Governance del patrimonio e passaggio

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Governance del patrimonio e passaggio
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finanza e mercati
Governance
del patrimonio
e passaggio
generazionale
Proteggere e trasmettere i capitali
nel tempo
a cura di Marco Oriani e Bruno Zanaboni
Prefazione di Franco Zanardi

La realizzazione di questo libro è stata possibile grazie a:
Associazione Italiana Private Banking
GOVERNANCE DEL PATRIMONIO
E PASSAGGIO GENERAZIONALE
Proteggere e trasmettere i capitali nel tempo
A cura di Marco Oriani e Bruno Zanaboni
Prefazione di Franco Zanardi

ISBN 978-88-6345-558-8
© 2013 Il Sole 24 ORE S.p.A.
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Prima edizione: settembre 2013
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Le informazioni contenute nel libro non vanno in alcun modo intese come un invito o un messaggio promozionale rivolto al pubblico e finalizzato alla vendita o
alla sottoscrizione di prodotti di investimento. Le performance rappresentate sono
storiche e i rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Le valutazioni
prospettiche sono frutto di stime e possono non verificarsi.
Sommario
9
Presentazione
13
Prefazione
di Bruno Zanaboni
di Franco Zanardi
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
1.
19 1.1. Aspetti definitori
di Claudio Devecchi
26
1.1.1 Governance del patrimonio: aspetti definitori
e variabili critiche
30
1.1.2 Passaggio generazionale: aspetti definitori
e variabili critiche
38 1.2 Caratterizzazione della clientela
di Stefano Calvi
41
1.2.1 I bisogni di protezione
43
1.2.2 La conservazione intergenerazionale dello stile
di vita
47
1.2.3 L’apporto degli elementi extrafinanziari nel patrimonio
complessivo
48 1.3 Elementi di rischiosità legati alla percezione del cliente
di Andrea Enrico Ragaini
50
1.3.1 Rischi legati a una mancata pianificazione
56
1.3.2 Rischi legati a una cattiva gestione del patrimonio
58
1.3.3 Elementi di criticità nella comunicazione con il cliente
e ruolo dell’intermediario
2.
Strumenti utilizzati per la governance del passaggio
61
2.1 I vincoli civilistico-tributari nel passaggio generazionale
generazionale
6
sommario
2.1.1 Aspetti psicologici
di Michele Muscolo
62
2.1.2 Vincoli civilistico-tributari
di Michele Muscolo
70
2.1.3 Ulteriori variabili di riferimento nel passaggio
generazionale
di Paolo Balice
74 2.2 Gli strumenti utilizzabili: natura, tipologie e diffusione
sul mercato italiano
74
2.2.1 Il trust
di Raffaella Sarro
91
2.2.2 Le polizze assicurative
di Luca Bertacchi, Maria Cristina Boscolo Berto
e Nicola P.S. Troilo
100
2.2.3 Il fondo patrimoniale
di Francesco Di Carlo
106
2.2.4 Gli atti di destinazione
di Francesco Di Carlo
110
2.2.5 Il mandato fiduciario
di Massimo Longhi
119
2.2.6 L’usufrutto
di Francesco Ago e Giovanni Cristofaro
124
2.2.7 I patti di famiglia
di Leo De Rosa, Alberto Russo e Andrea Lo Presti
134
2.2.8 Il ruolo delle SRL nel passaggio generazionale
di Paolo Ludovici e Loredana Conidi
150
2.2.9 Le holding company di famiglia per la successione
di azienda
di Alberto Chiesa
160 2.3 Le principali soluzioni operative
di Massimo Lodi
162
2.3.1 Comparazione e integrazione tra gli strumenti
per la governance del patrimonio
166
2.3.2 Il ruolo delle clausole statutarie e dei patti
parasociali
168
2.3.3 Applicazioni e casi di specie
61
Appendice - La trasmissione di patrimoni complessi:
177
un caso di studio
di Stefania Specchiulli, Vittorio Fortunato e Samanta Lombardi
sommario
3. Principali attori nella gestione del passaggio
generazionale
187 3.1 La banca
di Manuela Soncini e Marco Gabbiani
187
3.1.1 Modalità di approccio e specificità realizzative
del passaggio generazionale
190
3.1.2 I possibili assetti organizzativi
192
3.1.3 L’approccio private
192
3.1.4 Il ruolo del team di wealth management
194 3.2 I professionisti
di Uberto Barigozzi
197
3.2.1 L’esperienza del professionista
di Antonio Ortolani
200
3.2.2 L’esperienza dell’intermediario
di Flavio Ravera
202
3.2.3 Considerazioni di sintesi
di Claudio Devecchi
212 Conclusioni
di Marco Oriani
217 Gli autori
7
Presentazione
Nel presentare questo volume, desidero spiegare l’operazione
concettuale cui aipb si propone di dare forma, anche attraverso
la presente opera, per orientare il mondo del private banking
verso orizzonti il più possibile utili e aderenti alle esigenze dei
suoi fruitori.
La tematica della consulenza ha un ruolo chiave nell’ambito della gestione dei patrimoni di elevata caratura, non tanto e
non solo per la complessità delle risorse in gioco, quanto per il
significato che, con forza sempre maggiore, tende ad assumere il
rapporto di interazione tra il detentore del patrimonio e il soggetto destinato a supportarne le decisioni gestorie. Questo tipo di
consulente, pur spalleggiato da una struttura efficiente, in grado
di dargli un supporto quasi universale nell’approfondimento di
tematiche che diverranno poi soluzioni patrimoniali, rimane in
primo luogo il depositario di un legame che certamente poggia
sulla fiducia reciproca, ma la cui estrinsecazione passa per una
percezione profondamente sintonica della personalità e delle propensioni dell’intestatario del patrimonio, nonché dei suoi legami
familiari e affettivi.
Già, i legami familiari. Si parla molto oggi di family business,
family office, wealth management, nomi a cui si tende a collegare
un servizio altamente evoluto che converge non solo sul patrimonio nella sua accezione più ampia, ma su una più ampia accezione
di individuo, inestrinsecabile dal proprio apparato di percezioni e
da un contesto, familiare e non, ricco di relazioni e significati. L’esistenza di punte di eccellenza non deve tuttavia distoglierci dal
fatto che questa accezione di servizio si delinea su un’ossatura
ben definita, che ripropone le sembianze e la matrice concettuale
medesima del private banking. Al di là delle differenze formali,
resta il fatto che un cliente, in particolar modo quando dispone
di patrimoni che non costituiscono solo una ricchezza personale,
10
PreSENTAZIONE
ma dall’utilizzo della quale possono cambiare i destini di altre
persone, necessiti di essere affiancato nella gestione delle proprie
scelte con una cura che eccede le concezioni ordinarie.
Questo punto descrive la ragion d’essere stessa del private
banking, definendo contestualmente l’identità dell’intermediario a cui l’industria delega, caso per caso, la propria missione:
non una banca di intermediazione tra il cliente e i prodotti in cui
egli intravede delle soluzioni accettabili, ma una banca di consulenza, in grado di ampliare il ventaglio delle soluzioni possibili
non per la facilità di accesso alle stesse, quanto per una larghezza di visione in cui è – o può diventare – in grado di inscrivere
il patrimonio dei propri protetti. Patrimonio che non sono beni
fisici, ma anche propensioni, affetti, ricordi. Un patrimonio mai
separabile dal suo detentore, che si imprime anche di scelte simboliche ed emozionali, che parla della persona e alla persona;
che si rivolge e va rivolto anche a coloro che succederanno il suo
attuale portatore, magari alla guida di una grande azienda, o
nella gestione di imperi immobiliari, o ancora nelle responsabilità decisorie di una rete di partecipazioni qualificate.
Il cliente private, sia esso un imprenditore che ha fondato la
propria fortuna, in particolar modo nel contesto italiano, con il
lavoro duro e la capacità di non distrarsi dai propri obiettivi,
piuttosto che una famiglia detentrice di rendite, solo in pochi
casi dispone della multiculturalità oggi necessaria a effettuare
le scelte migliori in tema di investimenti.
Non a caso uso il termine “multiculturalità”, che sostituisce “cultura finanziaria” nel delineare il passaggio da un private banking
meno adulto a un servizio che, indipendentemente dal nome che si
voglia utilizzare nell’identificarlo, sappia descrivere per gli obiettivi dei propri clienti soluzioni che, come questo libro dimostra chiaramente, possono trovarsi molto oltre la sfera finanziaria.
Proprio sulla base di questi ragionamenti, nel momento in
cui aipb si promise di portare alla luce, attraverso lo strumento editoriale e in un momento in cui tale esigenza era massimamente avvertita, delle risposte sull’implementazione dei
modelli di consulenza, non poté che considerare il volume La
consulenza finanziaria1, come l’inizio di una sequenza che
1
Oriani M., Zanaboni B. (a cura di), La consulenza finanziaria, Gruppo 24 Ore,
Milano, 2011.
PreSENTAZIONE
11
quest’opera integra necessariamente, costituendone un aspetto
complementare e imprescindibile nel delineare l’identità di una
private bank moderna.
Nondimeno, tra le righe di questo volume, sarà facile ravvisare la delicatezza ricoperta, in particolar modo nel contesto
successorio, dalle situazioni dei clienti che fanno capo al sostrato
imprenditoriale. Non a caso il volume è introdotto da Franco Zanardi, a cui rivolgo un caloroso ringraziamento per le parole che
ha voluto condividere con noi, ancora una volta ribadendo che
tanto le sorti quanto la fermezza del timone dell’impresa costituiscono lo strumento di una vera e propria missione personale,
aziendale e sociale.
Alla luce della complessità e dell’importanza di questa tema,
voglio pronosticare che il filo rosso che lega questo volume al
precedente non si esaurirà senza aver definito compiutamente
le sinergie attuabili nel contesto bancario per ottimizzare e approfondire il servizio rivolto proprio alle figure imprenditoriali,
sulla base delle cui esigenze gli intermediari stanno attualmente rivisitando i propri modelli.
Prima di lasciarvi alla lettura del volume, desidero esprimere
la mia gratitudine a tutti gli autori che vi hanno dedicato impegno e competenze; a Marco Oriani, per la supervisione scientifica; a Andrea Giongo, per il coordinamento della redazione; a
tutto lo staff aipb, per la dedizione e l’entusiasmo che accompagnano da sempre i nostri progetti. Ringrazio infine gli Associati,
il cui sostegno e la cui partecipazione ci consentono di dare vita
alle iniziative rivolte al miglioramento della qualità del servizio
destinato alla clientela private; miglioramento che certamente
fa capo al processo evolutivo naturale di un settore ancora relativamente giovane, ma che oggi più che mai rappresenta la necessità di costruire un punto fermo a cui l’industria possa riferirsi,
che porti a compensare e a superare quel clima di incertezza a
cui il contesto politico, economico e finanziario degli ultimi anni
ci hanno ormai abituato, riscoprendo invece quella fiducia nella
propria autonomia e nelle proprie possibilità che sono le uniche
basi oggi possibili per costruire un futuro più solido e confortevole per coloro che ci succederanno.
Bruno Zanaboni
1. Governance del patrimonio e passaggio
generazionale
1.1 Aspetti definitori
di Claudio Devecchi
Le aziende di famiglia vanno studiate in profondità e conosciute
soprattutto nelle loro caratteristiche fondanti in quanto hanno
un peso determinante nell’economia nazionale1. Sono aziende
che, talvolta, hanno oltre un secolo di vita; altre mostrano pochi
mesi di funzionamento; numerose imprese non hanno avuto la
possibilità di andare oltre l’idea imprenditoriale del fondatore e
sono subito scomparse.
Le aziende di famiglia che sono sopravvissute richiedono una
gestione solo apparentemente e superficialmente simile alle
aziende non familiari; in verità, governare un’azienda familiare si rivela sempre un compito difficile e il collegato patrimonio
familiare non sfugge a questa difficoltà di gestione. Si potrebbe
affermare che gestire una famiglia, in presenza di un’azienda familiare e un patrimonio, lo è ancora di più. Ma questo è il “vero”
family business!
Il target di riferimento individuato è frutto di un circoscritto
“territorio”, definitorio della family business. Da una prima analisi, tre risultano essere gli elementi caratterizzanti:
Il cnel ha segnalato che in Italia le imprese familiari sono quasi 4 milioni e
rappresentano oltre l’80% del totale delle imprese appartenenti a tutti i settori
economici. Delle aziende con più di 50 dipendenti, il 68% ha una struttura a controllo familiare, così come 69 dei primi 150 gruppi d’impresa.
1
20
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
a)l’influenza della famiglia sull’impresa, che risulta legittimata dalla titolarità di tutto o parte del capitale di rischio; tale
titolarità può venire esercitata anche attraverso la partecipazione di alcuni suoi membri ai processi di gestione;
b)l’attività imprenditoriale che intimamente si identifica in una
famiglia (o anche in più famiglie) per una o più generazioni;
c)la gestione e la proprietà (disgiunte o congiunte) da parte dei
familiari dell’azienda di famiglia, del patrimonio di famiglia,
sempre nell’ambito dei rapporti (non di rado complessi e conflittuali) tra familiari.
L’approccio seguito è di tipo interdisciplinare in quanto la complessità (numerosità, varietà, interrelazioni) delle variabili in
gioco ha richiesto un approccio in grado di analizzare e interpretare i problemi delle family business seguendo almeno sei dimensioni (psicologica, patrimoniale, giuridica, economico-finanziaria, fiscale-tributaria, gestionale).
Il punto di partenza è generare poche ma significative macro
aree entro cui collocare tutti i problemi che si individuano e che
si continuerà a ricercare. Macro aree che devono esser il più possibile “vicine” alle caratteristiche strutturali e funzionali delle
aziende familiari. Ne abbiamo identificate quattro.
1.Rapporti impresa-famiglia (rif). È il contenitore concettuale
e metodologico di tutti i problemi che insistono su una delle
più esclusive caratteristiche dell’impresa familiare, ovvero la
completa commistione tra lavoro e vita privata. La letteratura ha identificato una serie non breve di problemi2: dalla
composizione del consiglio di amministrazione al comitato
dei familiari fino all’assenza di un consiglio di famiglia; dalla
corporate governance ai patti di famiglia; dal paternalismo in
assenza di deleghe operative al trasferimento della cultura e
dei valori familiari; dal nepotismo aziendale all’inserimento
dei familiari; dai conflitti a seguito dei favoritismi familiari
alla presenza di familiari interessati solamente a una posi2
Per tutte e quattro le macro aree critiche, si veda: Devecchi C., Problemi, criticità e prospettive dell’impresa di famiglia, Vol. I, Vita & Pensiero, 2007; per ognuna
delle macro aree si veda nel volume citato la letteratura specifica alle pagine: 42
(Business Model), 51 (Risk Level), 64 (Assetto Economico-Patrimoniale), 70 (Rapporti Impresa-famiglia).
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
21
zione di rendita economica; dalla scelta degli eredi alla retribuzione dei familiari; dalla gestione della successione e continuità aziendale alla difficoltà da parte dei figli di subentrare
al posto del padre che ha modellato l’azienda sulla propria
visione esistenziale e strategica.
2.Business Model (bu.mo). Raccoglie tutte le caratteristiche
specifiche del modello (o dei modelli) di business adottato dalle imprese di famiglia sia nelle sue differenti e consequenziali
fasi sia nelle sue particolarità strategico-organizzative. Si fa
riferimento a quanto anche la letteratura segnala in termini
di: elementi dell’obsolescenza relativi alla formula imprenditoriale originale, difficoltà nel rinnovare la formula imprenditoriale, affanno nel reperimento di risorse finanziarie espresse dal capitale di debito e da quello di rischio, caratteristiche
che debbono possedere i collaboratori (manager) allorquando vengono inseriti in azienda, appartenenza a un distretto
industriale che impone (richiede) regole del gioco precise e
difficilmente negoziabili nel breve. Ancora, un modello di business che risulta essere: costruito su una confusa formula organizzativa, privo di un customer service, con accesso negato
ai mercati esteri, incapace di attrarre persone chiave per il
successo duraturo dell’impresa; limitato nell’alimentare processi di crescita attraverso efficaci e originali leve finanziarie.
3.Risk Level (ri.le). Identifica specifici eventi che possono
seriamente compromettere – non di rado in misura irreversibile – il successo o l’esistenza stessa dell’impresa di
famiglia; eventi che non sono stati ancora affrontati con
sufficiente determinazione e conoscenza attraverso opportuni programmi di vulnerability analysis. Esempi che la
letteratura evidenzia come elementi di “rischiosità” propri
dell’impresa familiare sono, tra altri: rischio tecnologico (potenziale incapacità di abbandonare una tecnologia obsoleta
e adottarne una originale), rischio finanziario (rappresentato dal noto paradosso “famiglia ricca-azienda povera”, in cui
ingenti flussi monetari vengono sottratti dall’impresa per
alimentare ingenti spese o investimenti a favore dei componenti familiari), rischio operativo (determinato dall’origine
del reddito operativo della gestione caratteristico e causato
dall’anomala struttura dei costi e dalla fragile composizione
dei ricavi), rischio legato alla perdita del fondatore (allor-
22
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
quando tutto l’assetto di corporate governance è fortemente o totalmente dipendente dalle caratteristiche personali
e professionali del capo storico dell’azienda), rischio paese
(allorquando le esportazioni si concentrano enormemente
in stati a basso o modestissimo grado di stabilità politica),
rischio del “prudente contadino” (tipico di quelle aziende in
cui l’erede di seconda generazione e principale proprietario
blocca la crescita e tarpa le ali dell’innovazione strategicoorganizzativa o dell’aggiornamento professionale suo e delle
poche persone chiave che ha attorno per timore di perdere
il controllo o per mancanza di vocazione/capacità imprenditoriale), incapacità degli eredi di proseguire in quell’opera di feconda fertilizzazione che ha fatto la fortuna della
prima generazione, incapacità dell’imprenditore di gestire
il trasferimento della cultura aziendale, continuità della
successione arrivando al momento del trapasso impreparati a cedere o condurre l’azienda di famiglia nei tempi e nei
modi dovuti, “fame” di continue opportunità che innalzano
a dismisura l’alea di insuccesso aziendale, perdita delle key
people o – peggio – accettazione implicita di non diffondere
il loro know-how (diventando interamente dipendenti dalla
loro attività), rischio settore (allorquando la domanda specifica del mercato in cui si opera è generata da eventi straordinari destinati a non perdurare).
4.Profili economico-finanziari (pef). L’ultima macro area consolida i problemi connessi al governo e alla gestione delle
masse reddituali, finanziarie, patrimoniali e monetarie generate e assorbite dall’impresa familiare. Anche in questo
caso non sono pochi i problemi che la letteratura sottolinea
come aspetti critici di governo dell’azienda familiare: deriva
generazionale, raffreddamento dei rapporti finanziari tra i
soci, commistione patrimonio familiare/aziendale, riorganizzazione dell’assetto societario, chiusura all’entrata di capitali
di rischio esterni alla famiglia, confusione e commistione dei
flussi reddituali tra famiglia/impresa; valutazione d’impresa
(«Quanto vale la mia azienda?»).
La figura 1.1 mostra le quattro macro aree di altrettanti macro
problemi e come questi ultimi possono essere messi in correlazione tra loro. La presenza di numerosi problemi in ogni macro area
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
23
Figura 1.1 La mappa dei (macro) problemi nella family business
e in capo a un’azienda familiare ne determina l’identità specifica, laddove l’esame dei soli dati economici e di bilancio non
di rado risulta incompleto. Pertanto, le relazioni di causa ed
effetto tra questi macro problemi creano un network di rischiosità che sia i titolari sia i finanziatori devono conoscere a fondo
e monitorare in continuazione per calibrare al meglio opzioni e
decisioni.
La specie, la numerosità, la combinazione e il peso di questi
macro problemi muta in funzione di due variabili: il tempo e
il tasso di crescita aziendale, quest’ultimo espresso congiuntamente dal fatturato e dalla complessità strutturale dell’impresa.
È quindi utile introdurre il concetto di ciclo di vita dell’azienda familiare. A tal fine si sono identificate cinque tipologie aziendali nel ciclo di vita:
1.
2.
3.
4.
5.
azienda esclusivamente padronale;
azienda padronale allargata;
azienda pseudo-manageriale;
azienda manageriale evoluta;
azienda manageriale sofisticata.
24
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
Il passaggio da una tipologia a un’altra, ovvero la transizione
da uno “stato di natura” a un altro (in avanti e indietro rispetto al ciclo di vita), dà origine a una precisa e circostanziata discontinuità. Il periodo temporale espresso dalla durata di tale
discontinuità dipende da numerosi fattori e comunque la transizione non è mai breve né tantomeno simultanea.
L’ipotesi di fondo prescelta (forte) è articolata come segue:
a)a ogni tipologia aziendale corrisponde un tipico e specifico
mix di macro problemi;
b)nel periodo di discontinuità questi macro problemi possono
accentuarsi o modificarsi;
c)durante (o appena prima o appena dopo) questo periodo nuovi
macro problemi possono manifestarsi.
Conoscendo a priori tutti questi elementi e sapendo come affrontarli e risolverli è possibile far migrare l’azienda familiare da una tipologia all’altra, riducendo assai (se non eliminando del tutto) il rischio di molti probabili/reali fallimenti
o insuccessi.
Volendo rappresentare più compiutamente il ragionamento
si è cercato di introdurre qualche ulteriore elemento di conoscenza così come raffigurati nella figura 1.2.
• L’azienda esclusivamente padronale è caratterizzata, tra
l’altro, dai seguenti elementi: “tutti fanno tutto”, famiglia
e lavoro sono un tutt’uno. Appartengono a questa tipologia
le ditte individuali, le aziende artigianali, i laboratori, i
negozi; la gestione e l’organizzazione risultano abbastanza semplici.
• L’azienda padronale allargata vede aumentare l’impegno nel
business e quindi si qualifica come l’ambiente dove vi è “poca
famiglia e tanto lavoro”, prendono avvio le proto deleghe, inizia
la ricerca e l’introduzione di qualche collaboratore esterno alla
famiglia, incomincia a vedersi qualche key people non appartenente alla famiglia. Non di rado compongono questa tipologia
le snc, le sas.
• L’azienda familiare pseudo-manageriale mostra le seguenti
aree problematiche: le deleghe sono più numerose che nel
passato e vengono date non tanto e non solamente per le
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
25
competenze professionali ma per la fiducia riposta in quelle persone. Occorre chiarire molto bene “chi-fa-che-cosa” in
quanto la complessità organizzativa è indubbiamente aumentata e ciò richiede una tecnostruttura organizzativa che
prima non c’era, saltano gli strumenti empirici di gestione,
si nota un affanno nella corporate governance, si assiste
all’uscita di qualche uomo chiave, il business cresce continuamente e si deve decidere se decollare o implodere; i fabbisogni finanziari aumentano e se l’indebitamento è troppo
rischioso occorre decidere se vendere (o svendere) oppure se
ritornare piccoli (implosione); talora sorgono anche crisi coniugali e/o familiari, inizia a prospettarsi la successione del
fondatore. Sono presenti prevalentemente le forme giuridiche di srl e spa.
• L’azienda familiare manageriale evoluta si caratterizza,
tra l’altro, per i seguenti fattori problematici: si cresce continuamente e velocemente e si hanno deleghe multiple; la
proprietà diventa multifamiliare, il fondatore o fa “due passi indietro” o tiene le “briglia corte”, i figli o s’impongono o
falliscono nel ruolo di gestori/successori, si devono adottare
nuovi e più sofisticati strumenti direzionali e gestionali, si
inizia a ricorrere ai consulenti gestionali e non solamente a
quelli fiscali; la tecnostruttura è sempre più ampia e articolata, l’azienda originaria è frequentemente trasformata in
gruppo o è già un gruppo conglomerato; si osservano numerose operazioni di gestione straordinaria: acquisizioni, cessioni, fusioni, spin-off.
• L’azienda familiare managerialmente sofisticata è presente
ma non diffusissima. È una realtà complessa che ha decollato definitivamente, è pur sempre presente lo “stile della
casa”, vi è una notevole commistione di culture (familiare,
manageriale, professionale, multinazionale ecc.); la famiglia
originaria appare molto allargata e annacquata in termini
parentali; pur essendo il patriarca presente, la gestione avviene ormai in base a deleghe, il controllo della famiglia è
fatto unicamente per eccezione. Siamo in presenza di una
multinazionale, talvolta quotata, con numerose holding finanziarie operative o miste, è diventato a tutti gli effetti un
gruppo aziendale.
26
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
Figura 1.2 Il ciclo di vita dell’impresa familiare
1.1.1 Governance del patrimonio: aspetti definitori
e variabili critiche
La commistione del patrimonio può essere definita nel seguente
modo: l’involontaria confusione (nel senso giuridico del termine)
ovvero commistione del “portafoglio” aziendale con quello personale, che può portare danni e problemi considerevoli. Taluni
identificano, a loro modo e coerentemente al loro sistema valoriale ed etico, in tale commistione la fonte di qualche opportunità: benefici economici ai membri familiari, spese per il benessere
dei componenti la famiglia, miglioramento dello stile di vita ecc.
La superficialità talvolta usata nel gestire la cassa aziendale è,
dunque, fattore critico e tipico dell’impresa familiare. Un’ordinata contabilità, un sistema di efficaci controlli interni e regole,
un organismo indipendente che vigili su queste possibili e facili
disfunzioni possono costituire un rimedio rispetto ad anomalie
gestionali o storture procedurali.
È una criticità non di rado diffusa nelle imprese di famiglia di
micro, piccole e medie dimensioni dove non risulta del tutto chiaro ai titolari e ai familiari che separare la gestione dell’azienda
da quella della famiglia è un’imprescindibile necessità per tute-
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
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lare il patrimonio nel tempo. Le conseguenze nel disattendere
tale necessità si possono riassumere in una frase ormai molto
nota: «famiglia ricca e impresa povera»3.
La commistione del patrimonio va dunque qui intesa in prima
approssimazione ovvero come involontaria confusione finanziaria (senza intenzione precisa e cosciente) tra la cassa/portafoglio
aziendale e la cassa/portafoglio della famiglia. Non ci sono predeterminazione, consapevolezza, intento dannoso ma solamente
faciloneria o ignoranza del danno che si può procurare all’equilibrio economico-finanziario aziendale operando sconsiderati
o quanto meno inopportuni prelievi4; mentre possono esistere
comportamenti volontari e determinati a ottenere “impropri” benefici personali o familiari che, in seconda approssimazione, si
configurano come azioni rivolte ad arrecare un concreto beneficio unicamente a una parte (la famiglia o il familiare che pone in
essere tale azione) a completo danno dell’altra parte (l’azienda di
famiglia) con conseguenze giuridicamente rilevanti.
Se la seconda configurazione di commistione non è oggetto di
queste pagine, ecco alcuni esempi evocativi della prima fattispecie.
1.Una spa con azioni intestate al 50% al marito e la restante parte alla moglie, emette un prestito obbligazionario per
150.000 euro a un tasso annuale del 12% al lordo degli accessori di legge. Chi sottoscriverà questi titoli obbligazionari così
ben remunerativi?
2.Una famiglia composta da marito, moglie e due figli vuole
cambiare l’autovettura. Perché tra gli asset aziendali della
srl è iscritta nel libro dei cespiti ammortizzabili una nuova e
3
Si veda Corbetta G., Dematté C., I processi di transizione delle imprese familiari, Mediocredito Lombardo (Studi e ricerche), 1993.
4
Non meraviglia, dunque, che l’informazione economico-finanziaria di queste
aziende sia molto carente nei confronti di terzi, in particolare per soddisfare le
attese informative degli investitori istituzionali nel capitale di rischio. Forse il
non saper comunicare con questi investitori è una scusa. Le aziende familiari
saprebbero benissimo farlo ma semplicemente non vogliono (o fanno il possibile
per non) comunicare per non mettere in evidenza i loro comportamenti opportunistici. In tal senso è utilissima la due diligence per verificare l’attendibilità
di quanto affermano le aziende di famiglia riguardo ai loro dati contabili e al
piano aziendale di sviluppo. Sul punto si veda la ricerca svolta da Demartini P.,
“Superare le asimmetrie informative tra pmi e operatori del private equity”, in
Economia&Management, n. 2, marzo 2002.
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Governance del patrimonio e passaggio generazionale
fiammante Cayenne V6 da 3,6 litri 213 kW (290 CV) 385 Nm
a 3.000 giri/min?
3.Esaminando il libro paga e matricola dell’azienda Pinco Pallino spa, come mai appaiono gli stipendi di Maria Pinco Pallino,
43 anni, per 45.000 euro all’anno, di Giuseppe Pinco Pallino,
45 anni, per 75.000, di Fabio Pinco Pallino, 18 anni, per 25.000
e di Elisabetta Pinco Pallino, 20 anni, per 35.000 euro?
Nel nostro paese poche o inesistenti sono le ricerche su questa
criticità. Non altrettanto si può dire di altri paesi; valga per
tutti l’interessante articolo di Levin e Travis5 relativo alla finanza “libera” nelle piccole e medie imprese familiari, la cui
tesi può essere così riassunta: premesso che le piccole aziende
di famiglia godono di una consistente libertà finanziaria e non
devono massimizzare il valore di mercato del loro pacchetto
azionario complessivo, sono del tutto inaffidabili e inattendibili
misure tipo ritorno sui mezzi propri (reddito netto su mezzi
propri), redditività del capitale investito (reddito operativo su
capitale investito operativo), rapporto di indebitamento (mezzi di terzi su mezzi propri), quozienti importanti che vengono
usualmente calcolati per misurare la performance delle grandi
pubblic corporation. Infatti, lo stato patrimoniale delle piccole
aziende familiari espone solamente una parte (diciamo la metà)
della loro storia. Dopo tutto, sostengono gli studiosi, quando la
ricchezza fluttua liberamente tra le tasche del proprietario e
le casse aziendali, le finanze della famiglia fanno veramente
parte dell’azienda. Occorre dunque stare attenti a non usare i
metodi finanziari riportati nei manuali per giudicare la (buona
o cattiva) salute di queste aziende. Questa è la conclusione degli autori per le seguenti ragioni:
• la linea tra debiti e mezzi propri è indistinta e confusa;
• lo stile di vita (del proprietario e della sua famiglia) è derivabile dall’analisi dello stato patrimoniale;
• raramente si applicano le consuete formule finanziarie;
• la volontà dei titolari orienta e definisce la politica finanziaria
aziendale (es. non crescere, non dare dividendi);
5
Levin R.I., Travis V.R., “Small company finance: What the books don’t say”,
Harvard Business Review, Nov-Dic. 1987, pp. 29-32.
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
29
• le banche non fanno distinzione tra ricchezza familiare e aziendale;
• la pratica viene prima della teoria («count the money in both
pockets to know-how things are running»).
Per ridurre la commistione del patrimonio e quindi distinguere il
patrimonio familiare e quello aziendale, e poterli così gestire separatamente, una soluzione a tendere è rappresentata dai family
office, che hanno recentemente riscosso successo anche in Italia6.
È nota la distinzione tra queste organizzazioni e il servizio di
private banking per l’imprenditore di famiglia. Esiste una soglia
patrimoniale abbastanza importante sotto la quale non è economicamente conveniente affidare la propria ricchezza familiare
ai family office.
Le tipologie più diffuse sono tre. Il family office può essere
offerto dalla private bank, che mette uno dei suoi dipendenti a
disposizione di una famiglia. Può essere costituito da commercialisti, ex dirigenti di banca o avvocati con competenze finanziarie che si occupano di gestione patrimoniale. Alcune famiglie
preferiscono costituire una spa o un srl, una finanziaria ad hoc,
insomma, soggetta al controllo di Bankitalia, dove mettono in6
Si veda Oriani M., Il family office. Il nuovo wealth management dei grandi patrimoni familiari, Franco Angeli, Milano, pp. 208, 2a ristampa, 2007. «Diverse famiglie, in possesso di una dotazione patrimoniale molto ingente e assai articolate
sotto il profilo dinastico, hanno di recente individuato nel family office la struttura societaria in grado di occuparsi delle problematiche di tutti i membri della compagine familiare e della gestione del loro ingente patrimonio finanziario,
immobiliare e artistico. Tale attività viene svolta in modo “dedicato” e in chiave
di assoluta personalizzazione, superando, di fatto, alcune distorsioni insite nelle
prassi operative di alcuni intermediari attivi nel settore del private banking e
del wealth management. Si prendono in esame le caratteristiche della clientela
potenzialmente interessata a iniziative di family office, introduce e sviluppa il
concetto, le funzioni e gli elementi caratterizzanti questa struttura organizzativa
ed esamina i differenti modelli di family office, sia costituiti da una o più famiglie
imprenditoriali sia quelli di emanazione bancaria o indipendenti. Vengono inoltre analizzate, da un lato, le principali problematiche organizzative e le scelte
cruciali che deve compiere il family office e, dall’altro, i prodotti, i servizi e gli interventi consulenziali che vanno a comporre la sua value proposition. L’indagine
si conclude con uno studio del mercato dei family office nel nostro paese, finalizzato a evidenziare le scelte organizzative e di posizionamento da essi compiute,
e con la presentazione di un caso emblematico di un intermediario finanziario
presente in questa particolare area di business».
30
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
sieme i patrimoni liquidi e li fanno gestire da un manager scelto
di comune accordo.
La famiglia Zambon all’inizio del 1993 ha fondato Seco LA Ndfin,
una finanziaria che gestisce 700 milioni di euro, vale a dire il patrimonio di 20 grandi famiglie dell’Italia industriale. La famiglia Camuzzi (dopo aver venduto all’Enel tutto il suo business elettrico), ha
creato Fincamuzzi, società di servizi finanziari che ha stretto una
partnership con Heritage Bank Trust, il più famoso family office del
mondo che ha sede a Ginevra. Oltre a occuparsi della gestione del
patrimonio Camuzzi, sta diventando un distributore di prodotti sofisticati, che possono essere utili ad altri family office. Gli italiani
che rientrano in questa categoria sono 712.000 (692.000 nel 2005 e
646.000 nel 2004)7.
Quando questa criticità non è un problema? Il segmento delle piccole imprese di famiglia conferma nelle sue risposte all’indagine
condotta da cerif nel 2009 che quando è netta la separazione tra
patrimonio familiare e patrimonio aziendale non esiste alcuna
criticità. Il secondo segmento, composto dalle medie imprese familiari, fornisce sul punto indicazioni più articolate: l’eventuale
commistione è risolta grazie a una “separazione netta tra portafoglio aziendale e personale, ai bilanci delle singole aziende
tutti certificati”, alla recente quotazione, a comportamenti consolidati ovvero a regole non formali («non avviene nella nostra
azienda, è una delle regole non scritte rispettate dai familiari»,
«mai verificate anomalie nella gestione del portafoglio azienda/
famiglia grazie alla sintonia e alla profonda fiducia all’interno
della famiglia»), all’utilizzo di regole scritte e accettate o condivise. Il terzo segmento delle aziende familiari grandi non fornisce
spunti interessanti se non una tacita ammissione che «lo è stato
nel passato, non lo è più da oltre 10 anni».
1.1.2 Passaggio generazionale: aspetti definitori
e variabili critiche
La gestione della successione e della continuazione, in breve il
cosiddetto passaggio generazionale, è caratteristica tipica delle
7
Il Valore, 21 aprile 2007.
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
31
imprese di famiglia; occorre pianificare il delicato processo della
successione, utilizzare gli strumenti idonei, valutare bene tempi e fasi, individuare gli attori chiave che assicurino il successo
sperato, individuare e risolvere i fattori condizionanti o limitanti
la successione.
È senz’altro una delle criticità più discussa e presente nella
letteratura, anche italiana, ma come si leggerà nelle pagine che
seguono non è la sola considerata cruciale in quanto porta con sé
molti altri problemi a causa di un approccio sistemico, dinamico
e contingente. Le varianti al problema sono numerose – basti
pensare alla diversità e al ruolo che gioca la cultura del paese
e della persona interessata al problema ovvero agli strumenti
giuridici disponibili per ottimizzare diritti e doveri di tutti e minimizzare il carico tributario – e determinano pertanto una complessità talvolta particolarmente elevata.
«Si è detto e scritto quasi tutto di Rupert Murdoch: squalo, imperatore, pirata, tycoon mondiale ormai senza rivali [...]. Ma resta da
capire [...] cosa succederà al suo immenso impero quando “lui” ne
lascerà il ponte di comando».
Sono parole di Glauco Benigni. Giornalista, sociologo, professore e
oggi dirigente Rai per le strategie tecnologiche, è autore del recentissimo Apocalypse Murdoch. Una biografia non autorizzata, in cui
si raccontano “storia e leggenda del padrone di Sky”. Ma dove si
guarda anche in prospettiva.
Fino al 1998 tutto era chiaro. La seconda moglie Anna avrebbe assunto la guida operativa dell’impero e i quattro figli avuti da lei e
dalla precedente moglie se lo sarebbero diviso. Ma poi c’è stato il
divorzio da Anna, il matrimonio con la cinese Wendi, la nascita di altre due bambine: ed è esploso il problema successione. Ora Murdoch
vorrebbe lasciare buona parte dell’impero ai due maschi, James e
Lachlan, dato che le figlie maggiori sono entrate in un cono d’ombra
e le due ultime nate fino al 2031 non potranno godere direttamente
del patrimonio di famiglia. Ma gli azionisti non li amano, James e
Lachlan. E gli azionisti contano. [...]
Come si comporteranno le banche, gli azionisti che guardano solo a
una logica di profitto, quando si troveranno ad avere il controllo monopolistico della pay-tv, lasciatagli in eredità da Murdoch?. Difficile
far previsioni. Ma è certo che la pay, su cui la legge Gasparri non si
esprime più di tanto, anche da noi assumerà sempre più peso8.
8
CorrierEconomia, 8 dicembre 2003.
32
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
Innanzitutto la tipologia in precedenza identificata a cui può
appartenere la family business (esclusivamente padronale, padronale allargata, pseudo-manageriale ecc.) discrimina molto e i
momenti di discontinuità posti a determinati intervalli ne qualificano il grado di complessità.
Nella prima e seconda configurazione, l’azienda esclusivamente padronale e padronale allargata è piccola-media, di prima generazione, e il problema potrebbe mostrare bassa criticità. Nelle due successive configurazioni, pseudo-manageriale
e manageriale evoluta, la gestione della successione e della
continuazione può presentare elementi di complessità in quanto i figli non sono più bambini e i nipoti o cugini iniziano a
maturare attese di occupare posti in azienda in presenza di
un “capo bastone” anziano e stanco. Il dilemma è se anticipare
la successione tra vivi o aspettare il trapasso del fondatore;
molto dipende dal profilo, dal carisma e dalla qualità della
leadership del successore (se è stato, come auspicabile, già ben
individuato).
Nell’ultima tipologia, azienda familiare manageriale evoluta, la criticità si abbassa e di molto in quanto esistono strutture, persone, meccanismi operativi e di governo, accordi, cultura
d’impresa tali che il “passaggio delle consegne” non rappresenta,
tranne eccezioni, alcunché di traumatico o conflittuale.
Anche il sistema valoriale dei diretti interessati, ovvero dei
giovani e dei meno giovani, ha il suo peso su questa criticità:
per esempio se un giovane non credesse più nella famiglia come
uno dei principali valori di vita, che senso avrebbe per i genitori
porsi il problema se il suo ingresso nell’impresa di famiglia sia o
non sia un momento critico? Non sarebbe un problema in quanto
nessun interesse avrebbe verso quel tipo di azienda. Ma le cose
stanno davvero così?
Un’indagine non più recentissima (giugno 2003) ma comunque attendibile e utile del Laboratorio per gli studi etnografici
sulle tendenze presso la facoltà di sociologia dell’Università degli studi di Milano Bicocca ha analizzato i trend dell’universo
giovanile. Alla richiesta di quali sono i valori “molto importanti”,
ecco che al primo posto c’è la famiglia con l’86,9% di risposte. Con
un netto distacco seguono gli amici (72,6%), il lavoro (64,1%),
lo svago/tempo libero, la cultura e, fanalino di coda (!), lo sport
(32,9%). In conclusione: i nostri figli credono ancora, e molto,
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
33
nella famiglia e, di conseguenza, anche in un prossimo ipotetico
ingresso nell’azienda di famiglia. Vogliono stare insieme al padre e alla madre, vogliono trovare tempo e occasioni di vita in
comune con i genitori per raccontarsi, ascoltare e confrontarsi.
In sintesi, i giovani che entrano in azienda non hanno tutti lo stesso potere sostanziale ma posseggono alcuni tratti
comuni. C’è chi comanda davvero attraverso una leadership
monocratica e una presenza operativa alla guida dell’azienda
o del gruppo; ci sono le giovani leve che vengono inserite ma
non arrivano a contare veramente in quanto non hanno, per
esempio, risolto positivamente il loro training oppure entrano
in collisione con il management esterno o magari con i fratelli o hanno la disavventura di avere un padre piuttosto giovane e saldo ai comandi dell’azienda di famiglia. C’è, infine,
un terzo tipo di ruolo, quello dell’erede che mantiene le sue
quote nell’accomandita, nella società a responsabilità limitata
di nuova concezione o nella holding di famiglia, partecipa ai
consigli di amministrazione ma fa un lavoro diverso o defilato
rispetto al core business di gruppo perché, come ha affermato
Luciano Benetton, «se un manager non va lo cambio, un figlio
non lo posso sostituire».
Così, i nuovi rappresentanti della famiglia hanno alcuni tratti
comuni: sono giovani ma non giovanissimi; di solito appartengono a una generazione di quarantenni; si sono puntigliosamente
preparati alla successione; hanno una preparazione (culturale,
manageriale, linguistica) di buon livello, spesso internazionale;
tengono, di media, un basso profilo sulla scena pubblica; hanno
una certa attenzione all’equilibrio tra lavoro e vita privata; continuano ad avere, in qualche modo, le spalle coperte dai padri,
che lasciano il passo ma restano sempre nei pressi.
Negli executive dorm, camere pulite ma spartane, la sveglia suona
alle 6 perché alle 7,30 ci si deve presentare nella McArthur hall:
caffè e programma del giorno. L’inizio delle lezioni nella McCollum
classroom è per le 8,30. Poi una colazione leggera, tutti insieme in
mensa, vassoietti di plastica e cibo politically correct, per rispettare
le abitudini di una Babele di studenti. Poi di nuovo in classe, alle 19
di nuovo in mensa. E ancora sui libri fino alle 23, almeno. Un’accademia militare? No, è la routine della Harvard Business School, una
delle più prestigiose università del mondo, a Boston, Massachusetts.
Per sei giorni Carlo e Rodolfo De Benedetti, padre e figlio, 71 anni
34
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
il primo e 44 il secondo, si sono ritrovati qui come studenti qualsiasi, a frequentare il corso Families in business: from generation to
generation. Che, tradotto, vuol dire: Imprese di famiglia, il passaggio generazionale. E che, tradotto ulteriormente, significa andare a
scuola di successione.
Lo racconta, senza tanti giri di parole, a Style del maggio 2003 Rodolfo De Benedetti, amministratore delegato della cir, la holding
di famiglia da 3,3 miliardi di euro di fatturato all’anno, che ingloba aziende che spaziano dal settore dell’energia a quello della
componentistica, passando per l’editoria con il gruppo l’Espresso.
«La prima volta che ho ricevuto la brochure del corso, l’ho cestinata. La seconda, invece, ho chiesto a un collaboratore, veterano di
Harvard, di capire se era un programma valido. Dopo essermi iscritto, ho scoperto che dovevo portare con me almeno un membro della
famiglia. Ho chiamato mio padre che mi ha risposto, ridendo, che
gli sembrava surreale tornare sui banchi di scuola a 71 anni. L’ho
convinto dicendogli che, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe stato
un modo per trascorrere una settimana insieme». [...]
«Il programma del corso è fatto molto bene. C’è un buon mix tra
parte più cattedratica, interazione tra studenti e professori e utilizzo dei case study, tesine che aiutano ad aprire discussioni. Con noi,
su 85 partecipanti di ogni parte del globo, c’era chi rappresentava
realtà da 30 milioni di euro di fatturato annuo e chi quelle da 10
miliardi, ma alla fine le problematiche erano le stesse. Mi ha fatto riflettere l’assenza di connazionali; dopo tutto, l’80% delle nostre
aziende è a conduzione familiare».
Nel corso vengono trattati aspetti molto tecnici: dal funzionamento
dei consigli di amministrazione a come far convivere membri della
famiglia con azionisti esterni, fino ai problemi delle aziende quotate
rispetto alle non quotate. Ma vengono sviscerate anche le problematiche psicologiche, dalle gelosie tra parenti al nepotismo, alle regole
da rispettare perché le tensioni familiari non si riflettano nelle scelte
aziendali, passando per la necessità di valutare serenamente se un
figlio è nel ruolo giusto, o quale dei pargoli deve essere il prescelto a
raccogliere il testimone.
[...] Da Harvard si va via con la cassetta dei ferri, con gli strumenti
che possono aiutare ad affrontare i problemi tecnici di successione.
«Io sono tornato con la convinzione che la famiglia deve fare scelte
precise, imparando a separare la dimensione familiare da quella imprenditoriale. Quando ci si riesce, i legami di sangue sono un asset
forte e non una debolezza per un’azienda».
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
35
Tale criticità (passaggio generazionale) porta con sé, come non
di rado accade anche per altre, alcuni problemi strettamente correlati. In altri termini, il passaggio generazionale è un problema “complesso” nel senso che origina almeno le seguenti cinque
criticità: gestione della successione e della continuazione, trasferimento della cultura familiare, commistione del patrimonio,
incapacità degli eredi, continuità della successione. La già citata
ricerca svolta da cerif lo conferma parzialmente segnalando la
presenza di quattro problemi direttamente collegabili al passaggio generazionale: la gestione della successione e della continuazione, l’incapacità degli eredi, la continuità della successione, la
divisione delle quote societarie.
Precisando che il suo ragionamento ha come unico punto di
vista quello dell’impresa, la salvaguardia dell’impresa, il vicepresidente di Buzzi Unicem, gruppo del cemento da 3,2 miliardi
di euro di fatturato e oltre 300 milioni di euro di utile netto,
afferma:
È ormai opinione diffusa e condivisa che le aziende familiari siano un
bene per la società perché hanno una visione di lungo periodo, perseguono obiettivi di crescita, di creazione di valore e di stabilità dell’occupazione durevoli nel tempo. Le imprese che realizzano questi obiettivi
devono essere salvaguardate. E una condizione essenziale… perché questo avvenga è che l’azionariato sia omogeneo, coeso e stabile.… A mio parere, se ci fosse la possibilità di disporre liberamente di almeno un 50%
del proprio patrimonio, e a meno che l’impresa rappresenti la totalità
del patrimonio, si farebbe già un bel passo avanti9.
Precisa Mario Preve di Riso Gallo:
Quello che ho fatto, vedendo anche altre esperienze, è stato un patto
di famiglia che, in sostanza, consiste operativamente in una riunione di tutti i membri della famiglia (moglie, figli, nuore ecc.) in cui
si decidono le regole del gioco che devono valere per tutti. Nel mio
caso, avendo quattro figli, secondo le regole stabilite è necessario
che, innanzitutto, siano laureati; sappiano tre lingue straniere; poi,
dopo la laurea, devono fare le cosiddette “sette settimane”, che consistono in una settimana in ogni settore dell’azienda (una settimana
agli acquisiti, una alla produzione, una al mercato interno, all’estero
ecc.). Dopodiché, autonomamente (e lo sottolineo) devono cercarsi
9
CorrierEconomia, 2 aprile 2007.
36
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
un lavoro [...]. Allora ognuno sceglierà la sua strada e dovrà fare
almeno tre anni in un’azienda. In seguito se ci saranno le condizioni
perché qualcuno di loro entri nell’azienda di famiglia (come avevamo stabilito all’epoca del patto), allora entrerà.… Non si può – come
succede tante volte – far entrare tutti i figli (che siano tre o cinque)
in azienda, solo per principio10.
Ne discende che è rilevante conoscere e valutare gli strumenti per
una “generazione successoria protetta”. Il riferimento è palese al
codice civile, ai nuovi istituti giuridici e non. È un tema rilevante,
ma che esula da questo scritto e quindi viene solamente accennato.
Gli strumenti a oggi disponibili per la gestione della successione e della continuazione sono oltre una decina: il trust, la polizza assicurativa, i patti di famiglia, il vincolo di destinazione,
il private equity, le società a statuto speciale e le holding, i fondi
immobiliari, il mandato fiduciario, le operazioni sul capitale e le
fondazioni, l’usufrutto e la nuda proprietà.
Non trascurabile può essere, infine, l’atteggiamento tenuto
dalle aziende di credito nella gestione della successione. Quale
ruolo dovrebbero svolgere per sostenere il processo di transizione
che avviene nell’impresa di famiglia, loro cliente, così da attenuare le criticità e far coesistere il proprio tornaconto con quello del
cliente? Certamente la banca non decide correttamente se a fronte
dell’evento richiede, senza esame alcuno, un repentino e irrevocabile rientro con restituzione dei finanziamenti erogati; infatti, così
facendo eleva il rischio finanziario della controparte, che a sua volta può causare danni in termini di rischio di mercato e di rischio
operativo. Se invece la banca adottasse, prima della decisione,
un’analisi causa/effetto sia sulla posizione di rischio complessiva
sia sulla redditività attesa della family business ispirata,…da una
visione di lungo periodo che coniughi ove possibile il contenimento
del rischio complessivo con il mantenimento del necessario supposero finanziario alle imprese familiari minori che dimostrano di
meritare la loro fiducia11, acquisirebbe consapevolezza sul da farsi
e potrebbe decidere con maggior cognizione di causa.
La gestione della successione e della continuazione può non
essere un problema. Dalle ricerche svolte ci viene segnalato
quanto segue.
10
11
Economia & Management, n. 4, 2006.
Nicolò D., Annuali della facoltà di Economia dell’Università di Messina, 2003.
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
37
Per il primo segmento (piccole imprese di famiglia) le risposte
riguardavano un ventaglio abbastanza numeroso di cause:
• la criticità era già stata affrontata negli anni passati (“il capo
fondatore non ha vissuto questo distacco dall’azienda perché
è deceduto prematuramente rispetto a questo passaggio”,
“fu pianificata a suo tempo; al momento è prematuro per la
prossima generazione anche se siamo in procinto di iniziare
un programma per la stesura di un patto di famiglia dove far
confluire delle regole per il futuro”, “alla morte dell’imprenditore è succeduta la moglie già da anni presente in azienda con
mansioni specifiche e i due figli che, entrando in punta di piedi,
hanno acquisito con il tempo competenze e sicurezza”);
• la situazione familiare ha semplificato il processo (“il figlio
sarà il nuovo presidente”, “ho un figlio unico”, “la successione
riguarda un solo beneficiario perché c’è un solo figlio a lavorare
nell’azienda”; “siamo entrambi giovani e con bambini piccoli,
non ci siamo ancora posti il problema”);
• la successione è già stata pianificata (“è tutto già definito”,
“c’è già stata una formazione adeguata per coloro che continueranno nell’attività aziendale anche se l’esperienza del
capo azienda non potrà essere facilmente trasferita”, “ci sono
due fratelli in società che gestiranno la successione”, “i figli
sono ben introdotti e coinvolti nella vita aziendale per cui
speriamo di evitare il trauma quando sarà il momento della
successione”, “è già stato definito tutto con patti scritti”, “la
successione è stata pianificata da anni e quando avverrà le
persone saranno ben preparate e avranno a fianco dei manager giovani e a loro vicini già da adesso che insieme porteranno avanti l’impresa”;
• non ci sarà successione per mancanza di eredi.
Il secondo segmento riferito alle medie aziende familiari ha individuato in queste tre cause la non crucialità del problema: è stata
superata con successo (“il passaggio generazionale è stato affrontato per tempo”, “la successione è avvenuta circa 10 anni fa e con
successo, la generazione alla guida dell’azienda è costituita da
quarantenni”); ne siamo consapevoli e la stiamo preparando (“non
dovrebbe, almeno completamente, sconvolgere l’attuale generazione al lavoro”, “siamo impegnati sul problema e stiamo cercando di
38
Governance del patrimonio e passaggio generazionale
creare una struttura trasparente che permetta di non avere ruoli
cristallizzati e che non produca conflittualità insanabili”); già pianificata (“definita”, “operando con saggezza e umiltà si è sempre
facilitato il passaggio generazionale”, “già tutto predisposto”, “se
mio figlio che attualmente gestisce un’altra azienda del gruppo
non si appassionerà alla Pinco Palla spa, venderò l’azienda”).
Il terzo segmento delle grandi aziende di famiglia sembra
sommare a sé alcune motivazioni dei due precedenti segmenti:
• già affrontata nel passato (trasferimento già avvenuto, successione fatta con ristrutturazione societaria);
• si sta attualmente affrontando (“sta già avvenendo con tutti
i crismi formali del caso”, “già pianificato in termini di criteri”) con grande consapevolezza (“la cultura della mia famiglia
è basata su una grande serietà e sintonia che ha permesso il
proseguimento dell’attività”);
• è un problema che sarà affrontato, ma non ora (“pur essendo
presto bisogna pensare e soprattutto organizzare la successione in azienda perché è troppo importante”);
• il problema non sussiste per mancanza di eredi.
In più si coglie l’importanza di valori e criteri meritocratici in
quanto “il timone viene dato a chi ha dimostrato sul campo di
avere le competenze adatte”.
1.2 Caratterizzazione della clientela
di Stefano Calvi
Sintetizzare i caratteri distintivi del cliente private significa rilevarne l’evoluzione della figura nel tempo e nell’ambito di riferimento. Al fine di tracciarne correttamente il profilo, seppur per
sommi capi e con lo scopo di introdurre gli argomenti dei successivi paragrafi, si provvederà a effettuare una breve panoramica
del fenomeno dal punto di vista statistico prima di completare
l’analisi attraverso un rapido ma per quanto possibile esaustivo
inquadramento storico.
Il cliente, o meglio, il nucleo familiare appartenente al novero della clientela private di una qualsiasi istituzione finanziaria
operante nel nostro paese rappresenta il vertice di una piramide
«Troppo prezioso è il patrimonio di storia imprenditoriale costruito dalle famiglie italiane perché si dissolva e si banalizzi…», scrive Franco
Zanardi nella sua prefazione al libro. Ed è appunto partendo dalla peculiarità italiana di un tessuto imprenditoriale fatto di micro, piccole e
medie imprese a carattere prevalentemente familiare che prende avvio
il libro, che si propone di ampliare la consapevolezza sulla necessità di
affrontare per tempo e con gli strumenti appropriati la governance del
patrimonio e il passaggio generazionale per gli imprenditori ma più in
generale per tutti i clienti del private banking.
Quali e quanti possono essere gli strumenti – anche non finanziari –
per una corretta gestione del patrimonio e quale la loro possibile interazione? Le risposte si trovano nel libro, ricco anche di esempi pratici.
L’Associazione Italiana Private Banking nasce, nel 2004, per coniugare le esigenze di aggregazione, condivisione e sviluppo della cultura private in Italia e riunisce i diversi player di questo mercato, tra cui banche, asset manager, compagnie
assicurative, advisor e studi professionali.
Marco Oriani è direttore del Dipartimento di Scienze dell’Economia e della Gestione Aziendale e professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari
presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Bruno Zanaboni è Segretario Generale AIPB, l’Associazione Italiana Private
Banking.