Il Sud a Bruxelles

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Il Sud a Bruxelles
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Il Sud a Bruxelles
Sul predellino dell'aereo per raggiungere il vertice europeo, la preoccupazione di Berlusconi era la stessa che lo
ha afflitto per tutta la vigilia. Gli sarebbe servita una idea nuova, e così forte e convincente da sbalordire tutti gli
altri premier. Facendo loro cambiare opinione sul fatto che l'Italia è ferma al palo. Con molti debiti e, quel che è
peggio, nessuna prospettiva - a breve o a medio - per riuscire a pagarli. Ma il colpo di teatro non c'è stato. E
l'ultimatum di Sarkozy e Merkel non lascia spazio ad illusioni. Se a Bruxelles, ancora una volta, decideranno di
darci una mano, non sarà perché si fidano di noi. Ma solo perché un eventuale fallimento finanziario del nostro
paese scatenerebbe un effetto domino di portata incalcolabile. Insomma, anche nel migliore dei casi, si tratterà
di una soluzione tampone. Un'altra cambiale che verrà, inesorabilmente, a scadenza. E che l'Italia non sarà in
grado di pagare se non riesce a far ripartire il treno dello sviluppo.
Eppure un'idea trainante Berlusconi avrebbe potuto facilmente metterla sul tavolo. Una proposta che i suoi
interlocutori avrebbero volentieri condiviso, perché riguarda l'interrogativo che ogni leader europeo oggi si
pone, quando pensa all'impasse dell'Italia: come è possibile che il governo non riesca a fare decollare il Sud? Come è spiegabile che un paese che vanta, nelle regioni settentrionali, l'area industriale più ricca d'Europa e
che, al tempo stesso, presenta, a Mezzogiorno, veri e propri tassi di sottosviluppo, non attivi tutte le sue energie
per colmare questo divario, trasformando i ritardi del Sud in una straordinaria occasione di investimento? Già,
come è possibile?
Di fronte al quadro drammatico denunciato ieri, sulle colonne di questo giornale, da Romano Prodi, ci sono tanti
modi di reagire, tante ricette da proporre. Ma la risposta più semplice e diretta è quella che tutti conoscono, ma
non si può pronunciare in pubblico. E' fatta di due paroline: Lega Nord. Oggi, il governo italiano è ostaggio di un
partito che ha fatto della politica anti-meridionalista la propria principale bandiera, e criterio di identità.
Sottraendo sistematicamente risorse - perfino quelle europee - destinate alle regioni del sud. Ma, soprattutto,
operando un quotidiano lavorio di smantellamento dell'immagine del Mezzogiorno, facendolo diventare lo
stereotipo di tutti i mali di cui soffre il paese. Un vero e proprio tabù. Al punto che la parola stessa è scomparsa,
venerdì, dalla relazione introduttiva - a Capri! - del presidente dei giovani industriali.
Ma all'Europa non si può rispondere: spiacenti, la Lega non vuole. E tanto meno si può pensare di convincere
capi di stato e ministri finanziari riverniciando, per l'ennesima volta, un fantomatico piano-Sud (piano
evidentemente, qui, sta per: lentamente), di cui si parla da oltre due anni senza che si sia mosso ancora un atto.
Per non parlare del provvedimento che oggi sembra stare più a cuore - stando alle cronache dei giornali - alla
base del Pdl campano: un bel decreto blocca-ruspe. Difficile da tradurre in inglese, e alquanto ostico da far
digerire a chiunque resti fermamente convinto che qualunque progetto serio per rimettere in moto il Sud debba
partire da una perentoria difesa del principio di legalità.
La spiegazione di perché il Sud non è al centro dell'agenda del governo, non è però imbarazzante e
impresentabile soltanto nei confronti della leadership politica ed economica europea. Sta diventando sempre
più insopportabile per milioni di cittadini meridionali, al di là delle appartenenze politiche. Quando il disagio
sociale supera la soglia di guardia, e la miseria quotidiana colpisce un numero così alto di famiglie, si smussano
gli spartiacque partitici e cresce un desiderio indistinto di ribellione. Si tratta ancora di tensioni sommerse, ma
che già a qualche appuntamento elettorale hanno fatto corto-circuito. E più si aggraverà, più apparirà senza
sbocco la deriva del Mezzogiorno, più crescerà la spinta a trovare soluzioni politiche inedite.
Come sempre quando si tratta di un rimescolamento importante, assisteremo a tentativi diversi di indirizzare
queste tensioni. C'è già in pista, sotto autorevole auspicio, la formula movimentista, che punta sul
trasversalismo dal basso per scompaginare gli schemi attuali di appartenenze e alleanze. E si comincia a
intravedere un'altra spinta - non necessariamente contrastante - che punta a riunire intorno a un tavolo,
preferibilmente a porte chiuse, rappresentanti istituzionali autorevoli. Che, pur partendo da sponde diverse,
condividono la medesima esperienza di ostacoli burocratici in loco e veti politici a Roma, che rendono
impossibile ogni sforzo di cambiare veramente le cose. In Francia o negli Stati Uniti, questa esigenza comune
approderebbe ad una commissione bipartisan, di non più di dieci persone, per produrre un decalogo credibile e
immediatamente attuabile per far ripartire il Sud. In Italia non abbiamo precedenti di simili task-force. Ma non è
mai troppo tardi per mettersi su una buona strada.
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