Cambio di sesso senza intervento le novità

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Rettificazione di sesso senza intervento chirurgico:
a Messina si può : Tribunale Messina, sentenza 04.11.2014
Il Tribunale di Messina si è interrogato sulla questione, se per ottenere la rettificazione anagrafica
del sesso sia richiesto, alla persona interessata, di sottoporsi necessariamente all'intervento medicochirurgico demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali. Ponendosi in netto contrasto con una
quasi contestuale sentenza del Tribunale di Vercelli riguardante la medesima questione, il
Tribunale di Messina giunge alla conclusione che il legislatore ha inteso demandare al giudice la
valutazione ultima sulla necessità del ricorso all'intervento chirurgico nel caso concreto. Di qui,
l'autorizzazione alla rettificazione e alla modifica del nome a seguito di semplice cura
ormonale.
Nell’ultimo episodio riguardante l’interpretazione della norma centrale della legge sulla
rettificazione dell’attribuzione di sesso che sottopone l’autorizzazione del giudice alla rettificazione
anagrafica di sesso all’avvenuta modifica dei caratteri sessuali (Legge 14.4.1982, n. 164 e
successive modificazioni ex art. 31 D.Lgs. 1.9.2011, n. 150), alla protagonista era stato opposto un
secco «no». Era stato il Tribunale di Vercelli, nella sua sentenza del 12.12.2014, ad affermare
l’«indefettibilità dell’intervento chirurgico» e a negare così alla ricorrente, una persona transessuale
Male-to-Female (M2F), la rettificazione anagrafica, concessa in subordine soltanto una volta
effettuato detto intervento. Pur mostrandosi empatici con la ricorrente, i giudici vercellesi avevano
ritenuto che «la soluzione di tale problematica non può passare attraverso la forzatura, in via
interpretativa, di una norma di legge». Per il Tribunale, insomma, «lo spazio di manovra del
giudice italiano pare, de jure condito, drasticamente ridotto».
Di opposto avviso è, invece, il Tribunale di Messina. Anche qui la ricorrente, pure F2M, chiedeva la
rettificazione anagrafica e il mutamento del nome senza essersi sottoposta all’intervento chirurgico
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(né intendendo sottoporvisi), bensì al solo trattamento ormonale, altra fase necessaria del percorso
di transizione. A tale proposito, se da un lato «la percezione psicologica del sesso da parte
dell’istante era sicuramente quella femminile», dall’altro «un intervento demolitorio-ricostruttivo
degli organi genitali sarebbe risultato inopportuno e rischioso rispetto al raggiungimento
dell’equilibrio nella sua vita sessuoaffettiva».
Le norme di riferimento, e dunque gli art. 1 e 3 L. 164/1982 e l’art. 31, co. 4, D.Lgs. 150/2011, pur
non eccellendo in chiarezza, prevedono che la rettificazione chiesta dal ricorrente debba avvenire
con sentenza del giudice «a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali».
Inoltre, tali norme dispongono che, «quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri
sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza
passata in giudicato». Quindi, «dalla lettera della legge non si ricava immediatamente quali siano
i caratteri sessuali da modificare».
Per il collegio messinese «[tale] disciplina, com’è stato giustamente evidenziato, è fumosa e
generica». Sotto un profilo generale, essa risulta eccessivamente concentrata sull’aspetto
anagrafico e trascura invece la narrazione intrinsecamente «umana» del percorso di transizione (in
tal senso, da ultimo, Corte cost., 11.6.2014, n. 170, ove afferma che la disciplina in questione
esprime la «tutela esclusiva dell’interesse statuale […], restando chiusa ad ogni qualsiasi, pur
possibile, forma di suo bilanciamento con gli interessi delle persone coinvolte, consistente nella
necessità, per usare le belle parole di una risalente pronuncia della Corte costituzionale, di «far
coincidere il soma con la psiche» attraverso un intervento del giudice rivolto «alla tutela della
salute, anche psichica», della persona (Corte cost., 24.5.1985, n. 161).
Infatti, se ammettiamo che l’attuale disciplina in materia di rettificazione dell’attribuzione di sesso
obbedisca a esigenze di tutela della salute quale diritto costituzionalmente garantito ( Corte cost. n.
161/1985), allora è giocoforza affermare l’inammissibilità di un obbligo di sottoporsi a intervento
chirurgico, qualora esso si riveli dannoso o anche solamente non necessario per il raggiungimento
del pieno benessere psico-fisico della persona interessata.
Optando per la prima delle due alternative prospettate, e dunque per la libertà del giudice di
valutare la necessità o meno dell’intervento chirurgico, il Tribunale di Messina osserva in primo
luogo che «il legislatore non ha disciplinato tutti gli aspetti del transessualismo, ma solo i profili
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attinenti alla rettificazione dell’attribuzione di sesso, trascurando tutti gli altri. Anzi sembra che la
legge non guardi immediatamente alla realtà del transessualismo». Facendo leva sulla locuzione
per cui l’intervento va autorizzato solo quando ritenuto «necessario» — ovviamente previa verifica
delle condizioni della persona interessata e delle relative perizie mediche —, il collegio rileva
inoltre che «il legislatore ha rimesso esclusivamente al giudice tale valutazione, trascurando di
specificare i presupposti e di esaminare le peculiarità della situazione del transessuale», sicché «il
conflitto tra vissuto personale e sociale ed identità esteriore non sempre sfocia nella scelta di
sottoporsi a intervento chirurgico demolitivo e ricostruttivo».
«
»
Infine, si tratta di un diritto che non conosce bilanciamenti rispetto all’interesse pubblico, nella
questione che qui ci occupa, discendendo direttamente dal diritto alla salute tutelato dall’art. 32
Cost. per il Tribunale «non vi sono interessi superiori da tutelare, non potendosi considerare tali né
la certezza delle relazioni giuridiche, che comunque sarebbe salvaguardata dalle risultanze
anagrafiche, né la necessaria diversità sessuale delle relazioni famigliari, dal momento che la
diversità di sesso non è più considerata […] un presupposto naturalistico del negozio
matrimoniale» ( Cass. civ., sez. I, 9.2.2015, n. 2400).
La sentenza del Tribunale di Messina consolida dunque un orientamento che ha trovato la sua
massima espressione nella recente ordinanza del Tribunale di Trento (20.8.2014), che ha rimesso
gli atti alla Corte costituzionale proprio in rela ione all’obbligo dell’intervento medicochirurgico in base alla valuta ione che sembra che non vi sia ragionevole a n logicità nel
condi ionare il riconoscimento del diritto della personalità in esame, ad un incommensurabile
prezzo per la salute della persona». A questo punto non resta che attendere la pronuncia della
Consulta.
Vedremo se la Corte costituzionale, ora investita della questione già sottoposta ai giudici di
Messina, avrà il coraggio di fare davvero giustizia senza appiattirsi sul freddo dato normativo ma
affermando una volta per tutte il diritto fondamentale delle persone transessuali di stabilire la
propria identità di genere, aspetto inscindibile dell’identità personale.
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