Relazione prof.ssa Milena Viassone
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Relazione prof.ssa Milena Viassone
“La presenza femminile nella corporate governance e nei processi decisionali. Esperienze tra Cuneo e Francia”, Cuneo, 5 ottobre 2015 Relazione di Milena Viassone Professore Associato di Economia e gestione delle imprese – Università di Torino, Sede di Cuneo I RISCHI DELLA DISCREZIONALITÀ MANAGERIALE E GLI STRUMENTI DI CORPORATE GOVERNANCE La Corporate Governance è una tematica al centro del dibattito accademico internazionale e di sempre maggiore attualità. Occorre però ripercorrere alcuni momenti significativi che hanno portato allo sviluppo di tale concetto. A tal fine occorre ricordare che fino agli anni ’30 l’impresa era così definita: un’organizzazione che combina risorse e produce beni e servizi in vista di un obiettivo di profitto; nel 1932 Berle e Means conducendo una ricerca su 200 società americane scoprirono che il 44% di queste imprese aveva azionisti che possedevano una percentuale minore o uguale al 5%, dimostrando come la struttura dell’impresa fosse sempre maggiormente frazionata ed evidenziando il problema della separazione tra proprietà e controllo. Nel 1975 Jensen e Meckling descrissero per la prima volta il famoso “rapporto di agenzia” ovvero il rapporto in cui un soggetto (agente) svolge un’attività nell’interesse di un altro soggetto (principale). Questo rapporto è connotato da tre principali caratteristiche: - l’agente gode di discrezionalità, ovvero può stabilire in modo indipendente come perseguire l’interesse del principale; - asimmetria informativa: il manager è il soggetto che detiene il maggior numero di informazioni all’interno dell’impresa; - la remunerazione dell’agente almeno in parte non dipende dal risultato. In realtà il problema della separazione tra proprietà e controllo dovrebbe non esistere nelle società per azioni; infatti, tale forma giuridica prevede già un sistema di norme volte a garantire che l’impresa sia gestita nell’interesse degli azionisti. Nelle S.p.A. è prevista infatti la presenza dell’Assemblea degli azionisti, con poteri di nomina e revoca del C.d.A., di approvazione del bilancio e di decidere su materie di particolare importanza e del Consiglio di Amministrazione, che riunisce i consiglieri i quali hanno il compito di stabilire una linea strategica e sorvegliare sulla buona realizzazione della stessa. De iure, tale struttura, dovrebbe impedire un disallineamento di interessi tra la proprietà e il management. Di fatto, invece, accade spesso che sia l’Assemblea degli azionisti, sia il C.d.A. siano lontani dallo svolgere in modo efficace i propri compiti e a volte i manager con cattive performance riescano a rimanere in carica più del dovuto. Al fine di ovviare al problema della separazione tra proprietà e controllo nasce il concetto di Corporate Governance, ovvero un sistema di norme e di vincoli che disciplinano i rapporti tra azionisti e management e che si assicura che l’impresa sia gestita nell’interesse dei primi (Monks e Minow, 2001). Un sistema di Corporate Governance deve essere giudicato in base a tre elementi: 1. capacità di impedire ai manager di sfruttare la gestione di impresa per trarne vantaggi impropri; 2. capacità delle imprese di trovare finanziamenti; 3. capacità di rimuovere un management inefficiente. In particolare esistono due diverse tipologie di disallineamento di interessi tra manager e azionisti: - in buona fede (es. i manager possono attuare investimenti che non massimizzano la ricchezza degli azionisti o troppo rischiosi); - forme di opportunismo: azioni illecite (ovvero violazione delle norme civili o penali, da manager che fuggono con la cassa a nuove metodologie), ricerca di benefici privati (ovvero uso e appropriazione di beni e fondi aziendali, nei limiti della legge ma in forme sostanzialmente abusive), resistenza al ricambio e ai takeover (azioni con cui i manager cercano di impedire il licenziamento a svantaggio di azionisti che potrebbero trarre beneficio da un cambio di gestione). I principali strumenti di Governance si distinguono in: 1. Strumenti interni, che a loro volta ricomprendono (1) Concentrazione proprietaria: formarsi di maggioranze stabili capaci di nominare o revocare i manager, (2) Sistemi di incentivazione manageriale, con i quali si cerca di allineare gli interessi di manager e azionisti, (3) Controllo interno, con il quale si verifica la correttezza del comportamento dei manager e si prevengono infrazioni. 2. Strumenti esterni, suddivisi in (1) Mercato di controllo: passaggio di proprietà dell’impresa, (2) Intervento degli investitori istituzionali e degli azionisti di minoranza che possono esercitare pressioni contro il management (proposta di voto: Odg contenente raccomandazioni per il management), (3) Banche e creditori: influenzano la gestione facendo valere il potere connesso al loro ruolo, (4) Reputazione: risorsa che i manager preferiscono non disperdere Sempre di più la Governance aziendale si tinge di rosa. Un articolo del Sole 24 Ore del 7 agosto 2013 riportava questa affermazione “I C.d.A. con più donne hanno maggior successo e rischiano meno il default”, asserendo che: le aziende con donne in qualità di Direttori diminuiscono il rischio di insolvenza o di fallimento mentre mostrano ottimi parametri di redditività; le aziende con il 30% di donne nel C.d.A. raggiungono risultati migliori rispetto alle altre; su 10 caratteristiche che contraddistinguono un leader 7 sono femminili. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione Europea a gennaio 2015: - in Europa la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle maggiori imprese quotate è in media circa il 20,2 per cento; - mentre in Francia, Finlandia o Svezia si supera il 25 per cento, in paesi come l’Irlanda o il Portogallo le donne non arrivano al 10 per cento del totale dei consiglieri. L’unico Stato, sia pur al di fuori dell’Unione Europea, che arriva al 40 per cento è la Norvegia, Paese pioniere nell’introduzione di quote di genere, seguita, nell’adozione di questa misura, più recentemente, da Italia e Francia (Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Dopo la legge Golfo-Mosca, l’Italia è passata dal 6 per cento di presenza femminile nei CdA delle società quotate al 23% attuale. Il risultato è stato ottenuto nonostante l’Italia soffra di ritardi enormi nell’uguaglianza di genere sul mercato del lavoro, con un tasso di occupazione femminile pari al 47%, terzultimo in Europa, seguito solo da Grecia e Malta (Fonte: Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Il modello italiano sta diventando un esempio in Europa. Non solo il numero di donne in posizioni di vertice è aumentato, ma anche la governance delle società è migliorata. Oltre all’aumento numerico di donne, che ha superato i limiti minimi imposti dalla legge, osserviamo anche un ringiovanimento e un miglioramento della qualità dei consiglieri, sia uomini sia donne. Non solo le donne sono mediamente più istruite degli uomini, ma gli stessi uomini hanno un livello di istruzione superiore nei consigli che hanno rinnovato con la quota rispetto agli altri. Le posizioni multiple sono diminuite, in particolare tra le donne (dal 25,4 al 18,6 per cento), segnalando un allargamento della platea di candidati dai quali sono selezionati i consiglieri; inoltre, le donne legate da rapporti di parentela con altri componenti del consiglio sono passate dal 16,2 al 7,9 per cento (Fonte: Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Questa presenza sempre crescente delle donne in posizioni apicali non deve solo essere considerata una questione di parità bensì di opportunità che deve essere adeguatamente sfruttata. Sulla base di questo scenario vorrei concludere la relazione con una frase che prendo a prestito da Benjamin Franklin e che suona come un invito all’universo femminile: “Vedere un’opportunità non è un’arte. L’arte è coglierla per primo”.