Sulla strada che porta a Nebbiolo Prima 2016 fra tanti

Transcript

Sulla strada che porta a Nebbiolo Prima 2016 fra tanti
INTRAVINO – 17 MAGGIO 2016
Sulla strada che porta a Nebbiolo Prima 2016 fra tanti assaggi, numeri
ufficiali e soprattutto visioni
di Pietro Stara
La prendo con calma e faccio Asti – Alba seguendo la statale. Se avete fretta sarebbe meglio di no,
ma io non ne ho. E poi le statali riservano, oltre ad autovelox piazzati ogni sei centimetri, un terroir
a sorpresa che le anonime autostrade non possono dispensare. Al fondo di Isola d’Asti campeggiano
due cartelloni pubblicitari di una certa qual grandezza uno a fianco dell’altro. Il primo dice: “W gli
alpini” (ritrovo nazionale ad Asti a fine settimana). Il secondo: “Isola d’Asti dice stop alla
prostituzione”. Qualche metro più avanti un bel gruppo di prostitute attende l’abituale clientela
domenicale. Credo anche gli alpini della domenica successiva. Se vogliamo trarne un monito
economico-finanziario potremmo dire che “domanda e offerta” superano ampiamente ogni forma di
dissuasione persuasiva di tipo comunicativa/visiva. Spesso, anzi, funziona al contrario. Se
volessimo poi estenderlo ad altro mi sentirei di affermare che le diverse forme di proibizionismo,
che fruttano molto denaro nel sistema capitalistico, generano mercati proficui e appena tangenziali,
ma collimanti ed interscambiabili, a quelli ufficiali: me lo conferma la presenza di alcuni sexy-shop
nell’allungo finale del paese, che completano la gamma dell’offerta a disposizione di una clientela
sempre più esigente. Lasciandomi alle spalle cartelloni, prostitute e ed elucubrazioni tardo
pomeridiane e domenicali, mi avvicino a passo di lumaca all’hotel Calissano di Alba dove trovo
ospitalità. Tutto il meglio: accoglienza, gentilezza, pulizia, una camera che vorrei avere a casa mia e
il bagno pure, silenzio, ascensori veloci e spaziosi, colazione abbondante. Che dire? Poi apro il
cassetto a fianco del letto: c’è la Bibbia. Il solito consiglio di lettura turistico-alberghiero induce in
me alcune contrarietà teorico-filosofiche di rilievo.
In serata saliamo al Castello di Guarene dove in un sontuoso salone al piano nobile il presidente di
Albeisa, Alberto Cordero di Montezemolo, il vice-presidente del consorzio del Roero, e il neo
presidente del Consorzio Barolo-Barbaresco, il conosciuto più come dolcettista Orlando
Pecchenino, ci presentano in Italiano/Inglese, testo a fronte, le giornate, lo spirito dell’iniziativa e
qualche numero della zona. Numeri che ci verranno rinforzati il giorno successivo, appena prima
dei primi assaggi del Barolo 2012. Stiamo parlando di una superficie vitata di 2.046 ettari per il
nebbiolo da Barolo, una produzione di 99.268 hl di vino per un totale di 13.235.971 bottiglie. Al
2012. Per il Barbaresco (2013) sono 729 ettari che in ettolitri ne fanno 35.113 e in bottiglie
4.681.737. Se si aggiungono i numeri del Nebbiolo Langhe, in crescita continua ed esponenziale,
sta avvenendo quello che alcuni chiamano “la nebbiolizzazione” della Langa. Facendo un raffronto
con i dati del 2010 al 2015 il Barolo produce, circa, due milione di bottiglie in più, il Barbaresco
300.000, mentre, per contro, il Dogliani si è quasi dimezzato (da 5.617.333 a 3.016.800 bottiglie); il
Barbera d’Alba è passato da 12.167.600 a 11.774.933; il Dolcetto d’Alba da 8.974.267 a 7.190.933.
Infine, il Dolcetto di Diano d’Alba da 1.202.133 a 955.200 bottiglie in totale. Barolo e Barbaresco
hanno avuto, assieme al Nebbiolo d’Alba e al Langhe Nebbiolo, che sta assorbendo sotto la sua
dicitura l’intera produzione del Nebbiolo d’Alba, un aumento costante e significativo di estensione
di ettari vitati, assieme alla piccolissima denominazione del Verduno Pelaverga. Il nebbiolo copre,
allo stato attuale, il 37% della produzione complessiva. Come si può ben immaginare a questo
corrisponde una parziale, ma significativa, contrazione degli ettari vitati per le tre denominazioni
dei Dolcetto e in parte del Barbera. In un quadro in cui la gran parte dei produttori si sta
velocemente dirigendo verso le nuove classificazioni determinate dalle Menzioni Geografiche
Aggiuntive: 56% per il Barolo e 46% per il Barbaresco (dati al 2015). Infine, per dovere di cronaca
e di memoria, il Consorzio dei produttori sia del Barbaresco che del Barolo, ha deciso di difendere i
propri nomi, la propria storia e le proprie peculiarità, a partire dal 2010, utilizzandoli come marchi
registrati. Ma questo è già futuro anteriore.
La serata prosegue con un buffet di alto livello, qualche bicchierata, due parole qua e là e
soprattutto là. E a nanna. Pimpante come uno stoccafisso accomodato mi alzo alle sette, mi preparo,
faccio colazione e salgo su un pulmino che ci accompagna al centro congressi per la prima tornata
di assaggi. Solo 99. Sono le otto e trenta circa quando inizio e faccio alcuni gargarismi preparatori
accompagnati da preghiere solenni volte alle divinità della resistenza fisica e morale. Ne abbiamo
anche discusso a cena, con dei valenti e giovani produttori, di questa metodologia fordista-taylorista
applicata all’assaggio dei vini. Sicuramente non ne scappa uno, ma la questione rimane spalancata:
che tipo di valutazione si sta cercando? Per comunicare che cosa? E poi siamo così certi che al
73esimo assaggio non scappi comunque qualcos’altro? E poi perché non farselo sfuggire? Ritornare
magari. Sembra quasi che o qui o mai più. Come se non potesse più capitare, un giorno, un Guido
Alciati qualsiasi che compri l’intera produzione. Insomma, ci vuole qualcosa di più seriamente
freestyle. Davanti a me, un po’ spostato sulla destra, c’è Alessandro Masnaghetti che, a sua
insaputa, influenzerà i miei criteri di giudizio attraverso la pura e semplice trasmissione telepatica.
È la prima volta, infatti, che utilizzo il segno + dopo i numeri di valutazione sintetica e plastica: 88
+: 86+; 92+ ecc. Non su tutti i vini naturalmente, ma solo su quelli che possono prevedere
un’evoluzione di qualche tipo, cioè il 90% del totale. I sommelier di servizio non sono bravi: di più.
I loro polpastrelli assomigliano ai bicipiti di Tyson.
Annata che vai vino che trovi. Non sono mai stato un fan sfegatato delle degustazioni seriali alla
cieca per motivi che ho ricordato anche in altre occasioni. Altri, poi, hanno detto cose mirabili e
giuste sulle mutazioni del vino, sulle disuguaglianze del vino, sulle solitudini del vino. E il tempo
che scorre, la mattinata che passa, io che sono diverso da un’ora all’altra: un po’ di disattenzione, o
un’attenzione eccessiva, stanchezza, distrazione momentanea, vicini che parlucchiano, vicini che
tacciono, vicini che scribacchiano, io che cerco con gli occhi una finestra come quando ero a scuola.
Me ne rendo conto: sono assolutamente in difensiva. Dovessi dirlo in generale, appunto, con tutti i
riguardi del caso, i Barolo 2012 che ho assaggiato, in prevalenza di Serralunga, o di più comuni,
fanno fatica ad uscire. Se ne stanno lì belli rintanati, accoccolati alle loro botti, legati da un tannino
ombelicale ancora difficile da recidere pienamente. Ho sentito all’uscita alcuni commentatori extra
europei, prevalentemente asiatici, gongolarsi di tutto questo bendilegno. Paese che vai, tannino che
ami. Vi segnalo qui alcuni vini, che mi son parsi in fase maggiormente espansiva, piena, di buona
armonia, di frutto e di spezie conditi.
Elvio Cogno Barolo Ravera – Novello: bello tenebroso, compatto, un po’ vegetale. Promette.