dispensa pari opportunita` doce
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PARI OPPORTUN ITA’ ARTHA 2012-2013 Dott.ssa Rossana Bonfiglio INDICE Cap. 1 PARI OPPORTUNITA’ 1.1 Il CONCETTO DELLE PARI OPPORTUNITA’ ………………………………………………PAG 3 1.2 EMPOWERMENT E PARI OPPORTUNITA’ ……………………PAG. 6 1.3 FSE E PARI OPPORTUNITA’ …………………………………………..PAG. 9 CAP.2 QUESTIONE FEMMINILE 2.1. UOMINI E DONNE ………………………………………………………………………………………………….. ….PAG 11 2.2 LA CONDIZIONE DELLA DONNA NEL TEMPO …………………………………………………………………PAG 14 2.3 IDENTITA’ DI GENERE ………………………………………………………………………………………………… PAG 23 2.4 NORME E PARITA’ ………………………………………………………………………………………………… ……..PAG.26 2.5 MOLESTIE SESSUALI E MOBBING…………………………………………………………………………………… PAG.33 2.6 STEREOTIPI DI GENERE…………… ………………………………………………………………………………..PAG.36 Cap.1 Pari opportunità 1.1 Il concetto delle Pari opportunità Le pari opportunità racchiudono il fine di garantire uguali condizioni e prospettive di vita a tutti i cittadini, attraverso la definizione di politiche e iniziative finalizzate alla rimozione degli ostacoli che impediscono un'effettiva parità. In ambito comunitario il termine pari opportunità è utilizzato in riferimento a interventi a favore di gruppi svantaggiati e, principalmente, alle azioni volte a ridurre le disparità tra uomini e donne. La base legale dell’azione comunitaria si fonda sul Trattato Ce che all’art.3, sancisce il duplice obiettivo di eliminare le diseguaglianze e di promuovere la parità tra uomini e donne. L’Art. 13, poi, ci dice che il Consiglio, all’unanimità, può adottare i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso. Il Vertice europeo di Lisbona nel 2000 ha delineato la strategia europea per la tutela delle pari opportunità individuando degli obiettivi come l’aumento del tasso d’impiego delle donne e l’uguaglianza delle condizioni di lavoro e della parità salariale. La Commissione Europea ha elaborato una strategia per l’occupazione per combattere: la disoccupazione femminile, la disparità nelle condizioni di lavoro e nel salario, la difficoltà delle donne ad essere coinvolta nei vertici decisionali, l’organizzazione del lavoro ponderata sull’uomo e non sulla donna, il mancato investimento per l’inserimento della donna nel mondo del lavoro. Sono proposti: 1 Strumenti legislativi 2 Strategie di mainstreaming 3 Sostegno ad azioni specifiche Nel 2003 La Commissione Europea ha adottato il settimo rapporto sulle pari opportunità presentando i risultati prodotti nel corso del 2002. Si evince che c’è ancora molto da fare sulla partecipazione delle donne ai processi decisionali. A livello Nazionale D.Lgs, 11-4-2006 n.198 Codice delle pari opportunità tra uomo e donna La Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna (d.l. 31 luglio 2003, n.226, art.1) Fornisce al Ministro per le pari opportunità, consulenza e supporto tecnico scientifico e svolge attività di studio e di ricerca in materia di pari opportunità. Tipi di discriminazioni: 1 discriminazione diretta 2 discriminazione indiretta 3 molestie (anch’esse sono discriminazioni) 4 molestie sessuali Divieti di discriminazione: 1 discriminazioni nell’accesso al lavoro 2 discriminazioni sulla retribuzione 3 discriminazioni sulla prestazione lavorativa e nella carriera 4 discriminazioni nell’accesso agli impieghi pubblici 5 discriminazioni nell’arruolamento nelle Forze armate e nel Corpo della Guardia di Finanza 6 discriminazioni nelle carriere militari 7 discriminazioni per licenziamento per causa di matrimonio È stata promulgata ed è in vigore dal 5 dicembre, la legge 183/2010 che riordina complessivamente la disciplina sul lavoro, modificando e integrando numerosi documenti legislativi già esistenti, che riguardano e regolano diverse attività pubbliche e private. Si tratta di un testo ampio – 50 articoli – che contiene varie deleghe al Governo in materie molteplici, e che in particolare interviene sulla disciplina delle pari opportunità e dell'impiego femminile. La nuova legge delega al Governo la revisione delle norme sui lavori usuranti e suggerisce tra l'altro che si prevedano, in questi casi, modalità di pensionamento anticipato. Il testo assegna deleghe al Governo anche per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dal Ministero della Salute, con il rafforzamento della Commissione per la Vigilanza ed il Controllo sul Doping e per la Tutela della Salute nelle Attività Sportive, con specifiche disposizioni sui medici e su altri operatori del settore sanitario extracomunitari. Importanti nel nuovo testo di legge sono soprattutto le misure contro il lavoro sommerso e per il controllo dell'orario di attività, che esprimono una più forte tutela dei diritti dei lavoratori: esse prevedono, tra l'altro, sanzioni significative per chi non dichiara entro i termini previsti un nuovo rapporto di lavoro instauratosi all'interno della propria azienda, o per chi estende gli orari di lavoro oltre il limite consentito dalla normativa vigente. La nuova legge contiene pure disposizioni in materia di lavoro a tempo parziale e a tempo determinato nonché norme sui contratti di collaborazione coordinata e continuativa, oltre che sulle aspettative e sui permessi, sulla regolazione dei congedi e degli ammortizzatori sociali, sugli incentivi all'occupazione Tutti argomenti per i quali si delega al Governo una completa revisione delle leggi attualmente in vigore. Uno spazio significativo è riservato, all'interno di questi temi, alla legislazione specifica sulle pari opportunità e sull'occupazione delle donne. Trattato di Amsterdam: è uno dei trattati fondamentali dell'Unione europea ed è il primo tentativo di riformare le istituzioni europee in vista dell'allargamento. Venne firmato il 2 ottobre 1997 dagli allora 15 paesi dell'Unione Europea ed è entrato in vigore il 1º maggio 1999. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: è stata solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e Commissione. Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, e si pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri e, allo stesso livello di trattati e protocolli ad essi allegati, come vertice dell'ordinamento dell'Unione europea. Essa risponde alla necessità emersa durante il Consiglio europeo di Colonia (3 e 4 giugno 1999) di definire un gruppo di diritti e di libertà di eccezionale rilevanza che fossero garantiti a tutti i cittadini dell’Unione. 1.2 Empowerment e pari opportunità La parola inglese empowerment deriva dal verbo to empower e significa incrementare il potere. Il concetto è stato introdotto dagli studi di politologia al fine di analizzare quei gruppi e movimenti statunitensi impegnati, tra gli anni ’50 e ’60, in azioni rivolte a tutelare i diritti civili e sociali delle minoranze. Empowerment, ovvero potere personale è stato utilizzato da C. Rogers in ambito psicologico. 1 accrescimento della propria autostima; 2 la valorizzazione delle proprie conoscenze, competenze ed abilità; 3 lo sviluppo delle capacità e delle possibilità di decidere, di essere autonome, di avere voce in capitolo nella famiglia, nella società, nella politica; 4 la possibilità di accedere e di permanere nei centri decisionali della società, della politica, dell’economia Il concetto espresso può essere riferito sia singoli o i gruppi accrescano il proprio potenziale e, quindi, la possibilità di controllare attivamente e responsabilmente la propria vita. Un ruolo significativo il concetto e il processo di empowerment lo hanno assunto all’interno della Piattaforma di Pechino nel 1995. Da quel momento empowerment, insieme ad altre, è diventata una parola d’ordine attraverso la quale promuovere ed implementare le politiche di parità e di pari opportunità tra donne e uomini. In particolare, per le donne, si tratta di intervenire in favore di: 1 l’accrescimento della propria autostima; 2 la valorizzazione delle proprie conoscenze, competenze ed abilità; 3 lo sviluppo delle capacità e delle possibilità di decidere, di essere autonome, di avere voce in capitolo nella famiglia, nella società, nella politica; 4 la possibilità di accedere e di permanere nei centri decisionali della società, della politica, dell’economia. L’empowerment non solo accresce il potere delle donne, ma costruisce anche una società più democratico. Dal canto nostro l’Italia ha recepito le indicazioni pervenute dalla Conferenza di Pechino attraverso il D.P.C.M. 27 marzo 1997 (Direttiva Prodi – Finocchiaro) identificando nella “Acquisizione di poteri e responsabilità” l’obiettivo strategico per raggiungere condizioni di empowerment per le donne. Tale obiettivo è stato declinato in: 1 assicurare una presenza significativa delle donne, valorizzandone competenze ed esperienze, negli organismi di nomina governativa e in tutti gli incarichi di responsabilità dell’amministrazione pubblica; 2 analizzare gli effetti dei sistemi elettorali vigenti, a livello europeo, nazionale e locale, sulla rappresentanza delle donne negli organismi elettivi; 3 analizzare l’impatto dei sistemi e dei percorsi formativi, di aggiornamento, dei modelli organizzativi del settore pubblico, sull’acquisizione di incarichi di responsabilità da parte delle donne nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione e proporre gli opportuni aggiustamenti. La verifica della Direttiva realizzata nel 2000 e diversi studi realizzati anche negli anni successivi dimostrano che, con riferimento a queste tre modalità di declinazione del concetto di empowerment c’è ancora molto lavoro da compiere: 1 le donne sono ancora poco presenti negli organismi di nomina governativa e in tutti gli incarichi di responsabilità dell’amministrazione pubblica (solo circa il 10% nelle Assemblee Parlamentari Nazionali, intorno al 14% in qualità di Assessore, intorno al 11% in qualità di Consigliere, intorno al 6% in qualità di Presidente di Regione o Provincia e di Sindaco); 2 non esistono, evidentemente, ancora oggi meccanismi in grado di evitare forme di discriminazione riferite alla rappresentanza delle donne negli organismi elettivi (questione ancora dibattuta sulla utilità o meno del sistema delle quote); 3 le donne sono ancora oggi scarsamente presenti nelle posizioni di vertice e di massima responsabilità della pubblica amministrazione. Un contributo positivo in queste direzioni è dato dalla recente introduzione delle modifiche all’art.51 della Costituzione affinché preveda il principio dell’uguaglianza di accesso alle cariche elettive. Come tutti sappiamo il testo dell’articolo recita: Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Ad esso è stata aggiunta la seguente integrazione: A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le Pari Opportunità tra donne e uomini. Attraverso tale integrazione si intende rafforzare quanto contenuto nella prima parte dell’articolo e fornire legittimazione costituzionale a tutti quei provvedimenti legislativi e amministrativi attraverso cui garantire una paritaria partecipazione di donne e uomini, in particolare, alla designazione di cariche elettive. L’impiego dei Fondi strutturali può contribuire allo sviluppo dell’empowerment delle donne. In modo particolare può farlo il Fondo sociale europeo deputato alla valorizzazione delle risorse umane e allo sviluppo di un sistema fondato sia sullo sviluppo economico che sulla coesione sociale. E se per empowerment intendiamo tutto ciò che abbiamo detto finora, il FSE può rappresentare un suo strumento di implementazione con riferimento ai diversi target di donne, che hanno diverse età e diversi problemi legati alla gestione della propria vita personale, familiare e sociale, che posseggono diversi titoli di studio e che incorrono in problemi di riconoscimento dei livelli di scolarizzazione e formativi raggiunti, che desiderano contare maggiormente nei luoghi decisionali da cui derivano ricadute dirette e indirette rispetto agli attori del sistema sociale al quale apparteniamo. Diverse sono le esperienze cofinanziate dal FSE concluse e in realizzazione intorno a cui si potrebbe parlare all’interno del workshop in questione; in fin dei conti tutti i progetti cofinanziati presentano elementi in grado di promuovere forme di empowerment. Alcune, tuttavia, sono risultate particolarmente significative e coerenti col tema; offrono pertanto efficaci elementi di riflessione, utili per tutti coloro che hanno a cuore l’empowerment della risorsa donna. 1.3 FSE e pari opportunità l’Unione Europea ha creato i presupposti per l'uguaglianza fra i generi. Nonostante il gap tra uomini e donne sia ancora esteso le donne, ad esempio, sono state agevolate verso il mondo del lavoro. Questo è stato possibile soprattutto attraverso azioni nell’ottica del mainstreaming, ovvero introducendo le pari opportunità all’interno di obiettivi in ambiti diversificati. Il Fondo Sociale Europeo è stato istituito nel 1957 nell’ambito del Trattato di Roma, con il fine di di incentivare l’occupazione in Europa, finanziando attività di istruzione e formazione che favoriscono l'accesso al mondo del lavoro e che, allo stesso tempo, offrono alle aziende l'opportunità di avvalersi di risorse umane conformi agli scenari produttivi moderni. Nel periodo 2007-2013, l’FSE investirà circa 75 miliardi di euro in tutta l’Unione europea. I finanziamenti maggiori spettano ai membri con uno sviluppo più arretrato Gli ambiti in cui viene utilizzato sono: • apprendimento e formazione permanente per i lavoratori; • organizzazione del lavoro; • sostegno ai dipendenti nei contesti di ristrutturazione; • servizi all'occupazione; • integrazione delle persone svantaggiate nel mercato del lavoro; • riforme dei sistemi di istruzione e formazione; • reti di parti sociali e ONG; • formazione nelle amministrazioni e nei servizi pubblici. I finanziamenti dell'FSE, quindi, sono incanalati in cinque aree prioritarie: • Adattabilità, • Occupabilità, • Inclusione sociale, • Capitale umano, • Transnazionalità e interregionalità • Capacità istituzionale Il 6 ottobre 2011, la Commissione ha proposto una serie di regole che determineranno l'operato del Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020. La proposta fa parte di un pacchetto legislativo per il futuro della politica di coesione dell'UE e consentirà all'FSE di continuare ad assicurare sostegno concreto a chi ha bisogno di aiuto per trovare un impiego o per migliorare la propria posizione lavorativa. L’FSE sostiene molte migliaia di progetti differenti, tutti definiti e gestiti nei vari Stati membri da partner in grado di comprendere le esigenze locali e operare in linea con le priorità La Strategia per la parità tra donne e uomini rappresenta il programma di lavoro della Commissione europea in materia di uguaglianza di genere per il periodo 20102015. L’impegno della Commissione è quello di promuovere l'uguaglianza di genere in tutte le sue politiche relativamente alle seguenti priorità tematiche: pari indipendenza economica per le donne e gli uomini; parità delle retribuzioni per un lavoro di uguale valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne; promozione dell'uguaglianza di genere fuori dai confini dell'UE; questioni orizzontali (ruoli di genere, strumenti normativi e governativi). http://www.sicilia-fse.it Cap. 2 La questione femminile 2.1 Uomini e donne La falsa credenza che l’uomo fosse più intelligente della donna nasce nella metà del secolo scorso in base all’osservazione, da parte di neurologi, di cervelli maschili più pesanti di cervelli femminili. Ma l’ipotesi è stata presto messa in discussione partendo dal fatto che il peso corporeo degli uomini supera in media quello delle donne e che quindi, mediamente, il cervello maschile è più voluminoso; inoltre, il peso del cervello è variabile da individuo e individuo, quindi, non c’è correlazione tra peso cerebrale e intelligenza. E anche riduttivo sottolineare che l’uomo, legato all’emisfero sinistro, sede della ragione, e la donna a quello destro, sede dell’emotività, siano l’uno superiore all’altra. Inoltre, Il cervello è un organo complesso in quanto si plasma attraverso i cambiamenti ormonali e le stimolazioni ambientali. La conseguenza è che l’individuo utilizza sistemi comportamentali e cognitivi differenti, anche secondo il sesso. Nonostante non ci sia differenza rispetto l’intelligenza, esiste una sostanziale differenza fra i cervelli relativa ai due sessi ed è nel modello d'organizzazione, nelle procedure d'elaborazione e risposta delle informazioni provenienti dall'esterno. Mentre, la donna presenta minor specializzazione emisferica, l'uomo ha un cervello funzionalmente asimmetrico, ovvero molto lateralizzato e dominante a destra. La maggiore simmetria funzionale nell'uomo determina, per esempio, la dominanza del linguaggio nell'emisfero sinistro e delle abilità visuo-spaziali nell'emisfero destro. Ma per comprendere meglio come funzionano il cervello maschile e quello femminile è fondamentale conoscere le seguenti caratteristiche. Il cervello è costituito da due emisferi, il destro e il sinistro, che sono connessi dal corpo calloso (una struttura composta da fibre nervose che permettono all’emisfero di destra di comunicare con quello di sinistra). Nell’emisfero di sinistra avvengono ragionamenti di tipo sequenziale, logico. Il pensiero è lineare, ovvero, in funzione di idee concatenate. Si basa su razionalità e analisi. L’emisfero destro, invece, permette di effettuare anche i ragionamenti di tipo parallelo, ovvero attraverso l’intuito; consente di effettuare più operazioni mentali contemporaneamente utilizzando modalità sintetiche; è analogico in quanto confronta la somiglianza tra le cose. Infine,è olistico in quanto permette di concepire le forme e le strutture connesse. Nelle situazioni complesse l’utilizzo del cervello nella donna è più sofisticato, mentre quello dell’uomo è più vincente nelle situazioni che prevedono uno schema. Da un’intervista a Paolo Pancheri a cura di Arianna Gasparini, Supplemento Corriere Salute al Corriere della sera del 21 maggio 2000, sono stati tratti i seguenti dati. Un campione di uomini e donne sani, uniformi per lavoro, età, cultura sono stati studiati per anni attraverso studi dell’Università di Roma, Genova, Napoli e l’Aquila e Il loro cervello è stato analizzato con la risonanza magnetica e con la tomografia a emissione di positroni. Paolo Pancheri, Ordinario di Psicologia e Psichiatria all’Università “La Sapienza” di Roma, ha scoperto che nel cervello femminile il corpo calloso è più spesso di quello maschile. Ciò significa che le due metà del cervello nella donna comunicano più facilmente. La maggiore comunicazione tra i due emisferi autorizza i ragionamenti paralleli a raggiungere l’emisfero sinistro e a influenzare le decisioni al di là della logica. E’ per questo che le donne sarebbero più intuitive degli uomini. Di base, il cervello dell’uomo si differenzia da quello della donna per numerosi motivi strutturali, fra cui: 1 Una regione dell’ipotalamo è più grande e sembra che si verifichi un’attività di eccitazione sessuale più elevata di quanto avvenga nelle donne 2 La giunzione-temporo parietale è più attiva (ciò rafforza la loro capacità di analizzare i problemi, e dato che è più grande, rende gli uomini più inclini all’attività fisica) 3 La corteccia parietale è più grande favorendo una spiccata intelligenza spaziale Mentre nelle donne: 1 La corteccia frontale è più grande e più complessa favorendo la presa di decisioni; la corteccia frontale dorso laterale è collegata con le aree limbiche ( sedi dell’emotività); quindi l’emotività in loro condiziona molto la presa di decisioni 2 La corteccia insulare è più grande, rendendole più istintive 3 L’ippocampo è più grande e consente loro più memoria per i dettagli In condizioni di equilibrio psicologico la donna ha grandi probabilità di effettuare delle scelte vincenti grazie alla spinta emotiva e alla capacità di prendere in considerazione più variabili contemporaneamente. Tuttavia, in condizioni patologiche la donna corre dei rischi a causa di un’emotività eccessiva. Quando una donna parla o ascolta, il suo cervello si "accende" in modo più simmetrico rispetto a quello dell'uomo nel quale è soprattutto l'emisfero sinistro ad essere sollecitato. La donna è più resistente dell’uomo nella sopportazione dello stress sia per motivi ormonali che per una maggiore tendenza a ricorrere al supporto sociale. L’uomo tende ad un tipo di ragionamento lineare, mentre la donna tende ad un tipo di ragionamento circolare. Si può trovare una spiegazione a tali differenza se si pensa ai compiti di cui fin dall’antichità la donna si è occupata, occupandosi di più azioni contemporaneamente. La sopravvivenza del gruppo ha necessitato una netta suddivisione del lavoro: la donna al focolare domestico e l'uomo a caccia. La caccia avrebbe stimolato nell'uomo una migliore capacità visuo-spaziali. Nella donna, la vita sociale e l'educazione dei giovani avrebbero stimolato lo sviluppo del linguaggio. Naturalmente dall’antichità ad oggi tali suddivisioni di ruoli sono meno nette ma quel che è certo è uomini e donne sono diversi pur essendo entrambi dotati di pari risorse e potenzialità per affrontare la vita. 2.2 La condizione della donna nel tempo La forza delle cosiddette “ideologie della differenza naturale” trae origine fondamentalmente da una concezione tradizionale nella quale il genere non è oggetto di cambiamento: è invece necessario riconoscere, sulla scorta di Connell, come sia vero l’opposto, ossia che tutto ciò che riguarda il genere è storicamente determinato. L’Autore propone un quadro interpretativo che considera le dinamiche sociali – e non l’evoluzione organica – quali agenti primari del cambiamento della biosfera. Connell afferma come l’orizzonte temporale nel quale nasce la storia umana è anche l’“orizzonte del genere” (Connell, 2006). La questione femminile, quindi, è stata determinata nel tempo dalla condizione di subordinazione ed esclusione rispetto all’uomo. Per comprendere meglio questo fenomeno delineerò un excursus storico. Nell’ antica Grecia la donna viveva tutta la vita sottoposta all'autorità di un padrone che, normalmente, era prima il padre e poi il marito. La donna libera non differiva dagli schiavi per quanto riguardava i diritti politici e giuridici. Era vista come un"uomo imperfetto" , paragonabile al fanciullo. In effetti le testimonianze che rimangono della sua condizione portano la firma di uomini. Questo sottolinea ancor di più quanto la realtà di quei tempi ha condizionato anche la percezione che hanno avuto i posteri che se ne sono interessati. Sicuramente gli antichi Greci erano profondamente misogeni e hanno sancito fermamente l’inferiorità della donna. Il corteo nuziale, il trasferimento della sposa dalla casa paterna a quella dello sposo, aveva la forma di un rapimento. Quest’usanza si conservava ancora di più a Sparta, come si può leggere nella Vita di Licurgo di Plutarco. In verità la sposa era offerta in dono dal padre e ritornava al padre in caso di divorzio, se la donna si comportava da adultera. In verità era l’uomo che poteva convivere con una concubina (anche se lei aveva solo doveri e nessun diritto). Nel matrimonio uomini e donne avevano compiti ben distinti e definiti: la donna si occupava della casa e dei figli, l’uomo di affari, di commercio e di attività pubbliche. Secondo un articolo a cura della Dott.ssa Gianna Senesi per i Servizi Educativi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana,. La donna trascorreva il suo tempo nel gineceo in cui vivevano anche i figli e le schiave. Durante la giornata tesseva, filava, faceva il bucato, dava i compiti alle schiave e organizzava i banchetti. Mentre i figli maschi rimanevano nel gineceo fino a sette anni e poi iniziavano a studiare seguiti da un maestro, le figlie femmine rimanevano in quel luogo. Le donne uscivano pochissimo. Le uniche donne che partecipavano a manifestazioni culturali erano le etere, che erano prostitute di lusso che erano libere di partecipare ai banchetti e di effettuare discorsi con gli uomini. L’unico ambito in cui la donna aveva potere era quello religioso, infatti esistevano le sacerdotesse. A Sparta avevano, invece, maggiore libertà . Si dedicavano molto alla danza e agli esercizi ginnici, al fine di procreare figli sani e robusti. Quindi, era una libertà fittizia finalizzata ad accrescere lo Stato. Anche nella Roma antica la donna non era indipendente ma non trattata come schiava come nell’antica Grecia. Alla morte del marito il parente più prossimo acquisiva la sua tutela. La donna spesso non decideva il marito ed era vincolata ad una fedeltà prematrimoniale sin da quando veniva promessa in sposa. Le lodi alle donne nelle epigrafi romane non riguardavano mai la sua intelligenza o cultura, ma solo quanto avevano servito e amato marito e figli e quanto avevano accudito la casa. In famiglia la moglie stava vicino al marito anche nei banchetti e nei ricevimenti, ma seduta e non sdraiata come i maschi. Solo in età imperiale le donne potevano sdraiarsi come gli uomini. Nella Roma Repubblicana la donna continuava ad occuparsi essenzialmente della vita domestica però partecipava anche alla vita pubblica, recandosi al teatro o partecipando ai banchetti. La sua condizione era migliorata in quanto poteva frequentare alcuni luoghi prima di solo interesse maschile. ll Cristianesimo ha tolto alle donne la libertà conquistata e da allora si è creato un gap difficilmente colmabile tra il mondo maschile e quello femminile anche se la donna nel tempo si è emancipata. Alcune donne romane hanno lasciato un segno nel mondo della cultura. Ad esempio Sulpicia era una poetessa famosa dell’età augustea. L’emancipazione è proseguita e si è manifestata anche quando in alcuni casi la donna ha potuto divorziare dal marito (possibilità venuta meno con il Cristianesimo). Ma i diritti erano ancora pochi. Le donne non avevano ancora neanche la tutela dei figli e loro stesse erano sempre sotto tutela o del padre o del marito. Le donne con maggior potere erano le matrone, mentre le donne ritenute inferiori erano le prostitute, le concubine o quelle che appartenevano al mondo del circo. Con il Cristianesimo la condizione della donna ha fatto un grande passo indietro. Per la Chiesa le donne erano in tutto più deboli e meno intelligenti degli uomini. Queste sono alcune delle frasi che ricorrevano in quei tempi: San Paolo:"Come la Chiesa è soggetta a Cristo, così le mogli debbono esser soggette ai loro mariti in ogni cosa (Efesini 5:24); S.Tommaso: "La donna è un uomo mancato, un essere occasionale". E’ anche vero che molti storici sostengono che questa è una visione maschiocentrica della concezione della donna nel medioevo e che, al contrario, le citazioni delle donne nella Bibbia sono molteplici e l’atteggiamento di Gesù nei confronti della donna era di apertura. Nel Medioevo le donne erano ritenute debole, legate al peccato e esseri da sottomettere perché i loro impulsi erano da controllare. Le conoscenze sulla loro condizione erano trasmesse dalla Chiesa ed esse imprigionavano la donna in numerosi stereotipi negativi di cui riusciva a riscattarsi solo con la castità o con il matrimonio. Data in sposa da giovanissima era sottoposta al potere paterno e poi del marito. Non studiava e si occupava solo della vita domestica. Era frequente che i mariti accusassero ingiustamente le mogli di adulterio per avere altre spose, considerando il fatto che le spose avevano una dote. Le donne dei contadini e degli operai lavoravano duramente in casa, anche quando erano in cinte e già a trent’anni erano reputate anziane. Le donne nobili e ricche dovevano saper dirigere la servitù ma avere sempre un comportamento e u n aspetto rigoroso e riservato. Solo quando nelle famiglie mancavano fratelli o mariti le donne potevano avere dei poteri. Alcune in via eccezionale hanno partecipato alla vita politica. Pochissime donne, nell’Alto Medioevo, sono state colte, fra queste Lutgarda, moglie di Carlo Magno, sappiamo che frequentò la scuola palatina. E’ nei monasteri che le donne occidentali hanno cominciato ad emanciparsi. Sono esistite, infatti, monache emanuensi, insegnanti e bibliotecarie. Del XI sec. D.C. ricordiamo una donna alla quale è stato attribuito un trattato di medicina, Trotula, la quale ha insegnato alla Scuola Medica di Salerno. Si è occupata molto di ginecologia e ostetricia trasmettendo trattamenti che si sono diffusi in tutta Europa. Negli ultimi secoli del Medioevo alcune donne, escluse dalle gerarchie ecclesiastiche, si sono immerse in un intenso misticismo. Fra esse spiccava Caterina da Siena. Un’altra donna che ha segnato un cambiamento sostanziale in quegli anni è stata Giovanna D’Arco la quale è stata protagonista della riscossa francese contro l’Inghilterra nella Guerra dei Cent’anni marciando armata a capo delle truppe. Il finale però è stato penalizzante, in quanto è stata accusata per condotta scandalosa d’eresia e per il fatto di “sentire delle voci”. E’ stata bruciata al rogo. Dopo venticinque anni è stata ritenuta innocente e proclamata santa nel 1920. Nel Rinascimento , XV-XVI sec., la condizione della donna è mutata profondamente. A quei tempi è esistita una pioniera del femminismo, Christine De Pizan che ha ispirato alcuni scritti in difesa delle donne. Nel XV sec., pur essendoci ancora il ruolo ben definito del pater familias e la posizione principale della donna fra le mura domestiche ,si è verificato, però, che le donne sono entrate in politica, come duchesse, marchesi, principesse o regine pur avendo un ruolo marginale rispetto agli uomini. Fra le donne di spicco ricordiamo Lucrezia Borgia e la sua cultura musicale e linguistica. Sono Proliferati salotti culturali nelle corti italiane ed europee, patrocinate da donne di ceti elevati (patrizie) e nobili e sono circolate opere artistiche e letterarie. Si sono diffuse le letture al femminile. Mentre le donne giovani erano ancora molto vincolate le donne più grandi, vedove avevano la libertà di occuparsi di interessi culturali. Per quanto riguarda i cenacoli intellettuali nelle Corti italiane si sono distinte poetesse come Gaspara Stampa e Alessandra Scala e filosofe morali come Isabella Sforza. Il 1600 è stato un momento storico di ampliamento culturale e politico in generale dovuto alle scoperte geografiche. “Per la prima volta, sembra che valga la pena di sprecare tempo e cura a fare della donna una persona con un suo ruolo e un suo destino ben definito, non meno importante di quello dell’uomo.” (Bianchini, 1979, p.125). Nel 1791 è stata creata la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” di Olympe de Gouges, con cui l’autrice rivendicava il riconoscimento dei diritti naturali di cui la donna era stata privata per secoli. Oltre alla Rivoluzione francese e l’illuminismo ha lasciato il segno anche la Rivoluzione industriale. Durante quest’ultima il passaggio dal lavoro artigianale alla produzione di massa ha permesso l’entrata delle donne in fabbrica come salariate e le lotte per maggiori diritti proprio in ambito lavorativo. Altri diritti che venivano rivendicati erano la possibilità di insegnare nelle scuole superiori e, soprattutto, il diritto elettorale. Tra il 1800 e il 1900 è iniziata l’era del femminismo. La Rivoluzione francese, introducendo il modo radicale il principio di eguaglianza di fronte alla legge, ha posto le basi per le successive rivendicazioni femminili. Il film “Angeli D’acciaio” (titolo originale “Iron Jawed Angels”- USA 2004) è una testimonianza del movimento femminista Americano dai primi anni del ‘900 fino al riconoscimento nazionale del suffragio universale avvenuto nel 1921. Per rivendicare il diritto al voto, anche in paesi come l’Italia nella seconda metà dell’800 sono nati i primi movimenti delle sufragette, similmente a quanto avveniva in paesi come l’Inghilterra. Intanto la società borghese nell’epoca vittoriana, ovvero fino all’inizio del 1900, ancora creava una netta divisione tra i due sessi con il motto “All’uomo lo Stato, alla donna la famiglia”. Nella letteratura, a partire da metà dell’ ‘800, alla figura della donna-angelo cantata da Dante si è sostituita una figura di donna più aggressiva come si può evincere in questa poesia tratta da “I fiori del male” di Baudelaire: “Tu, che come un colpo di coltello sei entrata nel mio cuore che gemeva, tu, che potente come un esercito di demoni sei venuta, ornata e folle a fare del mio spirito umiliato il tuo letto ed il tuo reame…” In Italia, il fascismo ha relegato la donna alla definizione di angelo del focolare. Mussolini divideva i compiti dei due sessi in questo modo:<li uomini devono fare la guerra, le donne i figli> .Intanto però la donna è riuscita a creare una propria immagine che non coincide con quella del partito. Lo ha fatto attraverso la lettura rosa che ignorava l’iconografia fascista. Nel 1920 sono nati infatti rotocalchi ancor oggi esistenti come “Gioia” e “Grazia”. La donna vedeva in quei giornali immagini di donne all’aperto, belle, vestite a festa, chimere di ciò che difficilmente avrebbe potuto ottenere. La stampa femminile, quindi, è stata oltreché una fabbrica di sogni anche una fonte di stimoli da seguire per mettere in atto un’opposizione. Il ‘45 è stato un anno spartiacque fra la donna del fascismo e quella del nuovo Stato democratico. Una delle grandi lotte delle donne è stata quella relativa al diritto di voto, al quale le donne in Italia sono arrivate più tardi rispetto ad altri paesi. In Italia gli anni del dopoguerra sono stati caratterizzati dal ritorno degli uomini dalla guerra, i quali hanno sostituito le donne che lavoravano nelle fabbriche. Questo fattore legato ad un declino dell’occupazione ha comportato una stagnazione dell’occupazione femminile. Inoltre, nonostante la povertà di quegli anni le famiglie italiane rimanevano di grandi dimensioni e le nascite erano in crescita. Di conseguenza la dedizione femminile alla famiglia era ritenuta necessaria. Le donne che continuavano a lavorare erano coadiuvanti nell’ambito dell’agricoltura. Le modalità lavorative erano irregolari e informali. Tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 molte donne del Sud sono andate a lavorare in fabbrica al Nord, ma questo è stato un fenomeno di breve durata che è svanito nei primi anni sessanta. Allora molte donne sposate hanno dovuto abbandonare i campi a causa dello spostamento dalle campagne alle città. Aumentava il lavoro a domicilio e nascosto. Le donne che riuscivano a lavorare non rientravano a lavoro dopo la nascita dei figli. Dal punto di vista delle leggi l’Italia del ‘900 è stata caratterizzata da numerosi mutamenti. Mentre il primo paese a concedere il diritto alle donne è stata la Nuova Zelanda nel 1893, in America e in Inghilterra dopo il 1918, in Italia e in Francia il suffragio per entrambe i sessi è stato introdotto solo nel 1946. Nel 1948 la Costituzione repubblicana è stata l’approdo di ottant’anni di lotte in cui il movimento paritario si è dovuto misurare. La Costituzione, grazie anche alle donne votanti e alle elette, ha stabilito dei punti fermi irreversibili su tutte le questioni su cui si era incentrata fino ad allora la battaglia per ottenere la parità. Non solo l’art.3 ha riaffermato l’eguaglianza davanti alla legge ed è stata ribadita nei rapporti tra coniugi e nella struttura familiare (artt.29 e 30), nel lavoro subordinato della donna (art.37), nel diritto al voto (art.48), nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (art.51). Nilde Iotti ha detto: <La Costituzione è il più grande atto di questo secolo fatto in favore delle donne>. E’ stato segnato il distacco dal passato attraverso la proiezione extradomestica della vita femminile. Un’altra legge importante ai fini di un cambiamento di mentalità è stata la legge Merlin del 1958 n.75. Con essa è stato abolito il controllo statale della prostituzione. Nella prostituzione schedata la donna diventava merce da comprare e da usare e scompariva come persona in quanto diventava oggetto sessuale “ufficiale”. Dar fine a questa modalità di prostituzione ha permesso di rendere anche le prostitute padrone di sé e delle proprie scelte; inoltre, è stata l’occasione per analizzare le cause civili e sociali del fenomeno. Ritornando all’ambito del lavoro, invece, è bene citare la legge d’iniziativa parlamentare del 9 febbraio del 63 n.66 secondo cui “la donna può accedere a tutte le cariche, professioni e impieghi pubblici, compresa la magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera, salvo i requisiti stabiliti dalla legge” ha finalmente permesso alle donne di occuparsi di professioni fino ad allora rigorosamente maschili. Tuttavia, ancora la donna si sentiva in conflitto con le sue conquiste in un mondo modellato su valori maschili. L’emancipazione di quei tempi ha investito anche la struttura familiare. L’introduzione del divorzio è stato per la donna la liberazione da un ruolo predeterminato e obbligato (o prostituta o massaia). E’ avvenuto un passaggio dal matrimonio legato ad interessi economici e sociali a quello basato sulla comunione spirituale e materiale di vita fra i coniugi. In Italia il testo definitivo del divorzio appartiene al 1975. Negli stessi anni è stata introdotta anche la legge sull’aborto che ha significato un’ulteriore slancio verso la libertà di scelta delle donne e si sono diffusi i metodi contraccettivi. Poco dopo un’altra legge fondamentale è stata la n.903 del 9 dicembre 1977 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Legge nata in occasione di un rinnovato interesse al tema della parità a livello nazionale. La CEE ha emanato due direttive nel ‘75 sulla realizzazione della parità salariale e nel ‘76 sull’attuazione della parità tra uomini e donne nell’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale. Era sedimentata da tempo la legislazione protettiva che, pur essendo finalizzata ad evitare lo sfruttamento, allo stesso tempo gravava di vincoli l’impiego della manodopera femminile nell’industria. Si è inteso sostituire a quel punto alla logica della protezione la legge dell’uguaglianza grazie anche ad una legislazione sui diritti del lavoratore (orario massimo, ferie retribuite, riposo settimanale, ecc.). Questo ha eliminato anche la possibilità di dare alla donne ingiustificati benefici. Dal 1972 al 1989 le donne occupate sono aumentate in Italia. Sono entrate soprattutto nel terziario. Inoltre una maggiore scolarizzazione-intellettualizzazione ha creato una nuova qualità della risorsa donna in ambito professionale. Sono stati gli anni della doppia presenza in cui si è evidenziata da parte della donna il doversi divincolare tra lavoro e famiglia. L’invecchiamento della popolazione è diventa un ostacolo per le vite lavorative femminili in quanto la cura degli anziani e prevalentemente a carico delle donne adulte. In Italia lo svantaggio maggiore è stato dovuto al fatto che fossero messi in atto pochi part time. Le più giovani hanno iniziato a tardare l’entrata nel mondo del lavoro investendo maggiormente negli studi. Le donne hanno lavorato in quel periodo in vari settori entrando anche nella pubblica amministrazione e diventando imprenditrici. L’emancipazione non ha significato solo ingresso della donna nella polis ma anche espressione completa della personalità femminile. Tuttavia, a parità di titolo di studio, le donne hanno occupato rispetto agli uomini posizioni inferiori. Inoltre, nella scelta della professioni altamente femminilizzate pesano i percorsi di studi seguiti., come i corsi di indirizzo letterario e umanistico. Queste scelte hanno creato uno squilibrio di opportunità fra uomini e donne sul mercato del lavoro. Quelle delle donne speso erano scarsamente coerenti con la richiesta. Così negli anni ‘80 la disoccupazione femminile è aumentata paradossalmente in quanto un ampio potenziale di lavoro femminile tende a consolidarsi ai margini del mercato. Tra il ’79 e il ‘92 in Italia le donne in politica sono aumentate ma erano ancore poche (come Nilde Iotti nel PCI), mentre in altri paesi del mondo sono state più attive. In quegli anni era problematica la questione della maternità, in quanto si erano incrementate le nascite fuori dal matrimonio e i matrimoni erano più instabili. Oltre ciò si sono create nuove visioni di famiglia attraverso gli affidi, le adozioni e le procreazioni artificiali. Pian piano Le donne, che hanno conquistato l’autonomia attraverso il lavoro, hanno assimilato i modelli della cultura maschile. Gli uomini si sono aperti alle emozioni, a interessi reputati un tempo femminili e hanno iniziato a stabilire un rapporto con i figli basato su presupposti diversi. Le famiglie adesso hanno aspetti eterogenei e si fondano su una certa espansione della soggettività lasciando da parte la concezione della famiglia come gruppo. Oggi la donna è molto più emancipata, ma la questione femminile è molto diversa da paese a paese. La parità in paesi come l’Afganistan è solo un sogno. In altri paesi come il nostro sicuramente la donna viene riconosciuta in molti diritti. Ma in realtà la nostra è ancora una società patriarcale e il gap tra il mondo maschile e quello femminile è evidente. BIBLIOGRAFIA Bianchini A. (1979).Voce di donna, Milano, Bompiani, Connell, R.W. (2006), Questioni di genere, Bologna: Il Mulino. 2.3 Identità di genere Appartengono alle scienze sociali i cosiddetti Women’s Studies che sono stati approfonditi a partire dagli anni Sessanta, per allargare una visione dell’universo umano basato sull’androcentrismo, sul quale si basava la ricerca scientifica. Per Freud la differenza di genere è radicata nella biologia ed è immodificabile. Secondo la teoria psicosessuale freudiana i bambini di entrambi i sessi sono inizialmente convinti di essere tutti uguali. La femminilità sarebbe il risultato del riconoscimento dell'assenza del pene. Mentre, la mascolinità è uno stato naturale, la femminilità è una modificazione di questa. È l’epoca della critica femminista alle scienze sociali e alla retorica che associa la scienza alla mascolinità: si è cercato di riconoscere una concezione asessuata della scienza, dei metodi, dei linguaggi e dei concetti di analisi, al fine di individuare elementi e strutture il più possibile neutri (Peiffer, 2000). Il termine genere è stato introdotto in America grazie al movimento femminista in contrasto con il determinismo biologico e si è diffuso in Europa alla fine degli anni settanta. Robert Stoller (1968) ha teorizzato il concetto di identità di genere: il bambino/a è consapevole della sua mascolinità/femminilità già entro il primo anno e mezzo di vita, al di là del DNA o dall’anatomia dei genitali. Secondo Stoller, sono fondamentali le etichettature di genere da parte dei genitori. Secondo lo studioso intorno ai 3 anni si consoliderebbe in ogni individuo un nucleo di identità di genere. All'età di 4 o 5 anni interiorizzerebbero gli stereotipi dei ruoli sessuali specifici della loro cultura diventando consapevoli della propria identità di maschio o di femmina. È utile considerare il contributo, rispetto a tali questioni, dato dall’antropologia, in particolare dalle ricerche etnografiche di Margaret Mead che, a partire dallo studio di diverse popolazioni della Nuova Guinea e dell’isola di Samoa. Mead ha mostrato la potenza della trasmissione delle identità di genere da parte della famiglia e della comunità di appartenenza (Mead, 1963). L’autrice ha osservato come i comportamenti di uomini e donne siano condizionati dall’educazione che viene loro impartita dai primi giorni di vita. La nozione di genere, in altre parole, si afferma contro la riduzione delle differenze tra l’uomo e la donna al sesso, inteso come differenza anatomica e biologica. La prospettiva essenzialista è così chiamata in ragione della sua centratura sulle qualità considerate come innate; la base biologica è considerata quale elemento fondante per la definizione delle qualità personali. Si tratta, dunque, di un punto di vista che considera come “naturali” certe differenze e determinate caratteristiche (Chodorow, 1978; Daly, 1978, 1979; Gilligan, 1982). La Chodorow, infatti, è stata una delle prime donne ad esplorare questo campo di ricerca. sceglie la teoria delle relazioni oggettuali come approccio allo studio dello sviluppo psicodinamico dell'Io, della differenza sessuale e delle psicodinamiche femminile e maschile. Il concetto di identità di genere (gender Self) rappresenta uno dei contributi più significativi della Chodorow. Il concetto di soggettività di genere aiuta a comprendere ancor meglio quello di identità di genere. Con il concetto di soggettività di genere si intendono i significati soggettivi creati psicologicamente a partire dalle rappresentazioni interiori, dalle emozioni, dagli affetti e dalle fantasie presenti nelle prime relazioni parentali. La soggettività di genere si crea a partire dalla storia personale di ogni bambina e di ogni bambino: esperienze personali e fantasie nelle relazioni con i genitori, esperienze corporee e abitudini comportamentali, credenze e valori culturali. Su di essa influisce, ovviamente, il genere dei genitori, vissuto nel loro rapporto con i bambini e le bambine, insieme al condizionamento della cultura. La Chodorow sostiene che la relazione primaria con la madre differisce in modo sistematico a seconda che si tratti di una bambina o di un bambino e comincia ad aver luogo nei primi otto mesi di vita. La capacità dell'esercizio materno si sviluppa nelle bambine, ma non nei bambini. L’educazione dei bambini rispetto alle norme di genere è un ambito nel quale gli studi e le analisi delle scienze sociali hanno proposto diversi tipi di interpretazione: in ogni caso, l’importanza attribuita alla socializzazione, con diverse considerazioni del peso del ruolo degli elementi compresi in tale processo, resta centrale. Gianini Belotti sottolinea come nell’educazione delle bambine vigano alcune istanze specifiche, e diverse rispetto a quelle tipicamente valorizzate nell’educazione dei bambini (Gianini, Belotti, 1973). La Scuola è stata a lungo pensata in modo distinto per maschi e femmine e, sebbene riservata a bambini e bambine dei livelli sociali più elevati, in ogni caso era soprattutto destinata a formare futuri adulti conformemente ai tradizionali ruoli maschili e femminili: Rousseau, nel XVIII secolo, indica quelle che sono le capacità che una bambina è bene che apprenda o no (Rousseau 1762, 1995). BIBLIOGRAFIA Chodorow, N. (1978), The Reproduction of Mothering. Psychoanalysis and the Sociology of Gender, Berkeley: University of California Press Gianini Belotti, E. (1973), Dalla parte delle bambine, Feltrinelli: Milano. Pfeiffer, J. (2000), « Les débuts de la critique féministe des science en France (1978-1988) » in Gardey, D., Lowy, I., dir., L’invention du naturel, Paris : L’Harmattan. Mead, M. (1935, 1967), Sesso e temperamento in tre società primitive, Milano: il Saggiatore Rousseau, J.-J. (1762, 1995), Emilio o dell’educazione, a cura di Nardi, E., Firenze: La Nuova Italia. Stoller, R.J. (1968), Sex and Gender. Vol. 1. On the Development of Masculinity and Femininit, London: Hogarth Press. 2.4 Norme e donne Le norme relative al lavoro nel periodo precostituzionale sono state basate su due esigenze: difendere la salute contro i danni fisici derivanti da determinate modalità di lavoro, considerando che le donne erano paragonate ai fanciulli; e partire dal presupposto che, secondo il pensiero di allora, la donna era caratterizzata da una evidente inferiorità. Su queste esigenze si è portata avanti una linea protettiva verso l’universo femminile. Tuttavia solo nel 1902, con la legge n.242, nota come legge Carcano, è stato regolamentato l’uso della forza lavoro femminile. Sono stati vietati alle donne i lavori sotterranei e i lavori insalubri e pericolosi; il limite del monte orario giornaliero è stato stabilito a 12 ore. Inoltre, è stato istituito il cosiddetto congedo per maternità dopo il parto, della durata di un mese, riducibile, peraltro, a tre settimane. Tuttavia, tale decreto ha incontrato delle difficoltà nella sua espletazione. La legge di tutela della donna consisteva nell’astensione obbligatoria dal lavoro non retribuita, quindi, era penalizzante per l’economia delle stesse e delle famiglie. Inoltre, la tutela era valida solo in caso di lavoro nelle industrie, mentre non era prevista nel lavoro agricolo e domiciliare. La legge del 1907 sul lavoro notturno era discriminante in quanto metteva ancora sullo stesso piano donne e fanciulli, questi inferiori a 15 anni, e imponeva divieti nell’effettuare il lavoro di notte (tranne in alcuni casi eccezionali). Le principali leggi sul lavoro femminile sono state stabilite nel periodo fascista, fra queste le più incisive sono state: la legge del 23 aprile 1934 n.653, sulla tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, e la legge del 5 luglio1934 n.1347, sulla tutela della maternità delle lavoratrici. Quest’ultima ha instituito il congedo di maternità relativo al periodo precedente al parto. Era imposto il divieto di licenziamento della lavoratrice e l’assicurazione obbligatoria di maternità. Tutte queste disposizioni di legge apparentemente hanno offerto alla donna dei privilegi, ma hanno contribuito a relegare la donna all’ambito domestico (coerentemente con il volere fascista). Solo con l’emanazione della Costituzione si è realizzato un equilibrio nel rapporto uomo-donna in ambito sociale e lavorativo. L’art.37 della Costituzione recita “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, la stessa retribuzione che spetta al lavoratore. Le condizioni del lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”. Mentre è stato riconosciuto di il diritto di uguaglianza alla donna è sorta, però, un’ambiguità rispetto al concetto di “essenziale funzione familiare”. L’unico modo per superarla era creare condizioni di conciliazione tra sfera lavorativa e sfera familiare per la donna. Un altro momento storico di cambiamento legislativo è stato nel 1968 quando la Corte di Cassazione ha previsto, quale presupposto unico alla parità retributiva, l’espletamento di identiche funzioni lavorative, in relazione alla qualità e alla quantità del lavoro fornito. Negli anni ’50 un altro svantaggio per le donne è stato dovuto all’inserimento della clausola di nubilato che comportava il licenziamento delle donne per causa matrimonio. Finalmente con l’entrata in vigore della legge n.7 del 1963 sono stati annullati i licenziamenti a causa di matrimonio. In generale, Legge n. 300 del 20 maggio 1970 ("Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento"),è una delle norme principali del diritto del lavoro in Italia. L'esigenza di una regolazione precisa ed equitativa dei meccanismi del mondo del lavoro post-fascista e di una nascente democrazia. Altre due norme importanti sono state: la legge n.1204/71 “sulla tutela delle lavoratrici madri”e la legge n.1044/71 sul “piano quinquennale per l’istituzione degli asili nido comunali”. Quest’ultima ha rappresentato il primo strumento legislativo finalizzato a spostare la cura e la tutela del bambino dalla famiglia alla comunità, attraverso un’accurata programmazione dei servizi sociali con un diretto appoggio delle Regioni e degli enti locali. Sempre in quel periodo è stata estesa alle lavoratrici a domicilio l’applicazione delle norme relative al divieto di lavoro nel periodo pre e post-partum, al divieto di licenziamento, nonché all’obbligo di assistenza sanitaria e ospedaliera. La legge ha disposto: il divieto di licenziamento della lavoratrice madre, la previsione di un periodo di astensione dal lavoro obbligatoria per maternità, la corresponsione di un’indennità di maternità per tutto il periodo di sospensione dal lavoro. L’art.7 della legge 1204, poi ha consentito di estendere l’astensione dal lavoro postpartum “per un periodo, entro il primo anno di vita del bambino, non superiore a sei mesi”. E’ prevista, altresì la possibilità di assentarsi anche “durante le malattie del bambino di età inferiore a tre anni, dietro presentazione di certificato medico”. La sezione III della legge 1204, si è occupata, infine, dei trattamenti economici di maternità agli articoli 13,15 e 35: durante tutto il periodo di astensione obbligatoria la legge assegna a tutte le lavoratrici, la corresponsione di un’indennità giornaliera di maternità pari all’80% della retribuzione, ridotta, per il periodo di astensione facoltativa, al 30%. L’indennità, corrisposta materialmente dal datore di lavoro, è a carico dell’Inps e non è subordinata a particolari requisiti contributivi. Mentre nel ’77 la legge n. 903 rappresentava il passaggio dalla tutela alla parità, successivamente è stata introdotta la legge 125 del ’91 (vedi allegato). Con la Legge 10 aprile 1991 n. 125 il legislatore italiano ha cercato di dare una risposta complessiva alle nuove esigenze e ai problemi di interpretazione ed applicazione delle normative antidiscriminatorie emerse precedentemente. L’indennità spetta alle lavoratrici dipendenti che si assentano dal lavoro per un periodo di 5 mesi, utilizzabile in forma flessibile a partire dal nono mese di gravidanza. Le lavoratrici che svolgono lavori faticosi o pericolosi e che non possono essere adibite ad altre mansioni possono anticipare, per rischio, il periodo di astensione obbligatoria che precede il parto e posticipare i periodi di astensione obbligatoria successivi al parto. Il periodo di astensione obbligatoria successivo al parto può essere prorogato sino alla fine del 7° mese dopo il parto stesso. In caso di parto prematuro, alla madre viene data la possibilità di recuperare i giorni di assenza obbligatoria persi prima del parto, in modo che la durata del congedo sia sempre di cinque mesi. L'indennità spetta anche in caso di adozione e affidamento. In questi casi, l’indennità spetta per i 3 mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria, a condizione che non abbia superato i 6 anni di età, 18 anni per le adozioni o gli affidamenti preadottivi internazionali. In caso di morte o di grave malattia della madre, di abbandono del figlio da parte della stessa o di affidamento esclusivo al padre, l'indennità per astensione obbligatoria dal lavoro spetta al padre lavoratore. L’indennità spetta anche alle lavoratrici autonome (coltivatrici dirette, colone, mezzadre, artigiane e commercianti) iscritte nei rispettivi elenchi prima del periodo indennizzabile, in regola con il versamento dei contributi. Le libere professioniste che richiedono la maternità possono assumere come reddito di riferimento per calcolare l'indennità solo quello professionale, con esclusione di quanto eventualmente percepito per altre attività svolte. L'indennità di maternità non spetta mai ai padri liberi professionisti. A differenza di quanto avviene per i padri lavoratori dipendenti, che hanno diritto all'astensione dal lavoro ed al relativo sussidio, qualora la madre non possa avvalersene, la legge non prevede analoghe facilitazioni per gli autonomi. La legittimità di tale norma è stata anche ribadita dalla sentenza n. 285 del 28 luglio 2010 della Corte Costituzionale. In caso di adozione internazionale, le libere professioniste che abbiano adottato un bambino hanno diritto a percepire l’indennità di maternità anche se il minore ha superato i sei anni di età. Tale possibilità è stata introdotta da una sentenza della Corte di Cassazione, che ha dichiarato incostituzionale la norma che non lo consentiva, ovvero l'articolo 72 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità. Per le professioniste, il reddito da considerare non è più quello prodotto al momento della presentazione della domanda, bensì quello percepito nel secondo anno precedente l’evento. Viene inoltre introdotto un limite massimo dell'indennità, pari a 5 volte l'importo minimo già prescritto dalla legge, ferma restando la potestà delle singole Casse di stabilire importi più elevati. Con il decreto interministeriale del 4 aprile 2002 si è disposto che l'indennità di maternità deve essere erogata anche alle lavoratrici parasubordinate iscritte alla gestione separata dei lavoratori autonomi (collaboratori coordinati e continuativi e libere professioniste). La Circolare Inps numero 93 del 26 maggio 2003 ha poi precisato le modalità di misura e calcolo dell’indennità di maternità a favore di questi soggetti. Alle mamme lavoratrici precarie spetta l’assegno di maternità dello Stato. Anche alle atlete, "che esercitano attività sportiva anche in modo non esclusivo, a fronte di un compenso in qualsiasi forma corrisposto" deve essere riconosciuto l’indennità di maternità. Nei primi otto anni di età del bambino i genitori, lavoratori dipendenti, hanno il diritto al congedo parentale di assentarsi dal lavoro, anche contemporaneamente: • la madre può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi; • il padre può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 7 mesi; Le astensioni dal lavoro, se utilizzate da entrambi i genitori, non possono superare il limite complessivo di 11 mesi. • il genitore solo può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 10 mesi; • i genitori adottivi o affidatari possono usufruire del congedo parentale entro i primi 8 anni dall’ingresso del bambino in famiglia, a prescindere dall’età del bambino, e comunque non oltre il raggiungimento della maggiore età). Le mamme con contratto di lavoro a tempo determinato hanno anche loro diritto, entro il primo anno di vita dei figli, ad un congedo di tre mesi con retribuzione pari al 30% del reddito percepito. Inoltre, per aiutare le famiglie a conciliare vita e lavoro, viene innalzato il limite d’età dei minori per i quali si può chiedere il congedo parentale: da 8 a 12 anni di età in caso di affidamento e da 12 a 15 anni, in caso di adozione. Le lavoratrici autonome possono astenersi dal lavoro per 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino. Ai padri lavoratori autonomi non è riconosciuto il diritto al congedo parentale A partire dal 1° gennaio 2007, le lavoratrici e i lavoratori parasubordinati, che non siano titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, possono astenersi dal lavoro per 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino. L'indennità di maternità o "indennità per astensione obbligatoria"', è sostitutiva della retribuzione viene pagata alle lavoratrici assenti dal lavoro per gravidanza e puerperio o per interruzione di gravidanza dopo il 180° giorno. A chi spetta • Alle lavoratrici/lavoratori dipendenti, compresi quelli comunitari o extracomunitari; alle lavoratrici/lavoratori autonomi (coltivatrici/coltivatori dirette, mezzadre/i e colone/i, artigiane/i e commercianti); • alle lavoratrici/lavoratori domestiche (colf e badanti); • alle lavoratrici/lavoratori agricole/i; • alle lavoratrici/lavoratori iscritti alla gestione separata (lavoratrici/lavoratori a progetto, associate/i in partecipazione) che non siano iscritte/i ad altra forma di previdenza, non titolari di pensioni e che versino, dal 1° gennaio 2008, l'aliquota del 24,72%; • al padre lavoratore dipendente, in alternativa alla madre lavoratrice, in casi particolari. L’indennità di maternità spetta anche nei casi di adozione o di affidamento, secondo le seguenti modalità. In caso di affidamento: l'indennità di maternità spetta - entro 5 mesi dall'affidamento - per un periodo massimo di 3 mesi, a prescindere dall'età del minore. In caso di adozione nazionale: l’indennità spetta per i 5 mesi successivi all’ingresso del minore in famiglia, a prescindere dall’età del minore. In caso di adozione internazionale: l'indennità spetta per un totale di 5 mesi, a prescindere dall'età del minore. Il congedo può essere utilizzato, anche parzialmente, prima dell'ingresso del minore in Italia, durante il periodo di permanenza all'estero necessario per l'incontro col minore e per il completamento della procedura adottiva. E' una prestazione che spetta alle madri residenti, cittadine italiane, comunitarie o extracomunitarie in possesso del 'permesso CE per soggiornanti di lungo periodo, per ogni figlio nato, adottato, o in affidamento preadottivo. Dal 1 gennaio 2007 (vedi allegato), ai collaboratori iscritti alla gestione separata Inps, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria, spetta una indennità giornaliera di malattia a carico dell’Inps, per eventi non inferiori a 4 giorni ed entro un limite massimo di giorni pari a un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro e comunque non inferiore a 20 giorni nell’arco dell’anno solare. L’importo dell’indennità è pari al 50% di quanto corrisposto a tale categoria di lavoratori a titolo di indennità per degenza ospedaliera. I requisiti contributivi e reddituali sono gli stessi previsti per la corresponsione dell’indennità spettante in caso di degenza ospedaliera. E’ altresì previsto un trattamento economico per congedo parentale, in relazione agli eventi di parto verificatisi a decorrere dal 1 gennaio 2007, nonché nei casi di adozione o affidamento per ingressi in famiglia a decorrere dal 1 gennaio 2007. Il trattamento economico spetta per un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino, ed il suo importo è pari al 30% del reddito preso a riferimento per il calcolo dell’indennità di maternità. Viene poi riconosciuta, in principio, la gravidanza a rischio. Si prevede infatti che, con decreto interministeriale, venga disciplinata l’applicazione, ai collaboratori, degli artt. 17 e 22 del d.lgs.151/2001 (Testo Unico Maternità e Paternità), che si riferiscono, rispettivamente, all’astensione anticipata dal lavoro in caso di gravidanza a rischio, e al relativo trattamento economico e normativo. 6 LEGGE 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) Norme in materia di lavoro - Scheda di lettura e commento CISL USR Lombardia - Sito internet: www.lombardia.cisl.it > Chi siamo > I dipartimenti > Lavoro e formaz L'assegno spetta alla madre che: • abbia un rapporto di lavoro in essere e una qualsiasi forma di tutela per la maternità e abbia almeno 3 mesi di contribuzione (da lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo) nel periodo compreso fra i 18 e i 9 mesi precedenti la nascita del bambino (o il suo inserimento in famiglia, nel caso di adozione o affidamento), ma che non abbia raggiunto i requisiti per l’indennità di maternità o risulti di importo inferiore all’assegno (in questo caso spetta la differenza); • si sia dimessa volontariamente dal lavoro durante la gravidanza ed abbia almeno 3 mesi di contribuzione (da lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo) nel periodo compreso fra i 18 e i 9 mesi precedenti la nascita del bambino (o il suo inserimento in famiglia, nel caso di adozione o affidamento); • precedentemente abbia avuto diritto ad una prestazione dell'Inps (ad esempio per malattia o disoccupazione) per aver lavorato almeno tre mesi (come subordinata, parasubordinata o autonoma), purché tra la data della perdita del diritto a prestazioni previdenziali e la data di nascita o di ingresso del minore in famiglia non siano trascorsi più di nove mesi. Ai fini del diritto all'assegno di maternità, sono considerati utili anche i periodi di lavoro svolti negli altri Stati membri dell'Unione Europea e in Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. La lavoratrice, pertanto, può raggiungere il requisito contributivo necessario (3 mesi) sommando i periodi di lavoro italiani con quelli esteri. Tali periodi, però, non devono essere coincidenti e la lavoratrice deve avere almeno un contributo settimanale in Italia. La domanda per l’assegno deve essere presentata all’INPS entro 6 mesi dalla nascita o dall’adozione o dall’affidamento preadottivo. Se l’INPS accoglie la domanda, dopo i dovuti accertamenti, il beneficiario ha diritto a ricevere l’assegno entro 120 giorni dalla data di presentazione della domanda. Se, invece, l’INPS non accoglie la domanda, questa viene automaticamente trasmessa al comune territorialmente competente perché il richiedente riceva l’ assegno di maternità concesso dai Comuni’. Il comune di residenza può concedere un assegno di maternità per ogni figlio nato, adottato o in affidamento preadottivo. L’assegno spetta in alternativa: • alla madre naturale, all’affidataria in preadozione, all’adottante; • al padre naturale, al coniuge della donna adottante o affidataria, all’adottante non coniugato, all’affidatario preadottivo. Il richiedente deve: • risiedere in Italia al momento della domanda; • se extracomunitario, essere in possesso del 'permesso CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno); • non beneficiare di alcuna indennità di maternità; • il reddito del nucleo familiare di appartenenza non deve superare testo un determinato limite stabilito ogni anno dalla legge. La domanda per l'assegno deve essere presentata al Comune di residenza della madre entro 6 mesi dalla nascita o dall'adozione o dall'affidamento preadottivo. Chi richiede l’assegno di maternità dello Stato non ha diritto all’assegno concesso dai comuni. 2.5 Molestie sessuali e mobbing Il decreto legislativo n. 5/2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 5 febbraio 2010, serie generale n. 29, ha emanato il recepimento della Direttiva n. 54 del 2006 relativa al principio "delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego". Il decreto prevede il divieto di discriminazione per ragioni connesse al sesso, allo stato di gravidanza, di maternità o paternità, anche adottive. Vengono garantiti l'accesso al lavoro, la parità di trattamento economico per la medesima mansione, la mobilità verticale nella carriera. Tra i fattori discriminanti, sono considerati i trattamenti di sfavore subiti da chi ha rifiutato comportamenti indesiderati o molestie sessuali, espresse a livello fisico, verbale o non verbale, che violano la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e creano un clima intimidatorio e offensivo. Sanzionabili anche le discriminazioni cosiddette "indirette", ossia quelle provocate da disposizioni, prassi, atteggiamenti in apparenza neutri che mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di svantaggio rispetto ai lavoratori dell'altro sesso. Le molestie e le molestie sessuali sono contrarie al principio della parità di trattamento fra uomini e donne e costituiscono forme di discriminazione fondate sul sesso. Pertanto dovrebbero essere vietate e soggette a sanzioni efficaci. Ma perché un fatto acquisisca la valenza di problema sociale occorre che sia visibile e riconosciuto come tale. Le molestie sessuali hanno ricevuto attenzione reale nel momento in cui sono stati definiti come molesti dei comportamenti che in passato non erano definiti così. Quel che un tempo era ritenuto come un prezzo naturale ed inevitabile da pagare da parte delle donne oggi è detto molestia e riconosciuto sulla scena sociale.“Ciò che ieri veniva vissuto dalle donne con disagio, a volte necessariamente dissimulato , oggi acquisisce il valore di un’impropria , offensiva e oltraggiosa prevaricazione che il soggetto maschile esercita nei confronti delle donne, oppure esercita nei confronti di soggetti del proprio genere. (C. Ventimiglia, 2003). Nel 1998 è stato approvato in Italia il DDl.1286 del 23 Aprile, ovvero: “Norme per la tutela della dignità e libertà della persona che lavora, contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro”. Gli ambienti di lavoro sono quelli in cui si registrano maggiormente comportamenti sessualmente molesti. La Commissione della Comunità Europea sulla tutela delle donne e degli uomini sul lavoro (1991) ha recepito le indicazioni concettuali fornite dal Rapporto di Michael Rubenstein del 1987, e ha introdotto il concetto di non gradimento di determinati comportamenti e di indesiderabilità da parte di coloro che sono le vittime. Tale Rapporto ha introdotto anche il concetto di intenzionalità dell’autore dei comportamenti molesti. Anche per quanto riguarda il mobbing il riconoscimento e la trattazione di questo problema è andata di pari passi con i processi di civilizzazione e della modificazione della soglia di tolleranza dinanzi a determinati fatti. In Italia risale al 1999 una sentenza che è stata la prima di risarcimento per danno biologico da mobbing. Molestie sessuali e mobbing non coincidono. Le molestie infatti possono anche avere carattere di estemporaneità, il mobbing richiede, invece, tra le altre, la caratteristica di continuità nel tempo e di perseveranza in un determinato periodo; inoltre la molestia sessuale riguarda essenzialmente i due generi, il mobbing, invece, può avvenire anche tra soggetti dello stesso genere. La letteratura scientifica considera Il mobbing come quadro d’insieme caratterizzato dall’intenzionalità di colpire il lavoratore nel tentativo di renderlo incapace di reagire. Il mobbing è un fenomeno relazionale patologico che si realizza nei contesti lavorativi organizzati. Presuppone la presenza di almeno due persone nel ruolo di attori (mobber e mobizzato) e di altre in quello di spettatori. Si manifesta con la messa in atto di precisi comportamenti vessatori e persecutori da parte di una o più persone ai danni di una o più persone. Le vessazioni continue sono guidate dalla spinta di disfarsi o di screditare la vittima distruggendone l’autostima. Il mobbing produce nella vittima un danno che può essere lavorativo, sociale esistenziale e biologico, oltreché comportare l’estromissione dal contesto lavorativo in cui opera il soggetto. Il mobber coglie le debolezze psicologica della vittima, organizza e attua un piano, e la chiude dentro una rete invischiante , che ne rende difficile la lucidità e la possibilità di reagire. Per osservare e trattare tali vessazioni Il C.C.N.L. comparto Sanità personale non dirigente, ha previsto l'istituzione, all'interno di ogni Azienda o Ente, di appositi Comitati paritetici per le Pari Opportunità e sul Fenomeno del Mobbing quali organismi di rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori, allo scopo di prevenire e di rimuovere ogni forma di discriminazione e di promuovere l'effettiva parità tra tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, di tutelarne la salute, la dignità e la professionalità e di garantire un ambiente di lavoro sicuro, sereno, orientato alle relazioni interpersonali e fondato su principi di solidarietà trasparenza, cooperazione e rispetto. BIBLIOGRAFIA C. Ventimiglia “Disparità e disuguaglianze. Molestie sessuali, mobbing e dintorni” (2003) Franco Angeli 2.6 Stereotipi di genere Lo stereotipo è la tendenza cognitiva a categorizzare per semplificare il mondo. Gli stereotipi sono un background comune che può servire come punto di riferimento nella comunicazione ed influenzare la nostra identità sociale. Essi sono negativi in quanto associati a: 1 Distanza dalla realtà 2 Fissità, rigidità 3 Incapacità di accettare le differenze Infatti, l termine stereotipo deriva dal greco stereos = rigido e tupos = impronta. Gli stereotipi di genere sono“Immagini e rappresentazioni comuni e semplificate della realtà trasmesse socialmente, che influenzano il pensiero collettivo, le convinzioni e le idee di un determinato gruppo sociale rispetto all’essere uomo e all’essere donna” [Ruspini, 2003]. Nei secoli gli stereotipi legati al sesso femminile sono stati numerosi. A partire dall’ambito religioso: pensiamo all’ interpretazione patriarcale del ruolo femminile nel Vecchio testamento. Durante il Medioevo la donna è stata associata a diversi stereotipi legati alla stregoneria e alla superstizione. Nel tempo la donna è stata ingabbiata in definizioni come: essere inferiore, limitata verso determinate prestazioni, angelo del focolare, dotata di emotività eccessiva, incapace di assumere responsabilità nel lavor, ecc.. Oggi un altro stereotipo è quello della donna /corpo, utilizzabile come prodotto commerciabile. Pur esistendo le differenze tra uomini e donne, nessuno studioso oggi può pensare che vi siano influenze unicamente biologiche o unicamente sociali sullo sviluppo dell’identità di una persona, e quindi anche della sua identità di genere sessuale . La strategia utile per garantire a tutti la vera parità di opportunità appare non la negazione o l’annullamento delle differenze, ma il loro riconoscimento e la loro valorizzazione, all’interno di condizioni sociali e culturali che non penalizzino le differenze stesse. Sarebbe importante riuscire a mischiare in modo intelligente e fantasioso, da ambo le parti, gli interessi in apparenza separati e trasferirli in ambedue i campi con spirito di reciprocità, per ammettere che gli stereotipi trovino la strada per scomparire (S. Ulivieri, 1992) BIBLIOGRAFIA Educazione e ruolo femminile. La condizione delle donne in Italia dal dopoguerra a oggi. (1992) A cura di Simonetta Ulivieri. Contributi di A. Bertondini, F.Bimbi, F. Cambi, G. Campani, C. Covato, A. galoppini, A. Porcheddu, F. Pristinger, S.Ulivieri Ruspini, E.(2003) Le identità di genere, Carocci, Roma All.