poesie sulla vita e la morte nel Lager

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poesie sulla vita e la morte nel Lager
Jurek Orlowski, POESIE DA BERGEN BELSEN - 1944, Yad Vashem, 2005
OGGI È LA FESTA DELLA MAMMA
8 maggio 1944
(Traduzione di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano)
Oggi è la festa della mamma, ogni bimbo è deliziato
ma io son turbato dal ricordo del passato
… avevo una mamma, ero anch’io spensierato
ma l’onda della felicità per sempre mi ha lasciato
sopraffatta dalla tristezza.
Non ho quello che gli altri hanno
Non ho quello che gli altri amano.
Non ho madre, sono un ragazzino
e la festa della mamma mi suscita solo tristezza
una tristezza,
una tristezza si infiltra nel mio cuore
una tristezza si intesse nella mia anima e serpeggia,
una tristezza
una tristezza in ogni singola particella del mio corpo
dopo l’insopportabile dolore e una perdita infinita.
Dopo l’aprile 1943 e la liquidazione del Ghetto di Varsavia, i nazisti decisero di sfruttare come
elemento di pressione gli ebrei che erano riusciti a ottenere o a comprare a caro prezzo la
cittadinanza dei paesi neutrali. Altri ebrei, circa 260, considerati meno fortunati, furono registrati
nella lista dell’emigrazione per la Palestina mandataria; un luogo poco ambito tanto che il
documento risultava a buon prezzo.
Nel giugno 1943 partirono da Varsavia diretti a Bergen Belsen 2 convogli di circa 2500 persone, che
i tedeschi rinchiusero in un campo di prigionia abbandonato. Ben presto i nazisti realizzarono che
gli internati non fornivano nessuna opportunità per un eventuale baratto con gli alleati. Il campo fu
evacuato e i 1880 prigionieri deportati ad Auschwitz. Dopo il maggio 1944 a Bergen Belsen
rimanevano solo i 350 ebrei della “lista palestinese”.
Alla fine della guerra Yurek e il fratellino partirono per la Palestina e furono accolti in un kibbutz.
L'INTRADUCIBILE
(Per Uri Orlev) di Sabine Huynh
Quaderno internazionale di traduzione poetica, Traduzionetradizione, 6, 2011
dico dell'esperienza
dei Lager l'indicibile
come poté accadere
come è possibile che accada
anashim rabim rabim kol kach*
e perchè quella gente non c'è più
papaveri di cenere
stelle di sangue il mio
cuore ora vacilla a ogni parola
geme e piange in silenzio
la mia mano si ferma
là sull'irreparabile
perdita che ha bruciato le mie retine
ogni minima parte del mio corpo
pietrificato a una a una è spenta
nella chiaroveggenza
morto-vivo il passato
ossessiona il presente
e i miei occhi tastano parole
polacche che contestano
la mia lucidità
quelle orribili ogromna ludzi kupa**
che danno l'afasia
che violentano pure la parola
è perduta per sempre la poesia
solo trasale il senso
io non devo tradire
ma quel mondo contiguo
mi sfugge, come fare
pensare l'impensabile assegnare
nomi all'innominabile tradurre
ora che la finzione è stata già
logorata dalla testimonianza
la sua voce morente giace là
di traverso sul foglio
la metà del mio volto
paralizzata uccisa
non mi esce più la voce
oh no fate che almeno mi rimanga
una lingua per dire
tradurre ricordare
il sangue che fiorì come papaveri
e le ceneri sparse come stelle
una lingua con cui lottare ancora.
*Ebraico per "c'è tanta di quella gente, tanta di quella gente".
**Polacco per "il mucchio di gente è enorme"