Transazione fiscale, inadempimento e fallimento. 1) Premesse

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Transazione fiscale, inadempimento e fallimento. 1) Premesse
Transazione fiscale, inadempimento e fallimento.
SOMMARIO: 1) Premesse generali sull’istituto della transazione fiscale. Lo schema
normativo. 2) Inadempimento della transazione fiscale tra revoca e risoluzione. 3)
Travolgimento della transazione nel fallimento. 4) Fisco e privilegi. 5) Conclusioni.
1) Premesse generali sull’istituto della transazione fiscale. Lo schema
normativo.
Il presente lavoro si propone di analizzare l’aspetto patologico della
transazione fiscale, ovvero quello connesso al possibile inadempimento e/o
inesatto
adempimento
delle
obbligazioni
con
essa
assunte
dal
debitore/imprenditore in crisi, per poi verificarne le conseguenze sul piano
pratico/applicativo.
Per far ciò, tuttavia, risulta indispensabile partire dal dato normativo per
ripercorrere brevemente la disciplina dettata dall’art. 182-ter dell’istituto in
questione.
Dalla norma da ultimo citata si evince che la transazione fiscale costituisce
un mezzo introdotto dal nostro legislatore per favorire il superamento della crisi di
impresa preservando i valori aziendali inevitabilmente dispersi in ipotesi di avvio
della procedura fallimentare. Mediante il ricorso alla transazione fiscale, infatti, il
debitore ha la possibilità di adempiere al pagamento, anche parziale, dei tributi
amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, anche se non iscritti a
ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea.
Ciò dimostra che il legislatore ha voluto dare importanza all’aspetto
gestionale del tributo e non alla sua tipologia, né tanto meno alla spettanza del
gettito.
La transazione fiscale trova applicazione principalmente nell’ambito del
concordato preventivo e, in virtù del D.Lgs. 169/2007, anche negli accordi di
ristrutturazione dei debiti ed ha come effetto immediato e principale il
consolidamento dei debiti fiscali oggetto della stessa.
1
Presupposto necessario per accedere alla procedura di transazione è la
formulazione del piano di cui all’art. 160 l. fall.1, ossia la domanda per
l’ammissione alla procedura di concordato preventivo che sarà corredata della
relativa documentazione necessaria, inclusa quella prevista dall’art.161 l. fall.2
Tale piano dovrà essere proposto sia ai creditori tributari che a quelli non tributari
e presentato con ricorso ex art. 161.
La proposta di transazione dovrà essere sottoscritta dall’imprenditore in
stato di crisi, che sarà anche l’unico soggetto legittimato a formularla, in virtù del
combinato disposto degli artt. 160, 161 e 182-ter, contrariamente a quanto
avveniva sotto il vigore della precedente disciplina, della transazione dei tributi
iscritti a ruolo la quale, secondo l’orientamento ministeriale, legittimava a
proporre la transazione non solo l’obbligato principale, ma anche il coobbligato in
solido e persino un terzo estraneo al rapporto tributario, secondo le norme del
codice civile3.
Per quanto riguarda invece le condizioni patrimoniali, la proposta potrà
contenere l’offerta di pagamento integrale oppure parziale dei crediti dei tributi
amministrati dall’agenzie fiscali con i relativi accessori, anche se non iscritti a
ruolo, o anche solo la dilazione di pagamento.
1
Il nuovo ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo non è più una
semplice domanda, ma richiede la presenza di un piano, la cui attendibilità dovrà passare sotto il
vaglio di un professionista ex art. 161, comma terzo, l. fall., e l’eventuale emersione di una non
fattibilità del suddetto piano anche per fatti sopravvenuti non imputabili al debitore, dovrebbe
comportare la risoluzione del concordato e un’eventuale responsabilità del professionista. Così
GUGLIELMUCCI L., Diritto fallimentare, Torino, 2006, 341.
2
Nel concordato preventivo la domanda di transazione, essendo parte del piano, deve essere
presentata con l’apposito ricorso al Tribunale fallimentare a differenza di quanto avviene nella
ristrutturazione dei debiti nell’ambito della quale la proposta transattiva va presentata nell’ambito
delle trattative che precedono la stipula dell’accordo. In tal caso il Tribunale viene investito
soltanto dopo la stipula dell’accordo affinché decida in merito alle eventuali opposizioni e proceda
all’omologa. Così DEL FEDERICO L., La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure
concorsuali, in Riv. dir. trib., 2008, 227.
3
MARINI G., Transazione fiscale. Commento sub art. 182-ter, in La riforma della legge
fallimentare, a cura di A. Nigro e M. Sandulli, Torino, 2006, 1116.
2
L’unico limite ravvisabile è quello dei tributi costituenti risorse proprie
dell’Unione europea4. Proprio su questo punto si è acceso un vivace dibattito in
relazione alla transigibilità dell’IVA.
Ritornando all’aspetto procedurale, è possibile aggiungere ancora che
copia della domanda di concordato preventivo con la relativa documentazione,
“contestualmente al deposito presso il Tribunale” del luogo in cui l’impresa ha la
propria sede principale, deve essere presentata al competente concessionario del
servizio della riscossione dei tributi e presso l’ufficio dell’agenzia delle entrate, in
base all’ultimo domicilio fiscale del debitore. Quest’ultimo dovrà altresì esibire
copia delle dichiarazioni fiscali per le quali, sino alla data di presentazione della
domanda, non è pervenuto l’esito dei controlli automatici e copia delle
dichiarazioni integrative relative allo stesso periodo “al fine di consentire il
consolidamento del debito fiscale5”.
Sul piano interpretativo si è posto il problema di esplicitare il significato
della locuzione “contestualmente al deposito presso il
Tribunale”. Ciò
ha
determinato dei dubbi in merito alla tempistica del deposito6.
La questione, difatti, verteva sulla necessità di presentare la domanda di
transazione all’Ufficio e all’Agente della riscossione nello stesso giorno in cui
veniva depositata presso il Tribunale oppure se fosse consentito anche il deposito
in giorni diversi. A fare chiarezza sul punto è intervenuta l’Amministrazione
4
Per tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea sono da considerare i diritti agricoli e i
tributi doganali. Discorso a parte merita l’Iva. Per un approfondimento sui tributi europei si rinvia
a BORIA P., Diritto tributario europeo, Milano, 2010, 177 e ss.
5
Sul punto cfr. MANDRIOLI L., Transazione fiscale e concordato preventivo tra lacune normative
e principi del concorso, in Giur. comm., 2008, 321. In ordine ai tributi amministrati dall’Agenzia
delle Dogane, l’ufficio designato a ricevere la documentazione sarà quello che ha notificato al
debitore concordatario l’atto di accertamento.
6
Il dubbio si innesta nella più ampia problematica della possibilità di modificare o integrare la
proposta di concordato. Infatti secondo un rilevante orientamento l’ultimo momento per il debitore
utile al fine di depositare una proposta concordataria migliore potrebbe essere individuato
nell’adunanza dei creditori e, nel caso in cui tale adunanza non raggiunga le maggioranze
prescritte non sarà più possibile. In tale prospettiva quindi si potrebbe ipotizzare che anche la
domanda transattiva possa essere proposta sino all’adunanza dei creditori. Tuttavia la stessa
riforma fallimentare, essendo ispirata ai principi di celerità, portava ad escludere una simile
ricostruzione.
3
finanziaria7 che, muovendo dalla ratio di tale adempimento, ha evidenziato come
la presentazione della proposta di transazione ha lo scopo di consentire all’Ufficio
dell’Agenzia (per i tributi non iscritti a ruolo ovvero iscritti a ruoli non ancora
consegnati all’agente della riscossione) e all’Agente della riscossione (per i tributi
iscritti in ruoli già consegnati allo stesso alla data di presentazione della domanda)
di esprimere l’adesione o il diniego alla proposta di transazione, secondo le
modalità di cui all’art. 182-ter, terzo e quarto comma.
La presentazione in un arco temporale anche circoscritto consente,
comunque, di raggiungere questo scopo poiché, dal punto di vista funzionale, la
contemporanea presentazione della domanda presso le tre sedi non comporterebbe
alcuna utilità concreta né per il Tribunale, né per il concessionario né per
l’Agenzia, mentre di sicuro potrebbe mettere in difficoltà il proponente8.
Tuttavia, è necessario considerare che lo stesso debitore dovrebbe avere
interesse a consegnare al più presto la domanda in virtù dei successivi
adempimenti che sia l’agente della riscossione che l’Ufficio devono svolgere nel
breve termine di trenta giorni. In particolare il primo dovrà trasmettere al debitore
una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso.
L’ufficio, invece, sarà tenuto ad effettuare la liquidazione dei tributi
risultanti dalle dichiarazioni e la notifica dei relativi avvisi di irregolarità, nonché
produrre una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di
accertamento anche se ancora non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, e da
ruoli vistati, ma non ancora consegnati al concessionario”9.
Il debito, difatti, deve essere riferito ad attività di accertamento precedenti
che abbiano avuto come esito la rilevazione di violazioni formali o sostanziali,
regolarmente notificate10. Il visto quindi è requisito procedimentale decisivo nella
7
Inizialmente con la circolare del 18 aprile 2008 n. 40/E in Corr. Trib. 2008, 1896 e
successivamente con la risoluzione del 5 gennaio 2009 n. 3/E in Corr. Trib., 2009, 706.
8
Così LA MALFA A., Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo, in Corr. Trib.,
2009, 707.
9
Così art. 182-ter.
10
Così CAPOLUPO S., La transazione fiscale. La procedura, in Fisco, 2006, 7924, il quale ritiene
che la notifica potrebbe essere avvenuta anche in un momento successivo alla ricezione della
transazione, a causa delle modalità con le quali vengono assolti i predetti adempimenti e del tempo
intercorrente tra la sottoscrizione del provvedimento e l’assolvimento di tale adempimento.
4
formazione del ruolo. Il concessionario e gli uffici determineranno in tal modo la
base di partenza per l’eventuale definizione e lo dovranno fare entro il breve lasso
temporale di trenta giorni decorrente proprio dalla data in cui l’ufficio e l’Agente
della riscossione ricevono la domanda11. Per tale ragione è agevole comprendere il
motivo per il quale il debitore possa avere interesse a realizzare la contestualità
prevista dal legislatore.
Inoltre, sia gli avvisi di irregolarità che la certificazione (fatta salva la
notifica al contribuente), una volta emesso il decreto di ammissione al concordato
preventivo di cui all’art. 163 l.fall., saranno trasmessi al Commissario giudiziale
per la convocazione dei creditori ex art. 171 l.fall., e per la redazione della
relazione prevista dal successivo art. 172 nella quale verranno descritte le cause
del dissesto, la condotta del debitore, le proposte di concordato e le garanzie
offerte ai creditori in vista dell’adunanza per la votazione.
Successivamente, l’Ufficio e il concessionario parteciperanno al voto in
sede di adunanza dei creditori, previa acquisizione della parere della Direzione
Regionale.
Questa è la procedura prevista per la proposta di transazione inserita nella
procedura di concordato. Come però anticipato in precedenza, alla luce della
novella legislativa operata in materia dal D.lgs. 169/2007, è oggi possibile per
l’imprenditore, ai sensi dell’art. 182-ter, ultimo comma, l. fall., effettuare la
proposta di transazione anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipula
dell’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182- bis l. fall12.
Tuttavia si dissocia dall’appena citata linea interpretativa DEL FEDERICO L., La nuova transazione
fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, op. cit., 231
11
Questo termine è stato considerato ordinatorio in virtù del silenzio del legislatore e della
mancanza di quei connotati preclusivi della dilatorietà che, a prescindere dal dettato normativo,
impongono il rigoroso rispetto del termine di scadenza per lo scopo e la funzione dallo stesso
svolta all’interno della procedura. Così MANDRIOLI L., Il concordato preventivo e la transazione
fiscale, in La riforma organica delle procedure concorsuali, 2008, 739.
12
Cfr. GOLINO S., La transazione fiscale e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il Fisco,
2007, 6710 il quale sottolinea come con tale strumento il debitore potrà decidere di pagare tutti i
creditori o anche solo una parte. In quest’ultimo caso, per quelli invece non rientranti, il legislatore
ha previsto che l’accordo raggiunto debba garantire il loro regolare pagamento, ossia integrale e
nel rispetto di tutte le altre condizioni. Di questo adempimento dovrà tener conto il professionista
chiamato da debitore a redigere la relazione sull’attuabilità dell’accordo, in quanto i creditori
estranei o comunque non aderenti saranno liberi di assumere tutte le iniziative necessarie a
5
L’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 - bis l.fall. ha
trovato ingresso nel nostro ordinamento ad opera del D.L. 14 marzo 2005 n. 35,
cosiddetto “competitività”, ed è finalizzato a realizzare quella pratica nota come
“composizione negoziale dell’insolvenza” nel presupposto di una ragionevole
prospettiva di “reversibilità” della stessa o di una liquidazione alternativa
all’apertura di una procedura concorsuale.
Tale accordo si innesta in un procedimento articolato che può prevedere
anche quello della transazione fiscale laddove il debito nel suo complesso sia
anche di natura tributaria e non solo nei confronti di privati e previdenziale13.
Gli accordi in commento sono quelli stipulati tra l’imprenditore ed una
maggioranza qualificata di creditori e che, una volta pubblicati nel registro
dell’imprese e ottenuta l’omologazione del tribunale, consentono di porre gli atti
compiuti in esecuzione degli stessi al riparo dall’azione revocatoria fallimentare,
qualora la crisi non sia superata e sopraggiungesse il fallimento14. In particolare, è
riconosciuto al debitore la possibilità di stipulare accordi di “ristrutturazione dei
debiti” con i creditori che, rappresentano almeno il sessanta per cento della
totalità, attraverso il deposito in tribunale dell’accordo, unitamente ad una
relazione redatta da un esperto, dalla quale si evince l’attuabilità dello stesso e, in
particolare, la sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
estranei.
Tale accordo, difatti, si configura come un intesa raggiunta con alcuni tra i
creditori che non pregiudica in alcun modo coloro che non vi hanno aderito e ai
quali, invece, deve essere assicurato il “regolare pagamento” delle pretese vantate.
La pubblicità dello stesso viene invece realizzata attraverso l’inserimento
nel registro delle imprese, con efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione,
realizzare la loro pretesa. A differenza del concordato, infatti, il professionista dovrà valutare non
la fattibilità del piano di ristrutturazione, ma dovrà esprimere un parere su di un accordo già
raggiunto al fine di fornire elementi di valutazione al tribunale in merito alla concreta attuabilità e
idoneità a garantire il rispetto dei creditori estranei.
13
Così FICARI V., Transazione fiscale e ristrutturazione dei debiti tributari, in Rass. Trib., 1,
2009, 72.
14
In tal senso CAMPOBASSO M. (a cura di), Manuale di diritto commerciale, Torino, 2007, 614 ss.
6
in modo da consentire un’eventuale opposizione degli altri creditori o di ogni altro
interessato entro trenta giorni.
Decorso tale termine, il Tribunale provvederà all’omologazione dopo aver
deciso sulle opposizioni, laddove queste vi siano.
Nell’ambito delle trattative che precedono la stipula di un accordo di
ristrutturazione è possibile procedere alla transazione fiscale, che presenterà
regole procedimentali sia comuni a tali accordi di ristrutturazione sia specifiche.
La transazione fiscale, infatti, si inserisce in un procedimento
amministrativo che vede il coinvolgimento dell’Agenzia delle Entrate e del
concessionario della riscossione, e nel quale la Direzione regionale delle Entrate
assume un ruolo di play maker, in virtù del parere vincolante che deve esprimere
al fine di perfezionare l’assenso della Pubblica amministrazione all’accordo.
Qualora l’accordo transattivo abbia come unico creditore il Fisco e ad
oggetto anche debiti non transigibili ai sensi dell’art. 182-ter, lo stesso, dopo
essere stata accettato dall’ufficio locale con il parere conforme della Direzione
Regionale, dovrà essere depositato presso il Tribunale, e pubblicato nel registro
dell’imprese.
Tali adempimenti, invece, non saranno richiesti nel caso in cui il Fisco si
presenti quale unico creditore per tributi transigibili poiché, ai fini di tutela, la
normativa ritiene sufficiente il deposito presso i creditori erariali.
L’art. 182-ter, difatti, all’ultimo comma, precisa che è necessario
depositare la transazione presso gli uffici indicati nel secondo comma dello stesso
articolo, al fine della trasmissione e liquidazione previste dall’art. 182-bis,
secondo comma, attività quindi assolte dagli uffici presso i quali la transazione
andrebbe depositata, ovvero esclusivamente dall’Agenzia delle Entrate e dal
concessionario.
Con un recente intervento normativo il legislatore ha mostrato l’interesse
ha introdurre regole procedimentali più rigide ed onerose anche per l’iter da
seguire in caso di proposta transattiva che si inserisca nell’ambito degli accordi di
ristrutturazione. Con la manovra correttiva del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, conv..
7
con mod., dalla L. 30 luglio 2010 n. 12215, è stato difatti previsto che l’istanza da
presentare all’Agenzia delle entrate o all’Agente della riscossione territorialmente
competente deve essere corredata della documentazione di cui all’art. 161 l.fall.
In tal modo la procedura è stata assimilata a quella da tempo seguita nel
caso di transazione nell’ambito del concordato preventivo. A garanzia di un
comportamento non fraudolento dell’imprenditore in crisi è stato altresì previsto
che detta documentazione deve essere accompagnata da una dichiarazione
sostituiva di atto di notorietà, a firma del debitore o di un suo legale
rappresentante, con la quale viene attestato che la documentazione in commento
rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell’impresa, con
particolare riguardo alle poste attive del patrimonio.
2) Inadempimento della transazione fiscale tra revoca e risoluzione.
Il
procedimento
descritto
nel
paragrafo
precedente,
rivolto
al
perfezionamento transazione fiscale, può essere vanificato, in un momento
successivo dall’inadempimento del debitore/imprenditore in crisi.
Quindi, non sempre il rapporto obbligatorio d’imposta cristallizzato
nell’atto transattivo si conclude con il “naturale” pagamento delle somme dovute
in seguito all’omologazione del piano di concordato o alla conclusione
dell’accordo di ristrutturazione all’interno dei quali esso si colloca.
Il debitore concordatario potrebbe, difatti, non adempiere al pagamento
delle somme dovute oppure potrebbe adempiervi senza rispettare il piano di
pagamento.
Ciò che differenzia la prima ipotesi dalla seconda è che in quest’ultima
(consistente nella mera inosservanza del piano di pagamento) si potrebbe
prospettare un ritardato adempimento oppure un adempimento parziale (che
corrisponde, in fin dei conti, ad un inadempimento parziale).
In ogni caso, tuttavia, possiamo parlare di inadempimento, termine che
identifica e individua ogni situazione in cui, a fronte del predefinito suo obbligo, il
15
Per approfondimenti sulle novità introdotte dal D.l. n. 78/2010 si rinvia a LA MALFA A.,
Modifiche e integrazioni alla transazione fiscale, in Corr. Trib., 2010, 2694 e ss.
8
debitore non soddisfa (o soddisfa inesattamente) il corrispondente interesse del
creditore.
Occorre, quindi, capire quali risposte abbia dato il legislatore di fronte a
queste situazioni patologiche che possono intervenire nell’ambito del rapporto
transattivo.
A tal proposito, è bene precisare che l’art. 182-ter l.fall. mentre con
riferimento alla transazione conclusa negli accordi di ristrutturazione fa
espressamente riferimento all’istituto della “revoca” (precisando, tra l’altro, che
essa opera di diritto), nulla dice, invece, in relazione alla transazione conclusa
nell’ambito del concordato preventivo.
L’istituto della revoca di diritto, di cui all’art. 182- ter, ultimo comma, è
stato introdotto dal D.L. n. 78 del 31 maggio 2010. L’art. 29, comma 2, lett. c) del
decreto appena citato, è intervenuto direttamente sull’art. 182-ter attraverso
l’introduzione di un nuovo comma (l’ultimo) il quale prevede che “la transazione
fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo
182-bis è revocata di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro 90
giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti
gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”
La funzione della norma è chiara: da un lato, essa si propone di rafforzare
la tutela dei debiti erariali attraverso l’eliminazione rapida ed automatica degli
effetti della transazione in caso di inadempimento; dall’altro sembra trasparire la
finalità di conservazione della capacità produttiva mediante la ristrutturazione del
debito, in particolare quello erariale e contributivo, per quelle imprese in crisi non
in grado di adempiere alle proprie obbligazioni.
Non altrettanto chiara, invece, è la stessa norma sul piano applicativo. Ciò
è dovuto, in primo luogo, all’inesistenza di qualsiasi tipo di temperamento per una
sanzione così drastica. Non è, difatti, prevista la possibilità per il debitore né di
essere rimesso in termini nel pagamento per giustificati motivi, né di provare
l’assenza di colpa o dolo nell’inadempimento, né la scarsa importanza dello
stesso.
9
Sembra chiaro, peraltro, che l’uso del termine “integralmente” scelto dal
legislatore nell’art. 182-ter per caratterizzare l’inadempimento, sta a significare
che la revoca avviene anche in caso di inadempimento parziale. Tale rigidità
dovuta alla revoca automatica sembra non si piegarsi nemmeno a favore degli
interessi erariali, come ad esempio in una situazione di nuovi interventi finanziari
che potrebbero eliminare l’inadempimento16.
Altro elemento discutibile, sul piano applicativo, è rappresentato
dall’inesistenza di una previsione che stabilisca se bisognerà ricorrere ad un
accertamento giudiziale dell’avvenuta revoca ed, eventualmente, quale sia il
giudice a tal fine competente (indicazioni queste fondamentali per evitarne
potenziali contestazioni e discussioni in ogni sede esecutiva possibile).
Allo stesso modo, la norma nulla dice in ordine alla sorte dell’intero
accordo di ristrutturazione e degli altri rapporti creditori o sulle eventuali diverse
prescrizioni previste nell’accordo stesso.
A
tal
proposito
il
punto
della
questione
verte
sull’entità
dell’inadempimento della transazione fiscale, ovvero se esso sia talmente grave da
inficiare l’intero accordo di ristrutturazione.
Le teorie sulla natura degli accordi di ristrutturazione generalmente legano
il destino delle posizioni creditorie individuali a quelle dell’intero accordo. Perciò
sembra ragionevole ritenere che la tenuta complessiva degli accordi di
ristrutturazione del debito facilmente verrebbe meno in caso di aumento del debito
fiscale o previdenziale al valore originario, come pure non sembra funzionale
operare una rinegoziazione dell’intero accordo già omologato.
Al di là di risvolti pratico/applicativi, l’istituto della revoca richiamato
dall’art. 182-ter, ultimo comma, desta non trascurabili perplessità anche sul piano
teorico/giuridico. In particolare, si rileva una certa improprietà nell’utilizzo
dell’istituto della revoca rispetto a quanto ordinariamente previsto dal diritto
civile.
16
LA MALFA A., Modifiche e integrazioni alla transazione fiscale, op. cit., 2697.
10
Difatti, alla luce di quanto previsto dall’art. 1328 c.c.17 il potere di revoca,
di regola può essere esercitato nel tempo anteriore alla formazione del contratto
(cioè riferito ai c.d. atti prenegoziali: proposta ed accettazione). Quindi, in linea
generale non può essere consentito una volta che l’atto si sia perfezionato18. Esso,
infatti,
deve
essere
considerato
ammesso
dall’ordinamento
soltanto
eccezionalmente, come espressione di uno jus poenitendi della parte.
Per lo più la legge prevede la revoca come l’oggetto di una facoltà
collegata ad atti aventi a propria volta struttura unilaterale, facoltà che può essere
esercitata fino ad un determinato momento oltre il quale non è più consentita.
Alla luce di tali osservazioni, l’applicabilità dell’istituto della revoca di cui
all’art. 182-ter non sembra una soluzione appropriata sul piano giuridico in quanto
riferito ad atti negoziali (ovvero gli accordi di ristrutturazione) già perfezionati,
soprattutto in casi in cui l’accordo è omologato dal tribunale.
Al contrario di quanto previsto per gli accordi di ristrutturazione, nulla è
stato previsto dall’art. 182-ter con riferimento al concordato preventivo.
La lacuna normativa, tuttavia, può essere colmata attraverso l’applicazione
delle previsioni contenute nell’art. 186 l. fall.. La norma riconosce a ciascun
creditore la possibilità di richiedere la risoluzione del concordato al verificarsi
dell’inadempimento19.
L’istituto della risoluzione, così, diventa applicabile alla transazione
fiscale per il tramite del concordato nel quale essa si inserisce. Ciò in quanto
l’inadempimento della transazione fiscale si tramuta in un inadempimento
17
Autorevole dottrina (BIANCA C.M., Diritto civile, vol. III, Milano, 2000, 737) reputa che la
revoca, quale istituto generale, sia in realtà prevista dal I comma dell’art. 1373 c.c. (il quale
consente che venga attribuita ad una sola delle parti del contratto la facoltà di recedere, pur
limitando questa possibilità fino al momento in cui il contratto non abbia avuto un principio di
esecuzione), nonostante la fattispecie sia espressamente qualificata dal legislatore come recesso.
Sulla configurazione di una diversa efficacia di revoca (che opera ex tunc ) e recesso (che opera ex
nunc) non si riscontra unanimità di consensi in dottrina. Alcuni (MANCINI G.F., Il recesso
unilaterale e i rapporti di lavoro, individuazione della fattispecie. Il recesso ordinario, Milano,
1962, 123) affermano la produzione di effetti ex nunc per entrambi gli istituti.
18
Così anche FERRI L., voce Revoca, in Enc.dir., vol. XL, 198.
19
In caso di mancato rispetto da parte del debitore degli obblighi assunti con l’accordo transattivo
omologato, sarà cura della competente Direzione regionale chiederne la risoluzione ex art. 186 l.
fall.
11
dell’intero piano di concordato travolgendo quest’ultimo come fossero un
tutt’uno.
Alla luce di quanto previsto dall’art. 186, comma secondo, l. fall., il
concordato non si può risolvere se l’inadempimento ha scarsa importanza. Il
legislatore, così, a differenza di quanto previsto dall’art. 182-ter , ultimo comma,
per gli accordi di ristrutturazione, sembra dare rilevanza non a qualsiasi
inadempimento, ma solo a quello che per la sua portata è in grado di inficiare
l’intero concordato.
In questo
modo
si
recuperano tutti
i
principi
sull’importanza
dell’inadempimento contrattuale elaborati con riferimento alla norma generale di
cui all’articolo 1455 c.c. la quale statuisce che “il contratto non si può risolvere se
l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo
all’interesse dell’altra”. Tale norma può darci qualche suggerimento in ordine
all’interpretazione della “scarsa importanza” dell’inadempimento.
Difatti, da essa di evince che presupposto della risoluzione giudiziale del
contratto per inadempimento è la gravità di quest’ultimo. Per stabilire se
l’inadempimento è grave il giudice deve valutare il comportamento di entrambe le
parti nel quadro generale dell’esecuzione del contratto, e l’interesse che ha la
parte all’esatto adempimento dell’obbligo contrattuale20.
Ritornando al concordato, la gravità dell’inadempimento deve essere
valutata in ordine alla possibilità che esso provochi l’inefficacia del patto
concordatario nei confronti della collettività.
Si discute, poi, se tale gravità debba essere valutata in ordine al credito di
colui che propone l’istanza di risoluzione (nel nostro caso l’Amministrazione
20
In taluni casi, è il legislatore che stabilisce espressamente quando l’inadempimento è grave, per
cui il giudice dovrà limitarsi ad accertare che si sia verificata la situazione prevista dalla legge: ad
esempio in materia di locazione degli immobili urbani, la legge “sull’equo canone” (art. 5, l. 27-71978, n. 392) stabilisce che il contratto può risolversi per mancato pagamento del canone soltanto
se il ritardo è superiore a venti giorni; un'altra ipotesi è quella prevista dall'art. 1525 nella vendita
con riserva di proprietà (vendita a rate) dove è stabilito che il mancato pagamento di una sola rata,
che non superi l'ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, sicché solo se
le rate non pagate sono almeno due, oppure quella non pagata supera il limite di un ottavo del
prezzo, può esercitarsi azione di risoluzione.
12
finanziaria)21, ovvero al complesso degli obblighi concordatari22, o, ancora, con
riferimento ad entrambi i parametri.
A tal riguardo è stato sostenuto23 che non sembrerebbe compatibile con la
ratio legis una valutazione dell’importanza dell’inadempimento rapportata
soltanto all’interesse del creditore istante, anche se come osservato da parte della
dottrina24 tale ipotesi ricostruttiva impedirebbe la risoluzione nel caso in cui non
siano stati pagati, neppure in percentuale, alcuni crediti chirografari di importo
minimo.
Degno di nota, poi, è il richiamo operato dall’art. 186, ultimo comma,
all’art. 137, primo comma, l. fall., il quale rende applicabile la risoluzione anche
al ritardato adempimento o all’inadempimento parziale. E ciò in quanto il citato
art. 137, consente a ciascun creditore di chiedere al risoluzione anche se il
proponente “non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dal concordato”.
Quindi, il legislatore non esclude la possibilità che quell’inadempimento
non avente “scarsa importanza” da assumere come presupposto della domanda di
risoluzione, sia configurabile anche qualora il debitore abbia effettuato il
pagamento ma in ritardo o con modalità differenti da quelle concordate, purché
esso superi ogni ragionevole limite di tolleranza.
Aspetti problematici nella disciplina di cui all’art. 186 l.fall. si pongono
con riguardo agli effetti della risoluzione per inadempimento.
A tal proposito con riferimento alla pregressa disciplina della transazione
sui ruoli, la prassi25 si era orientata a ritenere che la risoluzione per
inadempimento comportava il ripristino delle preesistenti posizioni creditorie ex
art. 1976 c.c.
Pertanto, nel silenzio della norma, si potrebbe ipotizzare un possibile
ricorso a tale orientamento con la conseguenza che se il concordato preventivo
21
RAGO G., La risoluzione del concordato preventivo fra passato, presente e ... futuro, in Fall.,
2007, 1214.
22
Infra multis ZANICHELLI V., I concordati giudiziali, Torino, 2010, 332.
23
AUDINO A., art. 186 l. fall, in Commentario breve alla legge Fallimentare, Padova, 2013, 13181319.
24
COPPOLA A., Il Concordato preventivo, Torino, 2009, 1941.
25
In particolare cfr. circolare n. 8/E del 4 marzo 2005, in Fisco, 11, 2005, 1685
13
dovesse venir meno a causa dell’inadempimento, si verificherebbe il
consolidamento delle pretese fiscali sancite negli atti impositivi e compiutamente
definite nelle certificazioni emesse dall’ufficio finanziario e dal concessionario
della riscossione26.
3) Travolgimento della transazione nel fallimento.
Il protrarsi dell’inadempimento da parte del debitore (e quindi la
risoluzione del concordato o la revoca dell’accordo di ristrutturazione) conduce
l’impresa al fallimento.
Occorre allora interrogarsi anche sul problema della permanenza o meno,
nell’ambito del fallimento, degli effetti della transazione fiscale perfezionata in
sede di concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti, ferma
restando, in caso di risoluzione del concordato, l’inapplicabilità della revocatoria
dei pagamenti concordati nell’ambito della transazione ed eventualmente eseguiti
medio tempore27.
Invero, la transazione fiscale è stata concepita dal legislatore
esclusivamente per la fattispecie concordataria, e successivamente anche per gli
accordi di ristrutturazione, per cui non sarebbe legittimo estenderne gli effetti,
indirettamente, al fallimento.
Sarebbe, difatti, assolutamente azzardato estendere l’applicazione di un
istituto quale la transazione fiscale, alquanto discusso in quanto, come si è visto,
astrattamente contrastante con il carattere pubblicistico dell’obbligazione
tributaria, ad un ambito non previsto dal legislatore. Tanto più se si considera che
nel fallimento trovano applicazione diversi istituti di definizione della pretesa
26
Ancora DEL FEDERICO L., La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure
concorsuali, in Riv. dir. trib., 239 che evidenzia come questo meccanismo se da un verso è
giustificato dalla natura impugnatoria del processo tributario, dall’altro serve ad attenuare le
resistenze degli uffici finanziari.
27
Sul punto si veda TOSI L., La transazione fiscale, in Rass. trib., 4, 2006, 1071 ss., il quale ha
sottolineato che l’art. 67 l.f. esclude l’applicabilità della revocatoria agli atti, ai pagamenti ed alle
garanzie poste in essere in esecuzione del concordato preventivo nonché dell’accordo omologato
ai sensi dell’art. 182-bis.
14
tributaria con l’amministrazione, quali l’accertamento con adesione e la
conciliazione giudiziale.
Ma al di là di queste considerazioni, bisogna ritenere che la transazione
fiscale venga “travolta” dal fallimento quale effetto indiretto e consequenziale
della mancata omologazione
del concordato preventivo o dell’accordo di
ristrutturazione non omologati. E ciò perché la transazione fiscale non è un istituto
autonomo, ma trova una naturale collocazione all’interno delle suindicate
procedure concorsuali subendone gli effetti anche sul piano patologico. La
transazione fiscale, quindi, sul piano giuridico non ha la “forza” per sopravvivere
autonomamente in seguito alla dichiarazione di fallimento.
Ciò vuol dire che essa resta assorbita dal fallimento e si deve coordinare
con le regole dello stesso, prime fra tutte quelle relative alla soddisfazione delle
pretese creditorie durante la ripartizione dell’attivo fallimentare. E nel far ciò
occorre tenere debitamente in considerazione le norme relative ai privilegi e alle
altre cause legittime di prelazione.
4) Fisco e privilegi.
Il privilegio (almeno quello generale) è una causa di prelazione accordata
dalla legge al creditore in considerazione della particolare natura del credito.
Questa nozione di privilegio può essere direttamente desunta dall’art. 2745 c.c., il
quale aggiunge che “la costituzione del privilegio può tuttavia dalla legge essere
subordinata alla convenzione delle parti ” 28.
Quindi, sebbene il privilegio trovi fondamento nella legge, in certi casi,
però, le parti possono costituirlo in accordo tra di loro. Ciò non vuol dire che
possano esistere privilegi di natura convenzionale, ma significa semplicemente
che un privilegio previsto dalla legge può essere subordinato alla convenzione
delle parti.
28
Fenomeno inverso al privilegio è la postergazione che si verifica quando uno o più creditori,
senza rinunciare al credito, permettono che il loro credito sarà soddisfatto solo dopo l’integrale
soddisfazione degli altri creditori che assumono, per effetto di ciò, un carattere di privilegio
indiretto.
15
La circostanza che la costituzione del privilegio possa essere subordinata
ad una convenzione non si traduce, però, nella incondizionata libertà di dar vita a
privilegi convenzionali, essendo, all’uopo, sempre necessaria una previsione
normativa che esplicitamente la autorizzi.
Il privilegio rappresenta una deroga al principio di par condicio
creditorum di cui all’art 2741 c.c. (in base al quale tutti i creditori devono essere
soddisfatti in eguale misura dal patrimonio del debitore inadempiente), giustificata
dalla maggiore rilevanza (non economica, ma sociale o giuridica) di determinati
crediti rispetto ad altri.
Da qui l’importanza del “ruolo” attribuito dal legislatore alla causa del
credito dal quale il privilegio trae la sua origine. Così, determinati crediti, o per
motivi di particolare considerazione sociale (crediti per alimenti) o perché
derivanti da spese fatte nell’interesse comune (spese di esecuzione iniziata da uno
dei creditori) oppure perché concernono l’interesse dello Stato (tributi) sono
ritenuti meritevoli di maggiore tutela rispetto agli altri e per questo il loro titolare
viene soddisfatto a preferenza di altri.
Quindi, tra i creditori privilegiati troviamo anche lo stesso Stato e gli enti
pubblici per i vari crediti tributari.
Come tutti i privilegi, anche quello tributario29 garantisce a un creditore il
diritto a essere pagato prima degli altri creditori. L’esistenza di cause legittime di
29
Uno degli aspetti più controversi del regime giuridico dei privilegi fiscali è quello relativo alla
natura giuridica degli stessi. La questione è stata oggetto di un lungo dibattito dottrinale. Secondo
un primo orientamento (PUGLIATTI S., Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935,
379), il privilegio consiste in un diritto soggettivo sostanziale. Ed infatti, essendo i privilegi,
“diritti che competono ad alcuni creditori, a sostegno delle loro ragioni di credito, ed hanno
appunto la funzione di assicurare al creditore una preferenza rispetto agli altri creditori non
privilegiati né ipotecari, ovvero privilegiati in grado ulteriore”, l'azione dal punto di vista
processuale intanto può esistere, in quanto sussiste il corrispondente diritto sostanziale. In base a
detta impostazione, dagli strumenti di garanzia nascono posizioni giuridiche di diritto sostanziale,
con obblighi e diritti giuridicamente tutelati sotto il profilo processuale. A detta tesi si contrappone
quella di chi ritiene invece, che dal privilegio non scaturisca un diritto di natura sostanziale, bensì
un diritto processuale, rappresentando esso soltanto una modalità dell’azione esecutiva
(CARNELUTTI F., Istituzioni del processo civile italiano, Roma, 1956, 212 ss.; GARBAGNATI E., Il
concorso dei creditori nell’esecuzione forzata, Milano, 1938, 285). In una posizione intermedia è
l'opinione di altra dottrina che opportunamente pone un distinguo tra privilegi generali e speciali: i
primi sorgono solo in sede esecutiva ( ALLORIO E., Diritto processuale tributario, Torino, 1969,
p.158; INGRAO, Riflessioni sui privilegi nelle imposte sul reddito, in Riv. dir. trib., 1997, 177); i
16
prelazione fa si che il creditore che ne gode è preferito rispetto gli altri creditori in
caso di esecuzione sul patrimonio del debitore. Questa preferenza è accordata
soprattutto sui creditori chirografari che sono quelli non garantiti. Rispetto a
questi creditori è quindi facile stabilire chi dovrà essere preferito.
Maggiori problematiche, invece, potrebbero sorgere in relazione all’ordine
di preferenza tra più creditori privilegiati oppure tra più creditori che vantano
diverse cause di prelazione sui beni del debitore.
Tra i crediti privilegiati l’ordine di preferenza è stato voluto dal legislatore
(art. 2770 c.c. e ss.).
Con particolare riferimento ai privilegi fiscali, occorre operare una
classificazione in ragione della tipologia di tributo il cui credito assistono. Si
possono pertanto scindere i privilegi afferenti i tributi diretti da quelli riguardanti i
tributi indiretti. Nella categoria riguardante i tributi diretti si può distinguere fra il
privilegio generale (mobiliare) e quello speciale che può essere sia mobiliare che
immobiliare; in quella dei tributi indiretti è possibile individuare il solo privilegio
speciale, che può a sua volta avere carattere mobiliare o immobiliare.
I privilegi fiscali, infine, possono essere classificati sulla base del tipo di
bene mobile o immobile che hanno ad oggetto. Così è possibile distinguere fra i
privilegi sui beni mobili afferenti tributi diretti e indiretti, e privilegi sui beni
immobili, anch’essi riguardanti tributi diretti e indiretti.
L’art. 2752, comma 1, c.c. attribuisce un privilegio generale sui mobili del
debitore per imposte e sanzioni ai crediti dello Stato per Irpef – Ires – Irap. Tale
privilegio si estende agli interessi maturati fino alla data alla data del progetto di
riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente. Il D.L. 06/07/2011
secondi invece, sono assistiti da una specifica efficacia rappresentata dal diritto attribuito al
creditore, di ritenere il bene gravato da privilegio speciale e di venderlo prescindendo dall'azione
esecutiva (FERRARA B., I privilegi, in Tratt. dir. trib. A. Amatucci, Padova, 1994, 324), nonché dal
cosiddetto diritto di seguito o di sequela, cioè il diritto del creditore privilegiato di far valere il
privilegio anche nei confronti di eventuali terzi possessori del bene, sicché la natura del privilegio
in tal caso, non è più meramente processuale, ma è di garanzia, così come nel caso del pegno e
dell'ipoteca (MICHELI G., Corso di diritto tributario, Torino, 1989, 338).
17
n. 98, art. 23, comma 37, ha previsto che la suddetta disposizione si osserva anche
per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del decreto30.
Lo stesso privilegio (generale sui mobili) è attribuito dall’art. 2752 c.c.,
comma 2, per crediti dello Stato relativi a imposte, pene pecuniarie e soprattasse
dovute secondo le norme relative all’IVA31. In caso di infruttuosa esecuzione sui
mobili, gli stessi crediti sono collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili
con preferenza rispetto ai creditori chirografari, ma dopo i crediti indicati al primo
e secondo comma dell’art. 66 della legge n. 153 del 196932.
Un privilegio speciale, invece, assiste, i crediti dello Stato per tributi
indiretti (sugli immobili ai quali si riferiscono), per le pene pecuniarie e le
soprattasse dovute dal cessionario e dal committente, crediti di rivalsa per I.V.A.
per cessione immobili (sul punto cfr. art. 2772 c.c. commi 1, 2 e 3)
In particolare tale privilegio comprende: l’imposta di registro33, l’imposta di
successione e donazione34, l’imposta di bollo, l’Iva e relative soprattasse e pene
pecuniarie, l’imposta ipotecaria.
Sono, invece, esclusi: l’imposta di registro su atti di fusione di società35,
l’imposta di registro su contratto di appalto per la costruzione dell’immobile,
l’imposta di successione, gli interessi su tutti i tributi indiretti, soprattasse, pene
pecuniarie e mora (tranne per l’Iva)36. Trattandosi di privilegio speciale, tale
30
Con sentenza 10/1 del 4/02/2008 (in www.tribunale.milano.it) il Tribunale di Milano, sez.
fallimentare, ha riconosciuto il privilegio al credito IRAP anche prima del d.l. 159/07 con il quale
è stata riconosciuta all’IRAP la medesima prelazione prevista per i crediti dello Stato per imposte
sui redditi. Tale interpretazione è stata confermata dalla Cassazione, ordinanza 18756 del 13
settembre 2011, in www.cortedicassazione.it, che ha stabilito che spetta al credito Irap la
prelazione rispetto ad altri crediti anche prima della modifica dell’articolo 2752 perché la norma
va interpretata estensivamente.
31
Si fino alla data del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente
32
Cass. 18/09/2008, n. 23808, in www.cortedicassazione.it.
33
Non oltre cinque anni dalla data di registrazione dell’atto, tale termine è considerato di
decadenza (Cass. 27/4/84, n.2644, in Giur. Imposte, 1985, 286) e pertanto non subisce interruzioni
o sospensioni
34
Prevale sui diritti del legatario, ma non prevale sui crediti separatisti nonché su quelli vantati da
creditori ipotecari che abbiano scritto ipoteca entro 3 mesi dall’apertura della successione (Cass.
14/12/71, n. 3637, in www.cortedicassazione.it)
35
Cass., 28/11/89, n. 5171, in Fisco, 1990, 1265.
36
Cass., 30/3/92, n.3878, in Mass. Giur. It., 1992; Cass., 25/10/90, n. 10360, in Dir. Fall., 1991,
II, 262.
18
privilegio immobiliare grava esclusivamente sull’immobile per cui è dovuta
l’imposta e non su altri.
Privilegio speciale ma mobiliare è attribuito dall’art. 2758, comma 1, c.c.
ai crediti dello Stato per tributi indiretti, esclusi quelli per Iva, ma compresi quelli
per pene pecuniarie dovute dal cessionario del bene e dal committente il servizio.
Infine, secondo quanto disposto dall’art. 2752, comma 3,
c.c., sono
assistiti da un privilegio generale mobiliare, subordinatamente a quello dello
Stato, i crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni e delle province previsti
dalla legge per la finanza locale e dalle norme relative all’imposta comunale sulla
pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni.
Si precisa che il comma 13 dell’art. 13 del D.L. 201 del 2011 (cosiddetto
decreto “Salva Italia”) convertito in legge 214 del 2011, dispone che ai fini del
terzo comma dell’art. 2752 c.c. il riferimento alla legge per la finanza locale, si
intende effettuato a tutte le disposizioni che disciplinano i singoli tributi comunali
e provinciali. Ciò significa che tutti i tributi locali hanno natura privilegiata
nell’ambito delle procedure concorsuali.
5) Conclusioni.
Le considerazioni che precedono consentono di sostenere che il
raggiungimento dello scopo proprio dell’accordo transattivo, dipende in buona
parte dal comportamento del debitore. L’adempimento di quest’ultimo conduce al
perfezionamento della procedura transattiva e di quella concorsuale nell’ambito
della quale si inserisce, assicurando buone chance di superare la crisi d’impresa.
Diversamente, sarà inevitabile il fallimento e quindi il travolgimento della
transazione fiscale in detta procedura. Così, l’istituto di cui all’art. 182-ter l.fall.,
pensato e voluto per la soluzione concordata della crisi d’impresa, si verrebbe ad
annullare di fronte alla dichiarazione di fallimento. E intanto è pensabile una tale
conseguenza, in quanto il legislatore ha “costruito” la transazione fiscale come un
istituto non dotato di un’autonoma configurazione giuridica.
Nell’ambito del fallimento il Fisco resta garantito dal privilegio fiscale che
gli viene attribuito ex lege, privilegio che, sebbene giustificato da esigenze di
19
cassa, pone problemi di giustizia distributiva. Difatti, esso sposta il peso maggiore
dell’insolvenza del debitore sui creditori chirografari (creditori più deboli) privi di
qualsiasi forma di garanzia o di privilegio legale. I creditori chirografari pagano
parte dei tributi non pagati dal fallito, e lo fanno in una misura che non ha alcun
rapporto con la loro capacità contributiva.
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