ANTIGONE Una storia africana - Santa Rosa de Cuevo

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ANTIGONE Una storia africana - Santa Rosa de Cuevo
ANTIGONE
UNA STORIA AFRICANA
dall’opera di Jean Anouilh
regia e scena MASSIMO LUCONI
costumi Khadidiatou Sow
luci Roberto Innocenti
con Aminata Badji, Ibrahima Diouf,
Papa Abdou Gueye, Gnagna Ndiyae,
Mouhamed Sow, Galaye Thiam
e Ndiawar Diagne, Marie Madeleine
Mendy, Mamadou Seine, Jean
Guillaume Tekagne
un progetto
Teatro Metastasio Stabile della
Toscana
in collaborazione con Associazione APPI,
Centro culturale francese di St. Louis
(Senegal)
e con la collaborazione della
Comunità senegalese di Prato
Spettacolo in francese e wolof
con sopratitoli in italiano
PRIMA NAZIONALE
Teatro Fabbricone Prato, 27 febbraio 2014
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Antigone ribelle, Antigone eroica, Antigone figlia, ma soprattutto sorella, che si oppone
alle leggi dello stato in nome dei diritti sacri della famiglia e del sangue. Dovunque vi
siano discriminazioni razziali, conflitti, intolleranze religiose, dovunque una minoranza
levi la sua voce a reclamare giustizia, Antigone torna ad assumere il ruolo dell'eroina che
sfida i regimi totalitari in nome della pietas universale che si estende a tutti gli uomini
sentiti come fratelli, superando ogni limite o divisione tribale e nazionalistica. Attraverso
la storia di Antigone rivive uno dei miti che da più di due millenni attraversa la nostra
civiltà e che è di tragica attualità nella storia dell'Africa contemporanea, dove è forte la
dicotomia fra cultura tradizionale del villaggio e emarginazione delle immense
bidonvilles, fra individuo e collettività, fra leggi dello stato, spesso dei regimi dittatoriali,
e leggi non scritte della grande famiglia africana solidaristica e protettiva. Nel lavorare a
una messinscena di un testo così emblematico come Antigone ho pensato a un dramma
a tesi, asciutto e compatto, impostato con la linearità della parabola e del teatro
didascalico, unendo alla mia esperienza di regista europeo alcune modalità del teatro
tradizionale africano. È la struttura stessa del racconto didascalico a imporre l'uso di uno
spazio che si protende verso il pubblico e il riferimento è chiaramente quello della piazza
del villaggio, dove la popolazione si raccoglie ad ascoltare il griot, il cantastorie africano
(cantore della tradizione orale degli antenati). In questa griglia narrativa i personaggi
sono prigionieri della tragedia in una specie di prigione rituale, obbligati dall'ineluttabilità
della storia a ripetere i meccanismi drammaturgici, ma nello stesso tempo con l'urgenza
di uscirne attraverso il rapporto con il villaggio, che è il pubblico che ascolta. E alla fine
della storia, dopo la condanna a morte di Antigone, così come succede durante le feste o
gli spettacoli di teatro popolare, dal pubblico escono i personaggi del coro per interagire
con Creonte, con le loro domande irriverenti e taglienti come un'accusa. Il griot, che
racconta, prega e spiega al pubblico, è il vero sacerdote della cerimonia nel quale tutti si
identificano e a cui nessuno si sottrae. È la forza del teatro africano, che alterna il
dramma al racconto orale e che, per certi aspetti sociali, ha le caratteristiche del teatro
greco. Come dei naufraghi della storia, Antigone, Creonte e gli altri personaggi, sono
costretti a inscenare il proprio psicodramma con quel tipico processo di immersione in
altre identità che caratterizza il teatro terapeutico.
Il collante passa attraverso la tradizione (e nella tradizione si deve includere la religione
con tutte le sue cerimonie e preghiere) e il villaggio, o il quartiere delle periferie, è il
luogo dove si compie la catarsi, si rimargina la ferita, è l’unico elemento che conserva
una parvenza di umanità e che ripropone la struttura protetta della comunità ancestrale.
Certe atmosfere di ambiguità e di spiazzamento, che mi porto dietro dopo molti anni di
frequentazione della cultura africana, sono confluite in questo progetto carico di
riferimenti culturali e di radici ben solide nella cultura africana ancestrale e anche nelle
contaminazioni recenti. Alcuni anni fa, all'interno dell'ospedale psichiatrico di Bamako in
Mali, rimasi fortemente impressionato da uno spettacolo eccezionale e inusuale che
annullava le barriere fra attori e pubblico, mischiava i 'sani' ai 'matti' e aveva la forza
ossessiva dei grandi riti africani che sempre stordiscono e imbarazzano i bianchi. In
questo percorso di ricerca fra analisi del testo e analisi quasi antropologica delle
caratteristiche del gruppo di giovani con cui ho lavorato, con tappe che si sono
dispiegate nell'arco di oltre due anni, ho cercato di capire e valorizzare le caratteristiche
dei giovani interpreti che vantano alcune esperienze nel teatro di cultura francese e
europea, ma sono profondamente radicati nella cultura teatrale e musicale africana e
nella ritualità magico feticistica che in Senegal è ancora forte. E proprio aver conservato
questa caratteristica, che li contraddistingue dai loro coetanei italiani o europei, li rende
naturalmente efficaci e fortemente simbolici a livello di comunicazione teatrale. La storia
di Antigone si dispiega come una cerimonia funebre e l'elemento ritualistico sottolinea la
forte spiritualità radicata nel dna dei senegalesi, quella di un Islam morbido e non
integralista, di profonda intensità, intessuto di credenze animiste, di vita sociale, di
cerimonie e di musicalità dolce e ossessiva. L'Islam raffinato e spirituale di Ahmadou
Bamba, fondatore del Mouridismo e del pensiero dell'autentico sufismo, che contraddice
l'immagine negativa della religione musulmana, come viene diffusa normalmente dai
media dei paesi occidentali.
Alla struttura linguistica della versione di Anouilh in lingua originale francese, studiata in
Senegal nei licei, abbiamo aggiunto alcuni spezzoni di testo anche in wolof, la lingua
parlata da tutti, mischiando il francese colto alla comunicazione diretta e popolare,
rispecchiando così quello che è uno degli aspetti più interessanti del Senegal di oggi,
l'osmosi alchemica fra tradizione popolare e cultura europea.
Massimo Luconi