la mia formula uno

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la mia formula uno
FLAVIO BRIATORE
PRESS ROOM
DATA:
28-02-2004
AUTORE:
Benny Casadei Lucchi
LA MIA FORMULA UNO
Se in formula uno ci fossero tanti Flavio Briatore avremmo più sponsor, più soldi, più
tifosi, più spettacolo e più piloti che sorridono e firmano autografi. Soprattutto,
avremmo più fotomodelle felici.
Se in formula uno ci fossero tanti Flavio Briatore la formula uno sarebbe più semplice,
«perché in mezzo a tutta questa esasperazione tecnologica bisogna tornare a ragionare
da
persone
normali»,
dice
lui,
«perché
i
piloti
devono essere cordiali con tutti, devono essere più umani: nel Circus, troppo spesso ci
si dimentica che senza tv e giornali e pubblico non ci sarebbe la formula uno».
Signor Briatore, per l'appunto con semplicità: come sarà il mondiale che scatta fra una
settimana in Australia?
«Sarà condizionato da due variabili: le gomme e l'affidabilità delle macchine, visto che da
quest'anno dovranno percorrere oltre 700 km con un solo motore. La Ferrari è
campione del mondo in carica, quindi bisogna darla per favorita, ma sulla Rossa pende il fattore gomme (Bridgestone,
ndr). Dietro c'è un gruppo di pretendenti: noi, la Williams-Bmw e la McLaren-Mercedes». Sott'inteso: tutti gommati
Michelin, dunque, favoriti sull'asciutto.
Anche voi, anche i suoi ragazzi Jarno Trulli e Fernando Alonso, siete da mondiale?
«Sì, ora siamo allo stesso livello della Williams, mentre la McLaren mi pare un punto interrogativo».
A Palermo, un mese fa, pareva meno ottimista.
«Vede, alle presentazioni è un po' come bere un paio di bicchieri di troppo durante una bella serata: si è tutti euforici,
anche la Jaguar, anche la Minardi, tutti dicono di voler vincere. Per cui preferisco tenere i piedi per terra. E poi non
sapevo realmente quanto buono fosse l'insieme telaio e motore. Dopo di che ho visto i tempi fatti negli ultimi test. E
ora dico: siamo come la Williams».
Puntuale come un computer: tre anni fa, quando prese in mano la neonata Renault, disse che nel 2004 voleva lottare per il
titolo.
«Il problema è che la gente quando parla di F1 pensa che si tratti di un lavoro da acrobati; invece, gestire un team è
come gestire un'azienda dove fai delle proiezioni e ti dici: fra tre anni voglio vendere tanto e il mio fatturato deve
essere tot. Idem in F1. Poi, certo, vincere il mondiale è un altro discorso, ma essere pronti a giocarselo, quello lo puoi
programmare. Detto questo, sono consapevole che essere oggi tra i big sia stato un mezzo miracolo; se penso che nel
2002 partivamo da fondo schieramento... Quest'anno, l'altro mezzo miracolo sarebbe riuscire a scalzare dal podio una
tra Ferrari, Williams e McLaren».
Per di più sono dieci anni dal suo primo titolo, quello con la Benetton e Schumi: quando iniziò la stagione '94 si sentiva più o
meno ottimista di oggi?
«Nel '94 non avremmo mai pensato di essere così competitivi, poi vincemmo la prima corsa, la seconda, la terza... La
Benetton Ford si rivelò eccezionale e Michael Schumacher fece un lavoro straordinario. Oggi, con il cambio del
punteggio che dà dieci a chi vince e otto al secondo, se disponi di un'auto affidabile, e noi ce l'abbiamo, te la puoi
giocare. Saranno tre o quattro i team in lizza per il titolo fino all'ultimo, perché potrebbero bastare due vittorie per
conquistare il campionato. L'importante è avere due piloti sempre piazzati e proprio di questo ho a lungo parlato con
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Alonso e Trulli. Gli ho detto: "Dobbiamo giungere in fondo in tutti i Gp e malissimo che ci vada arriveremo sempre
nei primi cinque"».
Sia nell'organizzazione che nei rapporti la semplicità è ormai un suo credo: pensa davvero di essere riuscito a importarla in F1 e
che gli altri team prima o poi la seguiranno?
«Sì, noi siamo molto semplici. Io gestisco tutto nel modo più semplice
possibile, perchè la F1 siamo noi dell'ambiente a complicarla: ci senti
parlare e dici "Madonna questi qui!!!". Invece il nostro prodotto è la
velocità: stabilito dunque che dobbiamo lavorare per avere un mezzo
competitivo, il resto va semplificato. Per esempio i test invernali o quelli
durante la stagione: noi ne faremo pochi. Ma dovete sapere come vanno
realmente le cose: vanno che ai test partecipano tutti solo perché qualcun
altro partecipa. Perchè se, ad esempio, la Ferrari fa le prove, lo sponsor ti
chiede "e perché tu non ci vai?". E io a questo sistema dico no».
Semplicità per semplicità: negli anni i big team, Ferrari in primis, le hanno portato via piloti e tecnici. Anche quest'anno.
«A me fa solo piacere se certi tecnici, che magari quando li ho scelti io non li filava nessuno, dopo aver lavorato con
me sono diventati preziosi. Ma li lascio andare: da me non sarà mai un singolo a fare la differenza».
Però Schumi quando lasciò la Benetton...
«Eravamo la Benetton, non avevamo la forza di trattenere Michael. Ora siamo la Renault, la forza ce l'abbiamo».
Si riferisce ad Alonso: il nuovo Schumi, lo vogliono tutti, Ferrari in testa. Glielo darà?
«No, e non capisco perché bisogna dare sempre tutto alla Ferrari; che cerchino di prenderselo (sott'inteso, pagarlo
oro, ndr); io non do niente; non è che siamo qui a far regali alla Ferrari perché poi ci batta».
A proposito di Schumi e a proposito della squadra semplice e dal volto umano da lei professata: tutti i suoi piloti sono sempre
stati ben disposti verso i media e verso il pubblico: da Nannini, a Fisichella, da Alonso a Trulli.
«Credo che il pilota debba sempre essere umano, perché non deve mai dimenticare che 1.000 persone lavorano per
lui... Se vuoi, il vero capo azienda in F1 è proprio il pilota. Diciamo che Trulli ha 500 dipendenti e Alonso lo stesso. Per
questo deve venire in fabbrica, deve parlare con la gente, deve capire che cosa gli accade attorno, deve essere
consapevole della responsabilità che ha nel rappresentare il lavoro fatto da mille altri dipendenti. In più, voglio che
abbia buoni rapporti con i media: perché non deve mai dimenticare che senza i media non esisterebbe la F1... qualcuno
ancora non lo capisce ma prima o poi lo dovranno comprendere tutti».
Però Schumi questa lezione d'umanità non l'ha appresa.
«Fino a quando Michael è restato con noi non mi ha mai creato problemi di disponibilità e umanità; e poi dipende da
quel che vuole il team: ce ne sono di più aperti e di meno».
In tema di semplicità, spirito di gruppo, team dal volto umano: che ne pensa di Montoya che corre su una Williams con il
contratto 2005 già firmato per la McLaren, e di Ralf Schumacher che protesta a mezzo stampa per il contratto, minacciando di
andarsene?
«Dico che non mi sembra corretto che se ne parli al di fuori del team: non è il giornalista o il lettore che darà a Ralf i
soldi in più. E poi non dimentichiamo che qualunque cifra i piloti prendano, non parliamo mai di noccioline bensì di
milioni di euro. Devono essere ben pagati, ma senza esagerare».
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Lei, da team manager, si sarebbe trovato in una simile situazione?
«No, no, in un team devi dare sicurezza e continuità agli ingegneri... invece un pilota quando se ne va cerca di portar
via il massimo, perché il pilota è molto egoista, perché non corre né per me né per il team, ma solo per se stesso. Per
cui non mi sembra che in Williams ci sia l'ambiente ideale per iniziare il mondiale fra una settimana».
1994-2004, vuol dire anche dieci anni dalla morte di Ayrton Senna.
«Di Ayrton mi ricorderò sempre la gara in cui è mancato, a Imola, perché là io firmai con la Renault per avere i suoi
motori (gli stessi, imbattibili, di cui disponeva la Williams di Senna, ndr). Lui lo venne a sapere prima della partenza, mi
vide stringere la mano al responsabile della Casa francese. "Diamine! Sono sicuro che Flavio ha firmato con la Renault",
disse al suo ingegnere di macchina che mesi dopo me lo rivelò. Ayrton è stato l'ultima grande star che abbiamo avuto
in F1, perché aveva tutto: aveva la simpatia, aveva la velocità, aveva il talento, il carisma, era un bel ragazzo, aveva
anche successo negli altri business. Sembra ieri, e sono invece passati dieci anni. Uno come Senna è mancato a tutti
quanti ed è mancato soprattutto alla F1».
Ci sono più talenti in questo mondiale rispetto ai campionati dell'epoca Schumacher-Hakkinen... diciamo, fino al 2000?
«Sì, a lungo in F1 sono mancati i piloti di carisma che avevamo a inizio anni '90, parlo dei Senna, dei Mansell, dei Prost.
E in questo Schumi è stato fortunato. Ma dal 2001, con l'arrivo di Montoya e Raikkonen e Alonso è tornata gente
davvero forte. Quest'anno, cinque o sei piloti possono diventare campioni del mondo».
Mondiale più difficile, mondiale più bello.
«Sì, ed è un bene, perché la F1 non è come il calcio: nelle corse anche il tifoso Ferrari non vuole assistere a una
Ferrari che vince facile, vuole che si vinca all'ultima o penultima gara. E credo che il titolo 2004 si aggiudicherà così».
Già, la Ferrari: Luca Montezemolo sarà il prossimo presidente di Confindustria ma resterà al comando della Rossa.
«Il presidente è il collante di una Casa, e Luca ha scelto gli uomini giusti, e poi ha carisma, ha leadership, per cui penso
possa benissimo fare entrambe le cose. Fa bene a non lasciare la Ferrari: è importante che rimanga se vuole tenere il
team unito. È una questione molto psicologica: se perdi un pezzo importante, poi rischia di cambiare tutto».
Quest'anno gli italiani in F1 sono quattro: è la pattuglia più nutrita, ma a parte il suo Trulli, gli altri non hanno auto competitive.
«Diciamo che è un bene che ci siano quattro italiani, ma sarebbe molto meglio che ci fosse finalmente un italiano che
vince».
È un messaggio forte e chiaro a Jarno?
«Penso proprio di sì».
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