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niente da nascondere –cache
NIENTE DA NASCONDERE –CACHE’
scheda tecnica
titolo originale: CACHE’
durata: 117 minuti
nazionalità: Austria, Francia, Germania, Italia
anno: 2005
regia: MICHAEL HANEKE
sceneggiatura: MICHAEL HANEKE
produzione: LES FILMS DU LOSANGE, WEGA FILM, BAVARIA FILM, FRANCE 3
CINEMA, ARTE FRANCE CINEMA, EURIMAGES FUND OF THE COUNCIL OF
EUROPE, CNC, LE STUDIO CANAL+
fotografia: CHRISTIAN BERGER
montaggio: MICHAEL HUDECEK, NADINE MUSE
effetti: PHILIPPE HUBIN
scenografia: EMMANUEL DE CHAUVIGNY
costumi LISY CHRISTL
interpreti: DANIEL AUTEUIL (GEORGES), JULIETTE BINOCHE (ANNE), MAURICE
BENICHOU (MAJID), ANNIE GIRARDOT (MADRE DI GEORGE), BERNARD LE COQ
(REDATTORE CAPO), WALID AFKIR (FIGLIO DI MAJID), DANIEL DUVAL (PIERRE),
NATHALIE RICHARD (MATHILDE), DENIS PODALYDES (YVON), AISSA MAIGA
(CHANTAL), CAROLINE BAEHR (INFERMIERA), CHRISTIAN BENEDETTI (PADRE DI
GEORGES), LESTER MAKEDONSKY (PIERROT), PHILIPPE BESSON (INVITATO
DELL'EMITTENTE TELEVISIVA), LOIC BRABANT (IL POLIZIOTTO)
la parola ai protagonisti
Michael Haneke
Un tema che più volte ricorre nei suoi film è la deformazione della realtà quotidiana prodotta dai
media. Non è proprio il cinema a possedere più di tutti gli altri mezzi il potere di manipolare la
credulità dello spettatore?
La caratteristica del cinema commerciale è far finta che un film o una storia possano
spiegare e descrivere il mondo intero, e che ogni problema sia risolvibile. E per questo tipo
di bugia lo spettatore paga volentieri. Nel momento stesso in cui compra un biglietto,
accetta automaticamente il fatto di essere ingannato. Questo genere di cinema persegue lo
scopo di fargli dimenticare la propria vita per almeno due ore. Questi film hanno una
funzione sociale, non artistica.
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Lei distingue allora il cinema commerciale, che allontana lo spettatore dalla propria vita, dal cinema
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apparenze frammentarie e deve essere impegnato a dare espressione artistica e
cinematografica alle esperienze di ogni giorno, che ricordano tanti shots di un film. I tagli
improvvisi che uso nei miei film, e che eludono ogni tipo di spiegazione, sono un tentativo di
dar forma a questa vicinanza con la vita.
I suoi film tendono a stabilire un rapporto più intimo possibile con gli spettatori. Le lunghe
sequenze, note per la loro intensità e violenza psicologica, e che lei usa anche nel suo ultimo film
La pianista, sono un ulteriore tentativo di evocare un senso della realtà vissuta sulla propria pelle?
Le lunghe sequenze, che uso preferibilmente in quasi tutti i miei film, hanno la funzione di
sostenere la fluidità della storia e servono anzitutto per dare agli attori la possibilità di
sviluppare se stessi nel proprio ruolo. Ma niente deve essere affidato al caso. Gli attori
devono seguire fedelmente le indicazioni del testo e rinunciare a ogni improvvisazione
arbitraria. Devono essere professionali, ed è questo uno dei motivi per cui preferisco gli
attori di teatro, che sono abituati a un lavoro lungo e ininterrotto sul testo. Isabelle Huppert
recita anche in teatro, e il risultato si è potuto vedere.
Lei stesso è stato regista di teatro?
Dopo aver studiato in Inghilterra sono tornato in Germania e ho cominciato a lavorare sia
per la televisione sia per il teatro, prima come autore e poi come regista. Quando ho iniziato
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perché mi ha permesso di realizzare le mie idee e di avere il controllo totale sui miei
progetti. In teatro, invece, la regia è maggiormente condizionata dalla capacità degli attori,
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Vedendo i suoi film, lo spettatore deve acquisire una coscienza evoluta della realtà che lo
circonda. Per raggiungere lo scopo di renderlo partecipe in modo attivo e critico, lei usa dei mezzi
che spesso provocano una sensazione di disagio e orrore. La violenza è un tema ricorrente nelle
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La capacità di manipolazione dei media e la rappresentazione mediale della violenza sono
ormai fenomeni indispensabili della nostra società dei consumi, e come tale trattate e
spesso parodiate nei miei film. Proprio come cineasta mi sento obbligato a rendere lo
spettatore cosciente del suo rapporto artificiale e finto con una realtà spesso pubblicizzata
come vera e unica. Ma ciò non significa che i miei film non debbano sedurre lo spettatore,
anzi, lo devono violentare a raggiungere la sua indipendenza da ogni tipo di opinione
prestabilita e stereotipata. In Funny Games mi divertivo a ingannare e a confondere lo
spettatore applicando gli stessi mezzi dei media che manipolano la realtà spacciando la
finzione per verità. Nonostante avessi spiegato che si trattava solo di cinema, in alcuni
momenti sono riuscito a convincere gli spettatori del contrario. Naturalmente sappiamo tutti
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In La pianista le parole di Schubert sembrano le parole non pronunciate dalla protagonista. Che
significato ha per lei la musica?
La musica ha un ruolo molto importante nei miei film. Ma, a eccezione di alcune produzioni
televisive, non faccio mai comporre una colonna sonora, ma uso per la maggior parte brani
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viandanti" esprimono molto della complessità di questa figura e potrebbero essere usate
benissimo come motto del film.
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A dire la verità, in Francia esistono condizioni di lavoro migliori rispetto a quelle austriache.
Soprattutto adesso che, in Austria, la situazione politica è precaria la cultura
cinematografica vive un momento molto duro e difficile. Da quando il nuovo governo è
andato al potere il fondo di sostegno - che già prima era molto limitato - è stato tagliato di
un altro trenta per cento, il che ha peggiorato la situazione già di per sé miserabile del
cinema austriaco. Più di tutti ne risentono i giovani talenti, che si sono trovati privati delle
possibilità di fare un salto qualitativo. Io personalmente non ho grandi problemi a realizzare
i miei progetti in Austria.
Juliette Binoche
Che reazione ha di fronte alla violenza?
Posso piangere, urlare, posso sentirmi impotente ma fare dei film è un modo per agire di
fronte alla violenza. Per esempio il mio ultimo film è su un'immigrata bosniaca ed è stato
importante per me andare in Bosnia a Sarajevo. L'immigrazione è un tema molto attuale; io
stessa sono la nipote di una famiglia emigrata dalla Polonia durante la seconda guerra
mondiale per cui è un tema che mi tocca molto. Anche il film di Haneke parla di questo.
Non dobbiamo avere paura della violenza che è un'energia straordinaria ma bisogna
vedere coma si utilizza questa energia, cosa se ne fa.
Questo è il suo secondo film con Michael Haneke. E' interessata alla sua ricerca di verità?
C'è sempre il desiderio di andare in fondo a se stessi, alla propria verità mentre si gira un
film e poi ciò che conta è essere costantemente presente, all'ascolto e alla comprensione
delle cose rispetto alla propria storia. I dadi gettati sono gli stessi: la voglia di essere il più
vicino possibile alla verità.
Però lei ha fatto film anche molto fiabeschi, per esempio 'Chocolat' con Johnny Depp
E' vero, 'Chocolat' è una favola, ma occorre trovare la verità anche in una favola. La realtà
di essere uno straniero in un villaggio francese, passare insieme alla propria figlia da città a
città per fuggire dalla propria realtà di donna. Questa è la verità certo poi in questo film c'è il
cioccolato, gli anni Cinquanta e un po' di glamour ma il desiderio di verità è sempre lo
stesso. Lo provo da sempre e non è arrivato adesso con Michael Haneke.
Nel film la protagonista vive inconsapevolmente sotto l'occhio costante della telecamera. Come
attrice anche lei vive sotto l'occhio della macchina da presa
Nella vita di tutti i giorni non ci penso, anche perché non ne ho il tempo. So perché faccio
questo mestiere, per esserne sorpresa, cerco di non aspettarmi mai nulla per godermi la
sorpresa. Quando si è di fronte ad una macchina da presa è come se si fosse denudati e
quindi si pensa soprattutto a dare il meglio di sè piuttosto che alle conseguenza per la
professione.
Sempre di più il mestiere di attrice si mescola alla moda. Lei Juliette Binoche cosa ne pensa?
Come modella non sarei adatta perché non ho la taglia giusta, ma certo bisogna fare
attenzione anche a quello. Ho scelto degli specialisti che se ne occupano perché io non ne
ho il tempo. Nel film comunque non sono una top model quindi si tratta di essere flessibili
alla richiesta, di trasformarsi per il proprio ruolo.
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recensioni
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 14 ottobre 2005
A Cannes questo ossessivo e magistrale thriller di Haneke il più perfido talento del cinema
europeo, rischiò la Palma e vinse un meritatissimo premio alla regia. É l'incubo di una famiglia
borghese-intellettuale che si vede arrivare a domicilio cassette sulla loro vita day by day. Paura.
C'è da dipanare un mistero. Sarà possibile? Molte e inevase le domande sulla codardia radical
chic francese, sul rimosso trauma algerino, sui conflitti generazionali, etc. Che ci sia Camus tra gli
sceneggiatori occulti? Ma quella che è sconvolgente è la tenuta della tensione morale e materiale,
l'inquadrare dubbi & memorie, rancori & rimorsi, ineffabili coppie di tormento. L'austriaco Haneke
ne sa più di Freud e col cinema rovista dentro la psiche, un viaggio allucinante ma non solo
metaforico, pieno di colpi di scena. Auteuil e la Binoche meritano qualunque premio. Attenzione al
finale. VOTO: 9,5
Francesca Felletti –Mymovies.it
Tutto inizia dall'immagine di una strada, una mattina qualunque. L'inquadratura è fissa: qualche
persona cammina, passa una bicicletta , un uomo esce di casa. Stop, rewind e inizia il mistero.
L'immagine è quella di un videoregistratore: una coppia trova sulla porta, come in Strade perdute
di Lynch, misteriose cassette che ne ritraggono la vita privata. Poi arrivano inquietanti disegni,
telefonate, strani avvertimenti e il segreto nascosto inizia ad emergere: l'infanzia del protagonista è
tragicamente legata a quella di un algerino figlio dei domestici di casa. Ma il mistero resta tale, anzi
si tramanda fra le nuove generazioni: i figli dei due uomini si incontrano mentre la macchina da
presa, non vista (cachè), continua a riprendere. Caché, presentato a Cannes 2005 e nella rosa dei
più vicini alla Palma d'oro, come tutti i film di Michael Haneke non lascia indifferenti. La storia,
costruita come un thriller appassionante e criptico, riflette sui temi della verità, della colpa e del
voyeurismo. In fondo la posizione dello spettatore, unico testimone di tutte le vicende, si identifica
con quella del personaggio, ignoto ma onnisciente, che spia la vita della famiglia. L'ambiguità,
marchio di stile del regista tedesco, domina la pellicola e i personaggi sono tutti potenzialmente
autori del dramma che si consuma ai danni di loro stessi e degli altri.
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 15 maggio 2005
Il thriller si addice a questo 58 Festival che oggi ha in gara Quando sei nato non puoi più
nasconderti di Giordana, uscito con successo nelle sale e proiettato ieri sera per la critica, ma
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Ancora Caché, Nascosto: da chi, come, perché? Si chiama così il nuovo, elettrico, magistrale film
del 63enne Michael Haneke, che terrorizza da anni Cannes - èquiperl
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lungo si preparano a terrori e sconcezze - con film apocalittici su fini del mondo pubbliche e
private, come La pianista dove la Huppert faceva cose inenarrabili. Dice la stessa interprete,
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capelli e barba bianca, Haneke sembra uscito dal Signore degli anelli, invece è un sadico viennese
che si diverte a metterci gran paura, morale e materiale: bollono molte cose nel suo pentolone
emotivo. Lo dimostra il gridolino di ter
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Binoche dai mille rivoli espressivi), coppia radical chic con figlio fan di Eminem, sono entrati in crisi.
Perché ricevono videocassette di contenuto privato: è allarme rosso. Se si comincia a rovistare nel
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cui si parla molto di un tema caro ad Haneke, la manipolazione delle immagini, la falsa verità dei
media, lo strapotere dei video e la rimozione di quello che uno ha dentro, compreso il peccato
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Roberto Nepoti - La Repubblica, 15 ottobre 2005
Premiato a Cannes per la miglior regia, Niente da nascondere è contemporaneamente un thriller e
una riflessione sul potere del
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piazzate le telecamere-spia, che nella realtà sarebbe facilissimo individuare. Con sadica
intelligenza, il regista mischia di continuo i piani di realtà e rappresentazione; stai assistendo a una
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altri film, questo è anche un apologo sul potere della parola. Dove ogni parola ha un suo peso
specifico e dove il detto e il non detto scava un solco sempre più profondo tra Georges e sua
moglie Anne. Il momento più bello è un dialogo tra il protagonista e la madre; non manca una
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Lietta Tornabuoni - La Stampa, 15 maggio 2005
Michael Haneke, 62 anni, il regista austriaco che dice di aver letto diciassette volte «Il dottor
Faust» di Thomas Mann, appassionato al senso di colpa e al mistero inspiegabile che invade e
tiene in sospeso la vita delle persone comuni, ha diretto «Caché» con Daniel Auteuil, Juliette
Binoche e Annie Girardot, presentato in concorso, come un racconto morale sommato a un film di
genere. Auteuil, giornalista che tiene una rubrica televisiva di libri, riceve una videocassetta sulla
propria vita quotidiana: momenti qualunque, niente di speciale, però l'idea che qualcuno lo segua e
spii con strana familiarità è un turbamento, una minaccia. Riceve disegni infantili rappresentanti
una testa che vomita sangue. Riceve altre cassette, sempre più intime. Tenta di condurre la vita di
sempre, ma è difficile. Parla con la polizia, ma non è accaduto alcun fatto: gli agenti non possono
fare niente. Lo scioglimento del mistero sempre più opprimente risale al passato, comprende il
rapporto con un algerino e con le manifestazioni parigine del 1961, coinvolge l'alleanza dei figli,
quello dell'algerino e quello del giornalista. Si suppone forse che lo spettatore frema per quasi due
ore aspettando con ansia la rivelazione della terribile verità. Non è così: lo stato di suspence è
protratto troppo a lungo, la monotonia dell'esistenza dei protagonisti non ha vitalità, il legame tra i
figli non è sufficiente a far presagire una integrazione futura e forte tra immigrati e francesi.
«Election» di Johnnie To, il regista di Hong Kong, ha portato in concorso il primo film cinese: pure
questo un film di genere, di criminali, ben fatto e per gli europei poco interessante, salvo un paio di
dettagli: la maniera antica di punire come Attilio Regolo i nemici, chiudendoli in una cassa di legno
e facendoli rotolare più volte dall'alto di un dirupo. Anche la polizia di Hong Kong non è indulgente:
gli arrestati (e ben presto liberati) per sospetta appartenenza a una triade vengono ammanettati
dietro la schiena, posti in ginocchio, e presi continuamente a scappellotti. Due candidati
[email protected]
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concorrono all'elezione biennale del nuovo prtesidente della triade più antica di Hong Kong: il film
ne racconta la lotta terribile, le astuzie, le uccisioni feroci, mostra la decadenza dei metodi e della
tradizione basati sulla fraternità, sopraffatti dalla spietatezza del mondo degli affari
contemporaneo. Naturalmente la lotta criminale allude alle lotte politiche e alle lotte economiche.
L'uomo giovane con i capelli bianchi e gli occhiali neri che accompagnava l'altra sera Sophie
Marceau è suo marito, l'americano Jim Levilly, produttore di film horror; altre due attrici erano
invece scortate da accompagnatori in affitto.
Luigi Paini - Il Sole-24 Ore, 23 Ottobre 2005
No, non è permesso vivere senza sensi di colpa. Quando poi, come in Niente da nascondere di
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insostenibile, quasi un dolore fisico. Ma che cosa ha fatto di male Georges, conduttore di un
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Il dramma di Georges è che, in realtà, non ha una colpa vera, non ha commesso alcun reato,
eppure è responsabile di qualcosa. Forse per il solo fatto di essere bianco e di essere francese.
Qualcosa, intanto, comincia ad emergere anche dal suo passato. Un incubo ricorrente, i ricordi
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un algerino di cui da allora aveva perso le tracce. Inizio anni 60, la storia ufficiale segna la fine dei
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Georges era solo un bambino, eppure, inconsapevolmente, la sua appartenenza a una razza
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escluso dalla possibilità di una vita migliore. Il passato non passa, almeno finché non si fanno i
conti, definitivamente. Qualcosa nel profondo continua ad agitarsi, proponendo sempre nuovi
interrogativi. La tranquillità di questo buon borghese, della sua dolce e sensibile moglie,
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tanto tempo è stato considerato inferiore, ora ci chiede il conto.
Roberto Escobar - Il Sole-24 Ore, 23 Ottobre 2005
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della vicenda. La sensazione è confermata dal contrasto con la colonna sonora che, senza dubbio,
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finora ha occupato tutto lo schermo non era che un altro schermo, televisivo. Insieme con la moglie
Anne, Georges sta facendo scorrere un video che qualcuno - l
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davanti alla loro porta. Chi tenta di impaurirli, e perché? La sceneggiatura, dello stesso Haneke, fa
di questa domanda il filo conduttore del film. La nostra curiosità ne è catturata, come se si trattasse
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cena. Tutto sarebbe normale, se la tavola non fosse apparecchiata per tre. Il posto vuoto ci
racconta di una mancanza. Per quanto Georges e Anne non ne parlino, in platea sappiamo che è
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suggerisce, anzi ce lo dichiara il cenno breve che i due fanno al figlio, prima di mettersi a tavola.
Così racconta Haneke: per cenni, quasi velando, e disseminando indizi. Lentamente,
inesorabilmente, la sceneggiatura mette a nudo Georges. Lentamente, inesorabilmente, in lui torna
alla superficie quel che ha nascosto anche a se stesso. Si tratta di un antico grumo di cattiveria e
odio, di un crimine commesso da bambino. Dapprima, sono le immagini catturate, di fronte alla sua
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non ha il coraggio di farsi chiara a se stessa. A noi pare che questa sia la sua colpa maggiore:
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crimini collettivi, solo come indizio, appunto, lasciandoci la responsabilità di procedere da soli. Per
quel che riguarda la vicenda del film, resta invece a Georges, e al suo rifiuto ostinato di liberarsi
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e a sospingere Georges indietro, verso il suo crimine. A chi se ne stupisca, si può rispondere che
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Fabio Ferzetti - Il Messaggero, 15 maggio 2005
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sempre aperto. Il passato come creazione incessante, perché per nazioni e individui è facile
eliminare o abbellire episodi remoti. Ma quel che è stato è stato, e prima o poi la Storia, o la
coscienza, ci presenta il conto. Con modi allarmanti da teatro della minaccia, la partitura serrata di
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realtà, anche perché sono molto più malleabili... Prima scena, primo inganno. Per un tempo
interminabile sembra non succeder
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seguiranno, avvolte in disegni infantili quanto inquietanti. Si vedono bambini, bocche insanguinate,
gole tagliate. Avvertimenti, certo. Qualcuno l
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perché? A questo punto Haneke, sempre gelido e magistrale, ha scoperto parecchie altre carte,
ma certo non tutte. Nessuno in effetti lavora sulla capacità delle immagini di ingannare e
manipolare, più del regista di Funny Games e della Pianista, ma nessuno è più manipolatore di lui.
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del film. Andando avanti scopriamo parecchie cose di Georges, tutte interessanti, nessuna
decisiva. Certo è famoso, conduce un programma culturale in tv, guadagna bene, sarà invidiato,
niente di più. Ma il misterioso videoamatore sa proprio tutto di lui se riprende perfino la casa di
campagna dove Georges è cresciuto e che in effetti è la chiave del mistero, come intuisce mamma
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i suoi volevano adottare. Un figlio di immigrati uccisi nella famigerata repressione del 17 ottobre
1961, centinaia di arabi gettati nella Senna dalla polizia, una delle pagine più nere del dopoguerra
francese. Chissà, magari le cassette portano proprio a lui. Ma anche qui, perché? Altro non
diremo, ma mentre Georges affronta i fantasmi del suo passato, vediamo sbriciolarsi molte
certezze. Nella sua famiglia felice si aprono crepe gigantesche; la moglie non tollera il suo tenerla
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Intanto la verità, più si avvicina e più sfugge, finché il film non diventa come una macchia di
Rorschach, uno di quei test psicologici in cui ognuno vede ciò che crede. Dibattutissimo il lungo
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meriterebbe.
Valerio Caprara - Il Mattino, 15 maggio 2005
Nel giorno della galassia lontana-lontana (i fans di «Star Wars» sono in fila dalle prime luci del
giorno), il cinema vicino-vicino tenta un improbabile assalto alla Palma. È del tutto evidente che il
programma non ha finora trovato il guizzo decisivo che proietta i film fuori dal già visto, dalle prove
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Haneke gode della fama di sulfureo provocatore. Stavolta la trama e lo svolgimento propongono
invece cadenze più disinvolte, in prudente equilibrio tra thrilling psicologico e parabola attualistica:
Georges, critico letterario televisivo, comincia a inquietarsi quando gli vengono puntualmente
recapitati video che riprendono scene non particolarmente significative del tran tran familiare; la
vaga sensazione di pericolo aumenta quando il contenuto delle cassette diventa via via più
minaccioso e personale, tanto da far scattare una specie di caccia al misterioso voyeur
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né la smarrita consorte interpretata da Juliette Binoche individuano peraltro la pista giusta e,
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contemporanei foderati di false sicurezze dovrebbe costituire il (troppo) alto messaggio del film,
ma, una volta scontate un paio di brutalità «alla Haneke», non si va al di là della corretta messa in
scena teatrale e delle recitazioni - tra cui quella fugace ma intensa di Annie Girardot - ben intonate
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Johnnie To, «Election», che sciorina senza comunicare emozioni inedite il solito campionario di
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assortite che ha il pregio del ritmo mozzafiato e della scenografia rutilante, ma non si discosta mai
dalla routine di un genere che Tarantino ha ormai destrutturato con le sue sapienti riletture
sarcastiche.
Gian Luigi Rondi - Il Tempo, 14 ottobre 2005
A Parigi Georges, la responsabile di una trasmissione televisiva dedicata ai libri, comincia a
ricevere delle videocassette da cui risulta non solo che è pedinato ma che qualcuno conosce i
luoghi della sua infanzia. A questo si aggiunge il fatto, piuttosto curioso, che a quelle videocassette
si accompagnano dei disegni macabri tracciati da una mano infantile. Georges si perde subito in
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poi, risalendo addirittura a quando aveva sei anni, ricorda di essersi comportato male con un
orfano algerino, suo coetaneo, che, nonostante i suoi genitori lo avessero affettuosamente accolto
in casa, era riuscito, con un pretesto crudele, a far rinchiudere in un orfanotrofio. Che quelle
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francese dopo il grande successo de La pianista, protagonista Isabelle Huppert, non ci dà risposte
dato che, pur avendo costruita in apparenza la sua storia come un thriller, le sue attenzioni le ha
rivolte soprattutto ai ricordi e al rimorso di un protagonista il quale, attorno, mette tutto in crisi, dal
suo lavoro al suo rapporto con la moglie, prima sommerso da interrogativi e da ipotesi, poi via via
sempre più ferito dal pensiero di quella sua colpa lontana, causa, forse, degli atteggiamenti
accusatori di oggi. Una discesa, perciò, tra le pieghe di un rimorso che, pur da tempo rimosso,
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crescendo di ansie, uno sfacelo che insensibilmente fa via via franare attorno la vita intera del
protagonista, una continua ricerca — nel testo e nella sua rappresentazione — del sospeso e
del
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non siamo sul versante del thriller o del noir, ma su quello di una improvvisa tempesta nei segreti
del
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Auteuil come Georges: tutta tocchi segreti, note minime. Con totale vitalità espressiva. Juliette
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fugace, ma segna il film con la sua pagina più splendida.
Roberto Silvestri - Il Manifesto, 15 ottobre 2005
George, odioso conduttore tv di un programma letterario, è perseguitato e impaurito da uno
sconosciuto che gli recapita videotape misteriosi, con immagini sue, della famiglia, di casa, della
moglie Anne, redattrice editoriale, e del figlio Pierrot, 12 anni, nuotatore provetto ma un po'
inquietante. Gli amici non l'aiutano, e nemmeno il capo struttura, mentre arrivano per posta
raccapriccianti disegni e, una notte, sparisce Pierrot. Sembra il colmo della tragedia, ma è solo una
marachella del piccolo. Però George scopre, con l'aiuto di mamma la pista plausibile: è la vendetta
postuma di un algerino, che non fu adottato, per colpa sua, dalla ricca famiglia. Perché, a 6 anni,
George cacciò quel fratellastro dalla pelle scura, inventando che volesse assassinarlo, con
l'accetta, come una gallina.... E la vera tragedia inizierà quando scopriremo, però, che il
videomolestatore non è l'algerino, ma un altro che non sveliamo. Come se, in un giallo, l'assassino
fosse il giudice... Travestito da nemesi storica o divina, Michael Haneke, cineasta austriaco in
auto-esilio a Parigi, in Caché, lavora sulla paura del presente, che attanaglia l'occidente fin dentro i
focolari domestici, visto che la sua agiatezza continua a dipendere dalla rapina intensiva, e
professionale, del globo intero. E, più specificamente, fabbrica l'etno-thriller sui sensi di colpa dei
francesi rispetto alle passate e presenti atrocità coloniali e alla gestione affaristica del business
«immigrazione». Prende dunque di petto la vita e le opere di un borghese senza anima né valori e
lo tortura nei soliti modi, voyeuristici e paternalistici, sadici e brutali, opportunisti e moralisti, che
fanno l'originalità del suo stile. Se la tv commerciale ci toglie l'anima - si chiede Haneke - quella
pubblica non dovrebbe, come il mio film, smascherare il male assoluto?
Alberto Crespi - L’
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à,14maggi
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Caché di Michael Haneke è un esercizio intellettuale ed emotivo. Intellettuale perché, quando lo
vedrete coi vostri amici, si aprirà immediatamente il dibattito: chi è l'ignoto maniaco che perseguita
una tranquilla famiglia borghese parigina, inviandole strane videocassette che minano la sua
privacy? Emotivo perché Haneke è un regista che prende gli spettatori a pizzicotti, trascinandoli in
un gioco al massacro in cui siamo tutti complici e carnefici dei personaggi. Daniel Auteuil
(bravissimo: premio per il miglior attore già prenotato?) è un conduttore televisivo che da bambino
ha fatto una cosa molto brutta, rovinando la vita di un suo coetaneo figlio di algerini. Anni dopo, le
misteriose videocassette che gli arrivano a casa lo portano a re-incontrare il suo passato. Il video
diventa il rimorso che si riaffaccia. Ed è forse il rimorso di tutta la Francia (la ferita ancora dolorosa
dell'Algeria), che l'austriaco Haneke butta in faccia al pubblico della Croisette. Finora è uno dei
migliori film del concorso. Anche se vederlo è un'esperienza dolorosa.
Mariarosa Mancuso - Il Foglio, 15 ottobre 2005
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aveva spento la luce, dichiarato una catastrofe mondiale, e sperato che noi provvedessimo alla
trama e ai personaggi –i brividi li dà. Bisogna ammettere che sa mettere paura, magari facendo
cadere due uova sul pavimento e un cellulare nel lavandino. (Accadeva in Funny Games,
spaventoso weekend sulle rive del lago: basta sentire la famiglia che ascolta musica classica,
capiamo subito che accadranno cose terribili). Se Michael Haneke decidesse di fare il regista
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ebbe il più bravo di tutti. Non avrebbe bisogno di maniaci, seghe circolari,
sangue arterioso che zampilla, teste mozzate, moncherini. Invece Haneke vuol fare il registafilosofo (per sapere il motivo, bisognerebbe ficcare il naso nei suoi traumi infantili). Qui tiene nel
mirino la colpa e la rimozione. Non solo personali, che sarebbero materia per Alfred Hitchcock.
Generazionali, che fanno da zavorra a qualunque trama. Detto e fatto: nella seconda parte di
Niente da nascondere provvede a smontare il giocattolo sapientemente costruito nella prima metà
del film. Poiché il giocattolo era stato costruito con il solo aiuto di una videocamera e del tasto
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una lezioncina di storia francese e su una morale prevedibile? Perché non si è dato la pena di
trovare una buona spiegazione al mistero: chi ha girato i video che tormentano Daniel Auteuil,
conduttore alla tv francese di un talk show letterario? E perché nessuno della famiglia va mai a
frugare là dove dovrebbe essere piazzata la vide
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dodicenne, gli amici vengono cacciati di casa prima del tempo, tutte le porte sono chiuse a doppia
mandata. Complimenti al traduttore: il titolo italiano è esattamente il contrario del titolo francese,
Caché.
Lietta Tornabuoni - L’
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Daniel Auteil, il protagonista francese di Niente da nascondere di Michael Haneke, ha raccontato di
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un attore speciale. Stavolta il dramma è soprattutto interiore. Un giornalista televisivo che si
occupa di libri e sua moglie, Juliette Binoche, che lavora in una casa editrice, coppia colta e quieta,
genitori di un ragazzo tredicenne, ricevono una videocassette che riproduce la loro vita quotidiana:
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familiarità è un turbamento, una minaccia. Ricevono poi disegni infantili rappresentanti una
persona che vomita sangue. Ricevono altre videocassette, sempre più intime. Tentano di condurre
la vita di sempre ma è difficile. Parlano con la polizia, ma non è accaduto alcun fatto: gli agenti non
possono intervenire. I due sono terrorizzati. Lo scioglimento del mistero opprimente risale al
passato, comprende il rapporto con un algerino e il ricordo delle manifestazioni parigine del 1961
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Il meccanismo ideato dal regista austriaco Haneke è ispirato a una riflessione sulla sorda presenza
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ha radici storiche, evoca il razzismo coloniale: a intossicare il protagonista è il rimorso del
sopravvissuto.
Liana Messina - D di Repubblica, 15 ottobre 2005
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di un thriller crudele. Sinistri segreti incombono sulla vita dei protagonisti del film, il giornalista
Georges-Daniel Auteuil (un simil Pivot che si occupa di libri in tv) e sua moglie Anne, interpretata
da Juliette Binoche. Il loro ménage, più o meno tranquillo (unico neo un figlio adolescente e
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quello che fanno, insinuandosi nella loro privacy: anche se non rivelerà nulla di compromettente,
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bambino, un episodio che ha coinvolto una famiglia algerina che viveva nella casa paterna durante
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sentenzia Haneke, chiunque ha un rimorso sepolto. Sotto accusa ci sono gli individui ma anche
governi e politici, visto che il sottofondo visivo del film mostra immagini contemporanee di guerre,
scontri. «Il giallo mi è servito come strumento per proporre un racconto morale», dice il regista, «in
una storia che è costruita come un incastro di bambole russe». Lo stile è quello usuale,
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manifestazioni parigine degli algerini represse nel sangue. In realtà i riferimenti storici sono solo un
pretesto, la guerra non è il vero soggetto: quel che mi interessava davvero sottolineare è il senso
di colpa che tutti, in particolare noi ricchi occidentali, abbiamo verso il Terzo mondo. E le
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conseguenze della violenza, i rimorsi che lascia in chiunque ne sia stato protagonista. È un porre
domande sulle scelte e sulle responsabilità, individuali, comuni». Anche il modo di costruire i
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schermi dentro cui chi guarda può proiettare le proprie idee, i propri fantasmi, le proprie angosce».
Quando inizia a pensare una storia, lo fa quasi sempre avendo già in mente un attore preciso: con
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che hanno solo i grandi attori, il lato enigmatico che poi rende i personaggi più complessi. Non ho
voluto conoscerlo troppo, fuori dal set: meglio mantenere il segreto, per poi sfruttarlo al momento
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spiegazioni, Daniel lavora soprattutto sulla tecnica, come me». Quel che ha apprezzato di più è
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Natalia Aspesi - D di Repubblica, 29 ottobre 2005
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sanguinante, mette subito in allarme Georges Laurent? Incomincia così Caché, tradotto in Niente
da nascondere, il nuovo, come sempre crudele film dell'austriaco Michael Haneke, 61 anni, autore
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del mondo e della società, a Parigi, nella borghesia affluente e intellettuale. Altri video arrivano,
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servizio della famiglia di Georges negli anni della massima repressione francese in Algeria. Con
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scontentando certo chi, appassionandosi alla amara e inquietante vicenda, vorrebbe invece una
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il regista muove al nostro Occidente, oggi immerso nella paura della violenza del mondo altro che
esso stesso ha provocato con la sua propria violenza, e che ha dimenticato, cancellato dalla sua
coscienza. In questa storia le vittime sono altre dalla famiglia che si sente spiata, e il tema
principale che inquieta lo spettatore è quello della responsabilità: non solo quella del passato della
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suoi ricordi di una infanzia attraversata dalla sopraffazione sui più deboli, nel disprezzo e nella
violenza con cui difende la sua superiorità sociale, nello spirito di vendetta contro un male da lui
stesso provocato, il regista impone il difficile, angoscioso discorso della responsabilità individuale,
quella parte di colpa verso lo stato del mondo che ognuno di noi ha e non vuole riconoscere. In
una piccola parte, quella della vecchia madre malata di Georges, c'è una grande Annie Girardot,
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