e gli altri - Flavio Briatore

Transcript

e gli altri - Flavio Briatore
CONTROSTERZO Flavio Briatore
e gli altri
IO
Flavio Briatore racconta
la sua scalata al successo
nel mondo della F1, risponde
alle critiche che lo dipingono
come un affarista senza
scrupoli e ricorda la bella
stagione di Schumacher
vincente
DI DANILO CASTELLARIN - FOTO GETTY IMAGES
VINCITORE
Flavio Briatore con la coppa del vincitore al GP
di Francia del 1994. La sua Benetton si avviava
a diventare campione del mondo con Michael
Schumacher (al centro tra Hill, a sinistra, e Berger).
N
on ha il tocco delicato del neurochirurgo. In un negozio
di porcellane combinerebbe disastri. La carriera diplomatica forse non è il suo forte. Però è stato l’unico italiano
che, pur non lavorando a Maranello, ha portato a casa sette titoli mondiali di F1 (quattro Piloti con Schumacher e Alonso e tre
Costruttori con Benetton e Renault). Chapeau. Sessantadue anni lo
scorso aprile, Flavio Briatore è tornato alla ribalta con una trasmissione tv (The Apprentice) che premia i talenti. Quasi una specialità della casa visto com’è andata la carriera di Schumacher e Alonso, lanciati proprio da lui, il boss di Verzuolo, provincia di Cuneo.
Eppure, nonostante i successi, un certo mondo imprenditoriale lo ha
sempre evitato, come fanno quelli che girano al largo dalle granturismo taroccate piene di adesivi. Qualcuno ha scritto che il Billionaire
era il “covo della pacchianeria italiana” negandogli il ruolo di simpatica canaglia alla Jean Paul Belmondo o alla Vittorio Gassman del “Sorpasso”, quello che strombazza per arrivare primo. Lui ha sempre ri-
126
sposto a muso duro, con la moneta sonante della vittoria, glissando
sulle tasse dei panfili ma conquistando belle donne e lavorando a fianco di Benetton, Trump, Renault. Mai di Ferrari.
fBriatore, lei si è lamentato spesso dicendo tutti le chiedono
sempre e solo del Billionaire e delle belle donne e solo pochi ricordano che ha vinto sette titoli senza essere la Ferrari. Allora
partiamo da questo: come c’è riuscito?
Con molto impegno, tanta creatività e un po’ di talento. Ma soprattutto non accontentandomi dei luoghi comuni, dei santoni, dei personaggi affermati che dettavano legge. Ho sempre cercato di scoprire o valorizzare i tecnici e i piloti che valevano di più e che, per una ragione o per l’altra, restavano nell’ombra. Le squadre vincenti si fanno
così: fiutando i migliori e mettendoli a lavorare insieme. Con la Benetton sono partito dai cervelli di Ross Brawn, Pat Symonds, Rory Byrne, Nigel Stepney…
fStepney fu accusato di aver versato un integratore nel motore di Kimi Räikkönen al GP di Monaco 2007 per far grippare
la Ferrari, oltre a passare i progetti di Maranello a Mike Coughlan, capo progettista McLaren …
Quella storia capitò dopo e io non c’entro niente. Prima però, Stepney
lavorava con noi alla Benetton. Era bravo e aiutò Schumacher nella
conquista dei titoli. Tanto che quando Michael andò alla Ferrari se lo
portò dietro insieme a Ross Brawn e Rory Byrne. Ecco, tutti e quattro li avevo scoperti io, tanto per chiarire. E alla lista dei talenti che ho
messo in luce può aggiungere anche Mark Webber, Jarno Trulli, Giancarlo Fisichella, Alex Wurz, Fernando Alonso e Romain Grosjean.
fCome ha fatto a capire chi era Michael Schumacher?
Cazzo, bastava poco. Non ho capito come mai gli altri team non l’abbiano capito prima di me. Bastava guardare come andava. Con lui si
arrabbiò perfino il grande Ayrton Senna che gli fece una ramanzina,
roba da ridere. E sa perché? Aveva capito anche lui, Senna, che Schumi era il talento del futuro. In F1, quando uno va forte, non è che lo
UNO SU MILLE CE LA FA
accolgono con le rose rosse, i sorrisi e le pacche sulle spalle. Le pacche, se possono, gliele rifilano da un’altra parte perché da fastidio,
rompe gli equilibri consolidati. Succede così dappertutto. In F1 di più.
fQuando Schumacher arrivò alla Benetton, lei cacciò Roberto
Moreno che l’anno prima aveva sostituito Alessandro Nannini
dopo l’incidente con l’elicottero.
E’ normale. Schumacher andava più forte.
fAnche Piquet e Patrese si trovarono in squadra Schumi. E
non furono sempre contenti.
Cerchiamo di capirci. La F1 non è un ente di beneficenza o un centro
residenziale per pensionati. Lo ha capito anche Schumacher, ora che
è al tramonto. Ma quando era nel pieno della gioventù era imprendibile, un vero portento. Patrese si lamentava con me in continuazione. Facevamo discussioni infinite. Io gli dicevo: “Riccardo, fai un po’
quello che vuoi, prendi la macchina che preferisci, adattala come ti
pare”. E Michael restava il più veloce. È così, non c’è niente da fare.
L’ultima sfida di Flavio Briatore è “The Apprentice”, una trasmissione
televisiva su Cielo TV dove l’ex manager della F1 guida 16 candidati
nella scalata al successo mettendo a dura prova creatività, intraprendenza e talento. In ogni puntata vengono assegnate sfide sempre più
impegnative. Ogni settimana arriva il premio o l’eliminazione. Fino alla
proclamazione del vincitore. Non è una novità assoluta. Il programma
è un format adottato da tempo in 30 paesi del mondo ed è stato portato al successo negli “States” da Donald Trump, magnate del settore
immobiliare e amico di Briatore. Il vincitore, promette la pubblicità della trasmissione, avrà la possibilità di iniziare la sua carriera professionale a fianco del Boss (lo stesso Briatore, ndr), in una delle sue aziende
con un ruolo manageriale di prestigio e uno stipendio a 6 cifre. Uno su
mille ce la fa, cantava Gianni Morandi.
127
CONTROSTERZO Flavio Briatore
CAMPBELL
Dopo la Benetton, Briatore nel 2002 è
divenuto capo della Renault F1 (a sinistra, alla
presentazione della monoposto). A destra,
osserva Giancarlo Fisichella, suo pilota per 7 anni.
Due cose hanno fatto spesso parlare di Briatore:
le relazioni con bellissime donne (sotto, nel 1999
con Naomi Campbell) e il fatto di non essere mai
andato alla Ferrari (nell’altra pagina, con Jean
Todt) a cui peraltro è stato accostato più volte.
fCosa intende dire?
Che nella vita normale ci sono tante cazzate, fronzoli, diplomazie. In
F1 conta una cosa soltanto: il tempo sul giro. E chi lo fa più basso è il
più bravo. Punto.
fCome inizia l’avventura in F1 di Flavio Briatore?
Con Luciano Benetton che mi chiede di dargli una mano. Lavoravo già per lui a New York dove aveva aperto una serie di negozi. Ma
quell’esperienza era ormai finita e io stavo per accettare un incarico
da Donald Trump. Quando stavo per firmare Luciano mi disse “Vieni
con me in Inghilterra e segui il mio team di F1”. Io gli ho detto dammi sei mesi e poi vediamo. Dovevo occuparmi della parte commerciale. Dopo tre mesi ero il responsabile della squadra. Ci sono rimasto parecchi anni.
fPrima di allora qual era stato il suo rapporto con l’automobilismo sportivo, le corse, la F1?
Zero assoluto. Non avevo visto neppure una gara. Ma non c’entra.
Una macchina di F1 è un prodotto. Non è che lo fai meglio se sei appassionato.
fDunque la F1 è più business che sport…
Certo. Perché se non hai i soldi non puoi correre. E i soldi arrivano dal
business, mica dallo sport o dalla passione.
fCon Schumacher si sente in debito o in credito?
Né in debito né in credito. Perché io ho avuto le palle di metterlo sulle mie macchine e lui ha avuto le palle per vincere due mondiali. Siamo pari.
fCi rimase male quando Michael le disse che aveva firmato
per la Scuderia Ferrari?
No perché era giusto. La Ferrari è la Ferrari e i piloti sono i piloti. Ma
se restava con noi di mondiali ne vinceva altri due. Mentre con la Ferrari ha dovuto aspettare il 2000 per vincere il primo titolo. Ancora un
po’ e diventava vecchio.
fCon i risultati che ha conquistato se la sarebbe aspettata una
chiamata a Maranello?
Mmmmmmh. E’ la vita. Evidentemente non rientravo nei loro programmi. Hanno preferito Jean Todt. Dunque, non abbiamo mai parlato di questo. La cosa non mi dispiacque più di tanto perché io, più
che parlare, preferivo correre. E se possibile battere la Ferrari. Che
restava sempre un grande onore. E poi io lavoravo con Benetton. Ero
128
diventato azionista del team. Poi ho venduto le mie quote e ho fatto la
fabbrica di motori Supertec che forniva parecchi team di F1 e di cui
tutti si dimenticano. Poi sono rientrato con Renault.
fAppunto. Ma perché per Flavio Briatore i semafori sono diventati verdi alla Benetton e alla Renault e invece sono rimasti rossi alla Ferrari?
Ma guardi che lavorare per la Ferrari non è indispensabile. C’è molta
gente che brama per farlo e altrettanta che dice no grazie sto bene altrove. Per l’Italia la Ferrari è obbligata a vincere ma per le altre squadre non è così, non c’è la stessa pressione. Si lavora meglio. Io ho ottimi rapporti con loro, Fernando Alonso è una mia creatura e ne sono
fiero, come fui molto fiero del grande Schumi. Ma le corse di F1 non
sono soltanto Maranello e Ferrari, sono molto altro. Non dico di più,
ma altro, ancora e oltre.
fFlavio Briatore è sempre e solo il duro che sembra?
Mi sono fatto questa fama perché pretendevo molto e andavo per le
spicce con i piloti. Però bisogna essere consapevoli che questi ragazzi guadagnano cifre importanti. E devono meritarsi i soldi che si portano a casa. Devono impegnarsi, darsi da fare. Altrimenti cambiano
lavoro. C’è gente che fa fatica ad arrivare a fine mese. Quindi chi ha
la fortuna di guadagnare in un anno quello che una persona normale guadagna in dieci, vent’anni, deve dimostrare che non è un allocco. Deve dare di più.
fLa vittoria giustifica tutto?
La vittoria fa sempre la differenza. Bisogna decidere se restare fra i
mediocri o entrare a far parte dei migliori. In F1 si vince o si perde per
pochi decimi di secondo.
fPerché dopo una prestazione deludente a Monza disse all’inviato della Rai che Jarno Trulli non andava nemmeno con una
pistola puntata alla tempia?
Perché non bisognerebbe mai parlare con i giornalisti prima che siano
trascorsi quindici minuti dalla fine delle prove o della gara.
fE’ vero che al GP di Singapore 2008, quando era team manager Renault, ordinò a Nelson Piquet Jr. di uscire di strada?
La verità è venuta fuori dal Tribunale civile, dopo che la Fia mi aveva radiato. Piquet ha sbattuto perché sbatteva sempre. Tutto qui. La
sentenza di primo grado che mi aveva condannato è stata completamente ribaltata. Il che vuol dire che era tutto manipolato. In quel pe-
DALLA BORSA ALLA F1
riodo Montezemolo era presidente della Fota ed io direttore commerciale. Cercavamo di avere più soddisfazione e la cosa dava fastidio alla Fia dove c’era Max Mosley. Io ho pagato per tutti. Ma sarei uscito
comunque dalla F1.
fPerché ha accettato di fare TV?
Per insegnare ai giovani a farsi strada nella vita. Da noi la meritocrazia non esiste. Comandano sempre gli stessi. E molti italiani preferiscono abbassare la testa e fare come le pecore, cioè seguire il gregge.
Intanto Alitalia, Ferrovie e banche hanno fatto disastri ma nessuno
paga il conto. E’ vero, qualche mega dirigente l’hanno cacciato. Ma gli
hanno sempre messo in tasca liquidazioni milionarie.
fPerché la criticano sempre?
Perché in Italia non sempre è riconosciuto e premiato il talento. Se
poi non appartieni alla casta giusta sei fregato. E’ un paese di “rosiconi”.
fPrego?
Ma sì, i rosiconi, i topi che stanno acquattati nel buio e rosicchiano,
senza farsi notare. Personaggi invidiosi, gelosi, pieni di veleno. Gente
che non fa nulla di concreto, ma critica in permanenza quelli che fanno qualcosa, che costruiscono, che danno lavoro.
fLe ha dato più soddisfazione vincere il mondiale con Schumacher o con Alonso?
Michael è stato il primo. Era il 1994, l’anno in cui è morto Senna. E’
stato un periodo molto duro per tutti. I piloti camminavano nei box
con gli occhi che guardavano il nulla.
fChe tipi sono i piloti di F1?
Competitivi dentro. Se gli dai una carretta si buttano a pesce e cercano di arrivare primi anche con quella. Gente che vuole vincere, gente come me.
fChe effetto le fa vedere Schumi cacciato dalla Mercedes?
Se l’è voluta.
fSe fosse rimasto alla Ferrari avrebbe vinto ancora?
E’ probabile. Ma non aveva più voglia di correre. Poi si è accorto che
un pilota non ha molte cose da fare quando non corre più. E ha deciso di ritornare.
fForse non gli bastava più vestirsi da autista e guadagnare facendo pubblicità…
Io non l’avrei mai fatto, nemmeno per un sacco di soldi.
Flavio Briatore è nato il 12 aprile 1950 a Verzuolo (CN). Nel 1974 lavora
alla borsa di Milano e conosce Luciano Benetton che gli cambia la vita.
Dal 1977 collabora all'espansione della Benetton sul territorio americano fino ad assumere la direzione di Benetton Formula nel 1989. Nel
1994 vince il primo mondiale Piloti F1 con Michael Schumacher (da lui
ingaggiato tre anni prima). L’anno seguente, grazie anche ai motori
Renault, la squadra conquista anche il mondiale Costruttori oltre al bis
tra i piloti. Nel 1996 Schumi va alla Ferrari. E nel 1998 Briatore lascia
la direzione del team per creare la “Supertec Sport”, società per la
fornitura di motori F1, con cui correranno la Benetton e altre squadre. Nel 2000 la Renault rientra in F1 acquistando la Benetton Formula:
Briatore è incaricato di dirigere la nuova scuderia. Nel 2003 diventa
amministratore delegato di Renault F1 Team Francia che nel 2005 e
2006 conquista il mondiale piloti con il giovanissimo Fernando Alonso
e il Mondiale Costruttori. Per lo stile di vita e i modi di fare il nome
“Briatore” è sinonimo di uno stile di vita improntato alla mondanità e al
divertimento, talvolta dimenticando la volontà, l’ambizione e la capacità manageriale necessaria per emergere in un mondo estremamente
competitivo come la F1.
Dopo una tumultuosa relazione con l’indossatrice Naomi Campbell,
dal 2006 la sua compagna è la showgirl Elisabetta Gregoraci con la
quale si è unito in matrimonio il 14 giugno 2008 e che il 18 marzo 2010
gli ha dato il figlio Falco Nathan.
fDi tutti i talenti che ha scoperto, chi le era più simpatico?
Jarno Trulli.
fAnche se lo pestava?
E cosa vuol dire? Mi incazzavo perché vedevo che non riusciva a far
emergere tutto il suo talento. Ecco perché ogni tanto lo pestavo. Io ho
avuto un buon rapporto con tutti i piloti di F1. Solo con Patrese è finita male perché mi incolpava di averlo fatto fuori. In verità si è rovinato
da solo mettendosi sempre in confronto con Schumacher.
fLei viene dalla provincia e da giovane ha masticato amaro. Cosa non vedono, cosa non sanno della vera F1 gli appassionati
del Bar Sport, 1000 euro al mese e incubo del licenziamento?
Oggi si sa tutto di tutti. L’informazione è capillare. Di segreti ce ne sono pochi. In F1 c’è un bel giro di miliardi, questo è vero. Ma c’è anche
molta gente che guadagna 25 mila euro lordi all’anno. Penso ai meccanici, che si fanno un fondo così, non vedono mai la famiglia e lavorano come bestie. Anche questo è F1.
fPerò un team al massimo livello spende 250 milioni di euro
l’anno. Tutti giustificati?
Assolutamente no. E lo prova il fatto che ogni tanto piccole scuderie,
con un budget di 60 milioni di euro, riescono a fare meglio.
fPerché?
Perché ci sono progettisti che si inventano tante cose inutili e i team
manager approvano le loro costose follie.
129