Risorgere dalle ceneri: la Cambogia dopo i Khmer Rossi

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Risorgere dalle ceneri: la Cambogia dopo i Khmer Rossi
Università del Tempo Libero
2013/2014
Risorgere dalle ceneri: la Cambogia dopo i Khmer Rossi
Stefano Caldirola
Pensare alla Cambogia oggi significa
avere davanti agli occhi due immagini, in
forte contrasto tra loro: da un lato la
placida quiete che proviene dal grandioso
tempio di Angkor Wat, l’emblema della
nazione, che si specchia nelle calme
acque del lago artificiale che lo circonda;
dall’altro le alte pile di teschi umani del
monumento costruito presso i cosiddetti
“campi della morte”, i luoghi in cui centinaia di
migliaia di cambogiani vennero uccisi a sangue
freddo nel corso dei
terribili anni del sanguinario
regime dei Khmer Rossi di Pol Pot (1975-1979).
Queste
due
immagini
potrebbero
essere
completate da tante altre istantanee di questo
Paese dal passato grandioso e tormentato. Eppure
non
si
riesce
a
togliersele
dalla
testa.
Rappresentano estremamente bene un Paese
remoto e poco conosciuto, che ha un lontano passato glorioso ed un recente passato
drammatico.
E’ come se oggi 15 milioni di cambogiani fossero in qualche modo “imprigionati” tra l’orgoglio di
antenati che seppero realizzare monumenti straordinari circa mille anni fa e la vergogna ed il
dolore per ciò che i loro padri, o figli, o fratelli fecero e subirono poco più di 40 anni orsono. Del
resto il popolo khmer, fondamentalmente contadino e di certo schiacciato dai potenti vicini (il
Vietnam, la Thailandia), attrasse la curiosità degli stranieri per quelle grandiose e misteriose
rovine, tanto che molti ne scrissero o le evocarono già prima – ma soprattutto dopo – che una
spedizione francese cercasse, senza fortuna, di risalire navigando il corso del Mekong. Questa
spedizione guardava alla Cina, alla possibilità di commerciare con il Celeste Impero attraverso
questa enorme via fluviale, che presto si scoprì non interamente navigabile. Ciò nonostante i
francesi oramai erano penetrati nel sud-est asiatico e nel 1867 avevano siglato un trattato con il
sovrano cambogiano, primo passo verso una colonizzazione del Paese. La curiosità verso la
antica e misteriosa civiltà dei khmer spinse poeti, pittori, viaggiatori e storici a cercare in un’area
enorme oltre 60 tra templi e palazzi. Un’autentica moda, la “mania di Angkor” si impossessò allora
dei francesi e poi di tutti gli altri europei, culminando nel 1931 quando all’EXPO di Parigi venne
addirittura realizzata una copia del più famoso dei templi, l’Angkor Wat, a grandezza naturale.
Poi ci furono gli anni bui della guerra, l’occupazione giapponese ed il contrastato ritorno dei
francesi, seguito dall’indipendenza e dai traballanti governi del re Sihanouk e di Lon Nol. E, a
seguito delle lunghe “guerre del Vietnam” la storia del Paese che conosce, nel 1975, il periodo più
buio: la presa del potere dei khmer rossi, il folle progetto di creare una Cambogia rurale e
autosufficiente, non corrotta dal capitalismo e dalla vita delle città, destinato a naufragare nel
sangue di oltre un milione (ma c’è chi dice due milioni) di cambogiani morti (su una popolazione di
otto milioni di persone).
Dopo l’invasione vietnamita del 1979 e la fuga di Pol Pot e dei suoi seguaci (ma anche di
Sihanouk) nelle foreste al confine con la Thailandia, inizia un periodo di guerra civile ma anche di
tentativi di riconciliazione nazionale. Solo nel 1998, con la morte di Pol Pot e la cessazione delle
ostilità, il Paese può davvero guardare al futuro. La Cambogia ha tante ferite aperte, una
popolazione giovanissima in gran parte ridotta in miseria, in cui ogni famiglia piange almeno un
morto (ma alcune sono state completamente cancellate). Una popolazione cui si chiede oggi di
voltare pagina. Le immense ricchezze artistiche, la proverbiale caparbietà dei lavoratori
cambogiani e le folle di bambini che corrono incontro ai visitatori in ogni villaggio rappresentano la
speranza in un contesto così precario eppure così vitale.
Questo intervento, nonostante le inevitabili incursioni in un passato remoto e vicino, vuole parlare
della Cambogia di oggi. Quella che, una volta cessati gli spari, le esecuzioni sommarie e le
torture, vuole rinascere. Ripartendo dal grandioso passato e guardando al futuro con un
rinnovato, ed insospettabile, ottimismo.
Stefano Caldirola (Milano, 1976) insegna Storia contemporanea dell’Asia presso l’Università
degli Studi di Bergamo.
E’ docente presso l’MBA “Global Business and Sustainability” di ALTIS (Post Graduate School
of Business and Society) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
E’ stato tra il 2005 ed il 2007 titolare del corso di Storia dell’Asia meridionale presso il corso di
laurea in Scienze Diplomatiche ed Internazionali dell’Università degli Studi di Trieste ed ha
collaborato tra il 2004 ed il 2005 con il Dipartimento di Studi Tribali della Rani Durgavati
University di Jabalpur, Madhya Pradesh, India.