Le famiglie di fronte alle sfide dell`immigrazione

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Le famiglie di fronte alle sfide dell`immigrazione
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(a cura di)
Le famiglie di fronte alle sfide
dell’immigrazione
Erickson
Indice
Presentazione. Un fenomeno nuovo che sfida in modo paradossale il Paese
(Francesco Belletti, Francesco Soddu) 13
1. Le famiglie italiane di fronte all’immigrazione:
le sfide di una convivenza civile (Pierpaolo Donati)
21
1. Da emigranti a Paese accogliente
2. Un fenomeno eterogeneo, anche rispetto alla famiglia
3. Strategie macro-politiche e logiche micro-relazionali
4. Senza concludere…
1.1. Quale società nasce dall’incontro tra famiglie autoctone e immigrate?
1.2. Il fenomeno migratorio come fenomeno familiare
1.2.1. Emigrare è una decisione legata al contesto familiare
1.2.2. La famiglia e il progetto migratorio
1.3. Le famiglie italiane fra i dilemmi della modernizzazione e le sub-culture
di immigrazione
1.3.1. Le tensioni culturali
1.3.2. Il confronto culturale porta a ridefinire le identità familiari
1.3.3. Come recepiscono gli italiani l’arrivo e l’insediamento degli immigrati?
1.4. Perché la sfida della società multietnica è nuova?
1.5. I nodi familiari della «questione multiculturale»: politiche multiculturali
o interculturali?
1.6. Orientamenti per gestire le differenze culturali: regole di convivenza
e mediazione interculturale
1.7. Che fare? Ripensare la famiglia come «soggetto» della società multietnica
e di una politica dell’immigrazione mirata sulla famiglia
2. Famiglie straniere, famiglie immigrate (Gian Carlo Blangiardo, Stefania Rimoldi) 59
2.1. La popolazione straniera, dal tempo della crescita a quello del radicamento
2.1.1. Sviluppo della presenza negli ultimi 30 anni
2.1.2. Da dove e dove?
2.2. Famiglie in immigrazione
2.2.1. Le caratteristiche strutturali
2.2.2. I processi di formazione e dissoluzione
2.3. La famiglia straniera nel contesto europeo
2.3.1. Famiglie straniere e famiglie immigrate
2.3.2. Il ruolo delle politiche di riunificazione familiare
2.4. Conclusioni
3. Gli italiani di fronte all’immigrazione: l’indagine Cisf del 2014
(Francesco Belletti, Pietro Boffi, Maurizio Ambrosini) 91
3.1. Relazioni familiari e family social indicators nella società dell’incontro
tra culture
3.1.1. Qualità socio-strutturali delle famiglie degli italiani
3.1.2. Dimensione generativo-relazionale dell’essere famiglia
3.1.3. Coesione interna e partecipazione alla vita sociale «esterna» alla famiglia
3.2. I risultati del questionario
3.2.1. Gli immigrati: pericolosi concorrenti o opportunità?
3.2.2. Immigrati e famiglia: un fattore positivo
3.2.3. La conoscenza del fenomeno
3.2.4. Una valutazione complessiva
3.3. Sguardi incrociati. Come gli italiani vedono gli immigrati e le loro famiglie
3.3.1. Politiche migratorie e ricongiungimenti familiari
3.3.2. Tra ansie e aperture: gli immigrati e le loro famiglie nel giudizio
degli intervistati
3.3.3. Ostili, problematici, aperti: i giudizi sulle questioni-chiave
dell’immigrazione
3.3.4. Problemi e opportunità dell’immigrazione familiare
3.3.5. Conclusioni. Dalla convivenza all’integrazione
Appendice. Orientamenti verso l’immigrazione e variabili strutturali
4. Così lontani, così vicini. La prospettiva psico-sociale nello studio
delle famiglie migranti (Camillo Regalia, Cristina Giuliani)
4.1. Migrazione e processi culturali
4.1.1. Ethnic families e dimensioni culturali
4.1.2. Il family gap e i suoi effetti sull’adattamento
4.2. Migrazione e processi familiari
4.2.1. Il versante intergenerazionale: la relazione genitori-figli
4.2.2. Il versante intragenerazionale: la relazione di coppia
4.3. Conclusioni
153
5. Famiglia, migrazioni e diritto (Ennio Codini)
181
5.1. Dalla migrazione dei singoli alla migrazione della famiglia
5.2. Le politiche di ricongiungimento
5.3. Famiglia immigrata e Stato sociale
5.4. Famiglia immigrata e cittadinanza
6. Le famiglie migranti, risorsa per la Chiesa e la città (Giancarlo Perego)
201
6.1. La sfida della diversità familiare
6.2. La famiglia immigrata: numeri e tempi del ricongiungimento familiare
6.3. Dalle famiglie amputate alle famiglie transnazionali
6.4. Senza una famiglia: i minori non accompagnati
6.5. La diversità delle famiglie migranti
6.5.1. Le traiettorie delle famiglie migranti
6.5.2. Modelli familiari in emigrazione
6.5.3. La famiglia rifugiata in Italia
6.6. L’integrazione dal basso: la risorsa del volontariato
6.6.1. Famiglia e affetti
6.6.2. Famiglia, lavoro e festa
6.6.3. Famiglia e fragilità
6.6.4. Famiglia e cittadinanza
6.7. Conclusioni: famiglie diverse che camminano insieme nella Chiesa
e nella città
7.«Rifugiato a casa mia». Tra diritto e dovere di ospitalità
(Nunzia De Capite, Oliviero Forti, Roberto Guaglianone) 227
7.1. Il sistema di accoglienza in Italia: alcune coordinate di riferimento
7.2. L’esperienza ENA. Verso un nuovo modello di accoglienza
7.3. L’esperienza di «Rifugiato a casa mia»
7.4. Alcune considerazioni conclusive
Conclusioni. Il valore aggiunto della famiglia.
Per costruire la nuova società del pluralismo relazionale (Francesco Belletti)
245
1. Le diversità del migrare oggi
2. Strumenti normativi e regolativi per promuovere l’incontro anziché lo scontro
3. Promuovere una cultura delle relazioni nell’incontro micro-sociale
Appendice 1. Aspetti metodologici dell’indagine Cisf (Luigi Tronca)
1. Introduzione
2. Le caratteristiche del campione
3. Strategia di raccolta dei dati e identificazione dei casi
259
4. La costruzione degli indici sintetici
4.1. Indice di capitale culturale familiare
4.2. Indice di prestigio delle professioni familiari
4.3. Indice di status socio-economico familiare
4.4. Indice di differenza tra quantità di figli desiderati e quantità di figli avuti
4.5. Indice di impegno civico
4.6. Indice di capitale sociale familiare bonding
4.7. Indice di capitale sociale familiare bridging
4.8. Indice di condivisione del tempo in famiglia
Appendice 2. Allegato statistico al Rapporto Cisf 2014 sulla famiglia in Italia
(A cura del Centro Documentazione del Cisf )
273
Presentazione
Un fenomeno nuovo che sfida
in modo paradossale il Paese1
Francesco Belletti, Francesco Soddu
1. Da emigranti a Paese accogliente
La presenza di persone provenienti da altri Paesi sta cambiando in modo
decisivo l’Italia: le sue città, le sue campagne, le sue scuole, le sue famiglie.
Il tutto è avvenuto in poco più di un trentennio, un lasso di tempo molto
breve, rispetto ai grandi movimenti migratori del passato. È un altro dei
volti della globalizzazione, a volte un po’ sottovalutato: il pianeta diventa più
piccolo: si riducono le distanze, si accorciano i tempi dei processi. E questo,
che potrebbe essere una grande conquista di civiltà, rischia di diventare
invece un drammatico impoverimento dell’umano e della coesione sociale a
livello mondiale e a livello di comunità locali. Ricordando le parole di Papa
Francesco a Lampedusa, l’8 luglio 2013, «siamo caduti nella globalizzazione
dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda,
non ci interessa, non è affare nostro».
Ciò pone l’Italia al centro di un paradosso tuttora irrisolto: da nazione
di emigranti a terra di immigrazione. Siamo stati per lunghi anni nazione
di emigrazione, che esportava braccia e cervelli, che ha subìto vantaggi e
svantaggi di intere generazioni che partivano «per terre assai luntane». I
La presentazione del Rapporto Cisf 2014 è stata redatta congiuntamente dai Direttori
di Cisf e Caritas Italiana a conferma della stretta collaborazione tra i due soggetti che
qualifica questo volume.
1
14
Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione
capifamiglia via, i giovani partiti, interi paesini spopolati, e tutti i lavori
riaffidati a vecchi, donne e bambini, come se si fosse in guerra (come è
accaduto anche durante la prima guerra mondiale). Ma anche le rimesse
degli emigranti, le nuove storie di successo a cavallo di due mondi, fino ai
numerosi rientri di persone ormai formate e pronte all’orizzonte mondiale. Senza poi dimenticare le «migrazioni interne» dal Sud al Nord e dalle
campagne alle città del secondo dopoguerra.
Oggi — questo è l’aspetto paradossale — rischiamo di ripagare gli
immigrati che arrivano nel nostro Paese con la stessa amara moneta che i
nostri concittadini ricevevano: emarginazione, crudeli selezioni, porte chiuse,
respingimenti di varia natura, cartelli (o chiusure) del tipo «vietato l’accesso
a cani e italiani»2. E contemporaneamente, già molti oggi beneficiano, comunque, dei vantaggi della presenza degli immigrati: non solo le famiglie
con anziani da curare (cui «badare», ed ecco il pessimo neologismo della
figura della badante), non solo manodopera a basso costo e con meno diritti,
per aziende che hanno operai con minori pretese economiche o braccianti
stagionali a basso costo in agricoltura, ma anche un certo riequilibrio (forse
solo congiunturale, ma comunque molto utile) dei conti previdenziali, insieme al «contenimento» del drammatico deficit demografico degli italiani,
sempre meno «capaci» di avere figli.
Il Rapporto Cisf 2014 vuole evidenziare, all’interno della grande
dinamica della mobilità internazionale delle popolazioni e delle persone,
un nodo interpretativo specifico, quello della dimensione familiare, che
costituisce un elemento di protezione e custodia della dignità dell’umano
troppo spesso sottovalutato. Già nel 1983 la Carta dei Diritti della Famiglia
della Santa Sede fissava uno specifico diritto di protezione della famiglia dei
migranti, con linguaggio tuttora di bruciante attualità:
«Vietato l’ingresso agli animali ed agli immigrati La Direzione»; all’inizio di aprile 2013
veniva denunciata l’affissione di questo cartello, fuori da un bar nel quartiere Montesacro,
a Roma. Non sorprende, purtroppo, la presenza di inaccettabili segnali di questo tipo;
l’aspetto più grottesco è quella firma, «La Direzione», che tenta di dare forza istituzionale
e proceduralità burocratica a parole inaccettabili anche alla sola lettura. Nessuna «Direzione» può dare regole simili, e nessun lavoratore può permettersi di «obbedire» a regole
così evidentemente inique, razziste e disumane.
2
Presentazione
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Le famiglie dei migranti hanno diritto alla medesima protezione di quella
concessa alle altre famiglie. (56. Familiaris consortio, 77: nn. 720; EV 7/1770;
Carta sociale europea, 19) a) Le famiglie degli immigrati hanno diritto al rispetto
per la propria cultura e a ricevere sostegno ed assistenza per la loro integrazione
nella comunità alla quale recano il proprio contributo. b) I lavoratori emigranti
hanno diritto di vedere la propria famiglia unita il più presto possibile. c) I
rifugiati hanno diritto all’assistenza da parte delle autorità pubbliche e delle
organizzazioni internazionali onde facilitare la riunione delle loro famiglie.
In effetti,
stupisce nuovamente l’assoluta attualità, dopo trent’anni, delle esortazioni e
delle richieste elaborate nel 1983 rispetto ad un fenomeno che in quel periodo
era pressoché totalmente assente nelle pagine dei quotidiani e nell’attenzione
dei responsabili delle politiche e dei servizi. Del resto i movimenti migratori
non si sono mai interrotti, a livello planetario, in triste corrispondenza a guerre,
carestie, disastri naturali, che ricorrentemente spingono intere popolazioni a
spostarsi, abbandonando sicurezze e condizioni3.
La famiglia conta molto anche per la società ospitante: la famiglia
infatti ha una grande corresponsabilità nel generare (o nel rendere più difficile) la cultura dell’accoglienza del diverso, della solidarietà, della capacità
di dialogo, confronto e «scontro pacifico» (e non solo verso l’immigrato).
2. Un fenomeno eterogeneo, anche rispetto alla famiglia
Affrontare i movimenti migratori significa comprendere e accettare
la sfida della diversità: non solo per la oggettiva differenza, ma anche per
l’eterogeneità interna delle traiettorie migratorie; Paesi di provenienza, età,
sesso, forma familiare implicata generano differenti condizioni di vita, di
progetto, di bisogni, troppo spesso appiattite. Ovviamente fa grande differenza lo status giuridico, per l’accesso a diritti di integrazione e cittadinanza,
a partire dalla prima grande (ma non unica) differenza tra rifugiati e migranti
«per migliori opportunità».
Da questo punto di vista i movimenti migratori nel nostro Paese presentano traiettorie e dinamiche familiari molto eterogenee, così come sono
F. Belletti, G. Ottonelli, I diritti della famiglia. Solo sulla Carta?, Edizioni Paoline, Milano,
2013, p. 125.
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Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione
eterogenee le culture di riferimento, le idee di famiglia, di società, di uomo
e donna, di figlio e figlia; conviene quindi essere ben consapevoli di questa
«eterogeneità e pluralità familiare»4, per valorizzarne le qualità virtuose e
per assorbire e influenzare le qualità dis-integranti.
Una eterogeneità che d’altronde trova nei principi costituzionali (artt.
29-31 della Costituzione) un riferimento irrinunciabile. Ce lo ricordano
peraltro una serie di sentenze che pongono un vincolo al legislatore anche
quando stabilisce misure sull’ingresso nel territorio dello Stato e sull’espulsione dal territorio stesso dei cittadini non italiani sancendo il loro diritto a
una vita comune nel segno dell’unità della famiglia, anche quando si tratta
di cittadini stranieri (sent. Corte costituzionale n. 28/1995). Parlare di
famiglia, all’interno del fenomeno migratorio, significa quindi coglierne la
complessità come cifra costitutiva. Ogni famiglia immigrata, infatti, è un
mondo a sé, un microcosmo. Costruirsi un’identità in situazione migratoria,
rielaborare ruoli familiari e intergenerazionali, ricercare una propria collocazione che non sia perennemente in bilico tra i due mondi, individuare
strategie educative che facilitino l’inserimento dei figli, rappresentano solo
alcune delle grandi sfide della famiglia immigrata oggi in Italia.
3. Strategie macro-politiche e logiche micro-relazionali
I movimenti migratori sfidano prima di tutto i sistemi nazionali
sociali, economici e politici, e a questo livello esistono ampia letteratura e
differenziazione di strategie, dall’assimilazione integrale fino alla «differenza
impermeabile». Oltre a questa scelta (da dettagliare e interpretare), è ormai
evidente la dimensione sovranazionale di queste dinamiche: nessuno Stato
da solo può governare l’accoglienza, e anche i problemi che spingono le
migrazioni sono sovranazionali. Va sviluppata una politica «a partire da una
stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui
La crescente differenziazione delle forme e dei modelli familiari connessa all’immigrazione
merita maggiore attenzione da parte di chi si interroga sugli aspetti sociologici e giuridici
della «pluralizzazione delle forme familiari». Tuttora molto valido per questa analisi è l’impianto metodologico offerto dal Settimo Rapporto Cisf, pubblicato nel 2001 (P. Donati,
a cura di, Pluralità e varietà dell’essere famiglia. Il fenomeno della «pluralizzazione». Settimo
Rapporto Cisf sulla famiglia in Italia, Edizioni San Paolo, Cinisello B., MI, 2001).
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Presentazione
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arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di
armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le
esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso,
quelli delle società di approdo degli stessi emigrati» (Lett. enc. Caritas in
veritate, 29 giugno 2009, n. 62).
Questo richiama a nuove e più serie responsabilità degli organismi
internazionali (continenti, macro-regioni, UE, ONU. ecc.). L’esperienza
e i problemi dell’ultimo decennio hanno chiaramente dimostrato che per
una gestione efficace dell’immigrazione è necessaria una politica veramente
cooperativa e globale. Fin dal 1999 — quando il trattato di Amsterdam ha
conferito per la prima volta alla Comunità europea competenze nel settore
dell’immigrazione — l’UE e i suoi Stati membri hanno gettato le basi di
una politica comune relativa a vari aspetti dell’immigrazione. Nell’interesse
di tutti i cittadini dell’UE, questa tendenza deve continuare a svilupparsi.
Non solo per quanto concerne l’immigrazione legale, l’integrazione, i visti,
il controllo e la gestione delle frontiere, l’immigrazione illegale, la tratta di
persone, il lavoro sommerso e le relazioni con i Paesi terzi, ma anche questioni più generali, come l’esigenza di una maggiore solidarietà tra gli Stati
membri, a livello politico, operativo e finanziario, la necessità di ripartire
gli oneri e di aumentare il coordinamento tra livelli diversi di governance
(UE, nazionale e locale) e tra i vari settori politici coinvolti nella gestione
dell’immigrazione.
Le politiche migratorie internazionali e nazionali devono in particolare
mirare a tutelare il diritto all’unità familiare e combattere il fenomeno oggi
sempre più diffuso di «ricongiungimenti di fatto», cioè la ricomposizione della
famiglia nell’irregolarità, dovuti soprattutto ai tempi lunghi e agli ostacoli burocratici nel raggiungere i requisiti per la riunificazione legale. La Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, agli
artt. 8 e 10; il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali,
all’art. 10; il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, all’art. 23; la
Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, agli artt. 9, e 10; la Convenzione
europea di Strasburgo sui lavoratori migranti, all’art. 12 fino alla Convenzione
per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori e dei membri delle loro famiglie,
all’art. 44 sottolineano l’importanza del ricongiungimento familiare. Nel
contesto europeo, purtroppo, non si è ancora arrivati a una direttiva comune5.
F. Belletti, G. Ottonelli, I diritti della famiglia, cit., pp. 127-128.
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Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione
Dunque a queste strategie non può non corrispondere un’attenzione
particolare alla dimensione micro-sociale, nello sviluppo di una nuova
cultura a livello di comunità locale. Anche in questo caso, sia nei luoghi di
destinazione, sia nei luoghi di «invio»: progetti di cooperazione, dialogo,
cultura dell’accoglienza, dell’empowerment, contro la prospettiva dello
sfruttamento, del rifiuto, dell’emarginazione, della «quarantena», ecc.
La famiglia si colloca, come suo compito, al crocevia di questi due
livelli: essa è potente canale di integrazione/rifiuto a livello di cultura
individuale e di prassi quotidiane (i bambini nella classe di mio figlio, la
comunità parrocchiale, lo sport, ecc.). Ma essa è anche spazio di rilevanza
pubblica e di diritti doveri di cittadinanza (ad esempio sul ricongiungimento).
In tema di migrazione i doveri delle famiglie si manifestano con due modalità,
per le famiglie migranti e per le famiglie residenti nei Paesi di accoglienza. Per le
prime è necessaria una forte responsabilità sulla coesione interna delle relazioni
familiari, messe a dura prova dalla migrazione, e la disponibilità a confrontare/
combinare il proprio patrimonio valoriale e comportamentale con quello dei
Paesi di destinazione. Alle famiglie residenti nei Paesi di accoglienza tocca la
responsabilità di non sfruttare le persone migranti, e contemporaneamente
di aprire i propri sistemi relazionali e valoriali all’accoglienza, al dialogo, al
confronto interculturale6.
4. Senza concludere…
Per tutti questi motivi si fa un Rapporto Cisf su questo tema e lo si fa
insieme a una rete di soggetti della società civile (Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, ecc.) che fin dai primi segnali di «movimenti di persone
verso il nostro Paese» (già nel lontano 1979, quando tutta l’Italia si attivò
in soccorso dei «boat people», Caritas Italiana, con il prezioso contributo
delle Caritas diocesane, svolse un importante ruolo di sostegno a questa
operazione umanitaria che vide migliaia di vietnamiti raggiungere le nostre
coste a bordo delle navi militari italiane) hanno saputo tenere alta l’attenzione operativa, chiedendo non solo leggi, regole, azioni politiche, ma anche
Ibidem, pp. 129-130. Cfr. anche la descrizione del progetto sperimentale «Rifugiato a
casa mia», nel capitolo 7 di questo volume (di N. De Capite, O. Forti, R. Guaglianone).
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Presentazione
19
costruendo piattaforme relazionali di dialogo e inclusione sociale, a livello
di comunità locale (civile ed ecclesiale).
Per questo forse la politica dovrà prestare particolare e tempestiva
attenzione a questo Rapporto sulla famiglia:
– perché inserisce la famiglia tra i fattori decisivi di una buona o cattiva
società interculturale;
– perché riguarda sia le famiglie degli immigrati che quelle già residenti in
Italia;
– perché gli orientamenti, le valutazioni, le proposte e la mappa dei problemi
qui brevemente delineati, e che verranno sintetizzati nelle Conclusioni,
non derivano solo da una «passione civile» che chiede alla politica, ma
da una quotidiana opera di prossimità, qui e nelle periferie del mondo.
Una prospettiva, quella del Rapporto Cisf, che assume e rilancia la
sfida proposta alla politica da Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica
EVANGELII GAUDIUM:
I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una
Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una
generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia
capace di creare nuove sintesi culturali. Come sono belle le città che superano
la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un
nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione,
favoriscono il riconoscimento dell’altro! (n. 210)
1
Le famiglie italiane di fronte
all’immigrazione: le sfide di una
convivenza civile
Pierpaolo Donati
1.1. Quale società nasce dall’incontro tra famiglie autoctone e immigrate?
L’Italia presenta un saldo positivo nei processi migratori sin dal 1973
(fin da allora gli immigrati sono stati in numero superiore agli emigrati),
ma il problema delle migrazioni e delle loro ripercussioni sul tessuto sociale,
culturale, economico, politico e religioso è rimasto latente per molti anni.
Si può dire che il problema della convivenza civile sia diventato significativo a partire dalla fine degli anni Novanta1. Ma, a tutt’oggi, siamo ancora
lontani dall’avere una politica adeguata delle immigrazioni. Non abbiamo
ancora veramente riconosciuto che l’Italia è un Paese destinato ad assistere
a nuove pressioni migratorie, a causa di una serie di fattori che li rendono inevitabili. I principali fattori hanno a che fare: 1. con la depressione
demografica interna (da molti anni la popolazione autoctona non riesce a
rigenerarsi, per la bassa natalità che comporta un saldo naturale negativo),
2. con le esigenze del mercato del lavoro (soprattutto per i lavori più umili
e pesanti), e 3. con i processi di globalizzazione (che rendono porosi o
Un primo meditato riconoscimento del problema si trova in un decreto ministeriale del
2000: cfr. Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Primo rapporto
sull’integrazione degli immigrati in Italia, il Mulino, Bologna, 2000. Un rapporto della
Caritas/Migrantes ha documentato l’immigrazione in Italia per molti anni, fino al Rapporto del 2013.
1
22
Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione
addirittura annullano i confini fra gli Stati, in presenza di forti pressioni
migratorie dai Paesi più poveri).
Gli interventi restano parziali, frammentati e dettati dalle emergenze.
Ma soprattutto manca un’idea di come affrontare gli aspetti di integrazione socio-culturale dell’immigrazione. Manca una visione di quale società
vogliamo creare nell’incontro fra autoctoni e immigrati.
Queste carenze sono particolarmente vere quando parliamo di famiglia.
Infatti, se è relativamente facile concepire l’integrazione del singolo immigrato
che viene a lavorare in Italia per un certo periodo, per poi ritornarsene al suo
Paese o andare altrove, ciò che ancora non vediamo è come cambierà l’Italia
quando una parte consistente di popolazione sarà costituita da famiglie immigrate che risiederanno in modo permanente sul territorio italiano. Questo è il
tema della «family migration», che è un capitolo distinto da quello dell’immigrazione in generale. L’Italia ha finora disatteso questo tema. Questo Rapporto
fornisce un primo panorama. Il presente capitolo delinea il quadro della tematica
generale, in cui si collocano i problemi più specifici, da quello delle cosiddette
«coppie miste» (formate da un partner italiano e uno straniero), delle famiglie
multietniche, delle seconde generazioni, e più in generale il problema di come
il meticciato di etnie e culture potrà cambiare l’Italia nel tempo.
Le varie leggi sull’immigrazione non hanno affrontato i problemi
familiari dei migranti al di là degli aspetti legali e di ordine pubblico. I problemi di ordine culturale e di politica sociale sono stati lasciati alle iniziative
locali, con evidenti riflessi in termini di frammentazione, spontaneismo,
improvvisazione, mancanza di risposte sistemiche.
La parola «integrazione» resta per molti un rebus. Certamente è utile
rifarsi alla Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione presentata
dall’allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato il 23 aprile 2007. Tale
Carta, peraltro, ha fatto seguito ad altre iniziative già prese in precedenza
da amministrazioni locali, ad esempio la Carta dei diritti e dei doveri per una
civile convivenza deliberata dal Comune di Bologna nel 2003 sotto la Giunta
Guazzaloca, che ha delineato un quadro di principi per l’azione a livello
di comunità locale2. Tuttavia i principi non sono certamente sufficienti se
mancano politiche attive e congrue pratiche sociali.
Cfr. Comune di Bologna, Con-vivere la città. Gli immigrati tra noi: le regole per una convivenza possibile, Edizioni Nautilus, Bologna, 2001.
2
Conclusioni
Il valore aggiunto della famiglia
Per costruire la nuova società
del pluralismo relazionale
Francesco Belletti
Nell’ormai affollatissimo scaffale nazionale delle librerie scientifiche
e divulgative sul tema delle migrazioni, il Cisf ha aggiunto oggi questo
Rapporto, perché siamo convinti che nel dibattito presente nel nostro Paese
in tema di immigrazione il punto di vista familiare sia stato colpevolmente
sottovalutato, e che meriti una nuova luce. Con le parole di Pierpaolo Donati, nel capitolo 1 di questo volume,
occorre aprire un nuovo spazio di riflessione sul significato della dimensione familiare per i processi di integrazione tra persone immigrate e società
riceventi. Se l’integrazione deve essere intesa come azione positiva, basata
su principi di uguaglianza morale e sull’apertura reciproca tra autoctoni e
immigrati, essa non può riguardare solo gli individui come tali, ma anche
la famiglia come tale.
Con questo Rapporto 2014 il Cisf ha quindi lanciato una sfida analoga a quella già proposta in tanti Rapporti Cisf degli anni scorsi1: rileggere
Vale la pena di ricordare qui, come esempio, il Secondo Rapporto Cisf (1991), incentrato
sulla solidarietà intergenerazionale, criticità che in quegli anni era solo intuita, e che oggi
invece è al cuore delle sfide più radicali del nostro modello di sviluppo sociale ed economico,
oltre che dell’interno familiare. Analoga carica di anticipazione sui tempi del dibattito e
di originalità interpretativa può essere attribuita al Quinto Rapporto Cisf (1997), sulla
centralità della differenza tra maschile e femminile, oppure al Settimo Rapporto Cisf
1
246
Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione
al familiare le grandi dinamiche macrosociali. In questo caso si tratta di
analizzare la dimensione familiare di uno dei fenomeni socio-politici più
importanti e ricorrenti nella storia dell’umanità, la mobilità territoriale di
persone, famiglie e interi popoli, spinti spesso da urgenze ed emergenze che
rendono questi movimenti veri e propri «esodi». Inoltre in questo Rapporto la
dimensione familiare è stata considerata non solo relativamente alle persone
migranti, ma viene considerata anche come spazio decisivo per comprendere
e qualificare l’atteggiamento delle persone del Paese di accoglienza.
In sede di conclusione, riteniamo importante concentrare l’attenzione,
sia pur sinteticamente, su tre elementi strategici:
1. le diversità del migrare oggi;
2. quali strumenti normativi e regolativi sono capaci di promuovere l’incontro, anziché lo scontro, a livello macro-sociale;
3. quale cultura delle relazioni facilita l’incontro tra persone, famiglie e
culture a livello micro-sociale.
1. Le diversità del migrare oggi
Il dato più rilevante che emerge dalla più recente e accorta letteratura,
e che anche le pagine di questo Rapporto hanno ripetutamente sottolineato
e documentato, è la consapevolezza delle forti diversità che caratterizzano i
percorsi migratori. Apparentemente banale, questa constatazione si scontra
con una rappresentazione pubblica che frequentemente racchiude e confina
gli immigrati all’interno di poche e stereotipate rappresentazioni, che spesso
guidano non solo la percezione comune dei normali cittadini, ma anche
molte scelte amministrative e normative.
In effetti conviene ricordare almeno due fondamentali fattori di differenziazione delle traiettorie di migrazione, di cui è necessario tenere conto
a livello macro e micro-sociale, sia per «capire meglio» il fenomeno e le
persone in essa coinvolte, sia soprattutto per progettare e attuare strategie di
azione, di regolazione e di relazione. Il primo fattore deriva dalle differenze
tra le diverse condizioni/status delle persone in migrazione, e in primo
(2001), sulla pluralizzazione delle forme familiari (per temi e contenuti dei vari Rapporti
Cisf, cfr. le pagine del sito http://www.cisf.it).
Conclusioni
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luogo dalla distinzione tra chi appartiene alla categoria dei «rifugiati» e chi
invece è migrante per ricerca di opportunità (si potrebbe anche dire «per
fuga dalla miseria alla ricerca di condizioni di dignità»); il secondo fattore
fa riferimento alle differenze tra percorsi individuali e progetti familiari di
migrazione.
Rispetto alla prima distinzione2, che viene giuridicamente riconosciuta,
costruita e protetta, le politiche di accoglienza fanno la differenza in modo
appropriato, nel senso che in genere proteggono maggiormente e offrono
maggiori diritti (almeno formalmente) ai rifugiati, che sono per molti versi
più vulnerabili. Ad esempio esiste una significativa differenza rispetto alla
possibilità stessa di un «progetto». Tutti i migranti sono mossi da urgenze,
ma trovarsi in improvvisa fuga di fronte a una guerra, oppure progettare
un viaggio di speranza alla ricerca di un lavoro, sono percorsi ben diversi.
Si tratta di confrontare condizioni di partenza che determinano una forte
variabilità tra le condizioni di vulnerabilità e di deprivazione delle persone.
D’altra parte le traiettorie di migrazione alla ricerca di migliori condizioni, che potrebbero essere definite meno fragili, perché più «costruite» e
progettuali, e in genere più numerose, pongono sfide molto più intense
dal punto di vista della cultura dell’accoglienza e della tolleranza, anche
perché ogni sistema nazionale ha a disposizione spazi discrezionali molto
più ampi, rispetto ai vincoli internazionali che proteggono (o tentano di
proteggere) i rifugiati.
La seconda differenza — individui isolati o famiglie — ha al proprio
interno molte ulteriori opzioni, soprattutto se si analizzano queste dinamiche
in una prospettiva diacronica. In effetti molte migrazioni «individuali» sono
solo «esplorazioni» di progetti familiari, oppure mandati individuali dentro
un progetto familiare. Questo peraltro attribuisce senso e ragionevolezza, a
volte, a scelte di vita altrimenti incomprensibili se pensate solo per individui
(persone laureate che vengono in Italia a pulire i vetri delle auto agli incroci,
o a vuotare cestini negli uffici, e «resistono» in questa situazione perché c’è
dietro un progetto di famiglia, non una storia di individuo). In ogni caso è
evidentemente ben diversa la progettualità migratoria (definitiva o tempo La letteratura propone ovviamente tipologie e sistemi di catalogazione molto più sofisticati
e dettagliati di questa distinzione dicotomica, utilizzata qui per esigenze di chiarezza e
sintesi.
2
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Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione
ranea) di una persona isolata o di un sistema familiare, sia come origine, sia
come concretizzazione, sia come obiettivi e progettualità di lungo periodo.
Le due distinzioni si intrecciano poi reciprocamente, con modalità
anch’esse estremamente variabili: anche tra i rifugiati si riscontrano sia nuclei
familiari che persone isolate3, e questo conferma la necessità di attenzioni alle
storie individuali, «tailor made», fuori da ogni stereotipo o generalizzazione.
Segnalare questa criticità interpretativa è necessario in sede di conclusioni
perché anche le indicazioni operative, le opzioni politiche e strategiche di un
Paese, così come le sfide culturali e relazionali a livello micro-sociale, devono
fare i conti con questa invincibile differenziazione interna, spesso di difficile
lettura. Criteri di accesso, strategie di integrazione, politiche di equità, percorsi
di attribuzione di cittadinanza possono variare molto, anche in termini di
efficacia, a fronte della variabilità dei progetti e delle storie concrete.
2. Strumenti normativi e regolativi per promuovere l’incontro anziché
lo scontro
La regolazione giuridica dell’immigrazione è stato in questi anni uno
dei temi più controversi del dibattito politico nel nostro Paese, con contrapposizioni e posizioni pregiudiziali spesso eccessive. Del resto si tratta di
una questione decisiva, per l’identità di un popolo e per le dinamiche sociopolitiche di una nazione. Troppo spesso, tuttavia, ci si illude che i sistemi
normativi siano per definizione in grado di ordinare, regolare e orientare
in modo definitivo tutte le dinamiche sociali. Ma proprio la «questione
immigrazione» ha invece ampiamente dimostrato che questo non succede
automaticamente. In effetti le singole legislazioni nazionali (e l’intero sistema
«Gli stati volevano ricevere singoli lavoratori, non essere oggetto di popolamento, e a ciò
hanno corrisposto regole volte a consentire l’immigrazione essenzialmente come evento
individuale, in particolare per quel che riguarda i c.d. extracomunitari. [...] Unica parziale
eccezione al migrare dei singoli e non delle famiglie unite è stato il fenomeno dell’asilo. In
questo caso, per le dinamiche proprie dei processi che portano alla fuga, a spostarsi non di
rado è stata ed è la famiglia nella sua unità o comunque sono stati alcuni dei suoi membri
insieme. Il diritto dei singoli Stati ha per così dire secondato questa tendenza anzitutto per
i vincoli posti dalla Convenzione di Ginevra, che non consente di selezionare gli ingressi
secondo logiche diverse dal bisogno di protezione» (E. Codini, cap. 5 del presente volume).
3
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del policy-making) fanno fatica a com-prendere (nella duplice accezione di
«afferrare» e insieme «capire») il fenomeno migratorio, non solo per la già
ricordata eterogeneità interna, ma anche perché l’origine e la dimensione
dei movimenti migratori sono oggi talmente grandi che una singola nazione non può illudersi di affrontarli e governarli da sola. Questo è tanto più
vero per il nostro Paese, chiamato per motivi storici e geografici a essere un
«ponte naturale» sul Mediterraneo, potenziale porta d’ingresso/corridoio
tra un’ampia zona di popoli e Paesi in via di sviluppo e i popoli e i Paesi
del «continente Europa» (che spesso ha la tentazione di ridefinirsi come
«fortezza Europa»). Certamente il diritto e il sistema delle norme possono
e devono fare la loro parte, sia a livello nazionale che sopranazionale: senza
però illusioni di onnipotenza.
Non è qui la sede per costruire una mappa dettagliata delle norme
necessarie e urgenti. Ci preme però ricordare alcuni punti specifici di regolazione giuridica del fenomeno, tipici del nostro Paese, in vario modo
già ricordati nei vari capitoli, su cui non possiamo restare più a lungo nella
condizione attuale, e che potrebbero soprattutto trovare un punto di innesto
innovativo proprio attorno alla variabile «famiglia».
1. Serve una rinnovata e consapevole politica europea, entro cui inserire le
strategie nazionali (italiane, ma anche greche, maltesi, spagnole, tedesche,
olandesi, ecc.). Questa è l’Europa di cui abbiamo bisogno: un soggetto
collettivo che costruisce insieme scelte strategiche transnazionali di fronte
alle grandi sfide epocali, condividendone anche rischi, costi, impegni e
opportunità. Peraltro la stessa Unione Europea, se anche riuscisse a costituirsi come «fortezza Europa», con porte e finestre ben chiuse, già oggi
deve affrontare la complessa gestione di imponenti movimenti migratori
interni tra Paese e Paese, che generano impatti sociali ed economici
particolarmente rilevanti, e che vengono contenuti solo marginalmente
dalla distinzione giuridica tra cittadini comunitari ed extracomunitari
(ad esempio le difficoltà collegate alla presenza di un’ampia offerta di
lavoro a basso costo, o la difficoltà di governare/programmare l’offerta
di servizi socio-sanitari e previdenziali a fronte di forti movimenti di
popolazione provenienti da altre nazioni)4.
Ad esempio, la presenza straniera nettamente più numerosa nel nostro Paese è quella di
persone provenienti dalla Romania, Stato membro dell’UE. Giuridicamente la loro pre-
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Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione
2. Il tema della libertà di accesso, delle dimensioni dei flussi e della condivisione di «progetti di ingresso» va ripensato sia a livello nazionale che
europeo (ovviamente con le già ricordate differenze radicali tra la tutela
dei rifugiati e la governance dei movimenti migratori caratterizzati da
altri tipi di scelte). Servono processi virtuosi e progressivi di integrazione, strettamente collegati alle traiettorie lavorative delle persone, capaci
di immaginare tempi congrui di stabilizzazione delle persone, per non
condannare le persone a lunghi periodi di latenza, irregolarità o precarietà5. La crescente flessibilità del mercato del lavoro a livello nazionale ed
europeo (che in molte circostanze diventa incertezza e precarietà) per le
persone immigrate troppo spesso diventa anche perdita di cittadinanza,
esponendo le persone a una doppia vulnerabilità, sia lavorativo-reddituale
che di accesso ai diritti di cittadinanza. Occorrono in questo ambito
politiche più inclusive e più innovative. È interesse di tutti rendere queste scelte consapevoli, esplicite e progettate con tempi congrui, anziché
essere costantemente discusse e realizzate nella fretta delle varie urgenze
ed emergenze umanitarie.
3. Queste grandi scelte «strutturali» devono sapersi dettagliare attorno al
filtro e al «criterio famiglia», promuovendo e valorizzando cioè la capacità
della dimensione familiare di generare relazioni virtuose di integrazione.
In questo senso la presenza dei bambini figli di immigrati nel sistema
scolastico è una grande opportunità di integrazione per i minori e per
le loro famiglie, pur nelle oggettive difficoltà che la scuola sperimenta.
Proprio attraverso la scuola, con un’oculata ed esplicita gestione delle
sue potenzialità di facilitatore di integrazione per alunni e genitori, si
potrebbero contenere i rischi di una possibile chiusura delle famiglie
immigrate, che alcuni ricercatori evidenziano con il timore «che il consolidamento della presenza degli immigrati, grazie al radicamento sociale
senza è/dovrebbe essere un dato irrilevante, perfettamente inclusivo dalle regole interne
comunitarie, ma ben diversa è la situazione dal punto di vista del dialogo e della reale
integrazione/accettazione, soprattutto a livello micro-sociale (cfr. anche i dati dell’indagine,
soprattutto nel testo di P. Boffi, cap. 3, par. 2.2, tabella 11).
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Basti pensare all’appassionata discussione sull’abolizione del reato di clandestinità, nel
nostro Paese, o alla perdurante attenzione a un appropriato uso del linguaggio sui media,
di fronte all’utilizzo di parole spesso usurate e stereotipate nel pregiudizio (illegale, irregolare, straniero, marocchino, straniero, extra-comunitario, ecc.).
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prodotto dalle famiglie, si traduca in un fattore di chiusura sociale: le
famiglie sarebbero alla base della formazione di comunità minoritarie,
favorendo la conservazione e la trasmissione intergenerazionale di lingua
ancestrale, religione, usi alimentari, pratiche sociali»6.
4. È urgente costruire una cittadinanza nuova per chi nasce e cresce sul
suolo italiano, e diventa così «italiano» a tutti gli effetti, qualunque sia
la nazionalità dei suoi genitori. In questo ambito il dibattito è stato
molto ricco e articolato, ma troppo spesso fortemente ideologico, soprattutto in ambito parlamentare. Senza entrare nel merito, ci interessa
sottolineare in questa sede che oggi occorre sicuramente superare il
solo ius sanguinis, senza però contrapporlo in modo radicale al puro
riconoscimento dello ius soli. L’evocativa ipotesi di uno ius culturae,
capace di tenere insieme in modo equilibrato questi modelli ideali, ci
pare una giusta prospettiva da perseguire, anche se va naturalmente
riempita di precisi e affidabili percorsi (ad esempio valorizzando la
scuola come tempo e veicolo di integrazione attorno a cui costruire i
percorsi di attribuzione della piena cittadinanza alle nuove generazioni,
nate e vissute in Italia e per questo a pieno titolo cittadini del nostro
Paese, anche se nati da genitori stranieri).
3. Promuovere una cultura delle relazioni nell’incontro micro-sociale
Se anche tutti i nodi appena descritti venissero adeguatamente regolati
da appropriate norme nazionali e internazionali, rimarrebbe comunque una
grande sfida culturale, che va ancora giocata e vinta, per immaginare un
«Paese a colori». Occorre cioè affrontare il grande e mai risolto tema della
capacità di costruire dal basso una società plurale, tollerante e dialogica,
capace di gestire la grande diversità dell’incontro tra i popoli nella vita
quotidiana delle comunità locali. In questo esiste un ampio spazio di lavoro
da svolgere, come dimostra ad esempio la mappa dei «Punti problematici»,
elaborata dalla recente 47a Settimana Sociale dei Cattolici italiani (Torino,
12-15 settembre 2015), sul tema Un cammino comune con le famiglie immigrate (Box 1).
Cfr. il paragrafo conclusivo del capitolo 3, redatto da M. Ambrosini in questo volume.
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