GV 30 ottobre 2010

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GV 30 ottobre 2010
GENTE VENETA n. 41, 30 ottobre 2010
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INTERVISTA - Alessandro Rosina, autore di “Non è un paese per giovani” era martedì all’incontro di apertura della Scuola di Formazione all’Impegno socio-politico
I giovani oggi? Salvati (e condannati) dai genitori
I 20-30enni vivono nel disagio: precariato, stipendi bassi, scarsa mobilità sociale, poco welfare. Eppure non reagiscono
Perché hanno il “salvagente” di mamma e papà. Ma così - avverte il demografo Rosina - la loro condizione non migliorerà
«I
giovani sono poco ascoltati? Siano loro a
farsi ascoltare»: ecco
l'esortazione di Alessandro
Rosina, quarantenne professore di Demografia all'Università Cattolica di Milano,
autore – insieme alla giornalista Elisabetta Ambrosi –
del saggio edito da Marsilio
"Non è un paese per giovani. L'anomalia italiana: una
generazione senza voce".
Quindici anni di politiche
che hanno penalizzato i giovani, un Paese col debito
pubblico maggiore del Pil,
un mercato del lavoro che si
è mosso verso la flessibilità
ma senza un'adeguata riforma del welfare pubblico,
creando così precariato e disoccupazione, una società
sempre più vecchia, così come la classe dirigente: questi sono alcuni dei problemi
elencati da Rosina, problemi
che rendono unico il caso italiano in Europa e a cui i
giovani trentenni di oggi
hanno risposto scappando
all'estero o rifugiandosi nel
porto sicuro di mamma e
papà. Il conflitto generazionale è stato disattivato e ora
si delinea il ritratto di un'Italia privata della forza propositiva e del coraggio di
chi è nato tra la fine degli
anni Sessanta e i primi anni
Ottanta.
Il professore della Cattolica, intervistato da GV in occasione della sua presenza
all'apertura della Scuola socio politica di Zelarino, martedì 26, invita i giovani: «C'è
una grande sfida, da vivere
come protagonisti o da subire», e consiglia: «Non
guardate al ribasso le vostre
ambizioni, e non pensate
che vivere con mamma e
papà sia la normalità».
Cominciamo da una sua
affermazione: “La scomodità è una cosa importante per fare in modo che il
cambiamento si attivi”.
Di scomodità ce n'è tanta
in Italia, perché il cambiamento non si attiva?
Il problema è che forse questa scomodità ancora non
c'è o non è ancora percepita
in modo così forte. Il quadro
per i giovani è molto negativo: un elevato tasso di disoccupazione, stipendi medi molto più bassi della media europea, un sistema di
welfare pubblico carente.
Perchè allora non c'è la rivo-
luzione? Perché quello che i
giovani italiani non ottengono dalla politica e dallo
Stato viene compensato largamente dalla famiglia d'origine. Vivono più a lungo
coi genitori, vengono aiutati economicamente, e il tutto
con una conseguente posticipazione delle scelte di vita. Un giovane italiano difende le proprie prerogative
grazie alla famiglia che funge in questo caso da ammortizzatore sociale, compensando le difficoltà, ma
poi proroga le scelte di autonomia.
Lei parla di generazione
“bruciata”: che fine faranno questi trentenni?
Non è una cosa generale, ci
sono singoli che sicuramente hanno avuto successo. Ci
sono generazioni che danno
impronta alla storia. Questa
è la prima generazione che
ha subito un fallimento rispetto ai genitori.
Come reagire, dunque?
Serve una nuova consapevolezza, mancano spazi di
partecipazione per i giovani
e questo penalizza il paese.
Negli ultimi 15 anni l'Italia
ha fatto molto poco per i
giovani e non li ha aiutati,
ma è anche cresciuto meno
rispetto agli altri Paesi.
Ci vuole una reazione non
individuale ma collettiva. I
giovani hanno reagito posticipando la permanenza nella famiglia d'origine, ma
questa risposta individuale
non produce cambiamento.
La generazione dei trentenni ha parato il colpo ma non
ha trovato la soluzione. Ha
subito ma non è stata protagonista del cambiamento.
Bisogna cambiare in modo
strutturale quello che non
funziona! I giovani di oggi
sono troppo timidi: se sono
poco ascoltati devono loro
farsi ascoltare. Devono diventare una generazione
politica, cioè maturare una visione della
società e poi produrre il cambiamento.
Quale generazione
può
per
«Un giovane italiano
difende le proprie
prerogative grazie alla
famiglia che funziona
da ammortizzatore
sociale, compensando
le difficoltà, ma poi
posticipa le scelte
di autonomia»
prima attivare il cambiamento?
Si spera che siano i ventenni
e i “Millenials” - la generazione che è diventata maggiorenne dal 2000 in poi - a
maturare questo atteggiamento di reazione. Ci sono
vari segnali positivi, anche
grazie a degli studi in vari
Paesi. Innanzitutto un maggior senso di identità generazionale, legata al fatto che
hanno vissuto dei cambiamenti epocali: dopo la caduta del muro di Berlino
non esiste più un confronto
ideologico tra destra e sinistra, inoltre vivono in un
contesto multiculturale, globalizzato, tecnologico. Hanno a disposizione le informazioni in rete. Sono più direttamente protagonisti del
XXI secolo perchè la loro testa vi è già dentro. Questa
differenza generazionale
matura in loro il fatto di sentirsi protagonisti. Infine il
salto generazionale ha pro-
vocato un effetto: i ventenni
hanno visto il cambiamento
negativo subito nei trentenni per tempo e hanno quindi la possibilità di capire, riflettere ed elaborare strumenti di reazione adeguati
rispetto ai fratelli maggiori
che ne sono stati travolti.
Cosa pensa dei giovani
che scappano all'estero e
finiscono per vedere l'Italia solo il Paese in cui
fare le vacanze?
Si tratta di giovani che vanno all'estero e si sentono apprezzati e diventano poi i
primi critici del proprio Paese. Sono una risorsa spreca-
ta, che all'estero vale di più:
vengono pagati di più, lavorano in contesti più meritocratici, i loro talenti sono riconosciuti. Quindi poi dicono: “Allora è l'Italia che non
funziona”. Ma chi va all'estero rinuncia al cambiamento. Un elemento vincente per l'Italia è la possibilità
di incentivare chi è stato all'estero perché quando torna venga riconosciuto il valore aggiunto che ha rispetto a chi è rimasto in Italia.
Così che si possa valorizzare il capitale di chi rimane in
Italia ma con lo sguardo aperto da un'esperienza all'estero, e degli stessi stranieri
che decidono di venire in Italia a lavorare.
Capitolo Università: lei
ha ottenuto la cattedra di
Demografia a 36 anni, sa
di essere una rarità? Che
ruolo deve avere la scuola in questo frangente?
L'università è lo specchio fedele della gerontocrazia della classe dirigente italiana. Più del doppio dei professori è
sopra ai 60 anni, si
tratta di un sistema
universitario molto
sbilanciato, più rigido e quindi con più
disuguaglianze, e
che si riflette in tutta
Italia. L'età media
dei dirigenti si è alzata da 51 a 61 anni.
Una scuola con pochi finanziamenti dà
poco stimolo per appassionarsi. In innovazione, sviluppo e
ricerca spendiamo la
metà degli altri Paesi europei. È fondamentale che l'università riscopra il proprio
ruolo di laboratorio per
la formazione e la riflessione e che non sia solo un esamificio. L'elaborazione di una visione del mondo e delle sfide si fa proprio durante il periodo formativo anche attraverso docenti giovani, con una prossimità generazionale.
Un consiglio a un giovane laureato di oggi che si
affaccia a un futuro di
precariato?
Non guardare alle sottrazioni e alle difficoltà ma guardare con fiducia alle proprie
capacità e competenze, perché alla fine paga. Le difficoltà sono ostacoli del mo-
Alessandro
Rosina
mento, è importante la valorizzazione del proprio capitale umano. Imporsi, non
rassegnarsi. Mai vedere al
ribasso le proprie ambizioni, ma mantenerle alte e non
accettare la frustrazione, che
poi si trasforma in cinismo.
Sapere poi che il cambiamento vero è collettivo e generazionale, la via di fuga
non è individuale. Non si
può dare per scontato che i
genitori debbano aiutare i
giovani, non si deve pensare che sia normale. I giovani, con la lungimiranza delle forze più capaci del Paese, devono contribuire a una visione nuova, prepararsi al cambiamento, in modo
tale che quando arriva l'opportunità le proprie competenze potranno essere messe
a servizio del cambiamento
e questo possa prodursi.
Servono la determinazione,
il coraggio, la volontà e
l'ambizione di fare il cambiamento.
Laura Campaci
Il prossimo incontro della Sfisp, il primo del modulo “Educare alla coscienza politica”, è fissato per
mercoledì 10 novembre, alle ore 20,30, presso il Centro Card. Urbani, con Rosanna Virgili, biblista, su:
“La Sacra Scrittura al servizio della coscienza”.
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La catena alberghiera Hilton, con i suoi
32mila alberghi, non ha ancora firmato il Codice di condotta internazionale contro il turismo sessuale promosso dall’End Child Prostitution, Pornography and Trafficking. Eppure,
dopo la scoperta di bordelli in suoi alberghi in
Irlanda e in Cina i vertici della catena avevano riconosciuto la necessità di rispondere al problema. «Accanto alla preparazione degli addetti del settore turistico - ricorda Marco Scarpati presidente di Ecpat-Italia - è bene, anche, vigilare ed educare sempre anche il turista». Se Hilton firmasse con i suoi dipendenti in 77 paesi si creerebbero una rete contro lo sfruttamento di donne e bambini. L'Italia è al 5°
posto dopo Usa, Germania, Francia e Australia nella classifica dei paesi i cui abitanti praticano turismo sessuale.
E' allarme colera ad Haiti dove, a nove mesi dal sisma, un’epidemia ha causato in
pochi giorni almeno 140 vittime. Alla diffusione
dell'epidemia avrebbero contribuito le precarie
condizioni igieniche in cui vivono le migliaia di
sfollati. Sul Benin si stanno abbattendo invece le
più gravi alluvioni dagli anni '60: 60 le vittime
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