Disegni da leggere
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Disegni da leggere
Disegni da leggere Può un libro di soli disegni essere struggente come un’elegia, avere fluidità narrativa come la migliore scrittura in prosa? Ovvio, verrebbe da rispondere elogiando la potenza del disegno, l’eleganza dell’arte grafica. Da sempre i libri sono opere grafiche: giocano sui colori, gli spessori dell’impasto di cellulosa, carta o cartoncino, inchiostri e chine. Da Munari in poi, inoltre, il libro non è piú un oggetto codificato, spalanca universi paralleli, trasforma il lettore in un viaggiatore – non solo bambino – in labirinti, boschi e grotte di carta o sorprese di luce scolpite nelle pagine. Gabrielle Vincent (nome d’arte di Monique Martin, Bruxelles 19282000) si affida alla sola matita per raccontare la storia di un cane. 62 disegni, 64 pagine: Un giorno, un cane (Gallucci, Roma 2011) è una poesia commovente, persino devastante. Arriva dritta, immediata, per la sua verità. Nel primo disegno qualcuno da un’auto getta via – letteralmente – sulla strada un cane. Si vede la mano sporgere dal finestrino, il cane è un arco curvo, la scena - si direbbe in gergo cinematografico - è in campo medio, le linee a destra e sinistra alludono a uno spazio in fuga, al vuoto. È un gesto veloce, frequente nella cronaca. L’auto vigliacca fugge, il cane le corre dietro, la Vincent allude alla velocità con poche spirali. La distanza tra l’animale e l’auto aumenta, dal campo lungo la pittrice belga passa a quello medio, poi all’auto in primo piano, si vedono tre figure, una è una ragazza, chi è al volante si gira a guardare quel ROBERTO LAMANTEA – DISEGNI DA LEGGERE | 1 puntino nero lontano, sulla strada. Il cane non s’arrende, corre, non può capire quella bestiola la crudeltà, l’egoismo, non può capire l’abbandono. Loro danno amore, e basta, e lo danno per sempre. C’è un bivio, sulla strada, o un incrocio. Il cane fiuta, cerca una traccia per ritrovare chi lo ha buttato come un sacco di spazzatura. Annusa il terreno, l’erba, l’asfalto; cercando un filo che lo riconduca al padrone che ancora ama si tuffa sulla strada, per evitarlo due auto si scontrano, si rovesciano, s’incendiano. L’incidente è spaventoso, si forma una colonna di auto, il cane abbaia, guarda, è spaventato, non capisce. Arrivano i soccorsi, gli uomini sono ombre, colpi di matita densi come pennellate. I vigili, il fumo. La colonna è lunghissima, l’ambulanza passa a fatica (tre tratti di matita leggera a Gabrielle bastano per i lampeggianti). C’è un disegno immenso, come una domanda al cielo vuoto, una spada nella coscienza, occhi neri spalancati e innocenti chiedono perché: il cane è di spalle, nel centro della pagina, voltato all’indietro guarda fisso il lettore. È anche il disegno in copertina. Poi affannato, sporco, riprende il cammino; fa pipí su un cippo. Cammina, vede figure lontane, l’acqua specchia la sua solitudine. Poi abbaia al vuoto, alle nuvole, al tramonto, riprende a camminare tra acqua e cielo, nel silenzio, in una sequenza che ha lo spazio infinito di un’inquadratura alla Éjzenštejn, di una bellezza assoluta. Guarda forse una città lontana, costeggia una riva erbosa (o un ciglio); trova un vicolo, pieno di fame raspa qualcosa per terra. Un operaio lo caccia. Lontano, alla curva di una strada, c’è un bambino. I due si studiano, s’avvicinano. Il ragazzino accenna un sorriso, ma negli altri disegni il suo viso è triste. Il cane alza il muso sul corpo del bimbo, scodinzola, il ragazzino alza le braccia sorpreso. È l’ultima immagine, ed è ambigua: forse il cane verrà ancora cacciato via, o invece sarà accolto, e quella bellezza avrà il volto di un bambino. È un racconto, sì, Un giorno, un cane, anche se non c’è mai una didascalia. Gabrielle Vincent – celebre per la serie Ernest et ROBERTO LAMANTEA – DISEGNI DA LEGGERE | 2 Célestine – usa solo una matita, con solo una matita dà vita allo spazio, all’acqua e al fuoco, rivela le emozioni, i pensieri, la crudeltà, la paura, la solitudine e la speranza. Le basta una matita per questo libro meraviglioso, bello come un romanzo o una silloge di versi, struggente, delicato e dolcissimo. Colori di carta. Ma è sui colori che l’oggetto-libro, la fiaba di carta, rivela quell’unicità che l’e-book non avrà mai. Maestro Bruno Munari. L’autore e illustratore si divertiva a rivivere le fiabe della letteratura per l’infanzia, giocando – per esempio nella serie dedicata a Cappuccetto – sulle variazioni di un’unica cromía. Le Edizioni Corraini di Mantova hanno ristampato (2010) Cappuccetto bianco e Cappuccetto verde (il primo, Cappuccetto bianco, fu ideato e disegnato da Munari tra il 1981 e il 2004; Cappuccetto verde è del 1972). Il gioco è una semplice ma raffinatissima invenzione grafica: una breve narrazione di una o due righe a piede di pagina e un bianco abbagliante: “Mai caduta cosí tanta neve”: non si vede piú niente, né il cespuglio di bosso, la panchina di pietra, il sentiero per il bosco. Gli occhi di Cappuccetto bianco, due luci azzurre, sono l’unico disegno del libro. Anche le cose e i nomi sono bianchi: la bambina deve portare alla nonna Candida “il suo uovo, il latte, lo zucchero”, avvolti dalla mamma “in un fagottino fatto con un tovagliolo bianco”. Nel suo viaggio verso il bosco Cappuccetto bianco incontra “il pittore Bianconi che aveva perso le sua scatola di colori”; nel bosco sente l’ululato del lupo bianco, che “ha fatto una indigestione di nonne e adesso deve mangiare solo riso in bianco”. Ma dov’è? Non si vede niente. Ma quando arriva alla casa della nonna Cappuccetto bianco “trova un cartello scritto col gesso bianco, dove si legge: sono andata nell’Africa nera”. È così che Cappuccetto “diventa rosso per la sorpresa, ma dentro di sé è un po’ ROBERTO LAMANTEA – DISEGNI DA LEGGERE | 3 verde per non aver incontrato la nonna. – Sembra la storia di un libro giallo! – esclama”. Per la strada fa molto freddo, così Cappuccetto diventa un po’ viola. Conclusione: “Questa strana storia vi farà passare una notte in bianco”. Tutto il libro (24 pagine ovviamente non numerate) è tessuto di fogli bianchi. Ma è un libro (solo) per bambini? La domanda vale per tutto Munari. Basta volgere il bianco nel colore dell’erba ed ecco Cappuccetto verde. Si chiama cosí perché la mamma un giorno “le mise in testa un cappuccetto fatto di foglie verdi”; gli amici della bambina sono la rana Verdocchia, Zip la cavalletta verde che “all’improvviso salta via come una molla”, ma anche Giuseppa la tartaruga e Pisellina la lumaca, “che fanno sempre delle gare di velocità”. Anche Cappuccetto verde “ha un regalino da portare alla nonna Cicalina […]: è un bel cestino fatto di rami verdi intrecciati, con dentro una bottiglia di menta, del prezzemolo, dell’insalata, un pacchettino di carta verde a disegni verdi con dentro del tè di menta”. Per andare dalla nonna anche qui Cappuccetto deve attraversare il bosco, un universo di foglie via via piú fitto e gli stupendi disegni di Munari si affidano alle trasparenze e alle ombre nella passeggiata in questo universo vegetale, ai colori a matita e all’acquarello. A salvare Cappuccetto verde dal lupo – che non è verde ma è quello classico dell’iconografia della fiaba – sarà la rana Verdocchia che chiamerà in aiuto tutte le sue amiche rane. La casa della nonna Cicalina è in mezzo a un prato, ha l’ingresso del gatto, e nella biblioteca della nonna c’è la bibliotechina di Cappuccetto. Gli scaffali sono invasi dalle rane amiche di Verdocchia. Bevono un buon tè di menta (e una rana lo degusta senza zucchero). Cappuccetto verde ha 32 pagine, la narrazione inizia direttamente dalla copertina. ROBERTO LAMANTEA – DISEGNI DA LEGGERE | 4 Colori da toccare. Libro oggetto di carta. Carta seta, da esplorare e toccare. Carta doppia, i fogli piegati come un tessuto. Immagini in rilievo, le tocchi con i polpastrelli, le leggi con le dita anche se hai la fortuna di vederle. Vedi i canneti e i gabbiani, vedi un aquilone e la pioggia, le piume-foglie e le foglie-foglie con le loro nervature, forse volano o è un erbario a rivelarle; le fragole, piatte come sogliole; le onde del mare; una cavalletta. Intarsi rivelati dalla luce come uno scintillio o accarezzati dalla nostra pelle. Ecco un altro gioiello grafico e tipografico, Il libro nero dei colori di Menena Cottin per il testo e Rosana Faría per le illustrazioni (Gallucci-IASA Edizioni, Roma 2011), dallo spagnolo El libro negro de los colores (Ediciones Tecolote 2006). Il libro è anche in braille, il sistema di scrittura a rilievo per non vedenti inventato dal francese Louis Braille (18091852). Una pagina ne disegna al tatto l’alfabeto e i numeri. Chi non vede può accarezzare Il libro nero dei colori, titolo che sembra un ossimoro. Invece: “Il nero è il re dei colori. È morbido come la seta”, si legge. Il libro di carta nera percorre i colori: “Per Tommaso il colore giallo sa di mostarda, ma è morbido come le piume dei pulcini”; “Il rosso è acido come le fragole e dolce come l’anguria, ma fa male quando esce da un graffio sul ginocchio”; “In autunno le foglie si seccano e il colore marrone crepita sotto i piedi”; poi il blu, il bianco del cielo quando si scatena la pioggia, mentre il colore verde “profuma di erba appena tagliata e sa di gelato al limone”. C’è anche l’arcobaleno, tutti i colori e tutte le cose. “A Tommaso – conclude il libro – piacciono tutti i colori, perché li ascolta, li annusa, li tocca e li assapora”. Ecco un libro per chi non vede e per chi ha la gioia di vedere. Un libro da sfogliare, toccare, annusare, il nero mare d’inchiostro o sipario, invece, per chi “vede” con il tatto, l’udito, l’olfatto, la curiosità dell’immaginazione, avverte la nota finale di Mauro Marcantoni, non vedente, sociologo e giornalista. Le autrici del libro, Menena Cottin e Rosana Faría, vivono entrambe a Caracas. Nelle note a fine libro leggiamo che la Faría “ha illustrato ROBERTO LAMANTEA – DISEGNI DA LEGGERE | 5 molti libri per bambini. Realizzare disegni fatti per essere toccati è stata la sua sfida piú impegnativa, che ha vinto con gioia”. Ecco libri insostituibili. Certo, Munari è il maestro, nel reinventare le fiabe – e nel giocare con loro, le fiabe non sono un gioco? – e nel ridisegnare (letteralmente) il modo per dirle. Cosí il lettore viaggia fra magioni e boschi che si alzano quando giri la pagina – citiamo Nella foresta del bradipo di Anouck Boisrobert e Louis Rigaud, un altro libro-giocattolo-gioiello di carta della mantovana Corraini, favola ecologica su testo di Sophie Strady (2011) – o il nero che tocchi con le dita è tutti i colori, o Cappuccetto Bianco è invisibile nella neve, o Cappuccetto Verde fonde il colore del suo mantello con quello delle foglie e degli alberi, nel sentiero del bosco. O un cane abbandonato diviene una delicatissima fiaba a matita. E il lettore vive al confine fra letteratura, disegno, pittura, grafica e quell’oggetto misterioso, di carta, cartoncino, inchiostro, che è il libro. Da sfogliare con le dita, non con il mouse. ottobre 2011 ROBERTO LAMANTEA – DISEGNI DA LEGGERE | 6