Assemblea nazionale Sinistra Italiana

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Assemblea nazionale Sinistra Italiana
Assemblea nazionale Sinistra Italiana - Roma, 16 luglio 2016.
Introduzione di Alfredo D'Attorre
Care compagne, cari compagni,
la nostra assemblea cade al termine di una settimana terribile, in giorni di dolore e smarrimento.
Ci siamo interrogati in questi giorni se fosse giusto confermarla. Perché abbiamo deciso di
mantenerla? Non lo abbiamo fatto solo ragioni logistiche o per rispetto di chi si era organizzato da
tempo, talora a costo di sacrifici familiari ed economici, ma perché abbiamo pensato che una
comunità in formazione come la nostra, che non è tenuta assieme dal potere né dal riflesso
condizionato di una tradizione comune, ha senso anzitutto se riesce a essere il luogo per
interrogarsi insieme sulle trasformazioni e sui drammi di questo “mondo grande e terribile”, come
si sarebbe detto una volta con le parole di un autore a noi caro.
A questo quadro internazionale non possiamo non legare la nostra discussione. Non per ritualità,
ma come condizione indispensabile per dare un senso e un fondamento storico alla nostra
impresa. Possiamo essere Sinistra Italiana, ovvero una sinistra utile all’Italia, solo con uno sguardo
costante sul mondo e con la capacità di dare una dimensione globale alle nostre posizioni e alle
nostre lotte.
Stanotte c’è stato il tentato colpo di Stato in Turchia. È una che avrebbe potuto avere ricadute più
pesanti in termini di vite umane e di ulteriore destabilizzazione di quell'area. Si tratta di un evento
tutt'altro che inedito nella vicenda di quel Paese, ma stavolta legato anche al grande
sommovimento in atto nel Medioriente e nel mondo islamico. La prima impressione che si trae è
quella del carattere ancora più discutibile e controverso del previsto di una leadership, quella di
Erdogan, a cui l'Unione Europea ha affidato un ruolo chiave nella gestione dei flussi migratori e da
cui finora ha fatto molta fatica a ottenere un comportamento coerente nella lotta all’ISIS.
L’altro ieri c'è stato l’orrore di Nizza: una furia omicida che stavolta non ha risparmiato neppure i
bambini. La strage è avvenuta il 14 luglio, il giorno simbolo della Rivoluzione francese e forse
dell’intera modernità occidentale. Il giorno simbolo di quei valori -libertà, fraternità, uguaglianzasu cui l’Occidente ha costruito le sue pretese di universalità, salvo smentirli troppo spesso nella
pratica e nelle scelte politiche concrete.
E forse l’obiettivo di chi ha ispirato questa furia omicida, che fa seguito di pochi giorni alla strage di
Dacca, è proprio quella di indurci ad abbandonare definitivamente ogni coerenza rispetto a questi
valori.
La guerre 'per esportare la democrazia' sono state il propellente di questo estremismo islamico. E
oggi la guerra, che ormai percepivamo come un’eco lontana e destinata all’indifferenza, la
abbiamo nelle nostre città, nel cuore dell’Europa. Si manifesta drammaticamente il fallimento di
una strategia solo bellicista e securitaria.
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Se c’è una sinistra in Europa e in Italia deve ripartire di qui, per sconfiggere i predicatori dell’odio e
della guerra di civiltà. Basti pensare che oggi i giornali della destra italiana titolano uno "Islamico
di razza", l’altro "Islamexit: la convivenza impossibile con l’Islam".
Certo serve rafforzare l’attività di intelligence e di prevenzione. Serve correggere scelte di politica
estera dissennate, che hanno favorito l’espansione dell’ISIS, a partire dal commercio di armi e di
petrolio.
Ma dobbiamo sapere che non basterà. La sconfitta del fondamentalismo omicida passa per una
battaglia culturale che va combattuta assieme ai milioni di musulmani che vivono in Europa,
facendoli partecipi di una strategia comune per estirpare la follia omicida agisce in nome della loro
religione.
Per far questo dobbiamo essere in prima linea nel contrastare una linea irresponsabile e suicida
della destra xenofoba che rischia di accrescere la radicalizzazione e di portare a disastri sempre più
grandi.
Proponiamo alle associazioni e ai sindacati l’idea una grande manifestazione a settembre contro
il terrorismo, la guerra e il razzismo. Bisogna sconfiggere la paura e l’odio, distruttivi anzitutto
perché inefficaci, con la forza della ragione e di una grande mobilitazione collettiva.
L’omicidio di Emmanuel a Fermo e le reazioni che sono seguite ci dicono quanto profondamente
hanno scavato l’odio e la paura e quanto questo metta in discussione la qualità della convivenza
civile in vaste aree del Paese. Non è più tempo di giocare in difesa nel denunciare il nesso tra
terrorismo, guerra e razzismo. Su questo dobbiamo riaprire una battaglia a viso aperto.
Una compagna ieri mi faceva notare che il teorico dello scontro di civiltà, Samuel Huntington, è lo
stesso che nel famoso rapporto della Trilateral a metà degli anni ’70 denunciava l’ “eccesso di
democrazia" e il “sovraccarico dello Stato”. Sono le celebri tesi alla base della rivoluzione
neoconservatrice e della svolta liberista che ha dominato l’ultimo trentennio, producendo i suoi
disastri proprio sui terreni dell’economia e della guerra.
La tesi dell'eccesso di democrazia è quella che l’estabilishment ha utilizzato come principale chiave
di spiegazione della Brexit. Voto in cui sono confluite tante spinte diverse, a partire dalla paura
dell’immigrazione, ma che conferma ormai l’insostenibilità degli squilibri di un capitalismo
finanziario di cui l’Unione europea appare come fattore di potenziamento e aggravamento,
anziché di governo e contenimento.
Non se ne esce certo con le teorie di Monti e Napolitano sull’abuso di democrazia o con la
stigmatizzazione indifferenziata come ‘populismo’ di ogni spinta contro l’attuale ordine europeo.
Dobbiamo riconoscere che il populismo anti-europeo cresce - e spesso gonfia le vele della destra
xenofoba- perché sfrutta il nucleo di verità che lo alimenta: in Europa l’assetto istituzionale ed
economico dell’UE è ormai il principale veicolo di affermazione dei dogmi liberisti.
Per questo nella traccia di discussione elaborata dall'esecutivo abbiamo scritto che “il tema di un
radicale ripensamento dell'Unione Europea e dei suoi Trattati, in grado di conciliare un nuovo
disegno di cooperazione e integrazione fra i popoli europei con il principio della sovranità
popolare, è uno dei temi fondanti che la nostra discussione congressuale dovrà affrontare”.
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È possibile un rilancio in una prospettiva democratico-federale o è più sensato il ridisegno un
progetto di cooperazione e pace tra i popoli europei in una chiave più leggera, flessibile e adatta
alle specificità nazionali, secondo una linea a cui tante voci e intelligenze accennano negli ultimi
tempi, dall’ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti Larry Summers a Papa Francesco?
È una discussione che inizia ad attraversare l’intera sinistra europea, da affrontare senza
scomuniche preventive e caricature reciproche. Partendo dagli importanti punti in comune, come
l’opposizione ai trattati di libero scambio TTIP e CETA. Valorizziamo questo dato di partenza
positivo del nostro confronto. È finito il tempo in cui la globalizzazione liberoscambista scaldava i
cuori sia della sinistra riformista della 'terza via', sia di quella antagonista, che si illudeva che quel
movimento avrebbe di per sé determinato l’insorgenza delle moltitudini globali.
Dentro questo quadro si inserisce la nostra discussione sullo stato del progetto di Sinistra Italiana.
Nel documento che vi abbiamo inviato trovate la sintesi di un confronto che abbiamo avuto nel
Comitato esecutivo. A quella sintesi, che condivido, voglio aggiungere alcune considerazioni,
provando a usare parole chiare.
Dobbiamo dirci le cose con franchezza, provando a costruire proprio sulla franchezza e sull’onestà
intellettuale una lealtà e un senso di responsabilità reciproca tra di noi.
Al netto di alcuni risultati positivi (e al riguardo voglio salutare il neo-sindaco di Sesto Fiorentino
Lorenzo Falchi che è qui con noi), il voto delle amministrative ci consegna un dato inferiore alle
aspettative. È legittimo l’interrogativo se non sia stato un errore accettare una politicizzazione di
quel voto che non eravamo pronti ad affrontare. Certo, non sarebbe stato semplice evitarla.
Nel contempo, il bilancio di questa primo tratto della fase costituente è insoddisfacente. La spinta
creatasi dopo l'iniziativa del Quirino e Cosmopolitica si è affievolita. Nei territori spesso la logica
pattizia fra le forze co-fondatrici ha prevalso sulla capacità di attrarre energie nuove. Il nostro
messaggio è apparso spesso sfuocato.
Non è tempo di difese o autodifese d’ufficio o di mettere la polvere sotto il tappeto.
È tempo di riconoscere i problemi e di usare le critiche per correggere e rilanciare.
Così come siamo oggi non siamo all’altezza del compito e dell’ambizione che Sinistra Italiana
deve darsi.
È questo il sentimento nei cuori di tante e tanti che oggi sono qui e che vogliono continuare a
credere a questo progetto.
Facciamo una discussione a fondo, anche la più cruda e diretta, ragioniamo sugli errori,
mettiamoci tutti in discussione, a partire ovviamente da chi ha avuto maggiori responsabilità
politiche e istituzionali, ma facciamola con lo spirito di ripartire.
Ci serve un confronto senza sconti, con un’unica condizione: alla denuncia di ogni limite e
insufficienza ognuno di noi deve avvertire il dovere di legare l’indicazione di una possibile
soluzione, di una via d’uscita.
Se c’è questo impegno leale e costruttivo, serve davvero il massimo di apertura e di capacità di
ascolto reciproco, anche rispetto alle critiche più severe.
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Rispetto quelle compagne e compagni sardi che nei giorni scorsi hanno espresso una posizione
limpidamente diversa, ma personalmente credo che dovremmo investire ancora con più forza e
determinazione nel progetto di Sinistra Italiana.
Ci serve riconoscere anche il buono che ci lasciamo alle spalle, ma dobbiamo essere consapevoli
che non è il ritorno ai vecchi lidi che ci salverà o costruirà il futuro.
Fatelo dire a me, che vengo da un altro percorso rispetto a SEL e che sono convinto che Sinistra
Italiana non avrebbe futuro se rinunciasse a un forte carattere di novità e discontinuità,
risolvendosi in un mero cambio di nome. E tuttavia riconosciamolo con chiarezza, anche di fronte
a problemi e contraddizioni ancora irrisolte che ci sono a livello nazionale e nei territori: senza una
scelta coraggiosa e lungimirante di Sel e del suo gruppo dirigente il progetto di Sinistra Italiana
non sarebbe neppure nato.
Ora, nel momento di maggiore difficoltà del progetto, ci serve uno scatto in avanti. Il nostro
compito è riaccendere la speranza in un popolo di sinistra che è passato da una delusione all’altra.
Riaccendere la speranza nel popolo della sinistra significa rimettere in moto una grande energia
democratica al servizio del Paese.
Non basta un generico richiamo alla sinistra per rimettere in moto questo popolo.
Serve dimostrare che sulle questioni decisive possiamo diventare uno strumento utile per il
cambiamento di cui c’è bisogno.
E oggi, a mio giudizio, le questioni decisive sono tre: la questione democratica, quella sociale e
quella morale.
La prima tocca il tema del referendum costituzionale. È l'impegno assolutamente decisivo dei
prossimi mesi, quello sul quale investire davvero ogni energia. Oggi lanciamo una mobilitazione
totale di Sinistra Italiana su questo tema, dopo la sottovalutazione e l’approssimazione
organizzativa con cui anche noi abbiamo affrontato la raccolta delle firme.
Adesso bisogna cambiare passo. Anche il mese di agosto dovrà essere attraversato da questo
impegno. È stato un anno intenso, ma ci toccherà fare vacanze più brevi!
La campagna per il NO serve anzitutto per salvare un equilibrio democratico e costituzionale: per
sventare un disastroso pasticcio sulla seconda parte della Costituzione e per mandare in soffitta la
follia dell’Italicum. Al netto di ciò che deciderà la Corte Costituzionale, la vittoria del No al
referendum è l’unica possibilità per cambiare la legge elettorale (lo ribadisco ai compagni della
sinistra PD!).
Poi si tratta di salvaguardare il nesso fra prima e seconda parte della Costituzione.
Dobbiamo chiarire che voglio deformare la seconda parte della Costituzione per disattivare
definitivamente la prima parte.
E questa cosa, guardate, la possiamo spiegare bene solo noi, non la destra o il M5S, con le sue
oscillazioni sul programma economico-sociale.
C’è inoltre in quella campagna un grande terreno di crescita e di allargamento del nostro
radicamento nel Paese. Si tratta di promuovere comitati larghi, provando a coinvolgere
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associazioni, reti civiche, settori di cattolicesimo sociale e di base di sinistra del Pd, o singoli
elettori di sinistra non ancora convinti del nostro progetto.
E, infine, il referendum è la chiave per riaprire la partita politica per il governo del Paese.
Certo, lo abbiamo detto tante volte, Renzi non è un alieno, è il prodotto di un ciclo medio-lungo di
subalternità culturale della sinistra.
E tuttavia, se vogliamo stare sul terreno della battaglia politica e della trasformazione della realtà,
come si fa a non riconoscere una verità elementare? Il renzismo è oggi il primo ostacolo che
impedisce la costruzione su basi nuove di un campo democratico e progressista.
Non ci deve certo guidare la nostalgia del vecchio centro-sinistra delle compatibilità e dei vincoli
europei über alles. Rispetto a quella stagione serve un profondo cambio di lettura della società e
di scelte programmatiche.
Non possiamo certo rimettere in campo una proposta di governo progressista dal lato della
cittadella assediata dell’estabilishment, dal lato di quelli che il ministro Franceschini, nell'ultima
direzione del PD, ha definito i ‘sistemici’ che devono sconfiggere i ‘populisti’.
Dobbiamo ricostruire questo campo dal lato del cambiamento vero, provando ad affermare la
discontinuità della nostra analisi.
A chi ci dice che si rischia così di fare il gioco del M5S, conviene ricordare che è l’avventurismo del
disegno renziano rischia di portarci a nuovo bipolarismo fra destra e M5S.
Questa prospettiva può essere il terreno unificante della nostra azione politica nei prossimi mesi.
Lo dico non perché tema un confronto aperto sui temi veri, quello anzi ci serve, ma davvero non
ha senso una discussione tra di noi tutta concentrata sull’attuale quadro politico, perché Sinistra
italiana nasce esattamente per cambiarlo.
Alla campagna referendaria dobbiamo legare e affiancare una forte iniziativa sulla questione
sociale. Sinistra Italiana deve diventare la forza che mette al centro della propria azione e della
propria identità i temi della dignità del lavoro e della lotta alla disuguaglianze. Finora non ci siamo
riusciti.
Nel documento sono riportati i principali temi su cui abbiamo concentrato in questi mesi la nostra
iniziativa politica e parlamentare: ambiente, politica energetica, scuola, banche, trasporto locale,
immigrazione, diritti civili).
Giovedì alla Camera abbiamo rilanciato il confronto sul tema del reddito minimo, come battaglia
che incrocia il tema di un ridisegno del welfare e di un contrasto strutturale alla precarietà.
Qui oggi vogliamo lanciare l’idea di una terapia d’urto sui temi sociali decisivi: lavoro, sanità,
pensioni, istruzione.
Il punto di partenza è la critica alla totale inadeguatezza politica economica del governo, sia in
termini di efficienza economica che di giustizia sociale.
Basti pensare alla stasi degli investimenti pubblici, dopo il crollo da 50 miliardi a meno di 30 per
effetto dei tagli e delle politiche di austerità.
Sono stati impegnati 10 miliardi per gli 80 euro, oltre 12 per gli sgravi alle aziende, 4 per il taglio
dell’IMU anche ai miliardari. Gli esiti sono stati fallimentari.
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Con un ammontare analogo di risorse possiamo proporre una terapia radicalmente alternativa, un
vero e proprio shock sociale per un Paese sfibrato dalla crisi e dalla crescita della povertà.
Lavoro, pensioni, sanità, istruzione: questi gli assi un Social Compact che mandi definitivamente
in soffitta il Fiscal Compact.
Lavoro: un piano straordinario per l'occupazione, composto di investimenti pubblici, stimolo agli
investimenti privati e assunzioni nella pubblica amministrazione e negli enti locali, sulla scorta del
New Deal ambientale elaborato da Luciano Gallino. All'interno di questo piano proponiamo il
vincolo del 45% di investimenti per il Mezzogiorno. La tragedia ferroviaria in Puglia ha riportato
all’attenzione lo scellerato scippo di risorse al Mezzogiorno e l’uso della retorica dei Fondi europei
come diversivo rispetto a questa cruda realtà. Questo programma triennale da 15-16 miliardi
annui può essere finanziato dalla disapplicazione del Fiscal Compact e dall'innalzamento del deficit
di un punto percentuale, comunque entro la soglia del 3%.
Sanità: drastica inversione di rotta rispetto ai tagli previsti dal governo fino al 2018, per evitare
che la spesa sanitaria in rapporto al PIL scenda ancora fino al 6,5%, soglia che l'Organizzazione
mondiale della Sanità considera come quella mette a rischio l'erogazione di servizi essenziali. Un
impegno di 7 miliardi articolato in tre anni, anzitutto per abolire i super-ticket e abbattere le liste
d’attesa, contrastando la tendenza in atto a una privatizzazione strisciante del Servizio Sanitario
Nazionale.
Pensioni: un intervento su pensioni minime e flessibilità in uscita, in alternativa all’idea
inaccettabile del mutuo pensionistico.
Istruzione: 1 miliardo annuo da impegnare nel contrasto all'evasione scolastica e in una legge sul
diritto allo studio, per evitare che i figli delle famiglie povere o in difficoltà abbandonino scuola e
Università.
Dove trovare le risorse? Un punto di deficit in più per coprire il piano straordinario per il lavoro
(che, per sua natura, non necessità di coperture strutturali ed è destinato anzi a produrre effetti
positivi strutturali in termini di PIL, gettito fiscale e riduzione del deficit nel medio periodo). Per gli
altri interventi 12-14 miliardi possono essere recuperati da misure di contrasto all'evasione totale
e a quella sull'IVA, quali quelle proposte da NENS, dalla reintroduzione della TASI per le abitazioni
dei benestanti, dalla sospensione della prevista riduzione dell'IRES (ridurre la tassazione sui profitti
aziendali non può essere la priorità in questo momento!), da misure di equità fiscale su transazioni
finanziarie e tasse di successione, dalla riduzione delle spese per armamenti.
Con gli uffici del gruppo di Sinistra Italiana alla Camera siamo al lavoro per dettagliare le proposte,
anche sulla base delle indicazioni che verranno dall'assemblea, individuando la dotazione di risorse
e le relative coperture. Una volta definita la proposta complessiva, sul Social Compact potremo
produrre materiale di propaganda e lavorare sistematicamente nei media e nei territori,
conquistando quell'elemento di distinzione e di riconoscibilità programmatica che finora ci è
mancato.
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Infine, la precondizione per restituire credibilità all’impegno su tutti gli altri temi: la coerenza tra
parole e atti sulla questione morale.
È ancor più essenziale per chi ha la nostra idea dell’autonomia della politica e del ruolo dei poteri
pubblici nella regolazione dell’economia.
È un tema che tocca anche i caratteri di fondo del partito che vogliamo costruire e della sua
presenza della società.
Un partito con visione e cultura di governo, ma che non sia incapace di pensare il proprio ruolo
fuori dall’amministrazione e dalla gestione.
Un partito in grado di dare l’esempio e di essere utile, con la costruzione di pratiche di mutualismo
nei luoghi del disagio e del bisogno.
Un partito in cui chi sta nelle istituzioni esercita il mandato al servizio dei militanti e dei cittadini,
non è il proprietario dell’organizzazione grazie alla quale viene eletto.
Nei prossimi mesi ragioneremo di regole, di procedure. Tutte cose importanti, ma non decisive.
Se davvero vogliamo costruire una comunità, e se vogliamo che questa comunità possa essere
utile all’Italia, il nostro Congresso dovrà occuparsi soprattutto di questi grandi temi e di quale
nuova forma democratica e partecipativa possa esserne all’altezza.
E la nostra discussione dovrà essere accesa, sincera, appassionata, senza reticenze, ma dovrà
mantenere questo respiro, questa ambizione, questa consapevolezza.
Teniamolo a mente: costruiremo Sinistra Italiana soltanto se daremo risposta alla richiesta di
dignità del lavoro, giustizia sociale, onestà che l’Italia oggi esprime.
Buon lavoro!
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