cronache da new orleans

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cronache da new orleans
CRONACHE DA NEW ORLEANS
Mercoledì 05 Settembre 2007 01:07
di Bianca Cerri
A New Orleans circola una storiella di quelle che gli adulti raccontano quando i bambini sono
già andati a letto. Tre uomini bendati palpano un elefante senza sapere di che animale si tratta.
Il primo gli sfiora i fianchi e dice che è una mucca, il secondo afferra la proboscide e dice che è
un serpente, il terzo, beh, afferra i genitali dell’elefante e dice che è un rinoceronte. Ecco, forse
il paragone è goliardico ma descrive perfettamente come è oggi New Orleans, una città che
ciascuno descrive a seconda delle proprie sensazioni sapendo che comunque non tornerà più
come era una volta. Le ferite che le hanno inferto sia la natura che gli uomini saranno difficili da
sanare. Il 30 agosto del 2005, quando i venti che avevano cambiato per sempre la fisionomia
delle coste della Louisiana si placarono, il fruscio prodotto da miliardi di dollari in arrivò attirò
stormi di multinazionali come Hulliburton, Bechtel, Kellog Brown, ecc. che si gettarono come
avvoltoi sul business della ricostruzione. Due anni dopo, molti dei lavoratori arrivati da vari
paese del mondo, aspettano ancora di sapere cosa ne sia stato dei loro salari. Almeno la metà
fu assunta in nero - o vis-a-vis, come si dice da queste parti - e costretta a lavorare con la paura
di essere deportati perché privi del permesso di soggiorno. In stati come la Louisiana o il
Mississippi, dove la classe operaia non ha mai potuto contare su grandi garanzie, il passaggio
di Katrina aveva spazzato via anche i pochi punti fermi, ad iniziare dai minimi salariali previsti
dalle leggi nazionali. Le multinazionali, pur avendo strappato contratti per miliardi al governo,
approfittarono della combinazione letale un capitalismo portato all’estremo e disastro naturale
per succhiare letteralmente il sangue ai lavoratori. Uomini di 45-50 anni venivano costretti a fare
turni di 12 ore al giorno per sette giorni alla settimana in cambio di un salario che non superava
i 230 dollari. Senza contare che, al pari degli abitanti delle cittadine e dei villaggi abitati in
prevalenza da pescatori e dalle loro famiglie, i lavoratori hanno continuato ad ammalarsi a
causa delle sostanze tossiche presenti nell’aria.
Tanti gli anziani e i bambini che si ammalano invece per i materiali impiegati nella costruzione
delle roulottes e delle case prefabbricate montate dalla protezione civile. Uno dei disturbi più
frequenti sono le congiuntiviti, ma stanno aumentando anche patologie come nevralgie del
trigemino, astenia, edemi degli arti inferiori, riniti allergiche. A soffrirne di più sono naturalmente
le persone che vivono molte ore della loro giornata all’interno degli alloggi. Almeno uno su due
dei 257.000 sfollati si è ammalato a causa della formaldeide impiegata nella fabbricazione di
pareti, porte ed infissi, risultata fatale per alcuni soggetti al di sopra dei settantacinque anni di
età.
I giornali americani stanno bene attenti a non fare il nome dei costruttori, che pure non sono
difficili da rintracciare. Si chiamano Gulf Stream, Fleetwood Enterprises, Monaco Coch, ecc.
Solo14.000 delle centomila roulottes e case prefabbricate che la protezione civile ha acquistato
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da loro sono state costruite impiegando grandi quantità di formaldeide. La cangeronicità di
questo materiale è già stata accertata e molti stati americani ne vietano oggi l’uso in edilizia. E’
fin troppo facile intuire che il disastro di New Orleans è stato un’occasione d’oro per gli
industriali del settore che ne hanno approfittato per liberarsi dei fondi di magazzino facendoli
peraltro pagare a peso d’oro.
Le autorità delle zone lungo la costa del Golfo sanno che la mancanza di alloggi a prezzi
abbordabili è una delle grandi barriere al rientro delle migliaia di persone che a due anni dal
passaggio di Katrina sono state evacuate in stati lontani anche migliaia di chilometri. La colpa,
questo va detto, non è solo di Bush e della sua amministrazione. Anche le cosiddette
“organizzazioni umanitarie” hanno la loro parte di colpa nella disgregazione del tessuto sociale
delle zone devastate. Dai racconti dei residenti è facile intuire che la corruzione si è insinuata in
modo capillare tra gli operatori della “solidarietà”. Si tratta per inciso di agenzie le cui entrate
annue collettive superano i 500 miliardi di dollari.
Si dice spesso che gli americani sono poco generosi nei confronti delle vittime di eventi
drammatici come le calamità naturali. Ovviamente si tratta di un’affermazione priva di qualsiasi
fondamento, forse dovuta al fatto che molti americani non si fidano più delle organizzazioni
umanitarie, a partire dalla Croce Rossa e dall’Esercito della Salvezza che hanno trattenuto nelle
loro casseforti i quasi quattro miliardi di dollari raccolti a favore delle migliaia di abitanti della
costa del Golfo che due anni fa persero tutto ciò che avevano. Per paura che i soldi finissero
nelle “mani sbagliate” o venissero spesi in “droghe e generi voluttuari”,anche altre
organizzazioni non hanno devoluto gli aiuti raccolti. Quella di instillare nel pubblico la
convinzione che la gente di New Orleans sia incapace di gestire direttamente gli aiuti è stata
una buona trovata che ha permesso a tanti operatori “umanitari” di dirottare altrove montagne di
denaro.
Sarebbe invece bastato guardare al risanamento della zona di Safe Street operato dagli stessi
abitanti con l’aiuto degli attivisti di Critical Resistance per accorgersi che è possibile ricostruire
un ambiente vivibile ed allontanare la microcriminalità anche con investimenti medi ma mirati.
Una piccola vittoria forse ma tanto più significativa perché ottenuta prestando attenzione
soprattutto ai bisogni della comunità locale e non al prestigio di questa o quella organizzazione
umanitaria.
Diceva tanti anni fa Fannie Lou Hamer, energica attivista di colore nella lotta per i diritti civili:
“Sospetto sempre di chi parla di uguaglianza razziale seduto su una poltrona di pelle in un
ufficio di New York mentre io sono all’inferno”. Una frase che ben si adatta alla condizione della
gente della Louisiana costretta a vivere in alloggi fatiscenti e a compiere a piedi lunghi percorsi
per recarsi al lavoro, spesso sentendosi sfrecciare accanto le auto degli “operatori umanitari”.
Dal 29 agosto del 2005, i contractors hanno realizzato guadagni pari al tre volte il prodotto
interno lordo di Louisiana e Mississippi messi assieme ma non è andata male neppure per alle
non meglio identificate “organizzazioni umanitarie”. A 40 anni dalla lotta per i diritti civili, il
numero delle sedie di pelle negli uffici di New York è aumentato di molte unità, mentre la
solidarietà e l’impegno hanno dichiarato bancarotta.
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