Capitolo 11 La cessazione del rapporto di lavoro
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Capitolo 11 La cessazione del rapporto di lavoro
Edizioni Simone - Vol. 16/2 Compendio di Diritto del Lavoro e della Previdenza sociale Parte primaDiritto del lavoro Capitolo 11La cessazione del rapporto di lavoro Sommario1. Le cause di estinzione del rapporto di lavoro subordinato. - 2. La disciplina delle dimissioni. - 3. La disciplina del licenziamento individuale. - 4. La regolamentazione del licenziamento. - 5. I requisiti sostanziali. - 6. I divieti di licenziamento. - 7. Il licenziamento discriminatorio. - 8. I requisiti formali. - 9. L’illegittimità del licenziamento e le conseguenze sanzionatorie. - 10. L’impugnazione, la nuova offerta conciliativa e la revoca del licenziamento. - 11. Il regime sanzionatorio dei licenziamenti discriminatori, nulli e orali. - 12. Il vecchio regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi. - 13. Il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti. - 14. L’area residuale del recesso ad nutum. - 15. La disciplina dei licenziamenti collettivi. 1.Le cause di estinzione del rapporto di lavoro subordinato A) Pluralità di cause Il rapporto di lavoro può estinguersi per una pluralità di cause previste dall’ordinamento. In particolare: a) per scadenza del termine, se trattasi di rapporti di lavoro che prevedono una scadenza finale; b) per morte del lavoratore. Non produce l’estinzione del rapporto di lavoro la morte del datore di lavoro in quanto l’attività produttiva continua, di regola, con chi succede nella titolarità dell’impresa; c) per recesso del prestatore di lavoro (cd. dimissioni) (v. infra); Per effetto della riforma Fornero (L. 28-6-2012, n. 92), l’efficacia delle dimissioni è subordinata ad una successiva convalida su cui v. succ. par. 2; d) per recesso del datore di lavoro (cd. licenziamento) (v. infra); e) per accordo delle parti (cd. risoluzione consensuale del rapporto di lavoro), che si verifica allorché entrambe le parti, datore e prestatore, si accordano per porre fine al rapporto di lavoro, in applicazione dell’art. 1372 c.c. che consente lo scioglimento del contratto per mutuo consenso; f) per altre specifiche cause previste dalla legge (es. mancato rientro in azienda del lavoratore a seguito di provvedimento di reintegra ex art. 18 L. 300/1970); g) per impossibilità sopravvenuta della prestazione o per forza maggiore. 176 Parte prima Diritto del lavoro Tali circostanze possono attenere sia al lavoratore (es. la sua carcerazione oppure la sopravvenuta assoluta inidoneità fisica al lavoro) che al datore (es. requisizione o distruzione per fatti naturali degli impianti aziendali), ma non comportano un’estinzione automatica del rapporto di lavoro. Secondo la dottrina dominante e la giurisprudenza prevalente possono solo integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento (v. succ. par. 5). B) Segue: Il recesso di una delle parti del rapporto La causa più ricorrente di cessazione del rapporto di lavoro è certamente rappresentata dal recesso che se proviene dal lavoratore assume comunemente la denominazione di dimissioni, se proviene dal datore quella di licenziamento. Il recesso è un atto unilaterale recettizio con cui si manifesta la volontà di porre fine al rapporto di lavoro. Esso acquista, quindi, efficacia nel momento in cui viene a conoscenza dell’altra parte. È sufficiente quindi la mera comunicazione poiché non presuppone alcuna accettazione del destinatario (art. 1334 c.c.). La disciplina del recesso nel rapporto di lavoro a tempo determinato è contenuta nel codice civile (art. 2119 c.c.) ed è sostanzialmente unitaria, non presentando alcuna distinzione tra licenziamento e dimissioni. Infatti ad entrambe le parti, lavoratore e datore, non è consentito recedere dal rapporto prima del termine stabilito, a meno che si verifichi una giusta causa. In mancanza di una giusta causa, la parte recedente può eventualmente essere tenuta a risarcire all’altra il danno da questa subito per il recesso anticipato (ante tempus). La disciplina del recesso nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, invece, è completamente differente. Infatti, mentre per il lavoratore continua a valere il principio della libera recedibilità, il recesso del datore di lavoro è sottoposto alla sussistenza di una causa giustificatrice, secondo una normativa di carattere speciale a tutela del lavoratore. C) Segue: L’obbligo di preavviso La parte recedente da un contratto di lavoro a tempo indeterminato ha l’obbligo di dare alla parte receduta il preavviso (art. 2118 c.c.), che determina il differimento della cessazione del rapporto di lavoro per un certo periodo di tempo (CARINCI). In generale, l’istituto del preavviso risponde all’elementare esigenza di evitare che la parte che patisce il recesso si trovi all’improvviso di fronte alla rottura del contratto (PERA): nel caso di dimissioni, di ricercare «un sostituto nel mercato del lavoro» (ROCCELLA), nel caso di licenziamento, di permettere al prestatore di avere il tempo per procurarsi un’altra occupazione (Cass. 112/1998). La durata del periodo di preavviso è stabilita dai contratti collettivi di categoria e varia in relazione alle qualifiche e all’anzianità di servizio dei lavoratori. Durante il periodo di preavviso, il rapporto di lavoro continua normalmente con la conseguenza che entrambe le parti sono tenute ad osservare tutti gli obblighi ad esso Capitolo 11 La cessazione del rapporto di lavoro 177 connessi: pertanto, deve essere eseguita la prestazione (ed infatti si dice che «il preavviso deve essere lavorato») e pagata la retribuzione. La prestazione deve essere effettivamente eseguita per cui i giorni di ferie maturati e non consumati non possono essere portati a decurtazione del periodo di preavviso dovuto (l’art. 2109 c.c. stabilisce che il periodo di preavviso non può essere computato ai fini delle ferie e rimane sospeso se dopo la comunicazione interviene la malattia, l’infortunio o la gravidanza del prestatore). Il periodo di preavviso lavorato è computato, ad ogni effetto, ai fini dell’anzianità. In mancanza di preavviso, la parte recedente deve corrispondere all’altra un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso (cd. indennità sostitutiva del preavviso). L’obbligo di preavviso tuttavia non sussiste se le dimissioni o il licenziamento avvengono per giusta causa, ma il lavoratore dimissionario ha comunque diritto alla relativa indennità sostitutiva (art. 2119 c.c.). L’indennità si calcola computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese (art. 2121, co. 1, c.c.). In caso di morte del lavoratore, l’indennità è corrisposta a taluni familiari superstiti, quali il coniuge, i figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado (cd. indennità mortis causa). La ripartizione dell’indennità, se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno. In mancanza di tali soggetti, l’indennità è attribuita secondo le norme della successione legittima (art. 2122 c.c.). 2.La disciplina delle dimissioni Il lavoratore può sempre recedere dal contratto di lavoro (artt. 2118 e 2119 c.c.); tuttavia, se il rapporto di lavoro è: — a tempo determinato, soltanto se sussiste una giusta causa; — a tempo indeterminato, con il limite di rispettare il periodo di preavviso della durata stabilita dal contratto collettivo (v. prec. par. 1, lett. c), salvo la ricorrenza di una giusta causa. Il D.Lgs. 151/2015 (art. 26), in attuazione del Jobs Act, ha ridisegnato la disciplina delle dimissioni volontarie e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro. Per entrambe le ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro è previsto, a pena di inefficacia, che debbano essere fatte esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente (1). (1) La trasmissione dei moduli può avvenire anche per il tramite dei patronati, delle organizzazioni sindacali, nonché degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione. 178 Parte prima Diritto del lavoro Entro 7 giorni dalla data di trasmissione del modulo il lavoratore ha, comunque, la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le medesime modalità. Tale disciplina è prevista per la generalità dei lavoratori, rimanendo espressamente escluse le dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza e fino ai primi 3 anni di vita del bambino (v. Cap. 6) e il lavoro domestico. Essa è in vigore dal 12-3-2016, ovvero, decorsi 60 giorni dall’entrata in vigore del D.M. 15-12-2015 (2) che regolamenta le modalità di trasmissione del modulo. Il decreto definisce i dati contenuti nel modulo, gli standard e le regole tecniche per la compilazione dello stesso e per la sua trasmissione. Sono previste, in sostanza, la registrazione sia al il sito cliclavoro.gov.it che a quello dell’Inps al fine di ottenere le relative credenziali; la compilazione del modulo con i dati richiesti e l’invio al sistema informativo, il quale, fornisce il codice alfanumerico attestante il giorno e l’ora in cui il modulo è stato trasmesso dal lavoratore. La suddetta procedura non deve essere però applicata quando le dimissioni o la risoluzione consensuale intervengono in una delle sedi qualificate previste dalla legge, ossia innanzi al giudice, alla commissione di conciliazione (presso la DTL poi la sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro), alle organizzazioni sindacali e al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale (art. 2113, co. 4, c.c.), nonché innanzi alle commissioni di certificazione. Prima dell’entrata in vigore delle disposizioni del D.Lgs. 151/2015, per la generalità dei lavoratori, le dimissioni e le risoluzioni consensuali avvenivano secondo la disciplina contenuta nella legge Fornero (art. 4, co. 17 - 23bis, L. 92/2012) che ne prevede la convalida presso la Direzione territoriale del lavoro o il centro per l’impiego ovvero presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali oppure la sottoscrizione di un’apposita dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro. 3.La disciplina del licenziamento individuale A) Evoluzione normativa Nel codice civile del 1865, la materia del lavoro era circoscritta in una visione economica esclusivamente di tipo liberale, sostanzialmente ribadita dal codice civile del 1942 (artt. 2118 e 2119 c.c.), che prevedeva (e prevede) univocamente la libertà del recesso del datore e del prestatore dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, ponendo entrambi su un formale piano di parità. Senonché l’affermazione dei principi costituzionali (1947) dell’uguaglianza sostanziale (art. 3, co. 2) e della tutela del lavoro (artt. 4, 41, co. 2) ha posto le basi per l’emanazione di una legge che prevedesse il divieto dei licenziamenti immotivati. Ed è stata la L. 15-7-1966, n. 604 che, mantenendo intatta la libertà di dimissioni, ha sancito l’illegittimità dei licenziamenti intimati senza una giusta causa o un giustificato motivo, trovando però applicazione solo nelle imprese con più di 35 dipendenti. (2) Il D.M. 15-12-2015 è stato pubblicato in G.U. 11-1-2016, n. 7 Capitolo 11 La cessazione del rapporto di lavoro 179 Un decisivo passo in avanti verso la tutela effettiva della stabilità del rapporto di lavoro è stata poi compiuta dalla L. 20-5-1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori) che ha previsto all’art. 18 la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato. La L. 11-5-1990, n. 108 ha poi dato un nuovo assetto alla normativa del licenziamento, modificando le predette leggi: la L. 604/1966 è estesa anche alle aziende di piccole dimensioni, mentre la tutela dell’art. 18 L. 300/1970 viene applicata ai lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti. La L. 4-11-2010, n. 183, cd. collegato lavoro, ha poi apportato modifiche all’art. 6 della L. 604/1966 stabilendo un nuovo regime di impugnazione del licenziamento ed estendendone notevolmente il campo di applicazione. B) La vicenda dell’«articolo 18» Da più di un decennio si è manifestata la tendenza ad abbandonare il modello di rigorosa protezione del lavoratore che ha trovato riflesso nella vicenda dell’«articolo 18» della L. 300/1970, che vede sindacati, partiti politici e imprese arroccati su due posizioni radicali e contrapposte: una per la strenua difesa di tale norma, l’altra in favore dell’abolizione, sul presupposto che la tutela reale ivi prevista costituisce, tra l’altro, un ostacolo all’incremento dell’occupazione. È stata così tentata sia la strada dell’abrogazione della norma attraverso due referendum, del 2000 e del 2003, che hanno avuto esito negativo per mancato raggiungimento del quorum necessario per la loro validità, sia quella della modifica legislativa cui però si è desistito a seguito di una significativa mobilitazione sindacale avversa. C) Le modifiche della riforma Fornero Nel 2012, l’art. 18 viene nuovamente rimesso in discussione e, nell’ambito di un’ampia riforma del mercato del lavoro, viene completamente revisionato il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi previsto: la riforma Fornero (L. 28-6-2012, n. 92) pone infatti fine all’unicità del regime di tutela reale (reintegrazione nel posto di lavoro) stabilito dalla norma per tutti i casi di illegittimità (nullità, annullamento e inefficacia). A seguito della riforma, infatti, in determinate ipotesi, i lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti hanno diritto ad una tutela unicamente risarcitoria. La L. 92/2012 apporta alla disciplina dei licenziamenti individuali anche ulteriori modifiche: — viene introdotto, per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, una procedura di conciliazione obbligatoria che il datore di lavoro con più di 15 lavoratori deve attivare prima della comunicazione del licenziamento; — viene posto a carico del datore di lavoro l’obbligo di specificare nella lettera di licenziamento i motivi che lo hanno determinato; — viene ridotto da 270 a 180 giorni il termine entro il quale deve essere depositato il ricorso giudiziale o comunicato alla controparte il tentativo di conciliazione o arbitrato a seguito dell’impugnazione stragiudiziale; 180 Parte prima Diritto del lavoro — viene introdotto un rito specifico per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dal novellato art. 18. D)Le novità del cd. Jobs Act (L. 183/2014) e del D.Lgs. 23/2015 di attuazione La vicenda sull’art. 18 tuttavia non è finita neanche a seguito della riforma Fornero, che pur ha fortemente ridimensionato l’ambito di applicazione della tutela reale da esso prevista. Allo scopo espresso di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, la L. 183/2014, cd. Jobs Act, delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi che prevedano, per le nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (cd. CATUC) in relazione all’anzianità di servizio con: — esclusione, per i licenziamenti economici, della reintegrazione nel posto di lavoro, e riconoscimento solo di un indennizzo certo e crescente con l’anzianità di servizio; — diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro nelle sole ipotesi di licenziamenti nulli e discriminatori; — diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro in specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare. Il provvedimento prevede anche una revisione dei termini di impugnazione dei licenziamenti secondo criteri che ne conferiscano certezza. In attuazione del Jobs Act, viene emanato il D.Lgs. 23/2015 che disciplina il regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo per i lavoratori con qualifica di operai, impiegati o quadri assunti, dalla data di entrata in vigore (7-3-2015), con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (3). Come si vedrà, il campo di applicazione è in realtà più ampio, rientrandovi, a determinate condizioni, anche lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore della nuova normativa (v. par. 13). Inoltre a differenza della legge Fornero, la L. 183/2014 non modifica l’art. 18 L. 300/1970, ma mira a creare un nuovo regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi. Il D.Lgs. 23/2015 delinea un sistema «completo» che si affianca non solo all’art. 18, richiamato soltanto nelle disposizioni (commi 8 e 9) relative alla determinazione delle imprese di maggiori dimensioni, ma anche alla tutela obbligatoria dell’art. 8 della L. 604/1966. In sostanza, le nuove disposizioni coprono l’area dei licenziamenti nulli, ove si prescinde dalle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, nonché quella dei licenziamenti ingiustificati o inefficaci, diversificando a seconda del possesso o meno da parte del datore di lavoro dei requisiti dimensionali determinati secondo i criteri di computo dell’art. 18, co. 8-9, L. 300/1970. (3) Tenuto conto che i lavoratori cui si applicano le disposizioni del D.Lgs. 23/2015 sono soltanto quelli con qualifica di operai, impiegati e quadri, integralmente immutata resta la disciplina dei licenziamenti dei dirigenti (e più in generale dei lavoratori rientranti nell’area del recesso ad nutum). Edizioni Simone - Vol. 16/2 Compendio di Diritto del Lavoro e della Previdenza sociale Parte secondaPrevidenza sociale e rapporto previdenziale Capitolo 6Il sistema degli ammortizzatori sociali Sommario1. La riforma degli ammortizzatori sociali. Dalla legge Fornero ai decreti di attuazione del Jobs Act. - 2. Le integrazioni salariali. - 3. I contratti di solidarietà. - 4. I fondi di solidarietà. - 5. La Nuova prestazione dell’assicurazione sociale per l’impiego (NASPI). - 6. L’assegno di disoccupazione (ASDI). - 7. Le misure straordinarie a sostegno del reddito. - 8. L’indennità di mobilità. - 9. Lo stato di disoccupazione. - 10. La ricollocazione del lavoratore. - 11. La decadenza dai trattamenti a sostegno del reddito. - 12. Impiego dei lavoratori titolari di strumenti a sostegno del reddito in attività per la collettività. 1.La riforma degli ammortizzatori sociali. Dalla legge Fornero ai decreti di attuazione del Jobs Act A) Il sistema degli ammortizzatori sociali Il sistema degli ammortizzatori sociali è costituito dall’insieme degli strumenti predisposti dallo Stato al fine di fornire una tutela del reddito ai lavoratori che si trovano a dover affrontare, nel corso della loro vita lavorativa, periodi più o meno lunghi senza lavoro per riduzione o cessazione dell’attività lavorativa. Il legislatore interviene mediante misure di natura economica che integrano il reddito di lavoro, che si è ridotto a causa della sospensione dell’attività, o che sostengono il lavoratore improvvisamente privato della retribuzione a causa della cessazione del rapporto. Gli ammortizzatori sociali rappresentano, pertanto, misure cd. passive, che si aggiungono alle misure finalizzate alla rioccupazione e alla riqualificazione del lavoratore (cd. politica attiva del lavoro). Nell’ambito degli ammortizzatori sociali può effettuarsi la seguente distinzione: — strumenti che intervengono in costanza di rapporto, quando cioè il rapporto di lavoro è soltanto sospeso, e non cessato, determinando una riduzione della retribuzione, di diversa entità. Si collocano in tal ambito soprattutto le integrazioni salariali ed i fondi di solidarietà settoriali; — strumenti che intervengono in caso di disoccupazione, quando cioè il rapporto di lavoro è definitivamente cessato, determinando la perdita della retribuzione. Si collocano in tal ambito soprattutto le indennità erogate dall’assicurazione contro la disoccupazione e, dal 2013, dalla nuova assicurazione sociale per l’impiego (ASPI), introdotta dalla riforma Fornero (L. 92/2012), nonché l’indennità di mobilità (L. 223/1991). 358 Parte seconda Previdenza sociale e rapporto previdenziale A tali strumenti vanno aggiunti, poi, i sussidi straordinari che sono stati introdotti nel tempo, e perpetuati, al fine di fornire una tutela economica a tutte quelle categorie che non beneficiavano degli ordinari ammortizzatori sociali. B) La riforma degli ammortizzatori sociali Il sistema degli ammortizzatori sociali, di cui da tempo si sentiva l’esigenza di rinnovamento, è stato sottoposto ad una significativa ed epocale riforma con la cd. legge Fornero (L. 92/2012), nell’obiettivo di garantire un ampliamento della tutela economica e di rafforzare i legami tra strumenti di sostegno del reddito e politiche di attivazione, riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori. La riforma, da un lato, ha introdotto un nuovo strumento di assicurazione dal rischio di disoccupazione, l’assicurazione sociale per l’impiego, cd. ASPI, entrato in vigore il 1°-1-2013, dall’altro, ha effettuato una revisione dei tradizionali strumenti a sostegno del reddito. A distanza di circa due anni da tale intervento, il Jobs Act (L. 183/2014) prevede una nuova riforma degli ammortizzatori sociali con l’obiettivo di «assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori». Nell’ambito degli strumenti di tutela in caso di perdita dell’occupazione, le previsioni del Jobs Act sono state attuate, in prima battuta, con il D.Lgs. 4-3-2015, n. 22 che è intervenuto sull’assicurazione sociale per l’impiego, ridefinita e ridenominata NASPI. È stata, in tal modo, effettuata l’omogeneizzazione dei trattamenti, prima distinti in trattamenti ordinari e in trattamenti brevi (cd. mini-ASPI), in un unico tipo di indennità la cui durata è in funzione della contribuzione maturata dal lavoratore, con un’elevazione del periodo di godimento in presenza di carriere contributive più rilevanti e con la possibilità di beneficiare, alla scadenza del periodo di fruizione dell’indennità, di un ulteriore trattamento a sostegno del reddito (cd. ASDI) nel caso in cui si accerti che il soggetto disoccupato versi in una situazione economica di bisogno. Viene inoltre riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi, in via sperimentale, un’apposita indennità di disoccupazione (cd. DIS-COLL). La riforma concepita dal Jobs Act viene poi completata con il D.Lgs. 14-9-2015, n. 148 che ridefinisce gli strumenti di tutela in costanza di rapporto. Relativamente alle integrazioni salariali, si provvede a: — semplificare le procedure di concessione, incentivando l’uso di strumenti telematici e digitali e prendendo in considerazione anche meccanismi standardizzati a livello nazionale; — confermare l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale o di un ramo di essa (divieto a regime dal 2017); — subordinare il ricorso alla cassa integrazione alla verifica delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro; — sottoporre la durata dei trattamenti ad un limite massimo complessivo; — rimettere all’accordo tra datore di lavoro e sindacati l’individuazione dei meccanismi di rotazione dei lavoratori; — modificare il sistema di finanziamento delle integrazioni salariali da parte delle imprese (con maggiore partecipazione finanziaria da parte dei datori di lavoro e rimodulazione degli oneri contributivi). Capitolo 6 Il sistema degli ammortizzatori sociali 359 In materia di contratti di solidarietà, quelli cd. difensivi sono ricondotti nell’ambito della cassa integrazione straordinaria, mentre quelli cd. espansivi ricevono una nuova ed autonoma regolamentazione. Notevoli modifiche sono apportate anche ai fondi di solidarietà bilaterali, realizzando un ampliamento del loro campo di applicazione. In via generale, entrambi i provvedimenti accentuano il coinvolgimento attivo del soggetto percettore di un trattamento a sostegno del reddito, richiedendo la sua partecipazione alle iniziative di orientamento, formazione e riqualificazione, poste in essere dai servizi competenti nell’ambito delle politiche del lavoro. In tal senso è diretto il cd. patto di servizio per i lavoratori fruitori delle indennità di integrazione salariale. È da aggiungere che ulteriori interventi sono stati poi attuati con la legge di stabilità 2016 (L. 208/2015). Di seguito verranno trattati dapprima gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto e successivamente quelli in caso di perdita dell’occupazione. 2.Le integrazioni salariali A) Finalità e normativa generale Si tratta di strumenti volti a tutelare la posizione contrattuale del prestatore di lavoro di fronte alle situazioni variabili dell’impresa, garantendo per quanto possibile il diritto alla retribuzione dalle vicende che possono incidere negativamente sul rapporto di lavoro (cd. principio della continuità del salario). Sul terreno legislativo il principio della garanzia della retribuzione ha trovato la sua massima espressione nel sistema degli interventi di integrazione salariale che si suddividono in un intervento ordinario, anche denominato Cassa integrazione guadagni (CIGO), e un intervento straordinario, anche denominato Cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) (1): entrambi hanno la finalità di assicurare al lavoratore, in caso di eventi oggettivi che determinano la totale o parziale riduzione dell’attività lavorativa, la corresponsione di un trattamento economico (l’integrazione salariale) a compensazione del reddito perso a causa della riduzione dell’orario di lavoro. Le integrazioni salariali intervengono pertanto in costanza di rapporto, quando vengono sospese le obbligazioni principali connesse al rapporto medesimo, cioè la prestazione di lavoro e la retribuzione per fatti non imputabili alla volontà del datore di lavoro (contrazione dell’attività, crisi, calamità naturali etc.). Cessata la causa che ha legittimato la sospensione, il rapporto riprende regolarmente. Nei casi di integrazione salariale, pertanto, vi è la prospettiva della cessazione dell’evento sospensivo e quindi della ripresa dell’attività produttiva. (1) Entrambi gli interventi sono gestiti dall’INPS tramite l’apposita «Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti», in cui confluiscono le tre Casse (agricoltura, industria e edilizia), autonome tra loro, preposte alla gestione dei trattamenti integrativi nei diversi settori. 360 Parte seconda Previdenza sociale e rapporto previdenziale Il D.Lgs. 148/2015 detta una serie di disposizioni che costituiscono norme generali per entrambe le forme di integrazione salariale. La cassa integrazione copre tutti i lavoratori subordinati, compresi gli apprendisti con contratto professionalizzante, ad esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio, che abbiano un’anzianità di effettivo lavoro di almeno 90 giorni presso l’unità produttiva per la quale è richiesto il trattamento di integrazione salariale (2) (3). Il trattamento di integrazione salariale ammonta all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, comprese fra le ore zero e il limite dell’orario contrattuale e si calcola tenendo conto dell’orario di ciascuna settimana indipendentemente dal periodo di paga (art. 3 D.Lgs. 148/2015). La misura dell’indennità è soggetta comunque a limiti massimi (cd. tetti), annualmente rivalutati, stabiliti in rapporto alla retribuzione mensile. La durata massima complessiva degli interventi di integrazione salariale è pari a 24 mesi in un quinquennio mobile, con la possibilità di arrivare a 36 mesi in caso di stipula di un contratto di solidarietà (CDS, su cui v. succ. par. 3). Il limite riguarda dunque il complesso dei trattamenti fruiti, cumulando i periodi di CIGO, di CIGS e di eventuale solidarietà (es. 12 mesi di CIGO + 12 mesi di CIGS, 12 mesi di CIGO + 24 mesi di CDS etc.). Per determinati settori (tra cui quello edile) il limite complessivo (CIGO + CIGS) è elevato a 30 mesi. In concreto Per controllare il limite massimo di 24 mesi nell’ambito del quinquennio «mobile» si deve considerare la prima settimana oggetto di richiesta di prestazione e, a ritroso, si valuteranno le 259 settimane precedenti (cd. quinquennio mobile). Se in tale arco temporale saranno già state autorizzate 104 settimane (pari cioè a 24 mesi) il trattamento non può essere riconosciuto. Ai soli fini della verifica del predetto limite, non vengono presi in considerazione periodi anteriori al 24-9-2015, che è la data di entrata in vigore del D.Lgs. 148/2015 (circ. INPS 197/2015). Durante i periodi di integrazione salariale, ai lavoratori è riconosciuta la contribuzione figurativa utile sia per il diritto che per la misura della pensione anticipata o di vecchiaia. Al fine di evitare possibili abusi, il datore di lavoro che si avvale dell’intervento di integrazione salariale è tenuto ad una contribuzione addizionale pari ad un’aliquota applicata alla retribuzione globale che sarebbe spettata a ciascun lavoratore posto in cassa integrazione, per il numero di ore non lavorate, che aumenta all’aumentare del periodo di godimento della cassa integrazione nel quinquennio mobile (si parte da un limite minimo del 9% ad un massimo del 15%). (2) Tale condizione non è necessaria per i trattamenti ordinari di integrazione salariale per eventi oggettivamente non evitabili in tutti i settori: prima delle modifiche della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) la condizione era limitata al settore industriale (art. 1, co. 2, D.Lgs. 148/2015). (3) Per effettivo lavoro si intendono le giornate di effettiva presenza al lavoro a prescindere dalla loro durata oraria. Vi sono compresi tuttavia i periodi di sospensione dal lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni e maternità obbligatoria (circ. INPS 197/2015).