di
fare quello che dovete fare per
poi cercarvi un bell'eremo?
Consiglio
Justin Bieber, per un po' di
giovinezza!
21 gennaio - 19 febbraio
Affari di cuore
Che ne dite di un bel weekend
fuori porta? Da soli o in
compagnia, San Valentino seguirà
la vostra scia (e se i pianeti mi
hanno ispirato la rima...!).
Amicizia & famiglia
Le idee vanno schiarite anche in
altri campi, ma non sottovalutate
gli impegni, per carità!
Consiglio
I Lifehouse, per un po' di felice
depressione!
Pesci
20/02 -20/03
Affari di cuore
Avete una scala reale in mano,
ed è di cuori! Godetevi il
momento e non siate spocchiosi:
il karma gira e... un momento a
te, un altro a me!
Amicizia & famiglia
Attenti a un insegnante del Toro:
non è il suo momento d'oro e non
sarà di certo neanche il vostro se
non lo tenete a bada! Un po’ di
furbizia non guasta...
Consiglio
Taylor Hilton, per un po' di calore!