Proposte parrocchiali

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Proposte parrocchiali
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PARROCCHIA SAN GIOVANNI BATTISTA
DAGNENTE
Ne ebbe compassione, tese la mano e lo toccò.
(Marco 1,41)
VI DOMENICA per annum
15 febbraio 2015
Sono anch'io un lebbroso, Signore,
quando la mia malattia dell’anima
desta orrore in chi mi sta vicino
e per questo cerca in ogni modo
di tenermi alla larga.
Ma tu mi vieni incontro
e spezzi il mio isolamento,
tu infrangi le barriere
che mi separano dagli altri,
tu guarisci la mia incapacità
di comunicare e di amare.
Sono anch’io un lebbroso, Signore,
quando il mio volto viene sfigurato
dall’orgoglio o dalla superbia,
dalla gelosia o dall’egoismo,
e il mio cuore si indurisce
al punto di essere impermeabile
ad ogni richiesta di aiuto.
Ma tu, che hai un animo limpido,
non hai nessuna paura del contagio.
Per questo non esiti a toccarmi
per risanare la mia anima
e restituirle la possibilità
di accogliere e di sostenere,
di provare misericordia e compassione.
Sono anch’io un lebbroso, Signore,
quando sono tutto preso
dai miei progetti, dalla mia voglia di riuscire,
dai vantaggi che posso ricavare,
dalla brama di accumulare,
dalla voglia di vincere a qualsiasi costo.
Solo tu puoi guarire questa lebbra
con la tua parola di tenerezza.
.
..
“Bonjour tristesse!”
di Enzo Bianchi
Oggi siamo quasi tutti portati a pensare che la tristezza
sia un sentimento negativo, un’esperienza da rimuovere,
un’inquilina da scacciare.
Soggiaciamo all’imperativo: “Non bisogna essere tristi!”.
Ma è proprio vero che la tristezza debba sempre essere
combattuta e negata?
Non può essere anche un sentimento necessario per vivere in pienezza e per compiere, attraversandola, un
cammino di umanizzazione?
Vivere senza mai conoscere la tristezza sarebbe un impoverimento: saremmo privati di un’esperienza che può
aiutarci a vedere la realtà diversamente e con più chiarezza, a vivere la nostalgia, il ricordo del passato, nella
dolcezza, nell’accettazione di ciò che non è più ma che è
stato bello e ci ha segnati per sempre.
Per non essere tristi occorrerebbe vivere in una prigione
dorata?
La leggenda narra che il padre di Gautama, volendo che
suo figlio non conoscesse il dolore, fece recintare lo
splendido giardino della sua reggia, impedendo così al
figlio di uscire e di conoscere il mondo. Le ragioni per
essere tristi stavano infatti fuori dal giardino, pensava il
padre.
Un giorno però Gautama riuscì a uscire e incontrò un
malato, un vecchio decrepito e un morto.
Conobbe la tristezza, ma quella fu la condizione attraverso la quale poté cercare l’illuminazione e diventare il
Buddha.
La tristezza nasce da realtà umanissime: la mancanza, la
sofferenza, la separazione, la morte, il male, ma queste
fanno parte della vita e non è possibile rimuoverle, se
non aderendo a delle illusioni.
È però decisivo che la tristezza originata dai nostri incontri e dalle nostre consapevolezze non diventi un in-
quilino stabile nel nostro cuore, non finisca per possederlo, occupandolo interamente.
Se questo avviene, allora la tristezza ci oscura lo sguardo
del cuore e noi non percepiamo più la luce di ogni giorno, il volto che ci appare in ogni incontro, la bellezza
che, sempre elusiva, vince la bruttezza. In questo caso la
tristezza diventa sofferenza, finanche disperazione, ma
più spesso acedia: l’acedia è la cattiva tristezza accompagnata dalla noia e ha come segno la mancanza di lacrime.
Nella tristezza invece, si può anche piangere, e le lacrime sono già apertura alla consolazione.
Vi è dunque – oserei dire – una tristezza da accogliere e
custodire come un frutto che nasce dalla nostra coscienza quando diventiamo consapevoli di aver fatto il male e
contraddetto il bene, tristezza a causa delle nostre colpe.
Non dobbiamo temere questi sentimenti, perché necessari al nostro discernimento del bene e del male, al nostro vivere secondo un’etica assolutamente necessaria alla convivenza.
Bonjour tristesse!
Lo possiamo dire quando la tristezza si affaccia come
malinconia, nostalgia, turbamento. In questi casi siamo
sorpresi dalla tristezza che scende nei nostri cuori e si fa
percepire in certe ore silenziose e quiete del giorno:
quando siamo soli al tramonto (“Sai… quando si è molto
tristi si amano i tramonti”, dice il Piccolo principe),
quando ci sentiamo avvolti dalla penombra e indotti a
pensare, proviamo questo dolce venir meno delle pulsioni che ci eccitano.
Radiosa tristezza, la chiamano i padri del deserto, che
rende il nostro cuore umile e non altero, un cuore che
non va in cerca di cose grandi (cf. Sal 131,1) ma che sa
discernere il limite e la stessa morte che sta dietro a ogni
creatura che ci rallegra.
La musica, sì, solo la musica sa narrare pienamente la
tristezza: penso al rebetiko suonato e cantato nelle taverne della Grecia; penso al flamenco, via privilegiata
dell’espressione della tristezza, a volte persino tragica;
ascolto i Notturni di Chopin…
La tristezza attesta che ci manca qualcosa, ci fa conoscere
incertezza e insicurezza, ma ci rende disponibili a incontri non previsti.
Il salmo dice che “se alla sera è ospite la tristezza, al mattino ecco grida di gioia” (cf. Sal 30,6).
Dunque, buongiorno tristezza!
Da Jesus, febbraio 2015.
La dignità perduta dell’Italia tra Festival e Parlamento
Sanremo. Chiusi in un luogo privilegiato dove non arrivano le grida di aiuto dei migranti, dove nessuno canta le lacrime dei bambini che del mondo hanno conosciuto solo il mare che affoga. È giusto cantare l’amore perché è solo
questo che dà senso alla vita, ma non dimenticare la immensa e profonda verità dell’universo. Mai un saluto riconoscente per chi ti ha dato la vita, mai un pensiero per chi ha dovuto lasciare la propria terra per non morire di fame e di
paura, mai un premio per chi ha la forza di non soccombere davanti alle avversità. E ancora neppure una parola di coraggio, cantando la propria positiva esperienza, per chi è giovane e deve affrontare il suo incerto futuro. Perché lasciar
credere che l’amore è solo tra due amanti e non allargare questo concetto a chi lotta per la libertà, a chi mette in gioco
la propria vita per il bene degli altri? Anche questo fa parte della vita di tutti i giorni ed ha la sua bellezza, il suo calore, la sua luce al di sopra del pianto e dell’angoscia. A Sanremo si canta tra luci e musica in un luogo a sé, un’illusione,
dove la realtà è rimasta fuori, al di là della porta. Una realtà a volte deludente, ma che è necessario superare con intelligenza e carità. Che dire infatti di quelle foto sulla nostra stampa che ci presentano, nel nostro Parlamento, situazioni
di rabbia, di offesa e atteggiamenti che sarebbero sopportabili solo in una piazza tra gente incolta e incapace di ragionare? Li abbiamo votati perché sapessero difendere i nostri diritti e doveri usando ragionevolezza e capacità e non per
questo atteggiamento negativo che fa temere della bontà dello stile democratico. Lo si poteva comprendere nelle prime sedute dopo la guerra quando Paietta, comunista, saliva in piedi sui banchi per protesta. Ma allora una guerra tra
fratelli aveva esacerbato gli animi e lasciato uno strascico d’ira. Mi chiedo come pretendono questi nostri rappresentanti di essere rieletti, se è questo ciò che dobbiamo insegnare ai giovani che voteranno per la prima volta. Chi guarda
chiede un po’di dignità.
E noi oggi, San Valentino, regaliamoci un fiore: un tulipano, secondo una tradizione dell’antica Persia, per una dichiarazione d’amore; un ramo di tiglio per l’affetto tra marito e moglie; un mazzo di calle per la bellezza, la felce per il mistero e margherite per la pazienza.
Maria Romana De Gasperi da Avvenire 14 02 2015
Proposte parrocchiali
DOMENICA 15 FEBBRAIO VI PER ANNUM “B”
ORE 11,00
Messa deff. Patrizia e Guerino
MERCOLEDI’18 FEBBRAIO
LE CENERI
ORE 9,00
Messa
VENERDI’ 20 FEBBRAIO ORE 9,00
Messa
Comunione ai malati
per un’offerta …
SABATO 21 FEBBRAIO
ORE 17,00
Messa
DOMENICA 22 FEBBRAIO I DI QUARESIMA “B”
ORE 11,00
Messa deff. Rosa e Giovanni Zanetta
Def. Maura Gioria.
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