2. L`impianto teologico-morale della ricerca
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2. L`impianto teologico-morale della ricerca
PONTIFICIA UNIVERSITAS LATERANENSIS ACCADEMIA ALFONSIANA Institutum Superius Theologiae Moralis Nicola Rotundo MORALE ED ECONOMIA IN B.J.F. LONERGAN PROSPETTIVE E LIMITI Presentazione della tesi Prof. Martin MCKEEVER C.Ss.R. Prof. Pasquale GIUSTINIANI ROMÆ 29 IANUARII 2014 SOMMARIO Introduzione L’impianto teologico-morale della ricerca Il rapporto economia-morale in Bernard Lonergan Alcune note biografiche e contestuali La visione economica di Lonergan e i suoi limiti I due fuochi attorno ai quali si può riassumere la ricerca Prospettive 2 1. Introduzione Ecc.za Rev.ma, Illustri docenti e membri della Commissione esaminante, carissimi amici, La sintesi che mi accingo a presentare, ritengo possa essere l’espressione di una chiave di lettura conclusiva e riassuntiva che dia le ragioni della ricerca. È in questa direzione che mi vorrei muovere, pertanto, con questa presentazione; non aggiungendo dati alla mia tesi, ma facendone una sintesi che tutti li può riassumere e spiegare, facendo cosa si è intravisto al di là di quelle pagine che documentano l’itinerario percorso, che cosa si è potuto acquisire e si vorrebbe condividere con il mondo accademico. 2. L’impianto teologico-morale della ricerca Il contesto nel quale siamo convenuti questa sera, tradisce immediatamente che l’ambito di teologia nel quale si colloca il mio lavoro non può che essere quello della teologia morale. Mai come oggi, la teologia morale è impegnata in un serrato confronto con la storia per inquadrare le problematiche emergenti e illuminare le coscienze credenti con la luce del Vangelo perché non venga tradita la missione, l’ontologia, la ragion d’essere del cristiano nella storia. Essa deve tradurre in orientamento concretissimo ogni principio evangelico, ogni luce promanante dalla Rivelazione, perché per mezzo dell’opera del credente si venga a compiere l’ontologia nuova che il cristiano ha ricevuto sacramentalmente e a manifestare, dunque, la valenza redentiva dell’opera di Cristo. Un dato metodologico che mi preme rimarcare sia per averlo ricevuto come una delle conquiste della teologia del Novecento, sia per averne sperimentato i benefici in prima persona, è lo studio delle fonti. Ho ritenuto non dovermi accontentare di quanto la letteratura aveva veicolato in ordine alla produzione economica di Lonergan pur rimanendo attento ad una lettura storicizzata di esse. 3. Il rapporto economia-morale in Bernard Lonergan L’economia rappresenta un fronte di straordinaria importanza di questa storia con la quale la teologia morale necessariamente si confronta, in particolar modo l’economia politica (intesa come studio dei sistemi economici). La questione della morale soggiacente all’economia è dunque quanto mi stava a cuore. La possibilità di questo approfondimento mi veniva data dalla figura di un gesuita del Novecento, il quale vantava una cospicua produzione proprio in ambito 3 economico. Il gesuita è Bernard Lonergan (1904-1984)1; la sua produzione economica è stata oggetto di un interesse crescente negli ultimi anni. I suoi due testi più famosi, pubblicati postumi, quando cominciai a lavorare erano scritti solo in inglese2, ma continuamente citati e fatti oggetto di una considerevole riverenza. Non pochi di quanti si sforzavano di avvicinare Lonergan al grande pubblico, spesso mettevano in luce le difficoltà nell’approccio al pensiero lonerganiano in generale ed a quello economico in particolare. La letteratura, in costante crescita, soprattutto alla fine del 1900 ed agli inizi del 2000, mi faceva intravedere in Lonergan un intellettuale di risorse straordinarie ancora inesplorate e poco valorizzate perché altamente innovative e non perfettamente comprese. 4. Alcune note biografiche e contestuali Dopo aver consultato molta letteratura secondaria, mi sono confrontato con le fonti citate del gesuita, alcune sue opere assai famose ed alcuni piccoli saggi. Ma ho cercato di leggerle facendo molta attenzione al contesto. Il profilo che la storia della teologia del Novecento restituisce di questo gesuita è complesso ed oscillante. Egli sale alla ribalta delle cronache tardi rispetto a molti suoi contemporanei, assai più rinomati, e sembra percorrere vie personali di ricerca e di studio, il che, per certi versi è veritiero. Ma i primi due capitoli della tesi, soprattutto il secondo, dedicato alla ricostruzione del contesto storico più prossimo alla vita, agli studi ed alla attività accademica di questo gesuita canadese, me lo hanno manifestato in una luce più realistica, inserito e condizionato dal suo contesto storico molto più di quanto altri mi avessero fatto credere. Lonergan nasce, si fa religioso, si forma in una complessa temperie culturale. Il modernismo è da poco alle spalle. L’ansia di rinnovamento è vissuta non sempre all’insegna del discernimento. Sin dalla fine del secolo precedente e molto di più con il modernismo un imperante razionalismo ha segnato profondamente il pensiero teologico novecentesco, lasciando ovunque tracce profonde e quasi consolidando nella teologia una sorta di complesso d’inferiorità verso i parametri delle moderne scienze. Complesso accentuato dagli apparenti trionfi che i modelli di razionalità scientifica e storica stavano segnando nei loro campi. Sotto le spinte della modernità, dei suoi parametri, la stessa teologia che nelle precedenti epoche era stata supportata da forti, corpose esperienze di fede (basti pensare l’identità dei grandi teologi dell’antichità, del Cf. P. GIUSTINIANI, Bernard Lonergan, Morcelliana, Brescia 2001; cf F. E. CROWE, Bernard J. F. Lonergan. Progresso e tappe del suo pensiero (ed. it. a cura di N. SPACCAPELO - S. MURATORE), Città Nuova, Roma 1995. 2 Oggi una di quelle fonti è tradotta: B. LONERGAN, Studi di economia. Primi saggi (Opere di Bernard J.F. Lonergan), Città Nuova, Roma 2013 [or. ingl.: For a New Political Economy (Collected Works of Bernard Lonergan = CWL 21), Philip McShane (ed.), University of Toronto Press, Toronto 1998]/ Macroeconomic Dynamic: an Essay in Circulation Analysis (Collected Works of Bernard Lonergan = CWL 15), F. Lawrence, P. Byrne, C. Hefling (edd.), University of Toronto Press, Toronto 1999. 1 4 medioevo; non ultimo di un Alfonso Maria de’Liguori), si ripiega verso un esercizio di questo ministero teorico, astratto, razionalistico, intellettualistico. La teologia pensa di dover guadagnare in “scientificità”, già a partire dalla scolastica decadente, ma perde in sapienza ed in contatto con il mistero. Dato che il Concilio Vaticano II, tenterà di arginare con la Dei Verbum. I frequenti pronunciamenti magisteriali tra fine Ottocento ed inizi Novecento, registrano questo clima. Lonergan si dimostra attratto fortemente dai saperi che si vanno affermando nel corso del secolo e dai loro metodi, come ho abbondantemente documentato, e non nasconde disappunto per la situazione di arretratezza nei quali versavano secondo lui gli studi teologici e filosofici. Non bisogna dimenticare che negli anni di formazione inglese, egli frequenta l’università di Londra per corsi estranei al suo curriculum di religioso in formazione. In questi anni Lonergan comincia ad interessarsi di economia non per una sua particolare sensibilità, ma per fattori legati agli ambienti che frequenta. 5. La visione economica di Lonergan e i suoi limiti L’attenzione ai temi sociali ed economici, prima di tutto, ha fortemente caratterizzato l’apostolato della Compagnia di Gesù a partire dall’enciclica di Leone XIII, Rerum novarum. L’incontro con i temi economici veri e propri giunge per Lonergan allo Hyethrop College in Inghilterra. Qui vi insegna un gesuita, Lewis Watt, uomo di diritto, il quale, entrato nella Compagnia acquisisce il grado di baccelliere in economia presso l’Università di Londra e approfondisce i suoi studi in etica all’Università di Lovanio. Questo gesuita nel collegio insegnava dottrina sociale. Storicamente a me non è stata data possibilità di riscontrare, in Lonergan, un contatto con il mondo dell’economia antecedente all’incontro con questo professore. Peraltro questo professore fu molto rinomato per l’opera divulgativa della Dottrina sociale tra la gente comune, che portò avanti per mezzo di varie istituzioni. A mio avviso, questo dato ebbe un potente influsso in Lonergan, il quale concepiva l’economia come qualcosa di profondamente culturale e cioè come un fattore che trasversalmente attraversa tutti i settori della vita associativa. Come Watt ritenne dover diffondere la Dottrina sociale tra la gente comune, così Lonergan pensava dover diffondere tra la gente comune una più profonda conoscenza dell’economia in sé, cioè in ciò che essa è nella sua forma più elementare. Ma proprio a proposito è emerso un primo limite. Se, infatti, da un lato, bisognava far divenire l’economia patrimonio comune della gente semplice, Lonergan stesso nell’elaborare i suoi studi presenta formule e concetti di straordinaria difficoltà. Sovente astrattizza e problematizza non poco le questioni. Penso al II capitolo di For a New Politcal Economy dove per studiare il flusso puro e ritmico delle attività economiche, ricorre ad una pluralità di concetti, attinti sovente in scienze quali l’ottica, l’algebra, la fisica, che risultano di difficile comprensione al lettore medio e forse anche a quello 5 specializzato. Esempio: il flusso ritmico (=DA) è quel tanto di attività economiche (la serie di processi che portano la pelle ricavata da un’azienda zootecnica sino all’acquisto della scarpa da parte del consumatore – passando per quelle attività intermedie che determinano la catena di produzione: un concessionario che raccoglie pelli e le dà ai conciatori, che a loro volta le danno al calzolaio, che le traferisce ai grossisti, che le distribuiscono ai dettaglianti, che poi le vendono) necessarie per arrivare a quel tanto di prodotti finali (una quantità n di scarpe). Ecco in estrema sintesi il ritmo di base. Poi vengono le strutture dinamiche che sono più complesse perché coinvolgono più ritmi di base. Così, mentre si teorizza un’economia per tutti, Lonergan scrive un’economia fortemente tecnicistica, specialistica, influenzata da prospettive storicistiche e sociologiche. Non bisogna dimenticare che agli inizi del Novecento queste discipline sono in costante ascesi. Secondo aspetto e secondo limite della visione economica di Lonergan. Nelle fasi di sviluppo dell’economia, ciò che consente l’innovazione o le trasformazioni delle strutture dinamiche sono le “nuove idee”, le quali sono tali solo il tempo di apparire ed essere assimilate. Ma mentre appaiono e sono assimilate, già vi è in atto un movimento che sta pensando a come superare quel traguardo raggiunto. Si pensi nei mezzi di trasporto: si è passati dai più semplici ai più complessi e sviluppati (carro, diligenza, auto, treno). È come se il corretto funzionamento dell’economia fosse da ricercare in un determinato sistema economico più che in un altro (es. stato liberale, stato sociale), un sistema ben elaborato secondo una perfezione ideale di struttura economica raggiunta in forza delle stesse conoscenze economiche, le quali devono essere perennemente innovative e dunque auto-trascendersi. Ne emerge una visione di economia autoreferenziale; senza porre attenzione al dato che in qualunque sistema economico alla radice vi è l’uomo con la sua condizione esistenziale. Ma proprio questo aspetto, pur chiamato in causa, sembra rivestirsi di banalità nel pensiero economico di Lonergan. Lui si fa promotore di una creatività umana, affidata all’ingegno del singolo. Ma in tal caso mi è sembrata forte la dipendenza del gesuita dall’opera di Toynbee che spiega insieme ad altri storici i cicli di progresso e declino delle civiltà proprio per mezzo di questi concetti ed in un orizzonte immanentistico, se non puramente biologico (come nel caso di Spengler). Terzo aspetto e limite. La questione morale nei suoi testi economici non appare come ci si attenderebbe legittimamente da un teologo. Ci si pone un problema di efficienza dell’economia, ma sovente non di morale economica. In altri termini Lonergan non legge l’economia in chiave né teologico-morale né in chiave di Dottrina sociale. Le poche volte che lo fa, chiamando in causa la questione del giusto salario, assume una posizione così strana da trascurare le norme basilari della teologia biblicomorale (mi riferisco a quelle indicazioni sancite dalla Scrittura in ordine al giusto compenso da dare all’operaio) e della Dottrina sociale (l’equa remunerazione che è 6 dovuta al prestatore d’opera). Questo dato l’ho potuto appurare con il conforto di molte fonti e nella tesi è abbondantemente dimostrato. Ben si potrà comprendere la ragione per la quale la mia scelta per entrare nel delicato e complesso mondo dell’economia sia stata quella di farmi aiutare da un autore, teologo per giunta, che proprio in un tempo delicatissimo quale l’arco temporale del Novecento, si era occupato della materia con grande competenza. Di lui si vantava una conoscenza specifica in ambito economico. Di lui si scriveva aver elaborato un sistema economico capace di valorizzare la persona e correggere difetti di grandi sistemi economici novecenteschi, che pur nella loro fama non avevano risparmiato alle società industrializzate crisi di dimensioni devastanti, le più gravi delle quali si erano verificate nel Novecento, sia nel contesto degli Stati liberali, che in quello dei moderni Stati assistenziali (la grande crisi del ’29 e quella degli anni ’70). Crisi che Lonergan stesso aveva vissute in presa diretta. E proprio queste ripetute crisi economiche verificatesi a più riprese proprio quando gli economisti pensavano di aver assicurato all’umanità fasi di infinito ed irreversibile sviluppo, facevano intravedere delle problematiche radicali, ma non visibili in superficie. Lonergan per me è stato uno strumento preziosissimo, oserei dire un portale d’ingresso, che mi ha permesso di entrare nel cuore di queste problematiche. Ritengo che senza di lui certe tematiche non sarebbero potute emergere e certi intrecci non si sarebbero potuti cogliere. 6. I due fuochi attorno ai quali si può riassumere la ricerca Eccoci finalmente giunti a quelli che ritengo i due fuochi della mia ricerca, entrambi fortemente correlati tra loro: 1) Il primo: ogni scienza ha bisogno di essere verificata. Essa dona un proprio contributo, ma necessita che il suo contributo e la sua produzione siano verificate da parametri esterni, oggettivi, trascendenti, in ultima istanza veri di una Verità che si dona all’uomo (Rivelazione) ma che non è prodotta dalla mente dell’uomo (il rischio è la gnosi). Questo vale anche per la teologia come scienza. Anch’essa si deve lasciare perennemente verificare da quella verità rivelata che è fuori di essa e che essa di volta in volta riceve e cerca di armonizzare, razionalizzare in un cammino storico che è limitato e che non conosce sosta. Tutto questo cammino la teologia lo deve fare sotto la potente luce dello Spirito Santo, vera e viva istanza ultima di comprensione e di progresso conoscitivo (seppure mediata storicamente per via di molteplici canali straordinari – la profezia – e ordinari – la Tradizione, il Magistero). Questa istanza vivente che è lo Spirito Santo perennemente è chiamata a verificare la sua produzione, ma anche aggiornarla, spingerla verso nuovi e più profondi orizzonti di comprensione del mistero di Cristo, di Dio e dell’uomo. Questa stessa istanza non è confinata al “dominio” della teologia. A partire da esso e dall’azione in questo dominio, lo Spirito 7 Santo diviene istanza di verifica e di progresso conoscitivo in ogni altro ambito della scienza, senza che questo impedisca un’azione diretta dello stesso Spirito nella storia senza mediazione teologica. Dunque ogni scienza ha bisogno di verificarsi alla luce di un’istanza veritativa che è fuori di sé. La storia del Novecento, osservata tramite Lonergan, mi pare indirizzare tutto il mondo scientifico in questa direzione di comunione dei saperi, di collaborazione, di armonia, di umile e reciproco servizio. A livello storico, in tal senso, Lonergan aveva ben visto. 2) Eccoci così al secondo aspetto, complementare a quanto appena concluso: nessuna scienza può sussistere da se stessa e per se stessa. Pensare di poter affrontare e risolvere i problemi sorti e suscitati da un certo pensiero economico che poi è divenuto realtà sociale, costume, fenomeno massivo, è approccio non veramente risolutivo. La parte storica della tesi nel primo capitolo lo ha dimostrato. Che si sia trattato di un sistema economico liberale, o che si sia passati allo stato assistenziale (Welfare State), crisi devastanti hanno investito i paesi industrializzati ripercuotendosi su base mondiale. Dove manca l’uomo e dove manca Dio, perché la teologia è timorosa di portarli alla luce di una istanza veritativa trascendente, i saperi anziché mettersi a servizio della persona, schiavizzano la persona al loro servizio ed hanno escluso Dio dall’orizzonte sociale, qualunque progresso conoscitivo vantato ed esaltato unilateralmente è divenuto un’arma a doppio taglio. Il grande male sotterraneo che Lonergan mi ha permesso di scorgere come causa di una molteplicità di altre devianze, è stato il culto per il frammento, l’esaltazione della specializzazione contro l’importanza dell’armonia, della condivisione della scienza. A tal proposito mi sia consentita una constatazione. La modernità su questo versante lungi dall’aver raggiunto un progresso; ha operato un macroscopico regresso avendo interrotto lo scambio e la circolazione dei saperi in un orizzonte di più grande integralità. L’istanza veritativa oggettiva con cui dall’avvento di Cristo ci si è confrontati, la Rivelazione testimoniata dalla Chiesa, almeno si vantava essere trascendente. Mentre quella odierna cui l’uomo ha deciso di sottomettersi non è neppure semplicemente immanente, ma arbitraria. L’uomo non ha scelto di sottomettersi alla sola e pura ragione. Ma ha asservito se stesso ad una razionalità che a sua volta è preda della volontà e dunque dell’arbitrio. Oggi bene e male, vero e falso non sono decretati tali dalla ragione, ma dalla volontà. È bene ed è vero ciò che si vuole sia bene e vero, e fintanto che lo si vuole. È necessario che si ritorni a far dialogare i saperi. E quando si parla di saperi intendo i saperi scientifici (sperimentali, o dello spirito, come le scienze storiche, per esempio); il sapere filosofico che per quanto in crisi, mantiene ancora oggi un bacino di utenza, di ricerca, e di trasmissione nei luoghi ufficiali del sapere (a tal proposito faccio 8 notare come in una prestigiosissima istituzione quale il Collège de France3, sia stato donato spazio, seppure in una modalità modernissima, alla “antica” metafisica4); il sapere teologico, seppure attualizzato in senso sapienziale e non solo scientifico. O i saperi confluiscono in una visione unitaria e sapienziale della vita, o la frammentarietà che loro portano, produrrà crisi dagli aspetti sempre più macroscopici. O le competenze di una scienza vengono rispettate e divengono patrimonio comune delle altre scienze settoriali in una visione d’insieme e si integrano acquisendo da altre scienze ciò che esse da sé non possono produrre, o le crisi diventeranno sempre in maggior misura il leitmotiv delle prossime generazioni. Pensate ai grandi dilemmi: economia contro ecologia; medicina contro morale; tecnologia contro diritto; diritto contro la vita (aborto, divorzio, eutanasia). Se dovessimo rendere in termini esperienziali, storici, visibili i principi che appena esposti, non ritengo possa essere più utile la semplice constatazione che il Novecento è stato il secolo dove il termine crisi ha trovato una declinazione trasversale, ripetuta, sovente dai toni drammatici. Oltre alle menzionate e perduranti crisi finanziarie, innumerevoli sono state le crisi politiche, le crisi coinvolgenti intere aree geografiche con gl’infiniti conflitti che ne sono seguiti. Per richiamare autori cui spesso ho fatto riferimento, tutte queste crisi hanno fatto sì che si potesse parlare di una vera e propria crisi di civiltà. 7. Prospettive Ora proprio per questo viene tributato a Lonergan, a posteriori, un gran merito. Forse non altri come lui mi avrebbero consentito di gettare uno sguardo così profondo sulle criticità del Novecento, non ultime le criticità evidenti della teologia che è il mondo a cui Lonergan formalmente ed a vario titolo è appartenuto. Ricordo una frase in particolare che mi ha profondamente colpito ed in questi giorni mi è servita da spunto per preparare questo intervento e rileggere la mia tesi in un solo colpo d’occhio. Questa frase me l’ha comunicata il prof. McKeever, in uno dei frequenti scambi “epistolari”, di cui gli sono grato. Egli mi faceva attento ad uno sguardo più indulgente 3 Queste sono le note con cui l’Istituzione viene definita nel sito: «Le Collège de France est un établissement public d’enseignement supérieur, institution unique en France, sans équivalent à l’étranger. Depuis le XVIe siècle, le Collège de France répond à une double vocation : être à la fois le lieu de la recherche la plus audacieuse et celui de son enseignement. Voué à la recherche fondamentale, en partenariat avec le CNRS, l’INSERM et plusieurs autres grandes institutions, le Collège de France possède cette caractéristique singulière: il enseigne “le savoir en train de se constituer dans tous les domaines des lettres, des sciences ou des arts”, http://www.college-de-france.fr/site/fr-aboutcollege/index.htm. 4 Chi è responsabile della cattedra di “metafisica e filosofia della conoscenza” è Claudine Tiercelin (http://www.college-de-france.fr/site/claudine-tiercelin/#course). Emblematica è la sua Leçon inaugurale del 5 maggio 2011, su La connaissance métaphysique di cui è disponibile il video in lingua francese (http://www.college-de-france.fr/site/claudine-tiercelin/inaugural-lecture-2011-05-0518h00.htm). 9 su Lonergan perché, mi diceva, «i suoi problemi sono stati i problemi di tutti nel Novecento». In questa frase vi è forse la sintesi più compiuta della mia ricerca. Lonergan è stato uno strumento preziosissimo per entrare nei meandri teologici di un secolo e percepirne alcune contraddizioni laceranti. Quella su cui mi sono soffermato era la relazione tra economia e teologia morale perché ritengo che questa relazione giochi un ruolo determinante nelle crisi in corso. Ma questa relazione ne chiama in causa a catena necessariamente infinite altre. Che l’economia possa sussistere senza morale (per ora non mi riferisco a quella teologica, per le ragioni che mi accingo a spiegare), oggi è dato indiscusso ad ogni livello: dalla cronaca spicciola, alla più specializzata produzione scientifica, ai grandi dibattiti pubblici su tematiche di alta finanza. Una speculazione finanziaria portata all’estremo, un accesso al credito spinto oltre ogni ragionevole limite, una corruzione senza pari in epoche precedenti, hanno devastato e stanno devastando interi sistemi economici con ripercussioni sociali drammatiche. Ma anche la morale sia filosofica sia teologica, se non entra in dialogo con l’economia, se non si interessa di offrire a questi mondi una riflessione che funga da istanza veritativa e che supporti l’azione pratica dei suoi principali protagonisti, per chi è pensata? A chi parla? Di cosa tratta? Ma ancora la morale, se non è in ultima istanza teologica, se non entra in dialogo con l’istanza veritativa e Morale, per eccellenza, la Rivelazione attraverso cui Dio stesso comunica all’uomo quale agire è realmente conforme alla sua natura e ne è la piena e perfetta realizzazione, dove attinge il suo fondamento? Ancora. Una morale teologica o meglio cristica come è quella proposta dal Vangelo, come è pensabile senza una teologia sacramentaria, senza un’antropologia cristica, senza una Cristologia ed un’Ecclesiologia che illuminino il mistero dell’uomo rivelandogli la sua altissima vocazione in Cristo. Per questa ragione sovente ho fatto riferimento a Gaudium et spes 22: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo». Al di là dunque dei dati che si potranno trovare sparsi nella tesi, se vi è un centro unificatore in essa, è la constatazione di questa frammentazione, lacerazione antropologica, che è frutto di un esercizio disconnesso, non armonico, conflittuale dei saperi. Se mi è consentito lanciare quasi un grido da questa illustre e rinomata Sede del pensiero teologico morale, è proprio questo bisogno di armonia che la teologia dovrebbe aiutare a ricomporre senza camuffamenti, senza paure o complessi di inferiorità. Ritengo che la teologia in questo abbia una immensa responsabilità e un compito. Essa deve prima di tutto ricomporre le lacerazioni che sussistono oggi al suo interno, tra i suoi trattati. E poi deve aiutare con un’audacia profetica le altre scienze a non temere il confronto con la Rivelazione, con il Dio di Gesù Cristo, datore dello Spirito Santo: unico ricostruttore dell’uomo, unico generatore di vera umanità, e pertanto unico agente che garantirebbe ad ogni sapere un concorso autentico alla edificazione di una vera civiltà. 10 Se qualcuno nel frattempo pensasse che quanto dico è chimera irrealizzabile e cioè che non si possa realizzare un armonioso dialogo tra i saperi, io rispondo che ai geni del cristianesimo questa sintesi è riuscita. San Tommaso armonizzò la filosofia aristotelica e i contenuti della fede, ne scaturirono una teologia che ebbe un peso storico, formò generazioni di uomini di cultura e di scienza, di governo e di commercio. Indebolitasi la teologia è come se le altre scienze pur acquisendo maggior peso nello scenario sociale non hanno avuto gli strumenti per reggere il timone che si sono volute assumere. Ne è nata una modernità che dopo più di cinque secoli, ancora non si è conclusa. Ad una rinascita della teologia, umilmente ed anzitutto, va tributato il mio lavoro di ricerca, ad una sua rinnovata presa di coscienza. L’auspicio è che essa si riappropri dell’armonia dei saperi innanzitutto al suo interno facendo rientrare in un dialogo necessario tutti i suoi trattati (morale, ascetica, mistica, sacramentaria, dogmatica). In nessun modo gli altri saperi potranno donare un apporto conoscitivo veramente utile all’uomo. In questa prospettiva chiudo tributando stima proprio a quella istituzione dalla quale mi è permesso di proferire queste parole. Intravedo in questo un segno di speranza. Dove vi è questa possibilità di ricerca, di dialogo, di studio, di pensiero allora li è vi è veramente un’“Accademia” di vita. Don Nicola Rotundo Accademia Alfonsiana Roma, 29.01.2014 11