La vigilia
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La vigilia
EDITORIALE La vigilia di GIORGIO REMBADO A 2 ncora una volta ci troviamo di fronte ad una vigilia già vissuta frequentemente in passato, quella dell’entrata in vigore dei nuovi ordinamenti nella scuola secondaria superiore. E ancora una volta si replica un copione già noto: la data prevista per lo start up, già procrastinata di un anno, è in forse, per l’acquisizione dei previsti pareri e per le pressioni di chi si contrappone a qualsiasi cambiamento. E’ questo un evento che conosciamo assai bene per averlo sperimentato prima d’ora in diverse circostanze. Dagli anni settanta ad oggi non sono mancate in questo settore le riforme, annunciate e persino approvate ma mai attuate; è mancato invece il cambiamento della scuola. Adesso si sta avvicinando “l’ora x” e con essa i dubbi e le preoccupazioni, le incertezze sull’interpretazione dei testi, sulle prime fasi attuative (a partire dalle confluenze tra vecchi e nuovi indirizzi), sulla riorganizzazione del lavoro, sull’orientamento degli studenti nella scelta della strada da seguire e sulle informazioni da mettere a disposizione delle famiglie. E’ giunto perciò il momento di porsi alcune domande di fondo, prima fra tutte quella sul significato degli ordinamenti nel contesto rinnovato della scuola dell’autonomia e dell’intreccio di competenze tra i diversi soggetti titolari di un potere di indirizzo nel campo dell’istruzione. P erché è evidente che gli ordinamenti rivestono una diversa funzione a seconda del sistema scolastico al cui interno vengono applicati. Nel passato erano per lo Stato centrale lo strumento principe di governo della scuola, erano la fondamentale espressione di una committenza monocratica e singolare: rappresentavano, dunque, nella nostra tradizione un vincolo assoluto e avevano il valore di un “ordine di servizio”. Ora invece la committenza è diventata plurale: accanto allo Stato hanno voce in capitolo le Autonomie territoriali e i soggetti portatori di interessi in sede locale, dalle famiglie ai rappresentanti del mondo economico e sociale. Oggi, pertanto, i nuovi Regolamenti assumono un peso diverso: non costituiscono più esclusivamente un vincolo, ma una cornice: rappresentano una delle opportunità - non la sola - per la costruzione, da parte delle scuole, di POF non più compilativi ma espressione di un originale esercizio di produzione dei servizi da offrire all’utenza del loro territorio. In questa attuale dimensione, le scuole non sono più chiamate ad applicare i Regolamenti tout court, ma ad utilizzarli come insieme di indicazioni, come uno dei mattoni con cui costruire l’offerta formativa complessiva. n tale ottica, i docenti e i presidi non possono più attendersi dai Regolamenti tutte le risposte ai problemi che sono chiamati ad affrontare, perché sono le scuole il luogo della mediazione e della sintesi tra i differenti soggetti - individuali o collettivi - coinvolti. Ciò non toglie affatto rilievo alla funzione degli ordinamenti ma ne cambia il ruolo: ad essi compete in primo luogo il duplice compito di porre, da un lato, un confine ad ogni frammentazione selvaggia e, dall’altro, di offrire un quadro di riferimento organico che (insieme alla disponibilità delle risorse essenziali, umane e finanziarie) dia alla scuola la cornice necessaria per programmare la propria attività. Essi forniscono un indirizzo, un orientamento, all’interno del quale si assumono I AUTONOMIA&DIRIGENZA EDITORIALE le scelte di merito nella sede del singolo istituto. Pertanto, anche uno strumento “antico” come il Regolamento può essere utilizzato in chiave moderna, a condizione che non si guardi ad esso con occhi “antichi”, ma lo si consideri con una mentalità aperta alle innovazioni di sistema fin qui intervenute, prima fra tutte alla prospettiva della piena attuazione dell’autonomia. E allora proviamo a porci la questione che conta davvero. Con il riordino della secondaria può cambiare qualcosa veramente? E, soprattutto, si potranno trovare soluzioni a problemi finora irrisolti? Naturalmente va premesso che le risposte non dipendono tanto dalla bontà dei testi scritti, ma in primo luogo vanno cercate dentro di noi, nella capacità che sapremo mettere in campo di costruire una scuola diversa e nella disponibilità a trarre spunto dalle indicazioni ordinamentali per realizzare le trasformazioni necessarie rispetto alle esigenze finora rimaste inascoltate. In altre parole, i risultati non dipenderanno solo dalla qualità dei Regolamenti, ma dal cambiamento dei comportamenti professionali indotti dai nuovi ordinamenti. Partiamo dai problemi reali per ricondurci alla concretezza delle situazioni. Come affrontare con maggiore successo la dispersione nei vari gradi d’istruzione ed in particolare nel biennio della secondaria; oppure come misurarsi, nell’esperienza più recente e quantitativamente in crescita, con l’integrazione degli alunni extracomunitari? In altre parole - e più in generale - come cimentarsi col tema della diversità della domanda formativa? Era questa la scommessa dell’autonomia, che avrebbe dovuto produrre un salto di qualità e che invece non ha mantenuto le sue promesse, essendo fino ad ora rimasta largamente inattuata. I nuovi ordinamenti, in linea di continuità col disegno autonomistico, forniscono ora alle scuole alcuni strumenti (quali la capacità di decidere sul venti/trenta per cento del curricolo), che una volta utilizzati potranno consentire il passaggio dalla scuola dei programmi a quella della personalizzazione della didattica, dall’istruzione basata sull’insegnamento a quella centrata sull’apprendimento. La risposta quindi è quella della flessibilità curricolare, fin qui affermata come principio e ora declinata come modalità per costruire un normale piano di studi. Ma il cambiamento non si ferma all’integrazione del curricolo, perché necessariamente comporterà un intervento sul restante settanta/ottanta per cento delle discipline in termini di variazioni del metodo didattico; per non parlare dell’estensione dell’autonomia curricolare anche in capo allo studente attraverso il ricorso alla opzionalità nelle sue scelte. Quanto poco possa essere compatibile il nuovo modello della didattica con l’attuale organizzazione rigida del lavoro nella scuola appare fin d’ora evidente; ma è evidente che bisognerà pensare ad ulteriori interventi normativi, nella logica del mosaico, per completare il quadro. D obbiamo ora interrogarci su cosa serva perchè quella attuale non diventi l’ennesima occasione perduta e su cosa è mancato in passato per la realizzazione delle riforme. Intanto bisogna ripartire da un concetto di fondo: il riordino è un processo e pertanto non si esaurisce nel momento della pubblicazione degli atti formali di valore normativo. Ha bisogno di tempi lunghi di applicazione e di adattamento. E poi è necessario ricordare che una consuetudine sbagliata nel nostro paese, almeno nell’ambito della politica scolastica, è quella di dare per scontato che le riforme possano avverarsi senza una fase preventiva di preparazione degli addetti ai lavori, con l’inevitabile corollario di reazioni - giuste - e di resistenze - comprensibili - all’introduzione di qualsiasi novità. Il rischio, molte volte verificato, è che l’innovazione non adeguatamente motivata e condivisa crei un’azione di rigetto autoconservativo. E’ quindi indispensabile programmare piani di formazione di tutto il personale, che precedano ed accompagnino l’avvio della riforma per un lungo periodo. C’è un tempo dell’attesa e un tempo dell’azione, ma anche quello dell’attesa non deve restare un tempo vuoto: deve piuttosto diventare una vigilia operosa, determinante per la riuscita dell’intrapresa. AUTONOMIA&DIRIGENZA 3