La risoluzione del rapporto di lavoro subordinato: i

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La risoluzione del rapporto di lavoro subordinato: i
La risoluzione del rapporto di lavoro subordinato:
i licenziamenti collettivi
di Giovanni Francesco Cassano
La disciplina dei licenziamenti per riduzione del
personale. Focus sui requisiti previsti e sulla
procedura da seguire. Sul prossimo numero, il
riepilogo della normativa in materia di licenziamenti
individuali, con particolare attenzione alle tecniche e
tipologie di negoziazione
La risoluzione o la estinzione del rapporto di lavoro può avvenire per:
a. recesso del datore di lavoro (licenziamento);
b. recesso del lavoratore (dimissioni).
Il recesso unilaterale è espressione del potere di ciascuna delle parti di sciogliere il rapporto con il
semplice mezzo della comunicazione all’altra parte; come tale il recesso è un diritto potestativo
riconosciuto dall’ordinamento in deroga al principio secondo cui in linea generale, il contratto può
essere risolto solo per mutuo consenso.
c. Risoluzione consensuale, quale accordo tra le parti diretto alla estinzione del rapporto. La
giurisprudenza ritiene verificata la risoluzione consensuale solo in presenza di una esplicita volontà
risolutiva, essendo insufficiente un generico comportamento concludente o acquiescente del
lavoratore.
d. Scadenza del termine, nei confronti del tempo determinato.
e. Altre particolari circostanze specificamente previste dalla legge: es. mancato rientro in azienda
dopo il servizio militare, dopo la malattia, dopo il superamento del c.d. periodo di comporto.
f. Morte del lavoratore. La morte del datore di lavoro, viceversa, non provoca la cessazione del
rapporto che prosegue con i successivi titolari dell’impresa.
g. Impossibilità sopravvenuta della prestazione ovvero per causa di forza maggiore. Tale
impossibilità può investire il datore o il lavoratore. Esempio della prima è la requisizione
dell’azienda, mentre per la seconda può essere l’invalidità che comporti assoluta inidoneità al
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lavoro. Pur considerando la dottrina che, individua per l’impossibilità sopravvenuta, la risoluzione
automatica del rapporto di lavoro senza una particolare manifestazione di volontà, l’opinione
prevalente ritiene che tali eventi rilevino come cause estintive non già alla stregua della disciplina
del diritto comune ( artt. 1464 e 1256, 2° c., c.c. ), ma nei limiti in cui configurino una giusta causa
o un giustificato motivo di licenziamento, operando con la disciplina del recesso.
h. Messa in mobilità.
i. Mancato superamento della prova.
j. Licenziamento per raggiunti limiti d’età. Con il raggiungimento dei requisiti per la maturazione
del diritto alla pensione di vecchiaia (art. 4, c. 2, L. 108/90) il contratto di lavoro può essere risolto
da ciascuna delle parti. In tale ottica anche il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro
senza che sussista una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento, ovvero ad nutum.
Cessazione del rapporto di lavoro ed obbligazioni successive
Con la cessazione del rapporto di lavoro si esaurisce l’insieme di relazioni diritti-doveri dal punto di
vista giuridico, mentre residuano alcuni obblighi di natura burocratico-amministrativa.
Tutti questi obblighi ricadono in capo al datore di lavoro e sono:
- compilazione e consegna, con ricevuta del libretto di lavoro;
- consegna del modello Cud entro il 12° giorno, se richiesto dal lavoratore;
- dichiarazione che attesti quanto erogato a titolo di retribuzione assoggettata al contributo di
solidarietà;
- prospetto di liquidazione del Tfr;
- comunicazione al centro per l’impiego dell’avvenuta cessazione, entro il 5° giorno successivo;
- eventuale modulistica per il riconoscimento del beneficio dell’assegno per il nucleo familiare
(ANF 43);
- dichiarazione dei periodi di godimento dei permessi speciali a titolo di congedo parentale;
- rilascio della dichiarazione riferita all’imponibile contributivo annuale;
- rilascio della copia del modello TF1-TF2 riferiti alla scelta per la previdenza complementare.
Il lavoratore ha, da parte sua, l’obbligo di riconsegnare gli attrezzi, attrezzature o beni a lui fornite
per svolgere l’attività e di proprietà dell’azienda. Tra questi sicuramente rientrano l’autovettura
concessa in uso, il telefonino aziendale, il computer portatile, il campionario aziendale e qualsiasi
documento aziendale. Un obbligo eventuale che grava sul lavoratore è l’osservanza del divieto di
concorrenza sancito in forma scritta, indipendentemente dalla data di sottoscrizione, in virtù del
quale l’ex lavoratore deve astenersi dallo svolgere attività in proprio o alle dipendenze di altri, in
concorrenza con il precedente datore di lavoro.
Il patto di non concorrenza
Come anticipato, il patto di non concorrenza richiede la forma scritta e deve contenere i limiti
espliciti riferiti al luogo, la durata e l’oggetto.
Lo stesso deve altresì contenere la quantificazione del corrispettivo da garantire al lavoratore a
fronte della rinunzia allo svolgimento dell’attività lavorativa, e le modalità di erogazione.
Esistono dei limiti che si riferiscono alla durata del patto di non concorrenza che non può superare i
tre anni (5 per i dirigenti), decorrenti dalla data di cessazione, al luogo che deve essere specificato e
può coprire l’intero territorio nazionale solo in casi particolari, e al corrispettivo che deve essere
proporzionato alla rinunzia imposta al lavoratore.
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Il patto di non concorrenza può essere sciolto anticipatamente con il consenso di entrambi i
contraenti. Dal punto di vista previdenziale e fiscale, il corrispettivo costituisce retribuzione
computabile al Tfr ed imponibile previdenziale se erogata mensilmente.
Elementi costitutivi, che devono essere privi di vizi:
1) momento della stipula:
- all’atto dell’assunzione;
- durante il rapporto;
- alla cessazione del rapporto;
- mediante clausole inserite nel contratto di lavoro;
- in un contratto autonomo.
2) L’oggetto: il limite alla attività lavorativa deve essere relativo e non assoluto.
3) Area geografica.
4) Periodo di vigenza.
5) Clausole penali.
6) Corrispettivo.
Preavviso e indennità sostitutiva
Si è visto come il recesso dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato comporti
l’estinzione del rapporto.
Indipendentemente della parte che esercita tale diritto, deve essere concesso e rispettato un periodo
di preavviso (art. 2118 c.c.), la cui funzione è quella di evitare un pregiudizio economico all’altro
contraente, fornendogli il tempo per provvedere al personale bisogno.
Sia la dottrina sia la giurisprudenza attribuiscono al preavviso efficacia reale con la diretta
conseguenza che al rapporto di lavoro si continuano ad applicare le norme di legge e di contratto
collettivo intervenute in tale periodo.
Questo significa che alcuni eventi interruttivi del preavviso, di fatto, ne comportano il
prolungamento, es. le ferie, la malattia, l’infortunio. Esistono dei casi in cui l’efficacia reale del
preavviso può essere ridotta, ad es. quando è il Ccnl che prevede la possibilità del recesso senza
preavviso con pagamento della relativa indennità a carico del recedente (es. contratto collettivo per i
dipendenti da imprese alimentari), oppure per accordo tra le parti diretto all’esonero immediato
dagli obblighi relativi alle reciproche prestazioni.
Ogni contratto collettivo nazionale di lavoro stabilisce la durata minima del preavviso,
generalmente correlandola al livello o categoria e all’anzianità.
In qualche caso viene richiamata anche la qualifica (impiegato, operaio).
La durata del preavviso, stabilita dal Ccnl, non può essere ridotta dalle parti, le stesse non possono
neppure preventivamente escluderlo. La consolidata giurisprudenza ammette una durata maggiore
del preavviso mediante accordo individuale, così come ammette a causa di particolari esigenze
personali o aziendali, una proroga concordata consensualmente. Le parti possono, con il comune
consenso, decidere di sostituire l’attività lavorativa effettuata durante il periodo di preavviso con
l’indennità sostitutiva. In questo caso l’interruzione del rapporto avviene immediatamente (Cass.
Sez. Lav. 8 giugno 2006, n. 13380; Cass. Sez. Lav. n. 11740/721 maggio 2009)
Dimissioni, modalità, termini e forma
Uno dei modi per recedere dal contratto di lavoro subordinato, consiste nella manifestazione di
volontà da parte del lavoratore. Molti contratti collettivi prevedono espressamente la forma scritta
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per manifestare la volontà di recesso anche se in linea generale la stessa può essere comunicata
oralmente.
Affinché tale volontà sia valida ed efficace, occorre che la sua formazione sia libera da minacce,
errore o incapacità. La minaccia, utilizzata per raggiungere uno scopo diversamente irraggiungibile
con mezzi leciti, rende invalide ed annullabili le dimissioni.
Sono altresì annullabili le dimissioni manifestate a seguito di un errore di giudizio o valutazione.
Nel caso d’incapacità d’intendere e di volere, le dimissioni, pur essendo annullabili, non
comportano l’equiparazione di licenziamento illegittimo, situazione invece prevista nell’ipotesi di
dimissioni ottenute con la minaccia. Sono nulle le dimissioni sottoscritte, senza data all’atto
dell’assunzione. All’atto della comunicazione delle dimissioni occorre specificare al datore di
lavoro i termini di preavviso.
Un caso particolare si riferisce alle dimissioni incentivate, ovvero sollecitate dal datore di lavoro a
fronte di una erogazione di denaro e liberamente formate nella volontà del lavoratore.
I licenziamenti collettivi
La legge che regola l’interruzione unilaterale del rapporto di lavoro per una pluralità di lavoratori è
la 223/91. Prima di tale data esistevano solo accordi interconfederali e richiami della corte di
giustizia europea alla corretta applicazione degli obblighi imposti dalla normativa comunitaria; le
ragioni dell’intervento normativo sono di carattere sia protettivo verso i lavoratori sia di
bilanciamento dei diritti dei datori di lavoro tutelati dall’art. 41 della Costituzione.
Il risultato è una norma che non ha limitato il potere di recesso del datore di lavoro ma ha introdotto
vincoli di carattere procedurale al suo esercizio. Infatti, all’imprenditore è concessa la libertà di
decidere la dimensione del proprio organico aziendale secondo la propria convenienza, compreso
l’utilizzo dello strumento del licenziamento collettivo, senza sfruttare in modo arbitrario tale potere.
Il legislatore nell’intento di ricercare un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi sottesi alla
disciplina della riduzione del personale, non ha limitato la posizione di supremazia di coloro che
detengono i mezzi di produzione, ma vi ha posto una regolamentazione attraverso il rafforzamento
delle garanzie dei lavoratori.
La norma in questione prevede due diverse ipotesi di licenziamento collettivo:
- art. 24, c. 1, si riferisce al licenziamento attuato dal datore di lavoro che non ha fatto ricorso al
trattamento straordinario d’integrazione salariale prima di aprire la procedura espulsiva e che
occupa più di 15 dipendenti;
- art. 4, c. 1, si riferisce al licenziamento attuato dalle imprese ammesse al trattamento straordinario
di integrazione salariale, che nel corso di attuazione del programma di ristrutturazione,
riorganizzazione o conversione, non ritengano di essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i
lavoratori sospesi.
La norma prevede l’esistenza di alcuni requisiti, di seguito riepilogati.
Requisito soggettivo
La disciplina dei licenziamenti per riduzione del personale è applicabile ai datori di lavoro
imprenditori compresi gli artigiani, con più di 15 dipendenti, alla società cooperativa di produzione
e lavoro, ai lavoratori autoferrotravieri.
Con il D.Lgs. 8 aprile 2004, n. 110, il legislatore ha inserito i datori di lavoro non imprenditori che
non perseguono fini di lucro (c.d. terzo settore).
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Requisito dimensionale
Le imprese beneficiarie della procedura indicate nell’art. 24, legge 223/91, sono quelle che
occupano più di 15 dipendenti.
La determinazione della soglia numerica deve avvenire nel rispetto del principio della normale
occupazione, ovvero dell’organigramma produttivo inteso in senso oggettivo o, in mancanza,
all’occupazione media dell’ultimo semestre.
Dal computo numerico sono esclusi per espressa previsione normativa (art. 59, c. 2, D.Lgs.
276/2003) i contratti d’inserimento e analogamente i contratti di apprendistato e i lavoratori
“somministrati”. Sono computati nel numero i dirigenti e i lavoratori assunti a termine quando tale
assunzione non avvenga per esigenze eccezionali. Sono esclusi i lavoratori assunti in sostituzione di
altri lavoratori assenti.
Requisito numerico
Il 1° comma dell’art. 24 prevede che il datore di lavoro abbia manifestato l’intenzione di effettuare
almeno cinque licenziamenti. L’esubero deve risultare all’atto dell’apertura della procedura
sindacale, ovvero al momento in cui il datore di lavoro comunica ai suoi interlocutori sindacali il
progetto di riduzione del personale. Sono esclusi dal computo i lavoratori dimissionari.
Requisito temporale
Le disposizioni in cui all’art. 4, commi da 2 a 12 e 15-bis, e dell’art. 5, commi da 1 a 5, si applicano
alle imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o
trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di
centoventi giorni.
Al fine di determinare il momento dal quale decorre il termine dei centoventi giorni utili per
procedere al licenziamento per riduzione del personale occorre riferirsi alla data dell’accordo
sindacale o, al limite, alla data di fine fase amministrativa.
In sede di accordo sindacale le parti potranno, inoltre, prevedere non solo una diversa durata del
limite temporale (es. superiore ai centoventi giorni), ma anche stabilire una diversa decorrenza del
termine per l’intimazione dei licenziamenti.
Requisito territoriale
“In ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa
provincia”, il Ministero ha chiarito che seppur la riduzione del personale riguardi unità produttive
ubicate in più regioni, la controversia deve essere trattata unilateralmente”.
Requisito causale
Sempre l’art. 24 della legge in esame, definisce il licenziamento collettivo quale atto conseguente
“alla riduzione o trasformazione di attività o di lavoro” e “alla cessazione dell’attività d’impresa”
(Tribunale di Roma, sez. IV, 27 aprile 2005, n. 8017).
Sia il licenziamento individuale plurimo sia quello collettivo sono caratterizzati da motivi non
inerenti la persona del lavoratore, ma da ragioni tecnico-produttive, ma solo il secondo si distingue
per i requisiti numerico - temporali.
La conseguenza è l’assoggettamento di tale situazione alla procedura del licenziamento collettivo,
in ossequio anche delle direttive europee (94/54 del 20/7/98). In tal senso, affinché si parli di
licenziamento, occorre una riduzione non temporanea dell’attività produttiva, ovvero,
alternativamente, una trasformazione strutturale dell’impresa che comporti riduzione di uffici,
reparti o lavorazioni con conseguente contrazione della forza lavoro.
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Occorre considerare che oltre all’evento sopra riportato, si configura il licenziamento collettivo,
anche quando la trasformazione della struttura o dell’attività sia la diretta conseguenza di calo di
commesse o per l’introduzione di nuove tecnologie che rendono di fatto esuberante la forza lavoro.
La procedura
La procedura ha inizio con l’invio di una comunicazione, scritta e preventiva, da parte del datore di
lavoro, indirizzata alle “rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’art. 19 della legge
300/70 nonché alle rispettive associazioni di categoria” o, in mancanza, alle “associazioni di
categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.
L’art. 4 della legge fissa in modo dettagliato il contenuto della comunicazione che deve contenere:
1.
la specifica dei motivi che determinano la situazione di eccedenza;
2.
la specifica dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter
adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare in tutto o in parte,
la dichiarazione di mobilità;
3.
la specifica del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale
eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato;
4.
indicazione dei tempi di attuazione del programma di mobilità;
5.
indicazione delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano
sociale della attuazione del programma medesimo;
6.
specifica del metodo di lavoro delle attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste
dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.
Alla comunicazione deve essere allegata la ricevuta dell’avvenuto pagamento del contributo
d’ingresso(non obbligatorio l’invio in allegato alla domanda, ma può essere differito).
La comunicazione deve essere compilata in base ai principi di correttezza e buona fede e può essere
integrata da tutte le informazioni ritenute necessarie durante l’esame delle parti.
La fase sindacale è quella prettamente di consultazione. Durante questa ultima vengono valutate le
cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e la possibilità di utilizzazione
diversa di tale personale o di una parte. Entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, le
organizzazioni sindacali e quella datoriale iniziano l’esame congiunto per valutare la situazione e
proporre eventuali interventi alternativi.
L’azienda ha l’obbligo, in questa fase, di rendere disponibili tutte le informazioni alla controparte
sindacale ma non è vincolata dai suggerimenti di quest’ultima (Cass. 17 febbraio 2005, n. 3193).
Infatti, in ossequio all’art. 41 della Costituzione, l’imprenditore non ha l’obbligo di raggiungere un
accordo a tutti i costi. Con l’accordo si deve considerare chiusa la procedura nel senso che si
devono rendere effettivi i contenuti, rendendo concreti gli interventi decisi.
Nell’accordo possono essere contemplati uno o più interventi come ad esempio:
- misure alternative quali la Cigs o i contratti di solidarietà o il part time generalizzato;
- il riassorbimento totale o parziale degli esuberi in deroga all’art. 2103 c.c. con accettazione di
mansioni diverse;
- la modifica dei criteri di scelta per il personale da licenziare;
- definire e regolare il distacco temporaneo presso terzi;
- definire una deroga al termine di centoventi giorni, termine entro il quale intimare i licenziamenti
Il mancato accordo in sede sindacale rende necessaria, entro 45 giorni, la comunicazione all’ufficio
competente, indicando il risultato della consultazione e i motivi del suo esito negativo.
La stessa comunicazione può essere trasmessa anche dalle associazioni sindacali dei lavoratori.
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L’ufficio notiziato, convoca le parti per una nuova verifica congiunta e, entro 30 giorni dal
ricevimento della comunicazione, deve chiudere questa seconda fase. Scaduto questo termine senza
aver raggiunto un accordo, l’azienda può procedere ad intimare i licenziamenti ai lavoratoti in
esubero.
La comunicazione del licenziamento deve avvenire per iscritto a pena di inefficacia dello stesso
provvedimento e può non contenere la motivazione. Un ulteriore adempimento a carico del datore
di lavoro consiste nella comunicazione all’ufficio competente e alle associazioni di categoria
dell’elenco dei lavoratori collocati in mobilità con la specifica dei criteri di scelta applicati. La
mancanza di tale specifica può portare alla inefficacia dei licenziamenti.
Le comunicazioni di licenziamento e le lettere agli enti devono essere inoltrate in modo contestuale,
intendendo un arco temporale ragionevole e senza la coincidenza di data.
Di particolare importanza, per i riflessi che hanno su tutta la procedura, sono i criteri di scelta dei
lavoratori da collocare in mobilità.
I criteri di scelta possono essere individuati dalla contrattazione collettiva. L’essenza di tale
previsione comporta che l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità debba avvenire con
il rispetto dei seguenti criteri:
a)
carichi di famiglia;
b)
anzianità;
c)
esigenze tecnico – produttive ed organizzative, in concorso tra loro
Nell’ottica della finalità alla quale tutta la procedura è diretta, il datore di lavoro può individuare
uno o più criteri applicandoli disgiuntamente dagli altri. E’ il caso delle esigenze produttive ed
organizzative ( Cass. 20 dicembre 2004 n. 23607 ).
Tale applicazione gli permette di dare più forza alla propria azione per raggiungere lo scopo finale.
Il lavoratore ha 60 giorni di tempo da quando ha ricevuto la comunicazione di licenziamento per
impugnare il provvedimento.
La conseguenza diretta è che, se determinata l’inefficacia del recesso, si applica l’art. 18 S.L.,
ovvero la reintegrazione del dipendente licenziato sul posto di lavoro.
L’inefficacia può verificarsi anche per violazione della procedura, infatti a differenza del
licenziamento individuale, nel licenziamento collettivo il giudice verifica il rispetto della procedura,
non il contenuto.
La violazione dei criteri di scelta comporta l’annullabilità del provvedimento, dietro impugnazione,
nel termine di 60 giorni dalla notifica, da parte del lavoratore con applicazione dell’art. 18 S.L.
In questo caso il datore potrà comunque procedere all’espulsione del numero previsto di lavoratori,
senza instaurare una nuova procedura, ma applicando correttamente i criteri di scelta.
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