Ce lo ricordavamo come Fox Mulder, schivo e taciturno

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Ce lo ricordavamo come Fox Mulder, schivo e taciturno
Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Sara Fiori
18 agosto 2009
Ce lo ricordavamo come Fox Mulder, schivo e taciturno agente
alle prese con i casi più assurdi ed improbabili alle soglie del
paranormale. Se ne stava per i fatti suoi, (forse) rimirava ed
amava la collega Scully in silenzio, aspettava accigliato gli Ufo
venuti a salutarlo da altri mondi.
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Certo, un caratterino facile non l’ha acquistato nemmeno ora. Ad una
manciata di anni di distanza, però ha sicuramente guadagnato punti in
fatto di glamour.
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In questa Californication, serie televisiva statunitense ideata da Tom
Kapinos per il network Showtime (già noto per la sua recente propensione
all’ allargamento dei margini del cosidetto “rappresentabile” televisivo,
con serie come Weeds e Dexter), David Duchovny è Hank Moody,
affermato scrittore newyorkese in piena crisi creativa ed esistenziale.
Si è appena trasferito in una metropoli che non ama, Los Angeles, con
l’intento (professionale) di seguire la trasposizione cinematografica del suo
romanzo che ha venduto milioni di copie.
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Peccato solo che nella cosidetta “città degli angeli” tutto assuma
inspiegabilmente una sfumatura diversa, così la sua storia decadente e
nichilista God hates us all viene trasformata in una melensa commedia
romantica intitolata A crazy little thing called love, filmetto da record di
incassi interpretato dai divi bellocci e giovanili di turno.
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Nient’altro di buono del resto sembra attenderlo a livello personale e
privato: a Los Angeles vive anche Karen, sua ex compagna e madre di sua
figlia, nonché grande amore complicato e mai dimenticato. Peccato però
ancora una volta, perchè la fanciulla da lui amata, biondo architetto
affermatto, è in realtà in procinto di convolare a giuste nozze con il nuovo
fidanzato, barra bell’imbusto di turno, barra buon partito, barra uomo in
carriera con tanto di figlioletta adolescente in cerca di attenzioni e
sessualmente “vivace” al seguito.
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Hank sfoga tutta la sua rabbia e frustrazione nel sesso compulsivo,
concedendosi continue avventure di una notte, nell’alcool e nella scrittura
(per quanto lui non la consideri tale) di un blog on line, in attesa di una
nuova e potente fonte d’ispirazione per il prossimo, agnognato e
vagheggiato romanzo. Il suo classico blocco dello scrittore lo tormenta
puntata dopo puntata, mentre l’agente (e amico ) Charlie lo punzecchia
tra pressioni professionali e confidenze intime.
Per certi versi sembra quasi di essere capitati per sbaglio
nell’autobiografia filmata e rivisitata del celebre Charles Bukowski. E non è
un caso, di sicuro. Il vecchio scrittore era davvero un po’ come Hank: nei
suoi libri si è più riprese (auto) descritto: assiduo bevitore, amante del
sesso compulsivo e delle donne, nonché molto depresso e talvolta
carismatico.
E lo stesso Hank crediamo sarebbe felice dell’accostamento. Genio e
sregolatezza in una cornice un tantino patinata: la Los Angeles che
snocciola via al procedere degli episodi è quella borghese e un tantino
“riccastra” degli alternativi per finta e per diletto: parties, modelle, camere
d’albergo, villette con piscina.
La città e i suoi luoghi sono accesi da una fotografia lucida, dove alle
immagini dal sapore vintage da super8 di famiglia che campeggiano la
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sigla di apertura, si susseguono poi gli interni caldi e gli scorci
metropolitani, e dove-metaforicamente-certe anguste fotografie scure
sono lasciate agli spazi claustrofobici, esistenziali e (non) creativi dello
stesso Hank.
Resta da dire che tuttavia la serie non è solo la messa in scena dello
stereotipo “scrittore in crisi”.
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Innanzi tutto perchè gli episodi hanno ritmo; il racconto “concluso” di ogni
singola puntata si innesta bene sul filo della continuità. E poi le svolte
diegetiche, unite al dinamismo di certi personaggi secondari (l’agenteamico, ma anche il duo oppositivo e adolescente costituito dalla figlia da
un lato e dalla lolita seducente dall’altro), assicurano uno sviluppo
comunque policentrico dell’intreccio, disseminando spunti narrativi plurimi
ed una schiera ben riuscita di caratteri comprimari.
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Poi, il personaggio di Hank è estremamente ironico e consapevole. In
fondo, per lui, “quella piccola, grande e meravigliosa cosa chiamata
Amore”, tanto per parafrasare il vociante titolo del film tratto dal suo best
seller, sembra essere rimasta solo la figlioletta adolescente.
Ma questo loro rapporto è davvero raccontato nella serie in modo
originale. Becca (ottima l’interpretazione della giovane Madeleine Martin)
è una ragazzina sensibile, un’adolescente ancora in cerca di se stessa,
come è ovvio che sia.
Tredicenne aspirante musicista e dal look dark, ha un atteggiamento quasi
protettivo nei confronti del padre. Si vede che lo adora, e come ogni
ragazzina vorrebbe vedere i genitori uniti. Non solo, è un rapporto che
pare invertito il loro, dove Hank sembra raccapezzarsi a fatica alle volte ed
è la figlia che si preoccupa per lui, forse vedendolo (o lo temendolo) troppo
fragile ed insicuro.
Hank dal canto suo fa l’amicone: gioca d’ironia e di autoironia, prova a
starle accanto incapace di autorità alcuna, con la consapevolezza di chi sa
però di essere compreso nell’intimo e nelle sue insicurezze più profonde.
Interessante infine è il gioco seriale degli interpreti e degli attori: alcune
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ricorrenze del cast richiamano l’attenzione e la memoria televisiva dello
spettatore medio della serialità recente.
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Oltre al già detto David Duchovny, troviamo anche Madeline Zima, qui
nelle vesti la provocante adolescente Mia e in passato Gracy Sheffield in
La tata ed Evan Handler, che interpreta l’agente di Hank, e che è stato
l’avvocato divorzista Harry Goldenblatt, marito della romanticona
Charlotte York in Sex and the City.
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