innovazione vera per salvare i centri commerciali

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innovazione vera per salvare i centri commerciali
innovazione vera
per salvare i centri
commerciali
Nessun Deadmall, ma evitiamo gli Zombiemall
di Filippo Carbonari
Chi non conosce il sito internet deadmall.com? Io lo conosco molto bene, soprattutto per l’uso strumentale che vedo
farne di frequente. Cosa che mi irrita sensibilmente. Non ho
mai visto parlare del fenomeno in quanto tale, nel tentativo di
spiegarne i contenuti tecnici, sociali e commerciali, ma solo
utilizzare le immagini forti di mall chiusi e abbandonati (con
tanto di cespuglietto che rotola al vento, in perfetto stile spaghetti-western) solo per enfatizzare altri concetti.
Non ho mai visto porre in antefatto la necessaria ponderazione al fenomeno. Se continuiamo a pesare sull’Italia il
numero elevato di “dead mall” americani, ci dimentichiamo
quanto sia grande, o meglio, piccola l’Italia rispetto l’America
e ci dimentichiamo che gli italiani sono a malapena 60 milioni
mentre gli americani sono 316 milioni. Confesso di aver più
volte represso l’istinto di tirare un pomodoro all’illuminato di
turno che nel convegno real estate in cui si parla di nuovi format commerciali inserisce la slide con le foto di “deadmall.
com” come per dire: “siamo destinati a fare tutti la stessa fine
se non introduciamo il format innovativo che vi ho appena
illustrato”. Piuttosto bisognerebbe far vedere le foto dei centri
commerciali italiani, oggi aperti, ma che hanno performance
peggiori di alcuni di quelli già chiusi di deadmall.
Questo è il fenomeno tutto italiano di quelli che io chiamo gli
“Zombiemall”.
persona
filippo carbonari
società
aeroporti di roma
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Leggendo di deadmall.com ho trovato concetti a me ben
noti: che il futuro del retail bricks and mortar è minacciato
dall’e-commerce (crescere del 20% partendo dal 2% di quota
di mercato, vuole dire crescere dello 0,20%... ci siamo già detti tutto), che la classe media che tende a scomparire. Concetti tanto veri quanto banali, ma quando si parla di deadmall.
com ci si ferma qui. La verità è che pochi hanno il coraggio
di dire che in Italia la situazione del settore è forse peggiore
di quella che si può trovare in molti altri Paesi del mondo.
Il mercato USA è molto efficiente: il vecchi mall non vanno
più… via i vecchi mall, che vengono abbattuti (magari dopo
essere stati ben ammortizzati, quindi in fondo… chi se ne frega!) e subito arrivano i nuovi destination centers all’aperto
tipo Town Square di Las Vegas (per citarne uno che conosco
molto bene) o i mixed-used mall con shopping experience
alla massima potenza. In Italia abbiamo un mercato inefficiente che non riesce ad espellere i deadmall, creando, appunto gli zombiemall.
Perché:
1. Un sistema bancario che dai primi anni 2000 fino allo
scoppio della crisi ha consentito a chiunque di diventare sviluppatore di centri commerciali, rimpolpando le fila
dei promotori domestici “non industriali”, cioè quelli senza
un significativo track record nel settore e quindi senza le
necessarie esperienze e network commerciali. Lo stesso
sistema bancario ormai da anni non affronta il problema
in termini efficienti (all’americana) ma mette in atto strategie per diluire nel tempo il problema e cercare di “digerire” lentamente lo stock di zombiemall che ha per le mani.
Fondi non performing, distressed asset, convenzioni art.
67 o 182-bis, ecc., ecc. Forse i miei nipoti vedranno la fine
di questa lenta digestione.
Gli Zombiemall
si riconoscono
subito.
Sono brutti!
Nuovi e già
brutti
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2. La distanza astrale della pubblica amministrazione dalla realtà del mercato e dei bisogni dei cittadini. I nostri
centri nascono già vecchi. Se pensiamo che lo stock
italiano di shopping centers ha mediamente 10-15 anni
di vita e gli iter autorizzativi possono facilmente durare più di 10 anni, significa che sono stati concepiti se va
bene 20, se non 30 anni fa. Poi rimaneggiati strada facendo. Per gli stessi motivi, quelli che nascono oggi
hanno già il bollino deadmall sulla porta e sono predestinati a diventare degli italianissimi zombiemall.
3. L’attitudine tutta e solo italiana a cambiare le regole, soprattutto fiscali, in corso d’opera, mettendo di fatto alla
berlina i capitali stranieri che sono da sempre l’unico vero
motore dello sviluppo del settore retail in Italia.
Gli zombiemall si riconoscono subito. Sono brutti! Nuovi e
già brutti. Da tutti i punti di vista: costruttivo, architettonico,
con contenuti commerciali poveri e ripetitivi, con finiture misere, in pratica… brutti. Frutto di mere duplicazioni di cose già
viste, con sistemi viabili inefficienti e figli di rimaneggiamenti
progettuali causati dai tanti compromessi che l’iter autorizzativo impone. Con la pubblica amministrazione più attenta
alle sole questioni di consenso politico che alle esigenze dei
consumatori e della comunità locale. Il tutto filtrato da leggi
regionali sul commercio assurde o inapplicabili. Come la norma che impone il limite massimo di non più del 15% di piccoli negozi rispetto le grandi superfici. Come dire (senza dirlo
esplicitamente) che in quella regione, un moderno shopping
center non si può fare. Non ci sarebbero mai i ritorni economici necessari. Ovviamente in un’altra regione la stessa norma impone un limite minimo del 30% di piccoli negozi (l’opposto). Oppure l’imposizione di standard di parcheggi, sulla
base di calcoli parametrici più simili alle formule alchemiche
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che a concetti di buon senso o di mercato. Nascono così parcheggi con almeno il 20-30% in più di posti auto rispetto quelli necessari, consumando inutilmente suolo e costringendo
alla costruzione di parcheggi in struttura, brutti e costosi. Si
riducono così a poco più di niente le risorse finanziarie per
investire nell’innovazione di format commerciali. Ma la cosa
peggiore è l’obbligo di garantire, per ogni nuova iniziativa, il
mix completo fra commercio, uffici, hotel e artigianale e altro.
Mica vorremmo togliere a ogni Comune italiano, indipendentemente dal numero di abitanti, il proprio quartiere degli affari
alla “Canary Wharf” londinese? Ovviamente sempre prescindendo dal fatto che ci sia il bisogno e il mercato necessario.
Tanto “il privato” (come viene di solito definito l’investitore
che mette a rischio i propri capitali) grazie al centro commerciale chissà quali speculazioni immobiliari realizzerà… una
specie di riappropriazione sociale dell’ingiusto arricchimento
del grande immobiliarista.
Tutte queste cose generano l’inefficienza del mercato italiano: un mall non funziona… ok lasciamolo lì, tanto un altro
nuovo non si può fare o, comunque, si può impedire o rallentare la realizzazione di un altro più efficiente. Il nostro stock
di zombiemall sopravvive così: in stato vegetativo all’interno
di qualche portafoglio immobiliare in default o non performing. Il singolo zombiemall si può anche ignorare, ma tutti insieme determinano la qualità dell’offerta commerciale
italiana. Piano piano il lumicino dell’innovazione nell’offerta
retail si spegne, almeno fino a quando, in qualche convegno,
appare la slide con scritto nel titolo: “deadmall.com” e la sala
si rianima in un sussulto da defibrillazione cardiaca.
… ovviamente cosa fanno i consumatori in questa situazione… cambiano abitudini di acquisto, canali di acquisto e in
pratica: non comprano più.
iIQI
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Secondo gli ultimi dati del
CNCC, in Italia si contano
962 centri commerciali
per una GLA totale di 15,7
milioni di metri quadrati
e un valore immobilia-
re complessivo di circa 40 miliardi di euro.
Escludendo le ancore alimentari, nei centri commerciali italiani si contano in tutto 34.000 negozi,
con una media di 35 PdV
per struttura.