L`importanza del motivetto di Nietzsche, “ diventa ciò che sei” anche

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L`importanza del motivetto di Nietzsche, “ diventa ciò che sei” anche
L’importanza del motivetto di Nietzsche, “ diventa ciò che sei” anche in Tribunale. Il caso Messina.
La questione di diritto sottoposta all’attenzione del Tribunale di Messina riguarda l’ammissibilità della
rettifica dell’attribuzione del sesso nei registri di stato civile da parte di tale D.D. che non si è sottoposto ad
intervento demolitorio-ricostruttivo degli organi genitali, ma solamente ad una terapia ormonale
femminilizzante, poiché la percezione psicologica del sesso da parte dell’istante era femminile, mentre
un’operazione sarebbe risultata, oltre che molto invasiva, inopportuna e rischiosa rispetto al raggiungimento
dell’equilibrio nella sua vita sessuoaffettiva.
Il collegio accoglie la domanda. La normativa di riferimento sul tema è contenuta nella Legge 14 aprile 1982
n. 164 (“Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”), poi modificata dal Decreto
Legislativo 1 settembre 2011 n. 150 (“Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione”). Ai sensi dell’art. 1 della legge del
1982: “la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una
persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi
caratteri sessuali”. L’art. 31, comma 4, del decreto del 2011, prevede inoltre che “quando risulta necessario
un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo
autorizza con sentenza passata in giudicato”. Con tale disciplina, l’ordinamento si è preoccupato di
prevedere una procedura di rettificazione del sesso, già attribuito alla persona al momento della nascita in
base a esame morfologico degli organi genitali. Dunque, nel caso in cui un soggetto fosse affetto da disturbo
di identità di genere, con la modifica dei registri dello stato civile si vedrebbe risolto lo iato esistente fra il
sesso anagrafico e quello psicologico o percepito. Ma tale rettificazione non è consentita dalla legge sic et
sempliciter, poiché è condizionata alla sopravvenienza di modificazioni dei caratteri sessuali. Proprio tale
espressione, particolarmente generica e “fumosa”, ha alimentato la disputa giurisprudenziale al cui interno si
colloca la sentenza in esame.
La pronuncia del Tribunale di Messina segna un punto di discontinuità rispetto all’orientamento
giurisprudenziale dominante (così Tribunale di Vercelli, 12.12.2014), e lo fa richiamandosi alla lettura
“personalistica” che la Corte Costituzionale, con l’ordinanza del 24 maggio 1985, n. 161, dà della legge n.
164 del 1982, applaudendo –la Corte- alla legge stessa come espressione di “una civiltà giuridica in
evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità”, strumento per la “ricomposizione
dell’equilibrio tra soma e psiche” del transessuale. Il collegio sottolinea innanzitutto come “l’adeguamento
dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico” vada effettuato, per legge,
soltanto “quando risulta necessario”: da qui emergerebbe –dunque- il carattere “eventuale” dello stesso. In
secondo luogo, esclude che il termine “adeguamento” sottintenda una modificazione di tutti i caratteri
sessuali, primari e secondari, risultando così sufficiente il mutamento solo di questi ultimi se la persona
abbia raggiunto già un equilibrio psico-somatico e portato a maturazione la consapevolezza sulla propria
identità sessuale. Ciò che il tribunale si perita di dimostrare è quindi l’importanza della dignità umana e del
raggiungimento, da parte di ogni uomo o donna, di un benessere ed equilibrio sessuoaffettivo, necessari per
un sereno svolgimento della propria vita.
L’orientamento dominante è quello esposto nella recente sentenza 159/2014 del Tribunale di Vercelli, in cui
il caso proposto è lo stesso presentato al Tribunale di Messina: un uomo chiedeva la rettificazione di
attribuzione di sesso da maschile a femminile, dopo aver acquisito fattezze femminili in seguito ad una cura
ormonale, senza però essersi sottoposto ad un’operazione demolitivo-ricostruttiva dei propri organi sessuali
riproduttivi. La domanda non fu accolta, poiché “la legge 164/1982 all’art. 1 sancisce che «La rettificazione
[di attribuzione di sesso] si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una
persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi
caratteri sessuali»” e “l’art. 31, comma 4, del D. Lgs. 150/2011, stabilisce che «quando risulta necessario un
adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo
autorizza con sentenza passata in giudicato»”. Il collegio ha ritenuto che per “caratteri sessuali” la legge
intendesse riferirsi a quelli primari, perché il novero dei caratteri sessuali secondari è particolarmente
indefinito ed ampio, a fronte dell’unicità e chiara individuabilità, nei generi maschili e femminili, dei
caratteri sessuali primari. Inoltre, le caratteristiche femminili acquisite dall’attore non sarebbero irreversibili,
a differenza dei mutamenti dei caratteri primari a seguito di un intervento.
Ma se da un lato vi è stata un’importante inversione di rotta, dall’altro la sentenza trova conferma in alcune
sentenze della Corte di Giustizia della Comunità Europea, la quale ha spesso evidenziato il nesso esistente
tra il diritto all’identità di genere della persona transessuale e l’affermazione della sua piena dignità umana.
Perché è proprio la “dignità umana” la ratio ispiratrice della decisione del Tribunale di Messina, e
soprattutto il rapporto tra l’identità percepita e la sua proiezione nella società (“se è vero che l’identità di
genere sotto il profilo relazionale può essere considerata un aspetto costitutivo dell’identità personale, la sua
esplicazione risulterebbe ingiustificatamente compressa ove la modificazione chirurgica dei caratteri sessuali
divenisse presupposto indefettibile della rettificazione degli atti anagrafici, specie quando la modificazione
chirurgica possa risolversi in un danno alla salute fisica o psicologica del soggetto, costituzionalmente
tutelata ai sensi dell’art. 32 Cost.. Non vi sono, infatti, interessi superiori da tutelare”). La necessarietà
dell’intervento chirurgico è considerata una pratica “crudele”, poiché il diritto all’identità sessuale potrebbe
essere validamente esercitato tramite una procedura giuridico-formale di mutamento del nome e del sesso
nei registri dello stato civile, “permettendo così di presentarsi socialmente in conformità con il sesso
psicologico”.
Ritengo che il Tribunale di Messina giustamente ponga l’accento sul carattere generico e “fumoso” della
legge in esame. Facendo questo, ha aperto un varco per poter affermare, in controtendenza rispetto
all’orientamento giurisprudenziale dominante, che è possibile procedere alla rettifica dell’attribuzione del
sesso nei registri di stato civile anche solo in seguito ad una cura ormonale, e quindi ad un cambiamento dei
soli caratteri secondari. Il collegio ritiene prevalente il rispetto della dignità della persona, che appartiene ad
ogni uomo o donna indipendentemente dalle proprie inclinazioni religiose, politiche, sessuali, o di altro
genere. È giusto non solo riconoscere una libertà a ciascuno di poter essere chi è, ma un diritto, che è
strumento attraverso cui ogni libertà può essere espressa. Le libertà diventano diritto quando un gruppo
avverte una mancanza all’interno dell’ordinamento in cui vive, e tale mancanza si rende insopportabile al
punto da richiedere il riconoscimento di un diritto. La nostra società (intesa in senso lato) da tempo si è
incamminata verso un cambiamento radicale, liberandosi dalle gabbie del perbenismo e dell’apparenza.
Ogni persona, uomo o donna, ha il “diritto di essere lasciato in pace”, con tale locuzione intendendosi
riferire al diritto che ognuno ha di esprimere le proprie convinzioni senza il rischio che queste si ritorcano
contro di lui. È forse arrivato il momento di dare ben più ampio respiro all’articolo 2 della nostra
Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale”. L’uomo, si evince dalla norma, deve essere necessariamente
tutelato poiché viene posto non solo al vertice dei valori riconosciuti dall’ordinamento, ma anche al centro di
una trama di rapporti, come singolo e come formazione sociale, essenziale per la propria crescita.
Fondamentale è dunque il richiamo alla “personalità”, con la quale si intende l'insieme delle caratteristiche
psichiche e delle modalità comportamentali (inclinazioni, interessi, passioni) che definiscono il nucleo delle
differenze individuali, nella molteplicità dei contesti in cui la condotta umana si sviluppa. Questa, la ratio
ispiratrice dell’intera sentenza, che intenderebbe porsi come nuovo baluardo di una giurisprudenza che si
adegua alla società in costante mutamento, e che costituisce anche un richiamo filosofico alla massima
Nietzschiana “diventa ciò che sei”.
Irene Perfetti