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Italia in recessione, da un DECENNIO!
(di Flavio PELLIS – Segretario Generale AReS)
A fine aprile sono stati diffusi i dati OCSE sulle retribuzioni, i dati ISTAT ed INPS sui pensionati e la
distribuzione dei redditi, sui quali si sono verificate diffuse prese di posizione, che vanno dallo stupore alla
sorpresa, alla quasi incredulità, dal bisogna fare qualcosa, al “è necessario pensare alla crescita”, etc. etc.
Ma questi dati non sono affatto nuovi.
Sono sostanzialmente identici a quelli riferiti al 2007 (cioè ben prima del fallimento della banca
d’investimento Lehman Brothers di fine settembre 2008, che diede inizio alla crisi finanziaria ed alla
conseguente recessione mondiale).
Per chi ha la memoria corta, già nel 2007:
 l’OCSE posizionava le retribuzioni italiane al 23° posto (di molto inferiori a Regno Unito, Germania,
Francia, Spagna, etc.);
 l’INPS certificava che i pensionati al disotto di 500 euro/mese erano quasi 4 milioni 500mila, quelli sotto
i 1000 euro/mese erano circa 10 milioni, ed il 92% dell’intero sistema pensionistico era posizionato sotto
i 2000 euro (pari a 1500 euro/NETTI/mese);
 l’ISTAT confermava la perdita delle retribuzioni italiane del 13% rispetto alla media europea in 7 anni
(dal 2000); nonché che il 34,7% delle famiglie non arrivava a fine mese, mentre il 59,5% erano quelle con
qualche difficoltà, per un totale del 94,2%; inoltre che il 30% non era in grado di far fronte ad una spesa
straordinaria, anche modesta; infine che il potere d’acquisto pro-capite nel 2008 era precipitato sotto il
livello del 2000 (con – 0,9%);
 in più, i dati sulla crescita nel periodo 2000-2008 già dimostravano che siamo fermi da anni; l’Italia è
stato il paese europeo cresciuto meno in assoluto: appena un misero 1,4 %, a fronte del 10% dell’area
euro ed il 12,1% dell’Unione europea; dati più che confermati nel 2010 dal F.M.I. che ci posizionavano al
penultimo posto mondiale nell’ultimo decennio: 179° su 180 paesi: solo Haiti, è cresciuto meno di noi (ci
voleva un paese distrutto da un terremoto devastante, per fare peggio dell’Italia!).
Tutto ciò dimostra che la recessione è iniziata molto prima della crisi mondiale di autunno 2008; perciò
sostengo che siamo in recessione dal 2002-2003 (per approfondimenti: il libro IL TORDO INGORDO –
Editrice UNI Service), solo aggravata negli ultimi 3 anni e mezzo.
In particolare, nel 2002 con il passaggio Lira/euro, l’equivalenza 1 euro = 1000 lire ha determinato il
sostanziale raddoppio dei prezzi ed il conseguente dimezzamento del potere d’acquisto dei redditi “fissi”
(lavoratori e pensionati). Infatti il Comitato di sorveglianza sui prezzi (non sono sicuro che sia la dicitura
esatta) è stato abolito dall’allora governo Berlusconi, rendendo impossibile poter esercitare alcun controllo.
Inoltre la legge 30 del 2003 ha amplificato le forme di contratti “flessibili” che sono diventate precariato
permanente, perchè il suo grande vantaggio contributivo rispetto al lavoro stabile è la causa principe della
sua enorme diffusione; che probabilmente non diminuirà di molto, in quanto le modifiche previste nella
riforma del mercato del lavoro non serviranno a granchè, al fine del ridimensionamento della precarietà.
Quindi, non si può parlare di crescita se non si affrontano con urgenza e decisione le questioni annose delle
DISEGUAGLIANZE: nella DISTRIBUZIONE DEI REDDITI e nella RAREFAZIONE DEL LAVORO STABILE;
l’urgenza deriva dal fatto che un eccesso di diseguaglianze prolungato nel tempo crea disgregazione sociale.
Si cresce soprattutto se aumenta la domanda interna, che rappresenta il 70% del PIL; ma la domanda
interna è fortemente influenzata dalla capacità di spesa dei redditi da lavoro e da pensione.
L’incremento della domanda interna quindi, si ottiene da un lato aumentando il potere d’acquisto dei
redditi di lavoratori e pensionati, dall’altro aumentando la platea della domanda, quindi maggior
occupazione, soprattutto stabile (se è vero che il tasso di occupazione italiano è al 56%, contro il 71% della
Germania, il 69% della Gran Bretagna, il 67% della Francia, una media UE del 65%).
Perciò sono necessarie: politiche fiscali redistributive a vantaggio dei redditi da lavoro e da pensione;
la diffusione di un sistema di relazioni industriali “partecipativo” che ripartisca i benefici derivanti dagli
incrementi di produttività; inoltre va reintrodotta la rivalutazione delle pensioni (che non hanno altro
modo per difendersi dall’inflazione) utilizzando l’indice dei beni ad alta frequenza d’acquisto, con un
sistema inversamente progressivo non oltre una certa soglia (quindi non lineare), come ad es. fino ai 3540mila euro/anno, limite oltre il quale la rivalutazione è azzerata; finanziandolo anche con un contributo di
solidarietà a carico sia delle alte pensioni (oltre 60-80 mila euro/anno), sia delle cosiddette pensioni baby
(oltre una certa soglia), che hanno finora beneficiato della pensione prima dei 35 anni di contributi.
L’allargamento dell’occupazione va perseguito non solo con politiche industriali e di sostegno
all’innovazione e ricerca, verso settori produttivi ad alta crescita, nell’innovazione dei processi produttivi
aziendali per aumentare la competitività, con strutture formative e di ricerca adeguate; ma anche con
incentivi all’occupazione stabile (disincentivando la precarietà), con politiche attive del lavoro ed infine con
una accorta e lungimirante redistribuzione del lavoro.
Il punto è lavorare meglio ed in modo produttivo, persino con orari più corti (anche per creare
occupazione); gli ultimi dati Ocse certificano che i paesi con maggiore produttività sono anche quelli con
orari annui più corti (e sono gli stessi con il più alto tasso di occupazione), mentre quelli con orari più lunghi
sono quelli a più bassa produttività (oltre che a più basso tasso di occupazione, e tra questi c’è l’Italia).
Come reperire le risorse?
 Dall’introduzione di una imposta strutturale sui grandi patrimoni (Bankitalia dimostrava già nel 2008,
che il 10% delle famiglie deteneva il 48% della ricchezza nazionale, aumentando di 7 punti rispetto al
2000). Un calcolo approssimativo: ad esempio, con il 0,5% si avrebbero ben 24 miliardi di euro all’anno,
corrispondenti a 10.000 euro medie annue per ogni famiglia ricca, le quali non verrebbero di certo
impoverite per questo (per loro) minimo importo, ma darebbero un contributo meritorio e solidale al
paese, anche per il futuro dei loro come dei nostri figli.
 Inoltre, da una più incisiva lotta alle fonti occulte: l’evasione fiscale, che ammonta a ben 170-180
miliardi di euro/NETTI/anno di mancate entrate, il 27% del gettito fiscale complessivo, che ci posiziona al
primo posto in Europa, secondo la Tax Research London; la corruzione, che secondo la Corte dei Conti
ammonta a quasi 70 miliardi di euro/anno; senza contare l’immenso patrimonio della criminalità
organizzata. Si tratta di risorse enormi (per inciso, caso unico nel panorama europeo ed occidentale),
sottratte alla collettività, scaricando i costi del funzionamento dello stato (in tutte le sue articolazioni)
unicamente sulla parte rimanente e più esposta della società.
Quindi, si tratta solo di volerlo fare (ipotizzando un recupero del 10% all’anno, si avrebbe un ulteriore
gettito di 18 miliardi di Euro netti per il primo anno, 36 miliardi di euro per il secondo, 54 miliardi di euro
per il terzo anno, e così via); adeguando le normative, anche penali e di confisca dei patrimoni,
emulando il modello USA (dove la maggior parte della popolazione carceraria americana non sono più
“neri”, bensì “colletti bianchi”, cioè evasori e truffatori), con il vantaggio collaterale di scoprire e colpire
anche la criminalità organizzata nella sua parte più sensibile, cioè le fortune illecitamente accumulate.
È difficile ma non impossibile, anche per riaccreditare un senso civico della legalità e del vivere insieme,
contro le furbizie, gli egoismi, le corporazioni, le clientele, il malaffare, etc.
Per questa via si alimenta anche l’idea della ricostruzione del bene comune, di un senso etico pubblico e
privato, di una collettività socialmente responsabile, in grado di coniugare la libertà economica con la
solidarietà sociale; al fine di iniziare a costruire un futuro migliore per le prossime generazioni, per una
società più giusta, più equa e più solidale, dove sia ancora possibile la scalata dell’ascensore sociale.