prof. Valter Danna

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prof. Valter Danna
Una competenza, una
domanda, un esperto,
un libro
prof. Valter Danna
venerdì 4 febbraio 2011
Palazzo della Provincia di Torino
corso Inghilterra 7/9, Sala Stemmi
Autoappropriarsi delle
proprie competenze
cognitive: la sfida
dell’unificazione dei saperi
nella prospettiva di
Bernard Lonergan
LONERGAN NELL’ATTUALE CONTESTO FILOSOFICO-SCIENTIFICO
di Valter Danna
La visione postmoderna, contraria alla scienza-tecnica e allo sviluppo industriale, ha reso parte
della filosofia italiana indifferente agli sviluppi scientifici e sorda alle domande e ricerche
epistemologiche e di natura «metafisica» poste da molti ricercatori e scienziati sia nell’ambito
teorico che in quello applicativo-tecnologico (si pensi alle innumerevoli branche dell’ingegneria
odierna o della biologia e genetica). Molte le domande squisitamente filosofiche e teologiche poste
spesso da chi, nel mondo della scienza naturale pura e applicata, si è trovato di fronte e questioni di
confine, a domande di senso, a problemi etici, a interpretazioni totalizzanti, a tentazioni riduzioniste
e così via. D’altra parte, il filone di opposizione al postmoderno, poiché troppo occupato nella
sterile polemica con il pensiero debole, non ha saputo cogliere l’occasione di tale polemica per
sviluppare le istanze epistemologiche e filosofiche legate a tutte le problematiche scientifiche, né di
offrire delle produzioni significative di collaborazione e integrazione con il panorama scientifico.
Circa la scienza moderna, essa si accontenta sempre solo di essere sulla via della verità,
consegue verità probabili continuamente sottoposte a revisione, ma il suo metodo funziona e
conduce a risultati strabilianti. D’altra parte, il mondo contemporaneo ha ormai messo da parte la
nozione unica, normativa e permanente di cultura derivata dalla classicità greco/latina. Emerge oggi
una nozione dinamica, storica e pluralista di cultura: essa è intesa come un qualsiasi insieme di
significati e di valori di un popolo o di una comunità i quali rendono il suo stile di vita degno di
appartenerle e di essere vissuto. Tutto ciò ha portato le scienze ad un accumulo ininterrotto di
conoscenze sempre più difficili da padroneggiare. Da un lato, infatti, è ormai impossibile
l’enciclopedismo o una qualche sintesi unitaria dei saperi, perché dovrebbe basarsi su elaborazioni
concettuali sistematizzate e gerarchizzate immediatamente superate dal dinamismo autocorrettivo
della scienza. Dall’altro lato, l’incessante ramificazione dei saperi conduce a una tale
specializzazione delle discipline da frammentare le conoscenze in compartimenti stagni, fra loro
incomunicabili, cosicché il possesso completo anche solo di una scienza non è più appannaggio del
singolo esperto ma della comunità degli esperti in quella disciplina.
L’incomunicabilità diventa quasi assoluta tra scienze diverse, ciascuna delle quali ha ormai il suo
ristretto ambito di ricerca, i suoi metodi e strumenti operativi, il suo apparato concettuale e
linguistico, le proprie società scientifiche che organizzano congressi e pubblicano riviste
specializzate. Sorgono anche discipline miste che sollevano problemi di rapporto interdisciplinare
tra le scienze e, soprattutto, questioni al confine o al di fuori della portata e del loro ambito di
competenza. Nuove e continue scoperte, ad esempio in campo cosmologico, biologico, genetico,
aprono prospettive inaspettate e mettono in questione valori fino a ieri incontestati, ponendo
all’etica e alla filosofia, di solite impreparate su questi fronti specialistici come già si è detto,
domande di ben difficile soluzione.
Per tutte queste ragioni, riteniamo la proposta filosofica e metodologica di Bernard Lonergan
non solo utile, ma provvidenziale per un rinnovamento del lavoro filosofico e scientifico anche in
Italia. Tale proposta è un tentativo originale e fecondo di dare delle risposte operative, e non solo
concettuali e astratte, per superare i rischi di frammentazione che l’attuale specializzazione dei
saperi corre e per ricercare una via di integrazione possibile tra le scienze e le discipline.
Anzitutto, Lonergan fu attento ai radicali cambiamenti circa la nozione di scienza e di storia
(secoli XVII-XIX) che portarono a profonde trasformazioni della conoscenza circa la natura e
l’uomo. La disattenzione o il fraintendimento di tutto ciò ha condotto gran parte della filosofia
nell’insignificanza odierna. Per questo, Lonergan, nella sua ricerca metodologica, intese ricondurre
la filosofia al suo ruolo di mediazione con le altre scienze, i saperi e le culture umane, le società
1
stesse e, anche, la teologia. Riteniamo non solo degne di attenzione, ma confrontabili con le acute
analisi epistemologiche di Karl Popper, le analisi lonerganiane sulla nozione greca di scienza
(episteme) e sul cambiamento di tale nozione nell’epoca moderna, con il progressivo costituirsi di
nuovi metodi di indagine:
 il metodo classico il cui paradigma è dato dalla fisica classica di Newton e Maxwell fino alle
correzioni relativistiche di Einstein,
 il metodo statistico con la importante nozione di probabilità emergente che permette il
superamento dell’antinomia determinismo/indeterminismo,
 il metodo genetico con la nozione di sviluppo e l’attenzione alle novità introdotte dagli studi
darwiniani sull’evoluzione della specie,
 il metodo dialettico applicabile al campo antropologico con la sua specifica nozione di
dialettica ben diversa da quella hegeliana con la sua pretesa onnicomprensiva.
Con la chiara consapevolezza dei limiti della visione metafisica greca, e aristotelica in
particolare, Lonergan prospetta un’alternativa filosofica nuova e all’altezza dei tempi: la filosofia
si compone di almeno quattro parti in successione logica.
1) C’è anzitutto una teoria della conoscenza che è in grado di dire ciò che l’uomo fa quando
conosce e che include l’intera genesi del senso comune, delle scienze, degli studi storici ed
ermeneutici e delle filosofie. Tale teoria risponde anche alle possibili obiezioni che
provengono dai saperi del passato (poiché supera in radice la storica contrapposizione tra
idealismo e realismo) e, soprattutto, si premunisce contro il rischio di auto-referenzialità a cui
ogni teoria del genere si espone; nello stesso tempo è una teoria aperta ai futuri sviluppi della
scienza, degli studi culturali e di quelli filosofici.
2) Segue una epistemologia che chiarisce perché l’esecuzione delle operazioni individuate dalla
teoria del conoscere costituisce, appunto, il conoscere umano e conduce ad individuare e
superare le erronee prospettive sul conoscere e sulla realtà (dall’idealismo al realismo
ingenuo, dal relativismo al fenomenismo) che sono facilmente mantenute non solo dagli
uomini di senso comune, ma anche da scienziati, studiosi e filosofi.
3) Si può così arrivare ad una «metafisica» che ci permette di cogliere che cosa l’uomo conosce
quando compie le operazioni della conoscenza: è una «metafisica» del mondo della nostra
esperienza (aperta sull’«oltre»). Essa non va confusa con nessuno dei tanti tentativi di dire
l’ordine naturale definitivo del mondo e dell’uomo, poiché è una forma umile di sapere che
offre una griglia di base per comporre ciò che l’uomo acquisisce nelle varie regioni delle
scienze e dei saperi, che non si sostituisce ad essi, né pretende di dirigerli o normarli, ma che
consente l’attuazione di una richiesta da molti sentita: il superamento della frammentarietà e
della esasperata specializzazione all’interno delle stesse discipline tradizionali.
4) Infine, la quarta parte di questo programma filosofico, comprende un’etica esistenziale che
considera il vivere etico dell’uomo che scopre da sé che ciascuno deve decidere per se stesso
che cosa fare della sua vita e che ciò si può attuare attraverso l’amore e la lealtà verso i propri
simili.
La soluzione dei molti problemi della nostra epoca non consiste nel ripudio del sapere
scientifico e tecnologico in quanto tale, né nella demonizzazione dell’industrializzazione o della
mondo informatico e globale, serve piuttosto individuare un terreno comune sul quale gli uomini
possano incontrarsi per riflettere e collaborare per un nuovo ordine sociale ed economico
mondiale, oggi quanto mai più che necessario. Lonergan individuò questo terreno studiando i
dinamismi delle nostre conoscenze e del nostro agire morale, la struttura del desiderio e
dell’esperienza religiosa dell’umanità. E poiché era consapevole che le specializzazioni odierne
derivano dal fatto che le discipline mirano alla conoscenza non degli universali astratti bensì di tutte
le approssimazioni più vicine al concreto, egli si mosse in due direzioni.
2
1) Una è stata quella della macroeconomia a cui, nell’ultima parte della sua vita, dedicò studi
seri che portarono a proporre una serie di cambiamenti ritenuti da molti esperti in materia un
contributo significativo per un nuovo ordine sociale ed economico a livello mondiale.
2) La seconda direzione è stata quella filosofica nella prospettiva «generalista»: ritornare dalle
ristrette specializzazioni dei vari dipartimenti a visioni generali in cui le parti si possano
ricomporre in un tutto, sia pure dinamico ed evolutivo e, pertanto, sempre e solo
provvisoriamente tematizzabile.
È l’esigenza di interdisciplinarità sentita da tutti e cercata, per esempio, dal movimento
lanciato in America dalla Teoria Generale dei Sistemi di Ludwig von Bertalanffy. Una tale
interdisciplinarità comprende molte cose:
 un posto per la filosofia intesa come visione generalista della realtà
 e per le scienze umane riorientate secondo criteri metodologici propri,
 un nuovo sviluppo della teologia cattolica sistematica nell’attuale mentalità storica,
 un rinnovato dialogo tra le religioni mondiali,
 un’integrazione delle scienze e delle discipline accademiche con la filosofia e la teologia,
 un approccio rispettoso e dialogico della letteratura post-moderna
 e la creazione di un nuovo ordine economico mondiale.
È un programma ambizioso ma possibile, anzi necessario, se si vuole evitare un punto di non
ritorno che potrebbe costituire la catastrofe definitiva di un’umanità sempre più smarrita. Tale
programma, per usare dei verbi cari a Lonergan, preserva, promuove, porta a termine e sviluppa ciò
che di buono l’umanità ha elaborato nel suo cammino, attraverso un lavoro in collaborazione e in
creatività.
3
UN PENSATORE TRA “DUE MONDI”.
Breve presentazione del pensiero e del metodo di Bernard Lonergan
prof. Valter Danna
Facoltà Teologica Torino
Premessa esplicativa
Può sembrare strano, quando si parla ad un pubblico di insegnanti su temi educativi, parlare di un autore
sconosciuto, per di più teologo di professione (già questa, nella mentalità comune di oggi, sembra essere
una pessima carta di presentazione), ma è proprio quanto mi propongo di fare presentandovi la figura di
Bernard Joseph Francis Lonergan. Ma se avrete la pazienza di ascoltarmi, potreste forse avere la
piacevole sorpresa di incontrare un pensatore, un intellettuale nel senso pieno della parola che il
prestigioso Time definì “il più sottile pensatore filosofico del XX secolo”.
Lonergan è stato soprannominato1 “un pensatore tra due mondi culturali” per varie e giustificate ragioni.
- Dal punto di vista storico/culturale egli si è trovato in mezzo a due mondi: il mondo della cultura
classica (che imparò a conoscere ed apprezzare fin da piccolo) e il mondo moderno con i suoi
imprevedibili sviluppi scientifici e il suo pluralismo culturale.
- Dal punto di vista geografico, questo Autore ha vissuto tra l’antico mondo dell’Europa e il nuovo
mondo dell’America del Nord (viaggiando abbastanza spesso tra i due continenti per motivi di
studio e di insegnamento).
- Di origine irlandese, nacque il 17 dicembre 1904 in Canada (a Buckingham nel Quebec) in mezzo
a due mondi linguistici (francese/inglese). Sottolineerà lui stesso l’importanza di conoscere bene
le proprie radici per poter essere creativi in vista di una efficace progettazione del futuro.
- In questo senso Lonergan fu certamente un pensatore di transizione dall’antico al nuovo, avendo
messo a punto un nuovo strumento metodologico, una specie di nuovo Organon, per
l’integrazione dei nuovi saperi con gli antichi e per una collaborazione in vista della creatività e
del progresso.
Il suo curricolo di studi e di vita, assai interessante, si può dividere in due parti: (i) i suoi studi (19101940); (ii) la sua attività di studioso (fino alla morte avvenuta nel dicembre del 1984).
I tratti del suo pensiero: i tempi moderni e le rivoluzioni culturali
Lonergan colse i profondi e irreversibili cambiamenti della cultura contemporanea rispetto alla cultura
antica/classica, avvertendo, come cattolico, la necessità di un serio balzo in avanti, l’urgenza di una
riorganizzazione generale del sapere in cui la teologia (e anche la Chiesa e l’annuncio della fede) doveva
entrare per non rimanere in ritardo sui tempi.
Egli ritiene che oggi ci troviamo forse in un nuovo asse della storia (v. Jaspers) che ci stimola a compiere
quel “balzo in avanti” nella cultura che permette all’uomo occidentale di essere “all’altezza dei tempi”
(Ortega y Gasset). Questo periodo è stato preparato da alcune autentiche “rivoluzioni” della modernità
(secondo l’espressione di T. Kuhn) che riguardano lo straordinario sviluppo della scienza e della tecnica
(rivoluzioni scientifiche), la comprensione piena della prospettiva storica nell’orizzonte dell’uomo
(rivoluzione storica) e una conseguente problematizzazione e chiarificazione su chi è l’uomo (rivoluzione
antropologica).
Mentre, però, le scienze della natura hanno raggiunto uno sviluppo enorme grazie alle rivoluzioni dei loro
paradigmi scientifici e, utilizzate al meglio, si possono mettere al servizio dell’umanità, le scienze umane
e sociali, la storia, la filosofia stessa (le cosiddette scienze dello spirito secondo l’espressione di Dilthey)
1
L’espressione è del prof. Natalino Spaccapelo in una conferenza su Lonergan tenuta al Centro teologico di Torino il 14
giugno 1999. Spaccapelo è uno massimi esperti di Lonergan in Italia e uno dei curatori della traduzione italiana dell’Opera
Omnia di Lonergan per i tipi dell’editrice Città Nuova.
non svolgono lo stesso ruolo benefico per l’umanità. Una denuncia, questa, che Lonergan ricava da
Edmund Husserl2. La crisi globale di esistenza e di pensiero che l’Europa sta attraversando è il frutto di
un’alienazione scientifica per cui le scienze dell’uomo non hanno ancora trovato un loro proprio metodo
e, scimmiottando i metodi oggettivi e quantitativi delle scienze naturali, producono inevitabilmente
un’alienazione dell’uomo. L’uomo con la sua soggettività, la sua esistenza quotidiana, i suoi orizzonti
pratici, le sue credenze pre-scientifiche (il cosiddetto “mondo-della-vita”) non può essere manipolato a
piacere dal dominio tecnocratico, dal cattivo razionalismo e dal positivismo: la reazione è il rifugiarsi in
un modo irrazionale, dove si invoca qualche sciamano per essere guariti.
C’è una via d’uscita da questa situazione di grandi incertezze, di complesse trasformazioni della nostra
epoca e di fronte a sintomi inquietanti di decadenza della nostra civiltà occidentale (basta leggere i
giornali...)?
Esistono delle soluzioni alla crisi totale dell’uomo europeo, di un uomo - questo animal symbolicum - che
pur scientificamente progredito non sa più che è perché le conquiste “esterne” (quelle
scientifico/tecnologiche) hanno oscurato la sua interiorità3 (Cassirer)?
La risposta che Lonergan propone (il “metodo trascendentale” o M.E.G.) è sostanzialmente un’analisi
della propria interiorità (il socratico Γνωθι σαυτον, “Conosci te stesso”), un ritornare in se stessi, lì dove
sono spontaneamente operativi i dinamismi umani fondamentali dell’intelligenza, della ragionevolezza,
della libertà e dell’amore come norme esistenziali ultime e intrinseche per il proprio personale
autosviluppo.
Questa è la base fondamentale (un metodo dei metodi) che può aprire la strada a una vera rivoluzione
antropologica. Ogni tempo lo si può giudicare secondo quello che dice circa l’uomo e anche noi
possiamo leggere il nostro tempo a secondo di quello che dice e capisce dell’uomo. L’invito di fondo di
Lonergan è quello di appropriarsi di quel Sé che noi siamo con tutta la ricchezza del suo dinamismo
interiore, per un vivere in collaborazione e creatività.
Lonergan ha avuto il coraggio di elaborare non una teoria ma un itinerario, una via (metodo: μεϑοδος
deriva da οδος = via) concreta da percorrere per un nuovo “Conosci te stesso” e per vivere secondo
questa conoscenza di sé. In questo senso, qualcuno (Frederick Crowe, allievo e amico di Lonergan) ha
parlato dell’opera di Lonergan come di un Organon per una nuova epoca della storia, in analogia
all’Organon di Aristotele e al Novum Organum di Francis Bacon.
La ricerca metodologica di Lonergan è un Organon perché somiglia a questi intenti di organizzare i saperi
e di rinnovare la vita intellettuale, ma vi somiglia nello scopo e nell’impresa ma non nel modo di
concepire la mente (almeno per quanto riguarda Bacone).
L’Organon lonerganiano non è tanto costituito dal contenuto della sua opera (pur essendo il suo un
pensiero estremamente aperto e dinamico), bensì è costituito dall’itinerario con cui egli ci indirizza alla
nostra interiorità coscienziale in vista di una fondamentale auto-possesso o, come dice Lonergan, di autoappropriazione di sé. Si tratta dunque non di un Organon a tavolino, astratto; ma occorre imitare
creativamente la proposta lonerganiana in vista di una realizzazione personale di tale itinerario in se
stessi e, per i docenti, di una proposta educativa che aiuti l’alunno a pensare, a essere se stesso trovando la
propria strada di apprendimento.
Lonergan affermava che bisogna conoscere il nostro passato culturale per avanzare con creatività e
successo verso il futuro. Tre sono le espressioni più usate:
(i) la “instauratio in Christo” secondo il motto di Pio XI;
(ii) “Vetera novis augere et perficere” (Leone XIII), cioè unire l’antico al nuovo portandolo così a
compimento;
2
Cf HUSSERL Edmund, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, composta in massima parte nel
1935-36; parti I e II pubblicate nel 1936, parte III inedita; il tutto pubblicato nel 1954 (traduzione italiana di Enrico Filippini,
prefazione di Enzo Paci, Milano, il Saggiatore, EST, 1997).
3
È questa la tesi di Ernst CASSIRER in Saggio sull’uomo (1944).
2
(iii) “Aggiornamento” (Giovanni XXIII), ossia riportare alla contemporaneità la rivelazione e la
fede cristiana.
Oltre il suo lavoro come teologo dogmatico e sistematico, Lonergan si era organizzato a uno studio
personale almeno su tre aree di interesse:
1. L’area della teoria della conoscenza (gnoseologia) della epistemologia e metodologia
scientifica. Si può esprimere questa ricerca con la domanda: “possibile che nell’universo ci siano
leggi per ogni cosa e non per la mente umana? Si può conoscere come funziona la mente
umana?”, “Che cosa facciamo quando noi conosciamo?”.
2. L’area dell’etica, della politica e dell’economia (e tecnologia), che sono per Lonergan delle
discipline interconnesse. Qui la domanda è: “come trovare dei precetti morali in grado di ispirare
l’attività economica, ma basati sulla natura dei procedimenti della stessa economia?”. Alla fine
della sua vita, quando insegnava economia a Boston, Lonergan diceva ai suoi alunni: “Se vuoi
dare un consiglio morale agli economisti devi sapere come funziona l’economia”.
3. L’area riguardante la società, la cultura e la storia, dove Lonergan si domanda: “come può una
realtà concreta [un individuo umano, una comunità, una scienza, una religione, ecc.], passare
attraverso fasi/tappe/periodi storici diversi eppure essere fondamentalmente la stessa realtà?”.
Nella teologia questa domanda costituisce tuttora un grande problema: qual è la relazione tra una
verità cristiana di fede e il suo sviluppo nel tempo (rapporto tra dogma e storia).
Per ognuna delle aree precedenti Lonergan ha elaborato una sua teoria esposta in importanti
pubblicazioni:
1) Una Teoria della conoscenza per risolvere la babele delle scienze e l’incomprensione radicale tra i
filosofi (lo scandalo dei filosofi è la mancanza di unità di linguaggio e di metodo, mentre questo c’è
nelle scienze empiriche della natura). Per questo problema il capolavoro è Insight: non solo un
pensiero (o un trattato), ma invito a una ricognizione di come l’uomo comprende nei vari settori del
sapere affinché il lettore raggiunga l’auto-conoscenza del proprio modo di comprendere.
2) Una teoria della storia: abbiamo testi sulla storia anche in età giovanile (“la chiesa oggi non può far
fronte ai problemi dell’idealismo, del marxismo, del nazismo, se non elabora una summa sociologica”
(lun. pasqua 1935). L’opera che applica la storia ai grandi problemi della teologia è Method in
theology, secondo capolavoro, preparato per decenni e uscito nel 1972.
3) Una teoria dell’economia: testi economici. Per quest’area, il lavoro finale fu svolto dopo il 1972
(lasciando l’approfondimento del tema che per anni aveva posto: “la presenza redentrice del Cristo
nella storia”) con studi sulla macroeconomia, e con l’insegnamento (’77-’83) appunto su
“Macroeconomia e dialettica della storia”. Due volumi stanno ora uscendo (anche in italiano) sulla
sua teoria economica: Analisi dinamica macroeconomica e Studi di economia: primi saggi (19421944).
L’auto-appropriazione di sé e il filosofare
Due constatazioni iniziali:
a. la domanda sulla natura del conoscere umano rimane ancor oggi una domanda fondamentale (che non
sembra ammettere una risposta definitiva) in un contesto di grande specializzazione del sapere e di
un’inevitabile processo di frammentazione (con la spiacevole tesi dell’impossibilità di raggiungere
una qualche unità del sapere);
b. ogni astratta teoria del conoscere incappa in un “inghippo esistenziale” (Lonergan), cioè nel delicato
problema dell’autoreferenzialità, in quanto presuppone ciò che sta cercando di conoscere.
3
La proposta per superare questa empasse è quella dell’auto-appropriazione di se stessi in quanto
soggetti conoscenti:
- partendo dalla constatazione che c’è conoscenza, che ci sono dei saperi che funzionano, si formula
la domanda sulla conoscenza in prima persona: “Che cosa io faccio quando conosco?”.
- Si invita il lettore ad un lavoro di “introspezione” (nel senso illustrato a p. 192) per riconoscere la
propria struttura conoscitiva, attraverso una serie strategica di esemplificazioni che mettano in
evidenza i vari eventi/atti del nostro conoscere tenendo conto del fatto che ogni operazione
conoscitiva è conscia.
- Auto-appropriazione significa giungere ad un primo giudizio filosofico “Io sono un conoscente”
con il quale il soggetto umano conosce la natura di sé come conoscente, ossia in concreto le
operazioni singole e l’intero processo intenzionale del conoscere insieme all’unità della propria
coscienza.
Le difficoltà di questo percorso sono molteplici:
1. Una tale analisi intenzionale del processo umano del conoscere consiste nel passaggio dal
piano linguistico e concettuale al piano pre-linguistico e pre-concettuale degli atti
operativi che sono “eventi coscienziali”: noi non possiamo che usare parole e concetti per
descrivere/spiegare gli atti/eventi che stanno alla base (precedono e fondano) delle nostre
stesse parole, immagini, rappresentazioni, idee, concetti e giudizi.
2. Nel conoscere la nostra attenzione va spontaneamente sull’oggetto da conoscere
(contenuti della conoscenza) e non è facilmente rivolta invece al soggetto e ai suoi atti,
mentre sono proprio questi gli oggetti del percorso dell’auto-appropriazione: si tratta di
conoscere il proprio conoscere, cioè i propri atti conoscitivi e le loro reciproche relazioni
funzionali ma questo lo si fa a partire da un qualche contenuto conoscitivo (perché la
conoscenza è sempre conoscenza di qualcosa). È un cammino concreto che ciascuno può e
deve compiere da se stesso (pp. 192-193).
3. In tutti noi è presente una dialettica fondamentale tra la nostra psiche intersoggettiva
(fondata sulla percezione comune agli animali, legata al mondo biologico e arricchita
dall’intersoggettività: cf. V. Danna, Percorsi dell’intelligenza, Effatà, Cantalupa 2003, p.
306-307) e la nostra intellettualità/razionalità (puro e disinteressato desiderio di
conoscere, “eros della mente”) capace di costruire un indefinito insieme di sistemi culturali
storicamente situati. Tale dialettica tra conoscere elementare (estroverso, tipico
dell’animale, completamente costituito a livello di esperienza empirica ma privo di
domande) e conoscere umano in senso pieno (in cui l’esperienza empirica offre solo i
materiali per le domande e le risposte intelligenti e razionali) è all’origine di molteplici
distorsioni (deformazioni, bias) individuali e collettive che possono trasformare il
progresso di una società in un rapido declino (ivi, 308-313).
4. Una tale dialettica dell’uomo implica anche una nativa confusione su ciò che è “reale”: il
conoscere elementare ritiene reale ciò che è “già lì fuori ora” con le sue sfide in relazione
alla vita biologica, il conoscere in senso pieno considera “reale” ciò che è verificato, ossia
viene conosciuto attraverso esperienza, comprensione e giudizio. Lonergan parla anche
della natura proteiforme dell’essere che si identifica alternativamente con la materia,
l’idea, i fenomeni, l’essenza, un inconoscibile trascendente, le cose che esistono.
Il risultato a cui Lonergan giunge è una teoria del conoscere (che cosa facciamo quando conosciamo?)
in cui le operazioni consce e intenzionali si dispongono in una struttura dinamica costituita da quattro
livelli (di coscienza):
1. esperienza o coscienza empirica (dati, percezioni, immagini libere, espressioni),
2. comprensione o coscienza intellettuale (indagine sui dati, atti ci capire, formulazioni),
3. giudizio o coscienza razionale (indagine riflessiva, comprensione riflessiva, giudizio di
esistenza),
4. responsabilità/libertà o coscienza morale (deliberazione, valutazione, scelta libera, azione).
4
Due elementi antropologicamente rilevanti del conoscere sono da rimarcare:
a) Il conoscere umano è un dinamismo conscio che si manifesta come perfezione del soggetto
conoscente (i tomisti parlano del conoscere come di un’assimilazione intenzionale del conosciuto da
parte del conoscente: Anima est quodammodo omnia). Ossia per lo sviluppo dell’uomo il conoscere è
indispensabile.
b) Nelle sue dimensioni di intenzionalità e trascendenza, il conoscere supera l’immanenza coscienziale
per terminare a oggetti conosciuti appartenenti all’universo dell’essere (la coscienza umana è
intenzionale e trascendente, ossia costitutiva e previa apertura sull’intera realtà).
Alcune conseguenze filosofiche di un tale realismo critico.
Primo. La potenzialità illimitata del nostro conoscere si caratterizza come una finalità radicale verso
l’essere in tutta la sua estensione (tendenza conscia, intelligente, razionale e deliberata: desiderio di
conoscere l’essere) e diviene essa stessa nozione a priori dell’essere (non un contenuto formale previo,
ma dinamismo della mente responsabile di ogni domanda e di ogni risposta).
Secondo. La struttura operativa del conoscere è intrinsecamente oggettiva, cioè è fatta per conoscere
l’universo dell’essere (inteso in ogni operazione conoscitiva, progressivamente conosciuto attraverso il
processo cumulativo della nostra concreta conoscenza). Perciò non c’è alcun problema di ponte (cfr.
Cartesio) tra soggetto e oggetto, pensiero ed essere.
Terzo. Si supera in radice l’idealismo (immanenza assoluta tra essere e pensiero) e il relativismo
(impossibilità di una qualche conoscenza certa per la connessione di ogni cosa con il tutto dell’universo) e
si formula il teorema epistemologico: conoscere è conoscere l’essere e l’essere è il reale a cui si arriva né
con un’occhiata a ciò che è “lì fuori ora”, né con un’intuizione intellettuale analoga al vedere, ma con un
giudizio razionale vero.
Quarto. L’oggettività conoscitiva è raggiunta solo da un soggetto autentico (per usare un linguaggio
esistenzialista), ossia capace di essere guidato dalle sua operatività dinamica e intenzionale espressa nei
cosiddetti “precetti trascendentali”: Sii attento, sii intelligente, sii ragionevole, sii responsabile, ama in
maniera irristretta:
- «Al livello empirico, il precetto «Sii attento» invita a sviluppare l’attenzione, ad inserirsi come
soggetti senzienti in un mondo/ambiente costituito da altre presenze.
- Al livello intellettuale, il precetto «Sii intelligente» esorta a curare e sviluppare l’intelligenza
attraverso la fantasia, il linguaggio, la curiosità, l’interesse, a fare esperienza della novità e
creatività del capire, ad impegnarsi in formulazioni concettuali rigorose e coerenti.
- Al livello razionale, il precetto «Sii ragionevole» spinge il soggetto a sviluppare la propria
razionalità e senso critico, a seguire le esigenze della ricerca di assolutezza conoscitiva e la
capacità di discriminare tra vero e falso, certo e probabile, reale e apparente.
- Al livello responsabile, il precetto «Sii responsabile» comporta di vivere la libertà come capacità
di autodeterminazione personale, di discernere tra bene e male, tra valori autentici e inautentici, di
decidere e agire per divenire un centro attivo di benevolenza e di realizzazione umana autentica
all’interno del mondo degli uomini e nell’universo dell’essere.
- Infine, il precetto «Ama in maniera non ristretta», applicato al livello religioso della coscienza,
esorta ad accogliere l’amore donato dall’alto a testimoniarlo attraverso il dono di sé come
condizione per sconfiggere il male alla sua radice» (p. 421 ss.)
Ciò conduce ad alcune conseguenze importanti:
- un superamento delle antiche contrapposizioni tra soggettivo/oggettivo, psicologico/ontologico,
soggettività/normatività;
- l’importanza dell’oggettività (senza la quale i valori della persona sono distrutti) si compone con
lo sviluppo integrale della persona (conoscenza, moralità, religiosità);
5
-
l’auto-appropriazione di sé come conoscenti conduce a una vera conversione intellettuale.4
Quinto. La peculiarità centrale del metodo seguito (MEG) è il ruolo del soggetto esistenziale nella
costruzione del sapere e della cultura: prima della logica, delle scienze con i loro metodi operativi, delle
filosofie e delle teologie con i loro principi universali e trascendentali, ci sono i logici, gli scienziati, i
filosofi e i teologi, gli uomini di cultura e le persone intelligenti che operano nella vita quotidiana;
insomma i concreti soggetti umani con la loro coscienza intenzionale e dinamica che è la base invariante
per ogni esercizio di intelligenza critica e di scelta libera nella dialettica fondamentale che caratterizza il
soggetto esistenziale nella sua nativa “confusione”.
Sesto. La filosofia come sapere dell’interiorità (in base all’auto-appropriazione) riacquista così il suo
ruolo peculiare che consiste nel ricondurre tutti gli saperi (fra i quali non vi può essere concorrenzialità)
alla loro base ultima (il soggetto conoscente esistenzialmente situato) ed essa diviene metafisica in quanto
discorso sulla totalità del reale in dialogo integrativo con tutti i saperi umani, non per unificarli in un
quadro superiore di principi primi (come fa la metafisica neoscolastica), ma nelle direzione del soggetto
conoscente in quanto sorgente ultima del significato e della razionalità o della loro assenza (funzione
critica e dialettica del MEG).
In sintesi, le affermazioni che costituiscono la posizione fondamentale del MEG sono tre:
- Primo, la conoscenza è una struttura conscia di operazioni empiriche, intellettuali e razionali
(contro il mito per cui conoscere è guardare) e il soggetto è conosciuto (auto-appropriato) quando
si afferma intelligentemente e ragionevolmente (contro il soggetto in un precedente stato
esistenziale).
- Secondo, l’oggettività è il risultato dell’indagine intelligente e della riflessione critica contro
l’orientamento della coscienza biologica estroversa che ritiene oggettivo ciò che c’è da vedere e
che l’oggettività sia una mera proprietà dell’estroversione e soddisfazione vitale.
- Terzo, la realtà è l’universo concreto dell’essere, cioè tutto ciò che può essere intelligentemente
compreso e ragionevolmente affermato contro il «già esterno qui ora» del mondo del senso, già
suddiviso.
Conseguenze educative
Una tale auto-appropriazione è soltanto un “buon inizio” di quel viaggio in noi stessi che è una delle
condizioni fondamentali per un pieno sviluppo della persona. Si tratta di una lenta e faticosa acquisizione
di una coscienza sempre più differenziata, capace di cogliere le opportune distinzioni della realtà, che per
l’adulto è il mondo mediato dal significato e motivato dal valore, cioè l’intero universo dell’essere5 (che
può essere tematizzato attraverso quattro ambiti: il senso comune, la teoria, l’interiorità e la
trascendenza).
L’auto-appropriazione dipende anche dai tempi e dalle culture: lo sviluppo delle scienze (naturali e
umane) consente oggi un cammino d’interiorità in altri tempi impensabile. In questa avventura dell’uomo
4
Tale conversione implica di tre punti fermi: (1) eliminare il mito che il conoscere sia una specie di guardare/ vedere/ intuire,
per intenderlo come una struttura dinamica sui livelli già indicati (fare esperienza, comprendere, giudicare e anche credere); (2)
scoprire che i criteri dell’oggettività non consistono nel guardare là fuori per vedere quel che c’è da vedere, ma si arricchiscono
con i criteri del nostro modo di comprendere e pensare e del nostro modo di giudicare; (3) modificare e arricchire la nozione di
realtà che non è ciò che è «la fuori ora già» costituito da vedere, ma è l’essere cioè tutto ciò che, oltre ad essere sperimentato (e
dunque anche visto) e compreso (cioè pensato), è affermato attraverso giudizi veri.
5
Lonergan definisce la nozione di essere come l’obiettivo della nostra intenzionalità conscia (desiderio puro di conoscere),
cioè tutto ciò che l’uomo può conoscere attraverso la comprensione intelligente e il giudizio razionale, ed elabora il suo
teorema epistemologico per cui “conoscere significa conoscere l’essere, e l’essere è la realtà” (raggiunta attraverso il
superamento di ogni sensismo/empirismo che privilegia l’aspetto percettivo, quasi che conoscere fosse simile al vedere). Il
passaggio dall’empirismo (e realismo ingenuo) al realismo critico che assume un criterio pienamente razionale di realtà
consente poi a Lonergan di costruire una “metafisica euristica” intesa come sapere umile, rispettoso degli altri saperi, ma
capace di un’integrazione e di un controllo metodologico fondamentale.
6
per umanizzarsi sempre di più, Lonergan afferma fortemente il legame tra il retto pensiero e uno sviluppo
autentico della persona, il nesso tra una corretta oggettività e una soggettività autentica6.
Se è vero che l’oggettività è connessa con una soggettività autentica, allora una adeguata metafisica [se
può fare qualcosa per superare le interpretazioni filosofiche erronee della nozione di mito] «si deve
estendere in una filosofia dell’educazione e l’educazione deve essere resa efficace prima che possa essere
esorcizzato il rischio di avventurieri che si arrampicano al potere attraverso sagaci costruzioni di miti»7.
Tuttavia, lo sviluppo umano deve fare i conti con il polimorfismo della coscienza umana e con tutti gli
ideali già precostituiti (e quindi pre-critici) nella nostra coscienza: le nostre pre-comprensioni. Come ben
sappiamo, c’è in ciascuno di noi un elemento esistenziale costituito da un ideale già operativo circa la
conoscenza, in quanto noi tutti siamo spontaneamente guidati dalla presunzione di sapere già che cosa
siano conoscere, oggettività e realtà. E questo ideale è per lo più acritico e facilmente compromesso con
qualche mito o ideologia (ad esempio è il primo tipo di conoscenza: quella “animale” dell’estroversione
biologica).
Lonergan ha lavorato, si può dire, tutta la vita per una metodologia che superi gli ideali ingenui e riduttivi,
che spontaneamente e in modo irriflesso ci guidano nell’apprendimento. Le ottocento pagine di Insight lo
testimoniano chiaramente, così come altri scritti e l’intera sua ricerca metodologica: è in noi stessi, nel
dinamismo della nostra coscienza, che troviamo la norma trascendentale che ci definisce (come
soggetti intelligenti, ragionevoli e responsabili) e ci permette di demistificare ogni tentativo di ideologia e
di mito intesi come sviamento dal retto pensare, dal vero e dal bene. Lonergan prospetta, dunque, un
compito critico ed educativo formidabile: smascherare le ingenuità, i miti, le deformazioni e le
ideologie, perché il soggetto si possa sviluppare e cresca in libertà, creatività e in spirito di
collaborazione.
L’attenzione all’uomo e allo sviluppo dialettico della sua coscienza conduce Lonergan nell’epilogo di
Insight a parlare di una scienza dell’uomo (cf Insight, Roma 2007, p. 923), intesa come una
collaborazione e una sinergia a più voci: quella dello scienziato empirico, del filosofo e anche del
teologo.
L’uomo si sviluppa, infatti, non solo sui tre piani biologico, psichico e intellettuale, bensì su quattro
piani: bisogna aggiungere il piano soprannaturale che include le forme superiori della fede, speranza e
carità. Solo l’aggiunta di questo ulteriore piano offre una soluzione al problema umano del male (cf
Insight, cap. XX) e quindi alla dialettica tra l’esigenza di autotrascendenza e di autenticità8 e l’intrinseca
spinta all’inautenticità (chiusura egoistica, deformazioni individuali, di gruppo e generale).
In aggiunta, solo un’autentica collaborazione di molti permetterà di superare l’attuale crisi della vita e
dei valori umani (cf Insight, Roma 2007, p.920 ss.). Citando Ernst Cassirer, Lonergan ritiene che alla
domanda su chi è l’uomo sono state date (nel secolo XX) molte risposte (da teologi e scienziati, da
politici e sociologi, da biologi e psicologi, da etnologi ed economisti), ma tali risposte non si accordano
tra loro e non sembra esistere un qualche principio generalmente accettato che crei un certo ordine e una
certa chiarezza in merito. C’è un disorientamento che acquista le dimensioni di una crisi sociale, di una
cultura sensista (sensate culture: cf L’intelligenza, p. 921) «in cui moltissimi uomini, in quanto
6
Infatti, «è certamente vero - scrive Lonergan - che la conoscenza umana oggettiva non è ancora la vita umana autentica; ma
senza conoscenza oggettiva non si dà vita autentica... Per trattare gli uomini come persone uno deve conoscere e deve invitare
gli uomini a conoscere. Una reale esclusione della conoscenza oggettiva lungi dal promuovere, distrugge piuttosto i valori della
persona... Il vivere autentico include la conoscenza oggettiva...» (B. LONERGAN, La struttura della conoscenza, in Ragione e
fede di fronte a Dio, Brescia, Queriniana, p.102). Tutt’altra cosa dalle attuali e frequenti derive relativiste, immanentiste e, da
ultimo, nichiliste che oggi occupano spesso il campo non solo della cultura, ma anche dell’educazione.
7
B. LONERGAN, Insight. Uno studio del comprendere umano, Città Nuova, OBL 3, Roma 2007, p. 687, trad. di S. Muratore
con modifiche nostre.
8
È la genuineness, come categoria riassuntiva dello sviluppo umano, già presente in Insight (cf Insight, Roma 2007, p. 606 ss.;
purtroppo la traduzione di Muratore è letterale [genuineness = genuinità], mentre io ritengo più adeguato il termine
“autenticità”).
7
riconoscono una egemonia della verità, danno la loro approvazione non a una rivelazione divina, non a
una teologia, non a una filosofia e nemmeno a una scienza intellettualistica, bensì alla scienza
interpretata in modo positivistico e pragmatico» (ivi, con modifiche nostre).
In conclusione
Utilizzando le categorie concettuali che troviamo in Insight e che Lonergan9 svilupperà ulteriormente nel
seguito della sua ricerca metodologica, possiamo dire che il suo modo di procedere comporta:
a) l’attenzione privilegiata ai problemi più che alle soluzioni, alle domande più che alle risposte, alla
ricerca più che alle classificazioni, ai concetti euristici più che ai concetti determinati e fissi, delle
strutture più che dei contenuti,
b) la complementarietà tra le descrizioni e le spiegazioni, tra il metodo d’investigazione classico (basato
su ipotesi) e quello statistico (fondato sulla nozione di probabilità), tra il metodo genetico (fondato
sulla nozione di sviluppo) e quello dialettico (applicato al mondo umano), tra i significati e i valori, tra
la natura e la cultura, tra la differenziazione e l’integrazione,
c) l’impegno per l’autenticità contro l’inautenticità, per il progresso contro il declino, per la comunità
contro l’alienazione, per la conversione contro lo sbandamento, per il realismo critico contro il
realismo ingenuo, per l’interiorità contro l’estroversione.
Qual è dunque l’eredità di Lonergan? Circa la filosofia, egli osservava che essa ha subito fortissimi
cambiamenti, per cui oggi conduce l’uomo ad usare la propria interiorità, la propria coscienza. Come già
detto, K. Jaspers afferma che noi ci troviamo verso la fine di un periodo assiale, un asse della storia (crisi
generalizzata): c’è il comparire di qualcosa che farà fare all’umanità un salto in avanti (digressione su
questo tema...). Anche Lonergan ha contribuito la il suo instancabile lavoro a questo “balzo in avanti”, ne
evidenzio i punti principali:
1. un nuovo “conosci te stesso”, un’autoconoscenza dell’uomo al livello della cultura dell’oggi;
2. il raggiungimento di un nuovo livello di coscienza: un livello di coscienza di tipo planetario, non solo
di gruppo. Un livello etico/esistenziale: l’età della libertà/responsabilità;
3. una rinnovata dinamica educativa dove il primo e massimo bene è lo sviluppo personale del discente
fino al punto più alto a cui può arrivare, acquisendo la capacità di scegliere tra ciò che il livello della
conoscenza propone oggi all’uomo: dobbiamo fare ciò che abbiamo imparato a conoscere;
4. un’educazione al livello del bene, poiché l’educazione è il primo bene che la persona umana ha
diritto di ricevere: educare è un servizio, una vocazione, perciò
− deve avvenire uno sviluppo educativo: esplicitare le proprie capacità.
− Tale sviluppo educativo deve diventare sviluppo operativo: queste capacità devono essere
messe in atto. L’esercizio fa sì che le capacità non rimangano allo stato latente, ma si esplicitino.
Ci deve essere uno sviluppo formativo: quelle capacità che il primo livello di educazione ha fatto
emergere, quell’esercizio delle tue operazioni che hai potuto mettere in atto (ecco la scuola attiva),
devono essere oggetto di piena appropriazione: appropriati delle tue capacità, appropriati del tuo operare
e che questo diventi l’organon del tuo vivere creativo.
9
Per il reperimento di un più completo elenco di tale Begrifflichkeit (concettualità) di Lonergan, cfr. Frederick E. CROWE,
Bernard J. F. Lonergan. Progresso e tappe del suo pensiero, edizione italiana a cura di N. Spaccapelo e S. Muratore, Citta
Nuova Editrice, Roma, 1995, p. 158.
8
I fondamenti antropologici
della filosofia dell’educazione di Bernard Lonergan
di Valter Danna
1.
Contesto e presentazione di Sull’Educazione
Vogliamo situare l’opera di cui ci occuperemo nel contesto della ricerca di Lonergan. Per questo
pensatore, infatti, il contesto costituisce un elemento irrinunciabile per comprendere un’opera e un
soggetto umano: la coscienza di un soggetto con la sua struttura operativa intellettuale e morale si forma
all’interno di contesti storici, culturali e sociali.
Il contesto è «lo sfondo dinamico, mentale, psichico a partire dal quale il soggetto vive la propria
esistenza e dentro il quale si compie la ricerca, l’elaborazione, l’affermazione di significati»1 e permette
al soggetto di collocarsi entro un proprio mondo delimitato da un particolare orizzonte che non è mai
statico, ma dinamico e diretto dagli interessi del soggetto stesso in sviluppo.
Sull’Educazione è un’opera di Lonergan pubblicata solo in questi ultimi anni in inglese e poi anche in
traduzione italiana. È la trascrizione di un seminario estivo tenuto da Lonergan nell’agosto 1959 alla
Xavier University di Cincinnati (in Ohio, U.S.A.).
Questo seminario fu tenuto appena dopo la pubblicazione della maggiore opera filosofica Insight (1957) e
all’interno di una serie di altri seminari in cui egli mette a confronto le sue tesi con l’esistenzialismo e la
logica matematica (1957 Logic and Existentialism; 1958 Understanding and Being)2. Il seminario
sull’educazione fa parte di un periodo estremamente fecondo per la maturazione del pensiero di Lonergan
che allarga sempre più la concezione antropologica (sul conoscere) agli studi umani.
Nell’opera Sull’educazione sono evidenti alcuni frutti e progressi compiuti da Lonergan in anni di studio
e di insegnamento3.
2.
La nozione di coscienza e i suoi elementi
La nozione base di coscienza intenzionale:
La coscienza è la presenza del soggetto a se stesso4, cioè l’esperienza che egli fa di sé attraverso le
proprie attività tipicamente umane (come la percezione, il pensiero, il giudizio, le scelte e decisioni).
Esprime il soggetto nella sua vita cosciente a tutti i livelli e aspetti. Si parla di livelli e di aspetti della vita
cosciente dell’uomo:
I livelli di coscienza sono fondamentalmente quattro:
1.
livello empirico del soggetto sveglio che sente, percepisce, immagina, prova sentimenti, parla, si
muove;
1
2
P. TRIANI, IL dinamismo della coscienza e la formazione, Vita e pensiero, Milano, 1998, p.50.
L’occasione del seminario sull’educazione fu il centenario della nascita del filosofo e pedagogista americano John Dewey
(28 ott. 1859 - 1° giugno 1952). Il decano della facoltà di filosofia della Xavier University, il prof. Stan Tillman (presente al
seminario tenuto ad Halifax su Insight nel 1958) invitò Lonergan a tenere questo corso. Questi accettò prontamente e si
preparò con grande scrupolo e studio specialistico non solo di Dewey, ma anche di Jean Piaget e Susan Langer. Parteciparono
al seminario 55 persone, in maggioranza religiosi/e che insegnavano nell’ampio sistema scolastico cattolico degli Stati Uniti:
da qui il tono strettamente “cattolico” delle sue lezioni (ma nei contenuti filosofici di fondo non c’è confessionalità alcuna).
3
Lo sviluppo nuovo sul bene umano (lezioni 2-4) nella sua concretezza legata alla storia del soggetto, l’abbandono del
vecchio schema aristotelico della “psicologia delle facoltà” per un’analisi fenomenologica della coscienza e del suo flusso di
dati, l’acquisizione dell’epistemologia genetica di Piaget e di una teoria dell’arte.
4
La presenza coscienziale (presenza terza) del soggetto a sé si distingue dalla presenza fisica (presenza prima) di un oggetto
(una sedia) in una stanza, e dalla presenza intenzionale (presenza seconda) di quello stesso oggetto ad un soggetto
conoscente.
1
2.
3.
4.
livello intellettuale
del soggetto che
domanda, cerca dei significati, comprende,
concepisce e formula definizioni, ipotesi, teorie (Che cos’è? Perché? Come è?);
livello razionale del soggetto che riflette e mette alla prova le sue teorie, cerca l’evidenza per
giungere a un giudizio razionale (è proprio così? è vero?);
livello responsabile (etico/esistenziale) del soggetto delibera e valuta corsi possibili di azione (È
veramente bene? Ne vale la pena?), sceglie e decide, esegue ciò che ha deciso.
Gli aspetti della coscienza dicono il dinamismo con cui il soggetto si espande verso la sua piena
attuazione, attraverso differenziazioni e integrazioni successive. Tali aspetti, che sono presenti anche
nella vita collettiva di un popolo o di una civiltà, sono almeno sei:
1.
Aspetto affettivo: è l’energia che sostiene e accompagna tutta la vita conscia dell’uomo; affetti,
desideri e sentimenti di vario tipo, compreso il desiderio di conoscere; senza i sentimenti il nostro
conoscere e il nostro decidere sarebbero esili come carta.
2.
Aspetto conoscitivo: è il processo dinamico e strutturato sui tre livelli di esperienza, comprensione,
giudizio che conduce il soggetto a una conoscenza sempre più piena della realtà nelle sue varie
sfere.
3.
Aspetto normativo: è l’«io» è presente a se stesso nella libera sottomissione a una norma e nel
voluto raggiungimento di un bene; è la nostra consapevolezza di tendere a, sentire, conoscere,
volere e fare il bene.
4.
Aspetto creativo: riguarda la sollecitabilità primaria della nostra coscienza da parte dell’intera
realtà, verso il raggiungimento di una gratificazione ontologica attraverso varie modalità estetiche e
artistiche.
5.
Aspetto associativo: consiste nell’apertura verso l’altro, intesa come una condizione permanente
dell’uomo prima ancora di qualsiasi azione o rapporto sociale, in quanto egli ha bisogno di un
complemento: sentimento di innata solidarietà e fondamento della relazionalità.
6.
Aspetto religioso: consiste nella dimensione recettiva della coscienza nei confronti del «mistero»,
del «trascendente», del «sacro», e si esprime come stato affettivo di amore sperimentato, ma
difficile da nominare a cui le varie religioni storiche cercano di dare un volto.
La coscienza è un proprium dell’uomo non riducibile al cervello (o a uno stato cerebrale) [=
riduzionismo biologico], non identificabile con l’anima della tradizione metafisica/sostanzialista, o con
qualcosa che sta nel soggetto e a cui si può “dare uno sguardo”. È un modo di dire l’uomo come
soggetto attraverso quattro proprietà interscambiabili e interconnesse:
a) dinamismo intrinseco (manifestato per esempio nelle domande del soggetto su ciò che è, e che
deve essere) che sorregge lo sviluppo dell’uomo e ch in definitiva dice l’essere vivi e
collegati al resto della realtà
b) coscienza come presenza a se stessi negli atti che si compiono e secondo i condizionamenti storici,
culturali e sociali in cui si vive
c) movimento continuo di trascendenza da un atto ad un altro e da un livello al successivo
mantenendo tutto ciò che è precedente, e ciò dice la apertura dell’uomo sull’universo
dell’essere e del valore
d) intenzionalità che significa che le varie operazioni della coscienza (conoscenza e morale) sono
transitive, rendono presenti al soggetto dei contenuti distinti da esse, ossia ci orientano verso
ciò che è intelligibile, ciò che è vero, ciò che è bene, impedendo che ci si chiuda in se stessi in
un mondo autoreferenziale.
L’uomo non sperimenta isolatamente le operazioni dei vari livelli e gli elementi dei vari aspetti della
coscienza, ma li vive e ne fa esperienza in un flusso di coscienza come dinamismo di espansione, di
progressività circolare e di connessione dei vari e molteplici contenuti nell’unità del soggetto.
Un tale flusso, pur non completamente autonomo, è però selettivo. In una certa misura noi possiamo
orientare e educare tale selettività (è questo uno dei compiti fondamentali dell’educazione).
2
A tale scopo è di fondamentale importanza tenere presente una serie di precetti trascendentali che
sono un invito ad appropriarsi personalmente della propria coscienza:
1) Sii attento! Si applica al livello empirico e ci invita a sviluppare l’attenzione, ad inserirsi come
soggetti senzienti in un mondo/ambiente costituito da altre presenze e che ci invia i suoi dati.
2) Sii intelligente! Si applica al livello intellettuale (in cui noi indaghiamo, arriviamo a capire,
esprimiamo ciò che abbiamo capito, elaboriamo i presupposti e le implicazioni di ciò che abbiamo
capito) ed esorta a curare e sviluppare l’intelligenza attraverso la fantasia, il linguaggio, la curiosità,
l’interesse, a fare esperienza della novità e creatività del capire, ad impegnarsi in formulazioni
concettuali rigorose e coerenti.
3) Sii razionale! Si applica al livello razionale (in cui noi riflettiamo, individuiamo e disponiamo in
ordine l'evidenza, emettiamo il giudizio sulla verità o falsità, sulla certezza o probabilità di
un’asserzione) e spinge il soggetto a sviluppare la propria razionalità e senso critico sviluppando la
capacità di discriminare tra vero e falso, certo e probabile, reale e apparente.
4) Sii responsabile! Si applica al livello responsabile (nel quale noi ci occupiamo di noi stessi, delle
nostre operazioni, delle nostre finalità, per cui deliberiamo corsi possibili di azione, li valutiamo,
decidiamo ed eseguiamo quanto abbiamo deciso) e comporta di vivere la libertà come capacità di
autodeterminazione personale, di discernere tra bene e male, tra valori autentici e inautentici, di
decidere e agire per divenire un centro attivo di benevolenza e di realizzazione umana autentica
all’interno del mondo degli uomini e nell’universo dell’essere.
Tali precetti sono il frutto della constatazione che lo sviluppo umano si dispiega su quattro livelli
(sensibilità, intelligenza, ragione, libertà) e della decisione di seguire i quattro precetti trascendentali.
• In quanto emergenti da questa constatazione e da questa decisione, i precetti trascendentali si
presentano, appunto, come precetti, cioè norme da seguire.
• In quanto da se stessi non specificano alcun contenuto, alcun atto, alcun codice morale, ma sono ciò
che permette di decidere se un contenuto, un atto, un codice morale è autenticamente umano
oppure no, quei precetti sono trascendentali (precetti non contenutistici, ma semplicemente
operativi, non il prodotto di un processo storico-culturale, la condizione di possibilità di
quest’ultimo).
In sintesi, il soggetto può sperimentare e conoscere la sua vita coscienziale come
− aperta sempre a qualcosa d’altro: si tratta di un’uscita da sé, poiché l’apertura è la partenza (l’uscita)
verso l’esterno che è l’educazione stessa (pedagogia = παις/αγωγη viaggio [condurre] dei fanciulli),
apertura a tutto campo sul reale;
− interrogante attraverso le domande che sempre l’uomo si pone e che trasformano la partenza in un
viaggio con le sue infinite tappe esperienziali, conoscitive, decisionali, artistiche ecc.;
− autotrascendente: esprime la capacità umana del soggetto cosciente di aprirsi all’altro da sé, fino al
riconoscimento dell’Altro in cui il sé non scompare ma si realizza pienamente; tale autotrascendenza
della coscienza è la direzione da percorrere nel “viaggio della vita” ed è stata espressa bene
dall’espressione agostiniana delle Confessioni: “Tu ci hai creati per te e il nostro cuore non ha pace
fino a che non riposi in te”.
3.
L’educazione e lo sviluppo della coscienza
Distinguiamo tra formazione ed educazione:
1.
Formazione deriva da “formare”, “dare l’essere e la forma”: è l’insieme dei processi/eventi che
comportano nel soggetto la formazione di nuove configurazioni di coscienza: riguarda cioè lo
strutturarsi dell’uomo dal punto di vista interno con i suoi processi e la sua storia; oggi questo
3
termine, nelle sue valenze dinamica, strutturale
e composita (vincolo/possibilità), è preferito ad
altri perché “richiama continuamente la sfida dell’imparare a vivere” 5.
2.
Educazione deriva da “e-ducere”, cioè condurre fuori/condurre oltre: indica l’insieme delle azioni
formative esterne al soggetto che concorrono alla formazione dell’uomo (come acquisizione o
sviluppo di una data forma); l’educazione in questo senso è una parte della formazione di un
soggetto non solo come promozione della moralità (soggetto educato in riferimento ai valori/fini
ultimi a cui tendere), non solo come istruzione (= promozione dell’intellettualità), né solo come
addestramento o formazione professionale (= promozione di un sapere specialistico).
L’uomo diventa consapevole di sé e della sua distinzione dal mondo in un processo di sviluppo che si può
descrivere come processo di differenziazione, di progressiva determinazione e di integrazione. Tale
sviluppo umano è insieme individuale, sociale, culturale, storico e religioso.
Lo sviluppo umano individuale riguarda anzitutto il processo in cui l’organismo vivente individuale si
struttura in stadi successivi: organico, psichico e intellettuale. La comparsa di quest’ultimo stadio
comporta l’ulteriore strutturarsi di modi fondamentali nella nostra coscienza che sono i livelli e gli aspetti
visti.
Il PROCESSO di DIFFERENZIAZIONE consiste nello strutturarsi di livelli, aspetti e modi
fondamentali nella coscienza e riguarda le operazioni intenzionali, il dinamismo affettivo e la realtà
intenzionata.
La coscienza si struttura su vari livelli operativi attraverso l’energia affettiva, e si creano degli
orizzonti in cui il soggetto vive e che si possono progressivamente allargare e differenziare in quanto la
coscienza, pur non avendo piena autonomia, è selettiva ed è governata da un interesse.
Su questo processo influiscono il contesto intersoggettivo, l’educazione in quanto trasmette dei
significati, l’eventuale modifica dell’interesse del soggetto
Il PROCESSO di INTEGRAZIONE nello sviluppo individuale è sostenuto dal dispiegamento del
dinamismo conoscitivo e morale in cui il soggetto subordina e unifica la sensibilità con l’intelligenza, la
sensibilità e l’intelligenza con la ragione e subordina e unifica sensibilità, intelligenza e ragione con la
libertà e la responsabilità.
In tale senso, affinché si possa parlare veramente di sviluppo umano, occorre che lo sviluppo stesso sia
conosciuto, voluto, e perseguito dal soggetto stesso.
Tuttavia, lo sviluppo umano raramente si realizza con la linearità qui descritta: è raro trovare un soggetto
pienamente sviluppato, perfettamente integrato dinamicamente nei quattro livelli. Molti sono i blocchi, i
ritardi, le deviazioni dello sviluppo dell'uomo dovuto alla dialettica di base dell’uomo (di cui diremo tra
poco).
Una parte importante di uno sviluppo mancato o incompleto è da attribuirsi all’ignoranza della natura
dello sviluppo stesso e dei livelli che lo compongono. I danni di questa ignoranza sono molteplici.
Lonergan ne ha illustrato i principali parlando di soggetto dimenticato, troncato e alienato6:
• Infatti, un soggetto può essere totalmente preso dalle cose, dal polo oggettivo della relazione
bipolare soggetto/oggetto (organismo/ambiente), talmente estroverso da dimenticare se stesso:
così egli vive come uno smemorato, come uno che non conosce la propria identità: è il soggetto
5
P. TRIANI, Il dinamismo della coscienza e la formazione, cit., p.18. La formazione, secondo il Triani nel testo citato (p.15),
si connette anzitutto con la categoria fondamentale del soggetto (con i suoi processi e la sua storia); richiama e rispetta la
complessità della realtà umana che è in continuo cambiamento (nel complesso gioco di vincoli e possibilità per l’attuarsi
personale); si riferisce a una centralità di competenze non rigide, ma “aperte” e inseparabili dall’attenzione al soggetto e ai suoi
processi (collegandosi a concetti sociali del tipo: divisione del lavoro, funzione sociale, specializzazione).
6
Cf. The Subject (1968), in A Second Collection, DLT London, 1974, p. 69ss.
4
dimenticato (ignaro di sé).
• Inoltre, un soggetto che non conosce se stesso rischia di non riconoscere tutti e quattro i livelli
dello sviluppo o la necessità della loro integrazione; egli rischia di vivere come un "monco", non
nel senso di essere privo di un membro bensì nel senso di non sapere di averlo e di non
servirsene, e questo è ben peggio! E' il soggetto troncato. Infatti, data l'unità del soggetto, il
non uso di una sua realtà comporta quasi inevitabilmente il travisamento delle altre.
• Infine, i soggetti ignari di sé o troncati non sanno che il soggetto è una sintesi dinamica di
sensibilità, intelligenza, ragionevolezza e libertà, essi non vivono di questa sintesi dinamica. Di
conseguenza, diventano facile preda delle molteplici e ricorrenti forme di mito, di magia, di
propaganda, di edonismo: accettano qualsiasi forma di alienazione e diventano dei soggetti
alienati.
In un soggetto che vive l'integrazione dinamica dei quattro livelli delle sue attività, tale integrazione
influisce positivamente nei molteplici ambiti della vita del soggetto: cioè nei quattro ambiti fondamentali
della conoscenza, dell'amore, delle norme e del sociale e negli ambiti che derivano dalle varie
combinazioni di questi7.
Si parla di integrazione dinamica (ossia mai definitiva e sempre perfettibile), in quanto lo sviluppo della
coscienza umana si caratterizza per una dialettica di base. Constatiamo, infatti, che la nostra vita è
spesso un composto irrisolvibile di sensibilità e sbadataggine, di intelligenza e stupidità, di
ragionevolezza e avventatezza, di moralità e immoralità, di socialità e anarchia, di bontà e cattiveria, di
amore e di odio. Da dove proviene questa nostra ambivalenza?
Una tale dialettica umana comporta che nell’uomo vi sia tensione tra
•
conoscere elementare costituito dall’immediatezza della percezione sensibile (che si costituisce in
noi ben prima dello sviluppo intellettuale e morale) la quale ci confina nel mondo dell’immediatezza
dell’infante e conoscere pieno (nel senso della struttura conoscitiva completa dei tre livelli di cui la
percezione è solo il primo) che ci apre al mondo mediato dal significato e motivato dal valore, cioè
all’universo dell’essere;
•
coscienza estroversa che ci porta a privilegiare il mondo immediato dei bisogni biologici di base
(componente organica e psichica dell’uomo) e coscienza intellettuale e morale che ci spinge ad
allargare il nostro orizzonte oltre noi stessi verso l’universo dell’essere e del valore.
Lo sviluppo umano comporta la capacità di padroneggiare tale dialettica sempre risorgente e comporta il
doppio movimento di differenziazione della coscienza e di successiva integrazione di ciò che si è
costituito.
Naturalmente tale sviluppo personale è condizionato dallo sviluppo culturale e sociale in cui ci troviamo,
tanto che si può parlare di differenti gradi di differenziazione della coscienza non solo individuale, ma
anche della coscienza a livello sociale, storico e culturale.
L'espressione «differenziazione della coscienza» sta ad indicare che la mente umana è sempre la stessa,
ma le tecniche di cui essa si serve si sviluppano col passare del tempo e pertanto gli uomini hanno idee
diverse secondo la diversità dei tempi e dei luoghi.
Possiamo individuare almeno tre differenziazioni della coscienza umana sociale e storica:
1)
7
quella differenziazione sorta dopo la nascita del linguaggio primitivo e che ha dato origine alla
cultura pre-filosofica e pre-scientifica fondata sul senso comune e sul linguaggio non specializzato
delle prime grandi civiltà e del pensiero come impresa collettiva;
Mondo della scienza e della tecnica, della cultura e dell'arte, della società e dello stato, dell'economia e della politica, ecc.
5
2)
la differenziazione di coscienza della cultura
classica, originata nel mondo greco con i suoi
epigoni nel pensiero antico e medioevale, la quale controlla il significato come qualcosa di universale
e fissato per tutti i tempi (attraverso la logica) e elabora la distinzione tra senso comune e teoria;
3)
la differenziazione di coscienza sorta nella cultura moderna che controlla il significato in modo
flessibile in un processo continuo e cumulativo; in essa si afferma l’autonomia delle scienze dalla
filosofia, e si pongono le distinzioni tra senso comune e interiorità, e tra teoria e interiorità.
L’uomo si sviluppa socialmente a partire dall’interno di una comunità di soggetti (famiglia, gruppo
sociale e popolazione nazionale) che risulta dai significati che si condividono e dai valori che
accomunano: tale contesto sociale è insieme condizione e fonte dello sviluppo del singolo.
L'uomo è storico (libertà incarnata nel tempo): vive in una cultura già fissata da altre generazioni e in
tensione verso nuove possibilità (progetto) che costituiscono il suo futuro, poiché gli orizzonti culturali e
i mondi sociali in cui avviene lo sviluppo umano non sono statici, ma cumulativi del progresso umano o
degli effetti distorti del declino.
Lo sviluppo storico richiama, quindi, come suo correlato fondamentale, la nozione di cultura e
l’evoluzione di essa nel tempo. Si tratta di considerare il passaggio, oggi irreversibile dalla cultura
classica/classicista alla cultura moderna empirica e pluralista.
«Ciò che ha infuso vita e forma nella civiltà greca e romana, ciò che rinacque nel Rinascimento europeo,
ciò che fornì la crisalide donde uscirono le lingue e le letterature moderne, la matematica e la scienza
moderna, la filosofia e la storia moderna, si è mantenuto fino al secolo ventesimo; ma oggi, quasi
dappertutto, è morto e pressoché dimenticato» (Lonergan)
Molti elementi hanno contribuito al crollo della cultura classicistica:
- le rivoluzioni moderne nella scienza e la concezione della storia,
- la scoperta che l'uomo esiste da centinaia di migliaia di anni
- la scoperta di una continua evoluzione delle culture da quelle primitive all'emergenza di
un'intelligenza critica nel primo millennio a.C.
- fino al trionfo della moderna intelligenza scientifica che segna un cambiamento radicale nella
visione del sapere
Tuttavia, lo sviluppo del soggetto dipende ed è misurato non tanto da oggetti esterni rispetto a cui uno
opera (allargamento di un orizzonte puramente materiale), ma dall’organizzazione delle proprie
operazioni, dei loro risultati e implicazioni e dall’orientamento della propria vita e interesse.
Lo sviluppo ritiene e accresce ciò che aveva in precedenza, e lo accresce (a volte anche in modo
considerevole) eliminando i mali precedenti, trovando un’integrazione superiore attraverso un lavoro
sull’interesse (quindi non lavorando alla periferia, ma alla radice)
Nello sviluppo umano sono coinvolti molti elementi:

il dinamismo della coscienza con le sue operazioni e i suoi livelli differenziati e sempre più
integrati;

il dinamismo della vita affettiva che è la massa energetica di tutta la vita conscia;

il differenziarsi di preoccupazioni/interessi;

lo strutturarsi delle esperienze umane in configurazioni fondamentali;

il contesto intersoggettivo sociale, storico, culturale;

la crescita, controllo, elaborazione di significati che si costituiscono in vari ambiti.
Il problema della cultura moderna è un problema formativo: quello di favorire un’appropriazione
dell’ambito dell’interiorità in modo da raggiungere una coscienza differenziata, cioè capace di fare le
opportune distinzioni degli ambiti di significato; e una coscienza integrata nei suoi vari livelli e ambiti.
Una categoria riassuntiva dello sviluppo umano: autenticità
Nell’uomo c’è una fondamentale esigenza di autenticità che fonda a sua volta le altre esigenze alla base
della differenziazione della coscienza e del suo sviluppo.
6
Autenticità è un desiderio di realizzazione dell’uomo,
ma
è
anche
connessa
con
l’autotrascendenza, cioè si realizza nella misura in cui non ci chiudiamo in noi stessi, ma andiamo oltre
in tre modi:
1) conoscitivamente, verso ciò che ancora non conosciamo (autotrascendenza conoscitiva),
2) moralmente, attraverso l’assunzione libera e responsabile di valori (autotrascendenza morale),
3) affettivamente, attraverso le risposte intenzionali ai valori, fino alla risposta ultima che è l’amore
(autotrascendenza affettiva).
Insieme all’autenticità, c’è nell’uomo un altro elemento antropologico che è un’intrinseca spinta alla
chiusura egoistica o inautenticità, secondo la dialettica di base, intrinseca nella dinamica di sviluppo
della coscienza, una dialettica tra autenticità e inautenticità (autotrascendenza ed egoismo).
La soluzione della dialettica consiste nelle conversioni. Quest’ultimo termina va inteso in senso ampio antropologico - e non immediatamente religioso:
- si tratta di un deciso cambiamento di direzione da parte della coscienza verso l’autenticità,
- È un cambiamento in meglio, una liberazione da ciò che è inautentico;
- non significa perfezione, traguardo raggiunto, ma un nuovo orientamento fondamentale.
Le conversioni fondamentali sono tre:
a) conversione intellettuale: questa conversione comporta almeno tre assunzioni
1) eliminare il mito che il conoscere sia una specie di guardare/ vedere..., ma intenderlo come una
struttura dinamica su vari livelli (fare esperienza/ capire/ giudicare e anche credere),
2) scoprire i criteri dell’oggettività (che non è guardare là fuori per vedere quel che c’è da vedere...),
3) modificare e arricchire la nozione di realtà, che è l’essere cioè tutto ciò che può essere
sperimentato/ capito/ giudicato.
b) Conversione morale: significa cambiare il criterio delle proprie decisioni, passando dalla
soddisfazione per me al valore in sé.
c) Conversione religiosa: consiste nell’essere presi da ciò che ci tocca assolutamente, consegnarsi
totalmente e per sempre senza condizioni e restrizioni... Questa conversione viene interpretata
diversamente nel contesto delle varie religioni... Per il cristiano è un dono dell’amore che Dio riversa
nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che li abita (Rom. 5,5).
La presenza o meno delle conversioni comporta orizzonti diversi del soggetto e differenti stati di
differenziazione di coscienza, perciò lo sviluppo della persona può consistere, come abbiamo visto, in un
progresso (se si compie attraverso l’osservanza dei precetti trascendentali), o un declino (se c’è
dimenticanza di tali precetti e quindi c’è alienazione).
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA FORMAZIONE-EDUCAZIONE
1. Parlare di formazione/educazione dell’uomo significa parlare di un processo estremamente complesso
che riguarda anzitutto l’organismo umano, la sua psiche, la sua mente (= punto di vista interno del
soggetto).
Però lo sviluppo, la crescita, la maturità dell’uomo non è solo questione di trasformazioni organiche,
psichiche e intellettuali, ma ha a che fare con lo strutturarsi e modificarsi di tutta la vita cosciente nel
suo insieme: “Il Sé che uno è, è il Sé che uno diventa”8.
8
B. Lonergan, Comprendere ed essere, Roma, Città Nuova, 1993, p.283.
7
2. Pertanto, ciò che unifica la formazione
dell’uomo - come soggetto individuale - è il
dinamismo e lo sviluppo della coscienza (siamo sempre nel punto di vista interno): è a questo
processo formativo della coscienza che bisogna fare attenzione, tenendo presente che la coscienza non
è una “cosa” dentro l’uomo, ma è la presenza a se stesso del soggetto umano, una presenza che ha un
ruolo operativo enorme in tutta l’esistenza dell’uomo.
3. In tal senso, Lonergan, nel testo Sull’Educazione, assume l’auto-appropriazione non solo come
accesso alla propria interiorità dinamica, ma anche come base di un progetto di “filosofia
dell’educazione” (in continuità con la proposta filosofica di Insight) adeguato alle nuovo acquisizioni
del sapere contemporaneo ed aperto alle esigenze educative generali.
4. Inoltre se teniamo presente che la formazione/ educazione dell’uomo avviene sempre nell’humus
culturale del suo tempo (= punto di vista esterno al soggetto), non dobbiamo dimenticare che (per
quanto riguarda in particolare la scuola) la fonte della cultura generale da comunicare e su cui formare
il soggetto umano è l’uomo stesso posto tra la storia e la verità. Formare la coscienza, allora,
significa percorrere due percorsi (uno esterno e uno interno al soggetto).
5. Dal punto di vista esterno, “formare” significa organizzare un insieme di contenuti (oggetti: valori,
competenze, conoscenza ecc.) da offrire alla coscienza per la sua formazione, evitando però il duplice
rischio di un addestramento precettistico/ moralistico, e di impoverire la formazione riducendola solo
alla organizzazione di contenuti.
Bisogna tenere presente che i contenuti culturali della formazione contengono due elementi: uno è
nozionale (di informazione, di erudizione), l’altro è un elemento di significatività/ simbolicità (fa
riferimento al dinamismo conoscitivo).
Lonergan ritiene importanti per la formazione non tanto le informazioni, l’istruzione e la loro
organizzazione, bensì piuttosto il contenuto di significatività degli eventi, dell’essere delle cose e
insieme il loro rimando simbolico.
C’è un depotenziamento dei contenuti dal punto di vista della loro descrittività, ma non dal punto di
vista della loro significatività/ simbolicità: la meta educativa non è più la crescita della sapienza, bensì
la crescita nella sapienza.
6. Dal punto di vista interno, c’è il processo intrinseco di formazione da parte del soggetto conscio (la
cui coscienza assume una serie di forme pratiche, artistiche, religiose, intellettuali). Di tale interno
processo formativo bisogna tenere conto, senza scadere né in una specie di pan-spontaneismo o di
innatismo ingenuo (nell’uomo c’è già tutto, basta lasciarlo emergere!), né in un riduttivismo che
concepisce la formazione come una serie di eventi/processi giustapposti nella coscienza (principio
della testa vuota).
7. Si ha formazione, quando gli eventi modificano il flusso di coscienza e i contorni del “mondo del
soggetto” (cioè il suo “orizzonte”) e lo conducono ad una riorganizzazione del proprio mondo, cioè
ad una cambiamento significativo nel modo di intendere se stesso e di intendere la realtà. Questo
processo - che può essere condizionato da molti fattori - è un cambiamento dell’insieme di significati
che ricostituisce il proprio Sé, un (ri)significazione scelta e quindi costitutiva del soggetto esistenziale
che «scopre da se stesso che tocca a lui decidere cosa fare di se stesso...». Ed è qui «che gli individui si
scindono in fazioni, che le culture fioriscono e si avviano al declino, che la causalità storica esercita il
suo potere»9.
8. Se l’esigenza formativa per eccellenza è raggiungere l’autenticità, e se il suo dinamismo
fondamentale è l’autotrascendenza (= la spinta ad uscire da sé per ritrovarsi più pienamente), allora
nel processo storico e dinamico di risignificazione di sé (orientato intrinsecamente all’autenticità)
9
B. Lonergan, Ragione e fede di fronte a Dio, Brescia, Queriniana, p.108.
8
assumono un ruolo fondamentale le varie
conversioni, che possono essere intese come
rotture formative di insiemi già costituiti per dare inizio ad un altro insieme/novità.
Naturalmente c’è anche la possibilità dello scacco, di produrre delle deformazioni anziché una
formazione. Le conversioni sono anche in questo caso la possibilità di superare le deformazioni
sempre possibili.
9. Lonergan invita, nel libro Sull’Educazione, a ripensare ad nuova responsabilità educativa per la
odierna presenza di tre nuovi fattori: le masse (per cui il sapere non appartiene più ad un’élite), il
nuovo sapere (matematiche, scienze empiriche, scienze umane) e il moltiplicarsi delle
specializzazioni.
Tali fattori hanno introdotto nuovi pericoli nel campo formativo/ educativo: la massificazione dei
comportamenti, la frammentazione dei saperi (molte cose, ma senza sintesi), la moltiplicazione degli
specialisti.
I suggerimenti di Lonergan sono chiari:
− L’orizzonte dell’educazione (pedagogia) si deve allargare per innestarsi sull’universo dell’essere
(non il mondo privato degli specialisti, anche in campo pedagogico!).
− L’uomo non va ridotto ad un ruolo/ funzione/ status, ma occorre educarlo alla riacquisizione del
senso dell’essere (dal proprio “mondo” all’universo dell’essere).
− Evitare il pericolo di produrre conformismo: questo avviene purtroppo quando si parte da
nozioni/concetti e non si dà importanza (o si dà per scontato) il processo personale del
comprendere. Un tale concettualismo toglie agli studenti la gioia dello studio e della scoperta
(dopo aver lavorato soprattutto con le domande).
10.Circa la questione del metodo, Lonergan propone il metodo trascendentale (o metodo empirico
generalizzato = M.E.G.) che è fondato su una “struttura euristica integrale” del soggetto-oggetto
caratterizzata da un fondamentale isomorfismo (omologia formale) tra la struttura della coscienza con
i suoi quattro livelli di base (sperimentare, comprendere, giudicare e decidere) e la struttura dell’essere
dinamico (potenza, forma, atto e valore). Alla base del metodo c’è dunque la distinzione tra (i) un
metodo a priori trascendentale , lo stesso M.E.G., che è trans-storico e trans-culturale, poiché è la
coscienza dinamica e strutturata dell’uomo, e (ii) i metodi “regionali” (particolari) - come a priori
categoriali cioè storici.
11.Tutto questo significa che la coscienza dinamica e strutturata dell’uomo è la condizione di possibilità
(il trascendentale in senso kantiano) per raggiungere la verità e la storicità dei fatti e per realizzare in
concreto il bene umano.
La coscienza è dunque un bene! Ed è nella coscienza che risiede il metodo (superamento di ogni
concettualismo): gli elementi di questa struttura coscienziale (operatività sui quattro livelli) sono
permanenti (quindi transculturali), anche se il modo con cui si realizzeranno nella storia sarà diverso
(è l’a priori acquisito).
Questa centralità del metodo integra e completa l’antica centralità della logica: la logica è
un’importante strumento ma è sostanzialmente statica, mentre il metodo è per Lonergan una “struttura
per la creatività”.
12.Lonergan assume come criterio conoscitivo/epistemologico il realismo critico che comporta una
nozione complessa di oggettività (dice che è come “un cavo a tre fili”...):
l’oggettività non è l’oggetto (non è vedere quel che c’è da vedere e non vedere quel che non c’è da
vedere...), ma essa viene “costruita” dalla coscienza dinamica del soggetto aperto su tutto l’essere a
partire dagli “oggetti” presentati dall’educatore.
L’oggettività è, cioè, frutto dell’interazione tra soggetto e oggetto: l’oggetto è il primo momento, il
“dato”; poi ci sono gli elementi operativi/costruttivi del soggetto. Pertanto l’oggettività è frutto della
soggettività autentica.
9
Premessa
Lucio Guasti
Lo sviluppo del soggetto: competenze e operazioni me ntali.
Indice
Premessa
La didattica e le competenze
Il valore della competenza
Alcuni caratteri propri della competenza
La competenza e i modelli curricolari
La complessa definizione di competenza
Competenza e apprendimento
Apprendimento e operazioni mentali
Osservazioni conclusive
Bibliografia
La politica dell’educazione in Italia ha avuto una storia abbastanza lunga ed
autonoma, il che vuol dire nazionale, fino a quando non è entrata nell’Unione
Europea e, in particolare, fino a quando la stessa Unione non ha cominciato ad
interessarsi di problemi di sviluppo economico collegati alla qualità dell’istruzione e
della formazione. La genes i del processo viene collegata alle decisioni formali prese a
Lisbona - nella prassi linguistica e amministrativa “Lisbona 2000” -. Per la politica
dell’educazione ritengo sia preferibile datare l’inizio - diversi documenti cominciano
anche prima a entrare nell’argomento - dall’incontro di Bologna, il cosiddetto
“Bologna Process” del 1999 1 che ha avuto come scopo prioritario quello di indicare
le linee di sviluppo della formazione universitaria per l’Europa del domani.
Come avviene normalmente nella storia dell’innovazione dei s istemi educativi,
quando il livello più alto, l’Università, modifica qualche suo significativo
atteggiamento culturale, di seguito, anche se non immediatamente, gli ordini inferiori
cominciano ad adeguarsi alle scelte fatte. E così è stato.
A Bologna si decise una diversa articolazione dei periodi di studio, i corsi di
laurea triennali e i bienni di specializzazione, una conclusione abbreviata del periodo
formativo precedente: il diciottes imo anno, una centratura forte sul rapporto tra
economia, lavoro e conoscenza con particolare attenzione alla formazione di
competenze quale criterio per il rinnovamento dei percorsi di studio più decisamente
caratterizzati nella direzione della connessione con lo sviluppo dell’economia e delle
prestazioni nel mondo del lavoro.
Per quanto attiene al contenuto “educazione e sistemi formativi”, i documenti
dell’Unione non hanno carattere prescrittivo o vincolante ma sono delle
raccomandazioni che vanno assunte e ratificate dai singoli Stati. Pertanto, la
documentazione europea funge da stimolatore ma non necessariamente da
trasformatore. Però negli anni seguenti i diversi Stati hanno comunque ratificato
questi orientamenti anche se la loro traduzione in cambiamenti aderenti a quel
modello è ancora assai lontana dalla meta desiderata.
Lo Stato italiano, attraverso i rappresentanti dei suoi diversi governi, si è sempre
adeguato alle indicazioni europee fino ad assumere l’idea di “competenze chiave”
come base della propria revisione culturale del sistema formativo, sia universitario sia
scolastico.
1
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
Dichiarazione di Bologna, 19 giugno 1999.
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
L’ultimo documento di riferimento2 , quello che il precedente “governo Prodi” ha
fatto proprio assumendolo nello specifico decreto di istituzione dell’obbligo di
3
istruzione fino a sedici anni , è molto esplicito e chiaro nell’indicare le competenze
che dovranno essere la base della formazione per l’Europa dei prossimi anni, si
potrebbe anche dire dei prossimi decenni, se non si avesse il timore che oggi tutte le
previsioni di lungo periodo possono essere facilmente smentite. Bisogna però
osservare che nell’ambito dell’attuale s istema scolastico l’inserimento di una
trasformazione non può che avere un periodo lungo di sviluppo se si considerano
almeno dodici anni di studio (dai 6 ai 18) all’interno del sistema formativo e, se si
aggiungono gli anni della scuola dell’infanzia - ormai generalizzata nelle maggior
parte delle aree del paese -, si arriva a quindici anni e, con l’aggiunta del periodo
universitario, si giunge a diciotto o a venti.
Se questo obiettivo traduce il desiderio dei legislatori europei, la realtà si
comporta in modo diversificato e non sarà facile prevedere con certezza che cosa
riserverà il futuro in una campo così fluido come quello dell’educazione
contemporanea.
Ciò nonostante, occorre constatare che scuola e università hanno anche una loro
tradizionale stabilità, che è anche spesso pura immobilità; di conseguenza, più che
andare incontro ad una rapida trasformazione esse accetteranno qualche forma di
adattamento alla nuova situazione richiesta dagli orientamenti europei. L’equilibrio
tra pressione al cambiamento e stabilità produrrà qualche effetto di movimento ma
non è pensabile che intervengano fenomeni radicali di trasformazione. Sicché si sta
assistendo ad una diffusione sproporzionata dei linguaggi culturali propri della
proposta di innovazione; questi si sono fatti intensi, propositivi, alle volte quasi
messianici mentre i cambiamenti istituzionali e didattici difficilmente saranno
conseguenti a quanto dichiarato o atteso.
Vale come esempio l’idea di competenza che è alla base delle nuove richieste
per la scuola, per la scuola secondaria in particolare, ma che ha già rappresentato una
richiesta generale di trasformazione del sistema fino dalla riforma del 20034 . La
riflessione sul tema delle competenze è di fatto appena cominciata anche se sembra
ormai prossima alla sua fine proprio per il difficile impatto che ha con la struttura
didattica e culturale del sistema formativo più consolidato, quello della scuola
classica e dell’università. I settori più vic ini al mondo della produzione e del lavoro:
istituti tecnici e professionali, formazione regionale, le diverse Facoltà tecniche nel
mondo universitario s i trovano paradossalmente in una posizione più prossima alla
richiesta delle nuove strategie europee sentendosi così pienamente legittimate nel
proprio assetto di quanto non lo siano le Facoltà tradizionalmente umanistiche.
Mentre negli ultimi due decenni erano proprio gli istituti a carattere professionale a
doversi “umanisticizzare” perché ancora troppo distanti dalla cultura classica, quella
considerata esclusivamente proprietaria dell’umanesimo, oggi, a poca distanza di
2
Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio, 18 dicembre 2006.
Decreto 22 agosto 2007, n.139.
4
Legge 28 marzo 2003, n.53.
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
3
tempo, si sentono confermare positivamente nel loro indirizzo e impianto culturale.
Nulla è di fatto cambiato, ciò che è cambiato radicalmente o oppositivamente nella
contemporaneità della politica educativa è la gerarchia dei valori e la visione di
elementi nuovi nella definizione dell’umanes imo richiesto per l’uomo del futuro.
In conclusione, le trasformazioni in atto della cultura e della società sono
rilevanti e la loro combinazione potrebbe determinare una certa imprevedibilità anche
nella ristrutturazione dei sistemi formativi pure là dove le indicazioni politiche
sembrano definire precisi modelli di cambiamento istituzionale e didattico. In un
mondo in forte movimento come quello del rapporto tra cultura, formazione e lavoro
non sarà facile mantenere per lungo tempo la barra fissa verso un modello unico.
La didattica e le competenze
Così le “azioni di qualità” nel sistema scolastico oggi non possono prescindere
dalle indicazioni date dalla cultura politica europea e dall’assunzione che ne ha fatto
il Ministero della pubblica istruzione in quest’ultimo decennio.
Il decreto ministeriale relativo all’obbligo di istruzione, infatti, traduce gli
orientamenti generali e ne specifica anche i contenuti. Tutta la scuola secondaria, ma
anche la scuola primaria sebbene in modo non omologo, ha provato a cominciare a
rispondere concretamente ai nuovi orientamenti.
Naturalmente si pongono diversi problemi che qui non possiamo affrontare e
che rientrano nelle strategie di innovazione relative alle modalità assunte per
raggiungere gli scopi; in questo nostro contributo però si tratta di valutarne uno
soltanto perché incide direttamente sulla qualità delle azioni formative della scuola.
Riguarda il rapporto tra l’elemento chiave: la competenza, e l’effettiva possibilità
della scuola di assumerlo.
La normativa giuridica ha deciso che questa è la strada mentre la “normativa”
didattica ancora non sa se questa assunzione possa o meno essere significativa e
praticabile da parte della scuola stessa. Infatti, ciò che le scuole stanno facendo in
questo momento riguarda il tentativo di comprensione dell’oggetto: la normativa dice
che è di alto valore trasformativo, la scuola e i suoi insegnanti che cosa dicono? La
scuola si trova nella fase di comprensione e, nello stesso tempo, ha esigenze
immediate di attuazione, per cui paradossalmente ancora prima di capire che cosa è la
competenza nell’organizzazione della didattica deve già, da questo stesso momento,
“valutare le competenze” in uscita degli studenti. Prima, quindi, si procede alla
valutazione dell’oggetto di apprendimento e poi, di fatto, si affronta l’oggetto per
capire quale ne sia la sua consistenza. Questa è stata la prima forma di adattamento
all’innovazione praticata dalla scuola: le “azioni di qualità” sono state inglobate in
questo evento iniziale. La conclusione potrebbe essere la seguente: prima si fa e poi si
capisce oppure, con una versione più pedagogica, si cerca di capire facendo. Per
un’istituzione formativa come la scuola, questa non sembra proprio la procedura
ottimale.
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
Se queste operazioni sono state chieste direttamente alla scuola secondaria di
primo grado, quella di secondo grado comincia adesso ad affrontare la consistenza di
una richiesta qualitativa dell’organizzazione della didattica che, nell’arco di un breve
periodo, dovrebbe concludersi ed essere immediatamente applicata. Si tratta della
costruzione del nuovo assetto didattico del biennio, cosa non insignificante e tutta
basata sull’idea di competenza. Due sono i punti critici: la richiesta di aree e il
rapporto tra competenza e apprendimento.
Il passaggio discendente è questo: dalle indicazioni europee alla mediazione
italiana, cioè come il Ministero ha visto e ha pensato di organizzare per la nostra
scuola il disegno europeo. Le otto competenze chiave:
1. comunicazione nella madre lingua;
2. comunicazione nelle lingue straniere;
3.
competenza matematica e competenze di base
tecnologia;
4.
competenza digitale;
5. imparare ad imparare;
6. competenze sociali e civiche;
7. spirito di iniziativa e imprenditorialità;
8. consapevolezza ed espressione culturale,
in
scienza e
sono state raggruppate in quattro grandi aree o assi culturali: Asse dei linguaggi,
Asse matematico, Asse scientifico-tecnologico, Asse storico-sociale. A questi
quattro campi è associata una richiesta di formazione di competenze di cittadinanza
in otto punti (Imparare a imparare, Progettare, Comunicare, Collaborare e
partecipare, Agire in modo autonomo e responsabile, Risolvere problemi,
Individuare collegamenti e relazioni, Acquisire ed interpretare l’informazione) che
non costituiscono un campo separato ma devono essere integrate nelle azioni interne
dei quattro assi fondamentali. Tutto questo va a costituire il nuovo modello di
formazione del biennio. Credo che si possa dire: non solo del biennio ma di tutta la
scuola.
Il passaggio a tale tipo di ristrutturazione appare significativo e importante,
naturalmente a patto che possa essere effettivamente costituito. Avere introdotto
l’idea di competenza come base della trasformazione qualitativa del sistema è, di
fatto, “pericoloso” per chi l’assume perché deve dimostrare che la competenza della
trasformazione è la prima qualità della decisione o dell’efficacia che caratterizza la
sua decisione. E bisogna dire che siamo ancora lontani dall’avere “l’istituzione
competente per definizione o per natura” realmente competente nel campo della
trasformazione dei sistema istituzionali e formativi.
Gli assi culturali, infatti, richiedono che si metta mano alla revisione dei
contenuti e alla ridefinizione delle competenze disciplinari: discipline o aree
culturali? Il problema è rilevante, certamente affrontabile ma con una nuova
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
riflessione complessiva di carattere culturale e formativo. Con sicurezza si può dire
che non è praticabile, nel nostro sistema, in tempi brevi.
Un’osservazione va fatta a questo punto. Il tema “competenza” interpella prima
di tutto l’istituzione e la sua capacità di essere all’altezza di quello che chiede al suo
sistema. Nelle decisioni politiche prese dal Ministero, invece, la competenza è stata
posta primariamente come problema della didattica e, nello specifico,
dell’apprendimento. Un tema che interessa e coinvolge i soggetti in apprendimento,
gli studenti. La genes i e il senso dell’origine del tema non sono certamente questi. La
competenza è una modalità particolare di affrontare il progetto di trasformazione che
investe essenzialmente e, prima di tutto, l’istituzione che ne ha la responsabilità. Tale
istituzione non può definirsi competente per il fatto che esiste e che ha il potere
decisionale nelle sue mani: “per il fatto che posso decidere sono per definizione
competente”. Parafrasando Cartesio si potrebbe dire: ”Esisto, dunque sono
competente” oppure: “Esisto, dunque decido”.
Con questa certezza del proprio presupposto, l’istituzione ha deciso che il
problema della competenza riguardava i destinatari del servizio scolastico: gli
studenti, e ha immediatamente investito l’insegnamento di questa responsabilità.
L’istituzione così sottolinea che non ha alcuna necessità di rivedere la propria
struttura e organizzazione per raggiungere il risultato, l’insegnamento è il vero
oggetto e la vera sede del problema competenza. Di conseguenza, la competenza
degli insegnanti deve immediatamente produrre la competenza degli studenti. Il
sistema scuola entra così nel gioco della competenza in modo semplice, lineare,
definito; si tratta soltanto di sostenere il “progetto competenza” con qualche
aggiornamento e con “nuove indicazioni”.
Il valore della competenza
Al di là dei modi con cui la responsabilità politica affronta questi temi, resta il
fatto che sul piano sociale e culturale la competenza è un tema forte e significativo. Si
potrebbe tradurre il senso di quest’oggetto culturale con la seguente espressione:
“tutti vorrebbero essere competenti”; in altro modo, si potrebbe aggiungere: ”nessuno
vorrebbe essere incompetente”. Accusare qualcuno di incompetenza oggi significa
attribuirgli un’incapacità specifica a svolgere un compito.
Il tema diventa serio quando dal campo economico, dove il tema è sorto e si è
imposto, si passa a quello della formazione, la scuola in particolare. L’impatto del
tema sulla scuola risulta immediatamente applicabile a coloro che in essa vi operano:
studenti, insegnanti, dirigenti. I dirigenti e gli insegnanti sono per definizione e per
titoli competenti, al di fuori di questo recinto restano soltanto gli studenti che, di
fatto, vengono a scuola per diventare competenti. Ma corrisponde questo quadro alla
situazione reale?
Il concetto di competenza, infatti, mette in crisi l’assunto originario il quale
sostiene che alla base del lavoro e della professione ci sia il titolo regolarmente
conseguito nelle specifiche istituzioni. La tesi sostenuta dalla competenza è spostata
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
sull’asse della prestazione: s i è competenti se s i dimostra di esserlo nell’atto stesso
della propria attività, non perché il lavoro ci è stato consegnato da un titolo. Si assiste
così al passaggio dal valore del titolo al valore della certificazione che attesta quanta
competenza è stata acquisita in un determinato campo ma che non attesta né può
attestare quanta competenza dovrà essere messa in campo quando avvengono le
specifiche operazioni di lavoro. La competenza è sempre concentrata sul futuro, su
ciò che deve essere fatto e per il quale si deve dimostrare di sapere affrontare e
risolvere quanto viene richiesto e progettato. La competenza non riguarda il passato,
esso ne è solo la condizione, riguarda sempre il futuro, ciò che ci si appresta a fare.
La competenza è sempre una dimostrazione di capacità rispetto ad una
situazione, piccola o grande che sia. Non è mai un riconoscimento permanente; è
soltanto un atto continuo che attesta la sua presenza. La competenza non la si
presuppone mai, si dimostra.
Il vertice della competenza, infatti, è la performance, cioè la prestazione che sta
lì a dimostrare che si è capaci di produrre quanto richiesto, nel momento in cui è
richiesto. La competenza è sempre un atto complesso che ha però una visibilità in un
punto che è ciò che si vede e si verifica. Tutti gli elementi che la compongono e che
ne sono la condizione sono essenziali ma sono reali nel momento in cui l’oggetto
appare prodotto o risolto, si ha cioè una situazione nuova e verificabile.
La domanda che ci si deve porre è la seguente: se per la scuola, con la sua
organizzazione e la sua cultura, tutto questo è possibile e se è effettivamente
applicabile.
L’idea di competenza evidenzia il carattere produttivo della sua proposta. La
cultura accentua in questo nostro tempo, ma anche per il futuro immediato, il
carattere della produttività. Tutto deve essere orientato alla produzione, tutto deve
rientrare nell’attuazione di qualche azione che si possa leggere o vedere e,
soprattutto, “toccare”. Il soggetto sembra chiamato a concentrare e convogliare la sua
energia in un punto del suo stesso essere teso alla produzione di qualcosa che
testimoni la visibilità di un’azione competente, non di un’azione qualsiasi.
L’economia ha sempre più bisogno di persone competenti che sappiamo,
appunto, “competere” sul piano dei risultati e che siano in grado di introdurre
elementi di definizione degli oggetti accompagnati anche alla loro crescita
qualitativa. La competenza garantisce il risultato di un’azione e offre un importante
contributo allo sviluppo del sistema nel quale o per il quale opera. Questo non solo
per l’economia ma, più in generale, per i diversi sistemi che hanno come obiettivo la
qualità della loro produzione. Lo stesso concetto di produzione deve essere
considerato l’altra faccia della medaglia, cioè il versante visibile e collettivo della
competenza o delle competenze.
La competenza sottolinea il carattere della delimitazione. La competenza di
fronte alla totalità è evidentemente selettiva. Una persona è definita competente
quando riesce a qualificare le sue azioni in un settore specifico che, per essere tale,
necessita di un confine. Interviene così la consapevolezza necessaria della
delimitazione del campo. La delimitazione favorisce la genesi della specializzazione
e questa rappresenta il lato tecnico della stessa necessità di definizione del campo.
Nella cultura, e non solo nel mondo del lavoro, la tendenza alla specializzazione è
molto forte e consente alla stessa cultura di potersi costruire nuovi percorsi e di
entrare nel merito di argomenti sempre più definiti. Il vantaggio, a questo proposito, è
evidente: la specializzazione può essere un pericolo se non è inserita in una vis ione
generale ma, nello stesso tempo, è necessaria per lo sviluppo della scienza e, più in
generale, della cultura. La specializzazione precoce viene riconosciuta come un
danno formativo mentre la specializzazione a tempo opportuno diventa elemento
essenziale dello sviluppo personale e sociale. La specializzazione è il confine visibile
della delimitazione del contenuto della competenza.
La tendenza all’analisi. La competenza è di per sé costituita da una dimensione
analitica del proprio operare. Essa accentua un determinato tipo di cultura che ha una
sua configurazione filosofica e psico-sociale e che, nella cultura contemporanea, è
ampiamente diffusa e necessaria. La tendenza all’analisi è essenziale in tutti i s istemi
ma non può rimanere l’unico punto di riferimento o il vertice di una forma alla quale
gli altri elementi devono accodarsi. Occorre una valutazione attenta di questo
orientamento formativo essenziale per la conoscenza e la costruzione del sapere e dei
suoi prodotti. E’ evidente che la centrazione sull’analisi finisce per operare una
tendenza alla frammentazione e a produrre un’eccessiva distanza dagli oggetti reali
del sistema. Occorre pertanto garantire, sul versante metodologico, una
controtendenza verso l’aggregazione delle singole parti. L’equilibrio è determinante.
Tale funzione viene assunta da un’altra caratteristica della competenza che è
quella della relazione o meglio della strutturazione delle relazioni. La competenza
non è un segmento geometrico, è piuttosto un insieme di piccole o grandi operazioni,
un ins ieme di azioni più o meno complesse, ma mai uniche e monovettoriali. Anche
sul versante strettamente tecnico è sempre un gruppo di elementi che costituisce una
competenza. La terminalità vis ibile di una competenza è la sua performance, cioè la
sua prestazione. La performance costituisce l’evidenza della competenza e come tale
può essere analizzata e conosciuta. Anche in questo caso la prestazione consente di
catturare l’azione nella sua empirica manifestazione come atto compiuto e globale,
anche nel caso in cui la misura, rispetto alla realtà, sia infinitesimale.
Nella contemporaneità, la formazione deve poter affrontare la competenza dei
microatti come dei macroatti. La differenza non consiste nell’ampiezza ma nella
strutturazione dei rapporti interni che segnano l’intrinseco valore relazionale dell’atto
stesso. La performance o manifestazione della competenza viene valutata
positivamente quando il risultato è ottenuto in considerazione dell’avvenuta
relazionalità delle diverse parti che la compongono. L’efficacia della performance
dimostra la presenza di un “sistema competente” o di un “microsistema competente”.
La scelta dell’azione o, se si preferisce, di una teoria dell’azione sta alla base
dell’opzione formativa della competenza. In questa visione, il vero apprendimento
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
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Alcuni caratteri propri della competenza
avviene attraverso l’agire che ha come finalità l’azione produttiva. Si ritiene che la
pura assimilazione, intesa come conoscenza, non sia sufficiente a determinare lo
sviluppo del soggetto; la formazione s i colloca nell’ambito dell’operatorio e mette in
continuo movimento tutte le sue energie. Sono, infine, i dinamismi del soggetto i veri
protagonisti della formazione.
Questa filosofia dell’azione che sta alla base della competenza è anche quella
che ha determinato, e ancora determina, la collocazione della competenza nel campo
della formazione dove prevalgono evidenti azioni operative correlate alla produzione
di oggetti, cioè la cosiddetta formazione professionale o formazione al lavoro. Tale
orientamento appare oggi eccessivamente ristretto rispetto sia all’assunzione teorica
dell’agire sia a quello dello stesso conoscere.
Resta comunque il fatto che l’affermarsi della competenza si è basata sulla
ritenuta insufficienza della conoscenza. E’ questo uno dei punti più delicati della
teoria dell’azione correlata alla teoria della conoscenza. Il rapporto tra le due
posizioni è più problematico di quanto possa apparire ad un primo approccio.
Certamente l’enfasi posta sulla competenza ha accentuato la subordinazione della
conoscenza alla competenza stessa: la conoscenza, da sola, non sembra in grado di
ottenere i risultati formativi necessari. Essa riveste così un carattere strumentale
rispetto alla competenza in quanto le azioni poste in essere dal conoscere non
appaiono da sole potenzialmente capaci di determinare il risultato di una produzione
certa e qualificata, risultato che vorrebbe essere garantito dal processo formativo. La
conoscenza appare più statica della competenza in quanto non caratterizzata da un
agire finalizzato ad una produzione evidente e concreta.
La verifica di questa problematic ità tra conoscenza e competenza è data
dall’applicazione stessa della teoria dell’azione al curricolo del sistema formativo. Le
ragione di questa difficoltà sono oggi diverse: l’insufficienza - ancora - di conoscenza
del problema, la mancanza di esperienze controllate, l’applicazione generalizzata del
principio, l’impatto con i diversi contenuti e le diverse organizzazioni delle
discipline, la complessa identificazione degli elementi che compongono la
competenza, ecc. Questo elenco di punti di discussione non toglie valore al tema della
competenza, tende semmai a non assolutizzarlo e, comunque, va interpretato come un
segnale di un’esigenza del sistema stesso, quella di investire in ricerca didattica ed
epistemologica per poter adeguatamente valutare ed apprezzare il peso e il valore di
questo orientamento culturale. In assenza di tale strategia, si avrà un effetto lento ma
inesorabile di assorbimento del concetto di competenza nel linguaggio ordinario della
prassi con conseguente continuità del consolidato e con relativo assorbimento dello
stesso linguaggio nell’uso comune. Si sa, per la verità, che le teorie formative,
quando non sono sperimentate vengono consumate dalla stesso dibattito che
accendono, finendo così per sfiorare soltanto la realtà che vorrebbero invece
modificare.
Il rapporto tra competenze e valutazione è, in questo momento nel nostro Paese,
il segnale più evidente delle difficoltà in corso rispetto alla richiesta della normativa
relativa alla verifica delle competenze. La definizione che ne è stata data, invece di
chiudere il campo e di delimitarlo, l’ha aperto a tal punto da renderlo, di fatto,
inutilizzabile. Ciò che si registra nella letteratura di questi ultimi tempi è la tendenza
ad ascrivere e ad applicare la competenza a tutti gli aspetti propri dell’individuo e
tutto ciò rende sempre più improbabile la possibilità del sistema formativo di
oggettivare l’effettiva verifica di tutte queste operazioni. Siamo in presenza di una
“competenza pervasiva”. Per le conoscenze specifiche che oggi abbiamo, se il
disegno valutativo richiesto è caratterizzato da ampiezza e profondità, il rapporto tra
valutazione e verifica diventa inversamente proporzionale.
Il paradigma della certezza che è qualitativamente correlato alla competenza
mal si attaglia, infatti, alla complessa valutazione di tutti gli elementi che
compongono la persona. Probabilmente va ripensata la strategia. Sarebbe preferibile
muovere dalla valutazione e chiedersi: che cosa siamo effettivamente in grado di
valutare? La domanda richiede una conoscenza delle risorse effettive in campo
compresa la qualità degli strumenti di verifica e della loro padronanza.
Tutto ciò non significa annullare il concetto di competenza soltanto perché pone
alcuni evidenti problemi, si tratta piuttosto di continuare l’approfondimento sia sul
versante teorico sia su quello operativo, in particolare tramite un’accentuazione
sperimentale molto forte. Non pare così facile oggi riprendere il concetto di homo
faber e attualizzarlo nell’homo ”competens”, l’operazione sarebbe semplicistica.
Ritengo invece che sarebbe utile aprire una riflessione sulla nuova antropologia che
sta alla base di queste richieste sociali e formative, legittime ma non sufficienti.
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
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La competenza e i modelli curricolari
Esemplifichiamo. Per la scuola primaria la traduzione del tema competenza è
stato presentato nella forma delle “nuove indicazioni” che lo assumono ma che non lo
svolgono con coerenza fino in fondo. Sembra che si stata fatta la scelta di un’attività
quasi propedeutica alla competenza. Per la scuola secondaria di secondo grado anche se, per il momento, solo per il “biennio” -, invece, si è scelta con
determinazione la logica della competenza come matrice delle migliori azioni che
possono essere realizzate nella scuola dei prossimi anni.
Con questa impostazione si è voluto comunque affermare la scelta forte del
valore della competenza come guida della modellistica didattica e delle conseguenti
attività di apprendimento. Sicché si è, di fatto, formato un disegno interno al concetto
giuridico di “obbligo di istruzione” che ha nella sua parte terminale l’assunto della
qualità delle competenze e che, di conseguenza, richiede che tutto l’impianto che lo
precede abbia questa impronta in grado di condurre ad un positivo esito finale. Anche
nella scuola dell’infanzia è, infine, apparso il “bambino competente”. Occorre adesso
capire meglio la distribuzione del significato del termine nei diversi livelli del
processo di organizzazione della didattica.
Occorre però rilevare che i due progetti di strutturazione dei cicli sono stati
elaborati in due modi diversi e, quindi, non sono rappresentativi di un disegno
unitario. Solo una successiva elaborazione sarà in grado di realizzare un impianto
coerente nella sua longitudinalità. Nasce così, in modo sempre più diffusa, l’esigenza
di affrontare l’elaborazione dei contenuti e, con essa, del curricolo in modo
longitudinale, il cosiddetto “curricolo verticale”. Le scuole più attente si sono poste
questo problema da anni, anche senza il dibattito sulla competenza; adesso però la
questione si fa più acuta rispetto a prima perché la competenza trascina con sé un
concetto che l’istituzione ministeriale non ha affrontato per palese incompetenza,
quello della progressione dei contenuti o dei livelli, cioè i famosi standards o “content
standards” o “standards di contenuto”. Le indicazioni europee li prevedevano e li
prevedono tuttora ma il modello italiano non ha preso in considerazione questo
aspetto che è strutturale per la competenza: non si danno competenze senza standards.
Così per capire meglio il problema che la scuola si trova a gestire diventa
necessario riandare alla genesi del tema delle competenze e al conseguente tema della
loro composizione.
Si trattava di spostare l’attenzione dall’oggetto intelligenza ad una pluralità di
oggetti relativi all’individuo che potevano essere considerati altrettanto importanti, se
non determinanti, per la finalità richiesta. La sua riflessione fu poi sintetizzata
nell’ormai conosciuta “piramide di McClelland” che è composta, come si può vedere,
dalla figura sottostante di cinque parti:
1.PIRAMIDE DI McCLELLAND
United States Information Agency.
M cClelland, D., Testing for Competence Rather Than for “Intelligence, in “American
Psychologist”, January 1973.
7
MASLOW, A.H., Motivation and Personality,Addison-Wesley Educational, New York 1954.
8
ALLPORT, G.W., Pattern and Growth in Personality, Holt, Rinehart and Winston, New York
1965.
9
GUILFORD, J.P., The Nature of Human Intelligence, M cGraw-Hill, New York 1967.
Al vertice della piramide si ha la performance, cioè il comportamento del
soggetto nella s ituazione concreta nella quale viene ad operare. In questo caso, si può
considerare il modello come una specie di iceberg che mostra ciò che è operativo ma
che dipende essenzialmente da ciò che non si vede e che sta alla base degli stessi
comportamenti. La competenza non è la prestazione ma l’insieme di tutti gli elementi
che la compongono. La prestazione è la sua visibilità, la sua icona che testimonia
della presenza e dello sviluppo di tutti gli altri elementi compresa l’intelligenza e la
sua capacità di conoscenza.
Nella posizione intermedia, infatti, si ha la conoscenza (knowledge),
accompagnata dalle abilità ( skills) che compongono le due caratteristiche più
formalizzate e, quindi, più evidenti e oggettivabili della competenza. In ogni
documento che si rispetti, in realtà, ci si trova sempre di fronte al binomio:
conoscenza, abilità. Questo è coerente ma non ancora sufficiente perché la
competenza al livello di base richiede lo sviluppo di “habitus” cioè di “attitudini”
(attitudes) e di altri elementi che compongono il complesso versante delle sensibilità
individuale, le “caratteristiche personali” quali, per esempio, la pazienza.
Una volta definito il modello, si trattava di applicarlo: a chi e come. L’ambiente
al quale si intendeva applicare il modello era quello del lavoro e dell’analisi delle
qualità che potevano essere predittive di un futuro successo. Pertanto, si trattava di
modificare, da parte dei sistemi formativi, i propri modelli di insegnamento, in primis
per quelle attività di formazione direttamente rivolte al mondo dell’economia.
Infatti, in conseguenza di ciò, la strategia che il sistema economico assunse certamente non nella sua globalità - per concretizzare tali presupposti si concentrò
sullo sviluppo di tali competenze per il settore manageriale delle imprese. La
formazione basata sulla competenza non nasce per i grandi numeri ma per una finalità
contenuta e mirata, quella del mondo dell’impresa che intendeva e doveva modificare
i propri comportamenti spesso per migliorare e per trasformare la produzione o per
fare fronte meglio alle esigenze poste dalla stessa innovazione e dal quadro
internazionale della distribuzione globale della nuova economia di mercato.
Il sistema formativo classico, quella della scuola e delle università, non è stato il
primo obiettivo della strategia della competenza, la quale si presenta come
un’esigenza della nuova ristrutturazione dei processi di lavoro e, di conseguenza,
come richiesta di possesso, da parte della dirigenza, di tutte le capacità personali per
trovare le soluzioni adeguate alla situazione e, nello stesso tempo, di sapersi adattare
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
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Correva l’anno 1970 quando uno ps icologo americano David McClelland fu
5
invitato dall’ASIA ad affrontare il problema dei rapporti tra risultati dei test e
capacità di predizione della qualità professionale. L’agenzia non era soddisfatta del
modo con cui il personale dirigente delle istituzioni, soprattutto pubbliche, veniva
selezionato attraverso i test di intelligenza perché questi non si dimostravano in grado
di avere un pos itivo valore predittivo, in particolare nei confronti delle minoranze,
rispetto ai comportamenti qualitativi dei soggetti nelle loro ordinarie funzioni di
lavoro. McClelland fu invitato a produrre una propria riflessione sulla base degli studi
che aveva condotto relativamente al tema della motivazione e dello sviluppo
personale. I test, in sostanza, presentavano un loro valore per l’orientamento
accademico ma non per quanto richiesto dal mondo del lavoro.
La riflessione prese corpo in un documento che divenne particolarmente
importante per la storia di questo problema, dal titolo: “Testing for Competence
Rather Than for “Intelligence”6 . McClelland non intendeva misconoscere il valore
dei test di intelligenza ma riteneva che non fossero adeguati a testare l’oggetto per il
quale era stata richiesta la sua consulenza. In quel periodo gli studi sui temi della
motivazione e della personalità erano al centro dell’attenzione e del lavoro di altri
eminenti ps icologi fra i quali Mas low 7 (1954), Allport 8 (1965), Guilford 9 (1967) i
quali avevano creato un humus adatto a modificare l’orientamento che era stato in
precedenza al centro di tutto il sistema formativo.
5
6
alle nuove esigenze. Questi processi non potevano più avere come unico punto di
riferimento l’intelligenza conoscitiva ma il quadro complessivo della personalità del
soggetto. Ciò che emergeva in modo consistente era così la richiesta di formazione
della nuova classe imprenditoriale sulla base di elementi “compositivi” capaci di
toccare diversi aspetti della personalità e non soltanto quello della manifestazione di
un’intelligenza formale o accademica. La genesi resta economica ma entra già nella
nuova dimens ione del rapporto tra sviluppo economico e sviluppo personale. I due
elementi cominciano ad essere pensati unitariamente.
La complessa definizione di competenza
Se l’ispirazione culturale del concetto di competenza è stata prevalentemente
psicologica, va riscontrato però che il suo concetto, il tentativo di una specifica e
condivisa definizione non risulta univoco anche se la sua matrice originaria viene
confermata.
La pubblicistica internazionale, prevalentemente di lingua inglese e francese solo per sottolineare le due culture che più hanno riflettuto su questo tema - lascia
intendere che ci sono dei margini di variabilità ma che ci sono anche convergenze su
pochi essenziali elementi che possono essere considerati comuni e stare così alla base
della “teoria” adottata. Persino l’OCDE, ad un certo punto della sua riflessione, ha
sentito il bisogno di commissionare una ricerca su questo tema10 che ha dato risultati
interessanti ma che confermano ciò che oggi è evidente per tutti: la semantica non è
uniforme ma non è nemmeno così ampia da impedirne una condivisa definizione e
delimitazione.
Quando il sistema scolastico si è sentito investito da questa nuova richiesta ha
cominciato a chiedersi di che cosa si trattasse, quale ne fosse l’oggetto, e tutti coloro
che si occupavano di scuola sul versante della sua riflessività sono stati mobilitati per
tentare di spiegare ciò che loro stessi stavano cercando di capire sicché, almeno
nell’immediato, il risultato ha prodotto, fra gli operatori, una buona dose di
disorientamento e, nello stesso tempo, di attesa. La scuola reagisce con molto
pragmaticità a queste situazioni: adatta i suoi comportamenti, per quanto è possibile,
in attesa che il tema abbia una sua più precisa definizione in relazione agli atti
didattici che devono essere compiuti. Si muove tra prudenza e diffidenza, senza rifiuti
pregiudiziali ma anche senza lasciarsi incantare dal nuovo linguaggio. Sono anni, in
realtà, che si parla di competenza e ancora non si sono registrati atti conseguenti se
non per pochi casi, ancora tutti da verificare. Si può così tentare di mostrare come le
diverse agenzie abbiano presentato la loro carta di credito.
Cominciamo con l’agenzia europea che è preposta al problema del mondo del
11
lavoro e della sua qualificazione: il CEDEFOP . La sua definizione di competenza
può essere considerata paradigmatica per rappresentare il pensiero del mondo del
lavoro e della formazione: “abilità di applicare la conoscenza, il sapere-come e le
abilità entro una situazione abituale o variabile”. Le componenti che vengono
sottolineate sono: conoscenze, abilità, situazione. Di particolare rilievo l’espressione
“sapere-come” che sta ad indicare il ruolo e la funzione del sapere nel campo
lavorativo. Il sapere va applicato, la sua funzione non può essere contemplativa,
quindi i curricoli di formazione dovranno considerare l’aspetto proprio del contenutosapere nella sua versione direzionata all’applicazione. In questa definizione va anche
osservato il carattere di “neutralità” che l’ente intende assumere.
L’osservazione è di un ente italiano che si occupa di formazione quale è
Tecnostruttura, il quale, nel presentare il tema, osserva che “il ricorso ad un
linguaggio neutrale che eviti prese di posizione esplicite in tema di teorie della
competenza e di specifici sistemi locali di denominazione/classificazione delle
tipologie di competenze consente ai sistemi locali di preservare i propri stili di
denominazione e classificazione. L’idea di competenza come “insieme di capacità e
conoscenze necessarie alla realizzazione di un compito”, costituisce la descrizione
più neutrale possibile dell’oggetto, per questo compatibile con la pluralità di
terminologie in uso nei diversi sistemi (EBNA, ISFOL, ecc.)”.
Questa precisazione appare opportuna perché il termine e la sua cultura
provengono dal mondo della produzione e, quindi, non appartengono alla tradizione
del linguaggio proprio dei sistemi formativi rientranti nella diffusa area della scuola.
La scuola è parte di una grande sistema e richiede che la sua specificità venga
riconosciuta e rispettata, pertanto l’assunzione di una nuova idea deve essere
collocata all’interno di un contesto e proporzionata alla sua identità.
Già all’inizio di questo percorso di revisione della scuola basato sulle
competenze, il Ministero si preoccupò di dare una sua definizione che valesse,
appunto, per il proprio sistema e in uno dei suoi documenti, con funzione di larga
diffusione, dice che la “competenza è l’intreccio di conoscenze e abilità e/o capacità,
di “sapere” e di “saper fare”. 12 Anche in questo caso sono presenti termini già
individuati: conoscenze, abilità, sapere, saper fare. Il sapere-come del Cedefop si
trasforma in saper-fare ma il significato complessivo non muta: s i tratta sempre di
assegnare ai contenuti un versante operativo che rappresenta la primarietà della logica
della competenza.
Con un intervento successivo13 il Ministero ripropone una sua definizione di
competenza molto più ampia proprio in conseguenza della riforma del 2003: “La
competenza è l’agire personale di ciascuno, basato sulle conoscenze e abilità
11
European Centre for the Development of Vocational Training. (“The ability to apply knowledge,
know-how and skills in an habitual or changing situation”)
12
Cfr. il Glossario dell’autonomia allegato al Dpr n. 275/1999.
10
RYCHEN, D.S.; SALGANIK, L.H., Edd., Key Competencies for a Successful Life and a WellFunctioning Society, Hogrefe & Huber, Cambridge Usa/Gottingen Germany, 2003.
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
13
Circ. 84/2005.
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acquisite, adeguato, in un determinato contesto, in modo soddisfacente e socialmente
riconosciuto, a rispondere ad un bisogno, a risolvere un problema, a eseguire un
compito, a realizzare un progetto. Non è mai un agire semplice, atomizzato, astratto,
ma è sempre un agire complesso che coinvolge tutta la persona e che connette in
maniera unitaria e inseparabile i saperi (conoscenze) e i saper fare (abilità), i
comportamenti individuali e relazionali, gli atteggiamenti emotivi, le scelte valoriali,
le motivazioni e i fini. Per questo, nasce da una continua interazione tra persona,
ambiente e società, e tra significati personali e sociali, impliciti ed espliciti”.
La scuola viene così messa di fronte ad una trattazione del tema più che ad una
definizione sintetica. E’ un approccio descrittivo con funzione comunicativa che
dovrebbe servire agli operatori quale strumento di identità considerando che la
riforma fonda i suoi contenuti pedagogici proprio su questi punti. Si mette in
evidenza che conoscenza e abilità sono i due assi centrali ma che vanno collocati
all’interno di un contesto più ampio che è quello della complessità. La competenza è
sostanzialmente “l’agire personale” le cui basi sono ascrivibili al modo col quale si
sanno usare conoscenze e abilità e, quindi, al modo col quale queste sono state
acquisite. Questo agire personale deve rispondere ad un bisogno, finalizzato alla
risoluzione di un problema in un contesto all’interno di un disegno progettuale.
Inoltre, deve considerare diversi aspetti dell’individuo: gli atteggiamenti emotivi, le
scelte valoriali, le motivazioni. Proprio per questo non è un agire isolato ma sempre
in relazione con l’ambiente circostante, costituito da soggetti in rapporto personale o
di lavoro. Insomma, un sintetico trattato della qualità pedagogica che la filosofia della
competenza vorrebbe introdurre nella scuola.
Si transita da una definizione semplice e precisa della competenza nel mondo
della formazione e del lavoro ad una definizione complessa propria del mondo della
scuola. Al fondo di tale difformità c’è la preoccupazione che la scuola si lasci
trascinare nella competenza al lavoro senza affrontare il sostrato della competenza
che è quello della formazione generale del soggetto. La competenza appare così
inserita in un tutto molto più ampio che identifica anche la visione che la scuola
intende affidare al suo sistema rispetto all’oggetto in questione. Ma la definizione
tradisce anche un evidente disagio espresso indirettamente ma molto palpabile: la
scuola non è il mondo dell’impresa e le sue modalità di approccio al tema non
possono essere le stesse. Ma questo non viene detto ma solo suggerito.
La trattazione probabilmente più emblematica riguardante il disegno che il
Ministero ha della competenza è presente nello stesso documento quando si cerca di
dire in che cosa consiste la valutazione della competenza. Il Ministero suppone che la
scuola, in un tempo pressoché immediato, assimili e traduca l’orientamento della
competenza in azioni didattiche e che, quindi, si rapporti direttamente alla sua
valutazione. Definito concettualmente l’oggetto, scambiata la definizione dell’oggetto
per la sua operatività, ci si appresta a dare indicazioni per la loro valutazione, in
questo modo: “Rilevazione e accertamento delle competenze = Accertare e
certificare la competenza di una persona richiede strumenti caratterizzati da
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accuratezza e attendibilità che, a differenza di quelli utilizzati per valutare soltanto la
padronanza delle conoscenze e delle abilità, eccedono, senza escluderle, le consuete
modalità valutative scolastiche disciplinari (test, prove oggettive, interrogazioni,
saggi brevi, ecc.), ma richiedono anche osservazioni sistematiche prolungate nel
tempo, valutazioni collegiali dei docenti che coinvolgano anche attori esterni alla
scuola, a partire dalla famiglia, autovalutazioni dell’allievo, diari, storie fotografiche
e filmati, coinvolgimento di esperti e simili. Il livello di accettabilità della
competenza manifestata in situazione scaturisce dalla somma di queste condivisioni e
coinvolge nella maniera professionalmente più alta i docenti che si assumono la
responsabilità di certificarla”.
La competenza qui non può più essere descritta ma viene data come elemento da
accertare. Il tema è rilevante perché la normativa richiede la certificazione finale della
competenza acquisita e, quindi, per la scuola la funzione di accertamento è dirimente
e prescrittiva. In questo testo, si è di fronte a tutta la difficoltà di procedere in modo
coerente con l’affermazione del principio di competenza: non è più possibile
comportarsi come nel passato perché la proposta è nuova: oggetto nuovo, vita nuova.
La sottolineatura è sui mezzi che devono essere utilizzati per la valutazione. Quelli
tradizionali rispondevano ad una cultura lineare e direttiva, poco idonea al
cambiamento in atto:”…a differenza di quelli utilizzati per valutare soltanto la
padronanza delle conoscenze e abilità, eccedono…”. L’uso del verbo eccedere è
significativo: devono eccedere, devono andare oltre quelle tradizionali senza negarle,
evidentemente. Le prove tradizionali non sono più sufficienti perché consentono
“soltanto” di accertare la padronanza delle conoscenze e delle abilità, cose non da
poco evidentemente, ma ritenute insufficienti. Per realizzare l’obiettivo qualitativo
vengono richieste: osservazioni sistematiche, valutazioni collegiali anche con attori
esterni alla scuola, autovalutazioni, diari, storie fotografiche e filmati, coinvolgimento
di esperti e simili. Senza affrontare il problema della valutazione nella scuola,
dibattito non risolto che dura da decenni, va rilevato che il Ministero ritiene che nella
scuola italiana tutte quelle operazioni richieste siano un fatto ordinario o che
comunque siano di facile applicazione purché i docenti si impegnino, evidentemente.
La logica del Ministero appare chiara: ad un oggetto complesso bisogna
accompagnare una valutazione complessa. La competenza è un oggetto complesso
per la definizione che ne è stata data nella c ircolare stessa, quindi anche l’apparato
valutativo deve essere conforme alla richiesta. In questo caso, la circolare sintetizza il
proprio pensiero valutativo in poche righe capaci di descrivere tutta la fenomenologia
delle modalità valutative ritenendo che il problema sia facilmente risolvibile.
D’altronde, la competenza tradizionale del Ministero è quella della semplificazione e
l’elenco delle operazioni che possono esser effettuate per valutare è certamente
articolato, cioè rapportato ad una dato plurimo ma costituito da elementi
singolarmente semplici nella loro esecuzione. Sicché il tutto appare percorribile e
lampante. Il messaggio mantiene comunque tutta la sua ambiguità, ben espressa
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dall’espressione: “…coinvolgimento di esperti e simili”. Chi siano i simili agli esperti
sarebbe un interessante test di accertamento da proporre al Ministero.
Una definizione simile nella sostanza a quelle precedenti ma più meditata e
sintetica viene espressa nel documento del Ministero relativo al nuovo obbligo di
14
e anche più composta come stile amministrativo: “Le competenze”
istruzione
indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali,
sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo
professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità
e autonomia”.
Anche in questo caso la competenza è costituita conoscenze, abilità e capacità
personali, dove il termine personale sottolinea tutti gli elementi visti in precedenza e
che non vengono ripresi. Si evidenzia in modo più definito l’equiparazione tra
l’ambiente del lavoro e quello dello studio, lasciando intendere che esiste una
reciprocità tra i due ambienti; inoltre si pensa che le competenze siano applicabili a
tutti e due secondo il principio che anche lo studio è una forma di lavoro. La
distinzione tra i due campi viene sottolineata come funzionale con l’intenzione di
superare decisamente la dicotomia tra i due mondi, dicotomia che ha sempre
caratterizzato il dibattito sociale e culturale fino a determinare più che distinzioni
vere e proprie, divisioni tra i due campi riconducibili anche ad una precisa vis ione
della ripartizione della società in classi.
Inoltre, si è di fronte ad una sottolineatura che nella letteratura sulla formazione
delle competenze è sempre più presente, il richiamo alla responsabilità personale e al
senso di autonomia. In una società che è stata dipendente dalle diverse gerarchie
costituite e che vorrebbe centrare i suoi obiettivi sulla personalizzazione, si sono
voluti evidenziare due dimensioni qualitative dello sviluppo correlate essenzialmente
all’essere competenti. Tutto questo non elimina comunque il problema centrale che è
costituito dal fatto che la scuola non è il campo del lavoro in situazione e che
nonostante si cerchino di avvicinare i due mondi, resta con tutta la sua pregnanza un
fatto ancora non eludibile: il lavoro che si svolge a scuola non ha le stesse
caratteristiche del lavoro che si svolge nel campo dell’economia e della produzione.
L’intersezione tra le due parti non è sovrapposizione.
Le definizioni sono un buon indicatore per capire il senso della direzione di
questo nuovo contenuto che dovrebbe portare verso una maggiore integrazione fra i
due insiemi e che dovrebbe anche dare il sostegno alle azioni didattiche che devono
essere coerentemente attivate. Vediamo come.
Nel recente documento europeo: Towards A European Qualifications del 2005
relativo allo sviluppo dei s istemi formativi, s i indicano quattro differenti settori
afferenti alla competenza:
14
M PI, Documento Tecnico, Regolamento Obbligo di Istruzione, agosto 2007.
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La competenza cognitiva (cognitive competence) che coinvolge l’uso di teorie e
concetti, oltre naturalmente a tutte le conoscenze acquisite tramite le esperienze
dirette che ciascuno può fare.
La competenza funzionale (functional competence) che consiste nelle abilità
(skills) e nel sapere-come (know-how) cioè di tutte quelle cose che una persona
dovrebbe essere capace di fare quando si trova in una situazione di lavoro, di
apprendimento o di attività sociale.
La competenza personale (personal competence) che consiste nel sapere
condurre bene se stesso nelle condizioni in cui il soggetto opera.
La competenza etica (ethical competence) che si rivolge al possesso di valori
personali e professionali.
Con questa ripartizione del concetto di competenza in quattro aree, tutte
ugualmente importanti, il documento europeo colloca la competenza in un quadro
ampio relativo alla persona di cui la componente tecnica ne è soltanto una parte.
L’aspetto cognitivo e quello funzionale rappresentano ciò che nella tradizione dei
sistemi formativi ha sempre avuto una presenza, mentre la parte più nuova sembra
concentrarsi sugli altri due aspetti, quello della persona e dei suoi valori. Ma anche su
questo secondo punto diventa necessaria una precisazione.
La competenza personale e quella etica, inserite come elementi essenziali della
cultura della competenza, non hanno lo scopo di indicare dei punti di carattere
metafisico o universale che necessariamente devono essere presenti nelle menti delle
singole persone. Non si tratta di decaloghi di principi che sono alla base delle attività
umane, di tutte le attività umane. In questo caso, si tratta di azioni legate allo sviluppo
della personalità dei soggetti, cioè si tratta di stabilire una connessione tra persona e
personalità. La personalità del soggetto è una persona in azione, ciò che diventa
pertanto rilevante non è tanto l’affermazione dei principi generali quanto la
formazione delle capacità per la loro realizzazione nel processo di formazione
individuale. E’ il possesso di alcuni elementi afferenti al buon comportamento della
persona nelle diverse situazioni di rapporto interpersonale o di situazione decis ionale
che deve essere sviluppato, presente e dimostrato. Così per quanto riguarda la
dichiarazione di valori nella scelta e nella conduzione delle azioni, si sostiene che
alcuni valori sono e devono essere sempre presenti. Ciò che viene richiesto è la loro
identificazione e la loro cura in modo tale che possano contribuire a fare della
competenza un atto sempre umanistico e non esclusivamente tecnico.
La didattica, pertanto, assume un particolare ruolo e una specifica connotazione
proprio perché sulle conoscenze e sulle abilità ha una buona storia a disposizione
mentre sullo sviluppo di elementi interni e valoriali riferiti alla personalità è
profondamente scoperta nonostante tutte le sue dichiarazioni “personalistiche” e
“umanistiche”.
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
Si può vedere uno sviluppo di questo orientamento nel documento di uno dei
15
gruppi più conosciuti che si occupano di formazione per cogliere la direzione di
marcia di questa proposta cioè il rapporto tra competenze e abilità di base (basic
skills and competencies). L’articolazione che viene proposta si basa su alcuni punti:
Autoconsapevolezza (self-awareness) che consiste nel verificare i propri
sentimenti, gli interessi, i valori, i punti di forza e il mantenimento di un ben fondato
senso di fiducia.
Autocontrollo (self-management) che consiste nel sapere regolare e gestire le
proprie emozioni, lo stress, gli impulsi, nel saper perseverare di fronte agli ostacoli,
nel definire e monitorare i progressi verso gli obiettivi personali e culturali, nel saper
esprimere adeguatamente le proprie emozioni.
Consapevolezza sociale (self-awareness) che si traduce nell’avere empatie e
progetti in prospettiva con altri, di saper riconoscere e apprezzare elementi di
somiglianza o di differenza negli individui e nei gruppi, di saper riconoscere e
utilizzare le risorse che provengono dalla scuola, dalla famiglia, dalla comunità.
Abilità relazionali (relationship skills) che si concretizzano nello stabilire
gratificanti relazioni basate sulla cooperazione, nel saper resistere a inopportune
pressioni sociali, nel prevenire, gestire e risolvere conflitti interpersonali, nel cercare
aiuto quando è necessario.
Responsabilità decisionali (responsible decision-making) che si traducono in
decisioni basate sull’esame delle norme etiche, sull’attenzione alla sicurezza, sul
rispetto degli altri, sulla valutazione delle conseguenze delle azioni; che consistono
nel sapere applicare le abilità decisionali a situazioni accademiche e sociali e che
sono tali da contribuire al benessere della scuola e dell’università.
Come si può vedere, questo elenco di competenze entra con maggiore
determinazione nelle pratiche ossia negli aspetti specifici che devono essere presi in
considerazione dopo l’enunciazione di orientamenti più generali. La strategia
formativa si definisce sempre di più entrando nel merito di aspetti anche analitic i che
comunque caratterizzano proprio la vita lavorativa nella sua quotidianità.
Sempre seguendo la ricerca in corso e anche il dibattito accademico sul valore e
il contenuto della competenza, si deve necessariamente affrontare l’approccio che
l’OECD ha dato a questo tema.16
Il concetto di competenza mantiene il suo valore ma all’interno di una visione
più ampia quale quella del “capitale umano” (human capital) che viene definito come
15
CASEL: Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning, Chicago 2005. (Ente di
ricerca e formazione fondato da Daniel Goleman nel 1994).
Cfr. Organisation for Economic Co-operation and Development, The Well-being of Nations. The
Role of Human and Social Capital, Paris 2001. (“The knowledge, skills, competencies and
attributes embodied in individuals that facilitate the creation of personal, social end economic wellbeeng”).
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
16
insieme delle conoscenze, delle abilità, delle competenze e degli attributi presenti
negli individui che facilitano la creazione del benessere personale, sociale ed
economico.
La definizione appare importante perché inserisce il termine competenza
all’interno del disegno generale del capitale umano come una delle sue
caratteristiche. Nelle altre definizioni la conoscenza e le abilità erano considerate
elementi della competenza, qui invece la competenza viene accostata a queste due
qualità in funzione di un’ulteriore specificazione che può essere vista come una
particolare capacità del soggetto di tradurre le sue diverse potenzialità in un
comportamento operativo, nel senso di applicabilità. A chi opera necessitano qualità
proprie della personalità (attributes), conoscenze (knowledges), abilità (skills) che
raggiungono il loro obiettivo soltanto se il soggetto ha la capacità di tradurle in
comportamenti efficaci (competencies). Va notato, inoltre, che queste quattro generali
caratteristiche del soggetto sono finalizzate alla creazione di un benessere personale,
sociale ed economico.
Inutile qui sottolineare che lo scopo fondativi dell’OCDE è quello di studiare lo
sviluppo economico e che un suo settore è proprio dedicato al rapporto tra sviluppo
economico e sistemi di istruzione e di formazione. Pertanto, la finalità dello sviluppo
economico viene evidenziata come un obiettivo pari a quello dello sviluppo personale
e sociale. Sembra dire, l’ente in questione, che non vanno create facili illus ioni come
quelle di chi ritiene che lo sviluppo sociale possa avvenire senza lo sviluppo
economico, di più, vuole sottolineare che anche lo sviluppo personale non diventa
possibile senza lo sviluppo economico.
In terzo luogo, s i ha una sottolineatura non secondaria sulla specifica finalità,
indicata come raggiungimento del benessere (well-beeing). Il benessere diventa la
voce riassuntiva della funzione formativa ed economica della società. Una volta si
sarebbe detto che tutto è finalizzato allo sviluppo della persona, voce in grado di
riassumere tutto quanto può essere presentato in senso positivo. Il concetto di persona
all’interno di questa letteratura appare troppo astratto e metafisico mentre l’idea di
benessere personale lascia intendere con maggiore chiarezza che cosa si vuole
effettivamente raggiungere.
La quarta accentuazione riguarda lo stesso concetto di “capitale umano”. Alla
sua apparizione sembrava quasi volere ridurre l’idea di uomo al suo valore
economico in quanto nella tradizione linguistica l’idea di capitale è associata al
campo economico, ma poi è apparso con più evidenza l’intento del proponente di
capovolgere la percezione tradizionale proprio accentuando il valore umano con
l’associarlo all’idea di capitale. Nell’uomo ci sono tutti i valori potenziali di cui la
società ha bisogno, pertanto il dovere di tutte le istituzioni, comprese quelle
economiche, è di metterlo al primo posto, al posto più alto e determinante. Lo
sviluppo economico non dipende soltanto dalle sue leggi interne, ma soprattutto dalla
centralità e valorizzazione del capitale che esso ha al proprio interno. L’uomo
possiede un capitale che deve essere sviluppato, se non lo si sviluppa il dire che è
persona diventa soltanto un “flatus vocis”.
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
Alla fine, comunque, resta evidente il fatto che l’idea di competenza, in questo
disegno, viene ricollocata lasciando intendere che non si è di fronte alla formazione
dell’uomo competente (homo competens) ma alla formazione dell’uomo costituita
dallo sviluppo di tutte le sue potenzialità concepite sinteticamente come un vero
capitale.
Queste alcune definizioni di competenza possono essere sufficienti per chiarire
come il campo sia semanticamente complesso ma che, pur nella diversità di
interpretazioni, si trova un nucleo fondamentale condiviso e, soprattutto, che si ha
convergenza sul significato trasformativo che tale oggetto assume nell’ambito degli
attuali sistemi di scolarizzazione. La convergenza riguarda le istituzioni politiche che
hanno deciso di percorrere questa strada; le posizioni risultano invece più sfumate
con atteggiamenti anche di distanza critica quando s i transita dalle decis ioni di
politica educativa a quelle proprie della ricerca culturale. Non è questa la sede per
entrare nel merito di questo interessante dibattito, qui il nostro scopo è soltanto quello
di presentare e di capire il significato complessivo della proposta in corso che
coinvolge sia l’Unione europea sia gli Stati nazionali.
Competenza e Apprendime nto
Una volta definito il quadro dei significati di competenza e, soprattutto, quello
della sua composizione interna, si deve necessariamente passare alla presentazione di
ciò che viene chiesto in termini di azioni qualitative per l’intero sistema. Il tema
centrale diventa così quello dell’apprendimento.
L’introduzione del concetto di competenza è strettamente correlato alla visione
dell’apprendimento. Nella proposta generale di innovazione che è stata presentata e
adottata, va ricordato che il termine originario che indicava la linea del cambiamento
era, ed è ancora, quello di apprendimento. La critica al sistema tradizionale era
sostanzialmente basata sulla critica al primato del contenuto per affermare il primato
dell’apprendimento. Su questo nuovo oggetto si sono scritte tante pagine per cui non
conviene nemmeno tentare di identificare un punto o un momento ritenuto
determinante. Dalla filosofia alla psicologia alle scienze naturali si sono avuti
contributi decisivi per rendere tale scelta imprescindibile anche per la pedagogia della
scuola.
Il termine apprendimento va direttamente correlato a quello di competenza per
evitare l’equivoco che, invece, potrebbe essere alla base del possibile “fallimento”,
nell’attuale s istema scolastico italiano, della reale assunzione e dello sviluppo di tale
prospettiva. Il legame che oggi va definito è quello tra competenza e apprendimento:
competenza-apprendimento. La correlazione “competenza-contenuto” o, meglio,
l’apprendimento di conoscenze-contenuti in funzione della loro applicazione al
campo della vita e del lavoro lascia il passo al rapporto apprendimento-competenza;
in questo nuovo disegno viene contestata la priorità assoluta del contenuto, non è
contestato il contenuto.
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Nella competenza il contenuto è tanto fondamentale quanto il resto, ma non è
più il primato del contenuto a determinare lo schema di azione. La nuova
correlazione riguarda il rapporto “competenza-apprendimento” dove si sottolinea la
priorità dei dinamismi del soggetto e, in particolare, della mente rispetto alle azioni
che devono essere intraprese, compresa quella del possesso delle conoscenzecontenuto necessarie. La mente, con le sue operazioni, diventa la priorità che intende
affermarsi come permanente, mentre il contenuto può anche diventare obsoleto.
Nasce così il concetto di “apprendimento permanente” lungo tutto l’arco della vita;
non si può dire la stessa cosa per il contenuto: lo stesso contenuto può non essere
essenziale per tutta la vita. L’apprendimento ha un potenziale “quasi-infinito” mentre
il contenuto è inevitabilmente circoscritto. La dialettica tra i due termini è strutturale
e permanente: il primo ha dalla sua parte il potenziale, il secondo ha dalla sua i
significati.
Sulla base di queste poche notazioni di apertura, si può capire meglio - così
spero - come nei documenti promossi dalla commissione europea s i passi, in
generale, dal tema della competenze a quello dell’apprendimento. Il termine chiave è
“learning”.
17
In un documento comunitario del 2001 si stabilisce tale connessione in modo
definito e orientativo: “The most important of these competences is the ability to
learn - maintaining the curiosity and the interest in new issues and skills - without
which lifelong learning cannot exist”. La competenza più importante è l’abilità di
apprendere. Dove il concetto di apprendimento si rivolge alla generalità delle
situazioni e non solo agli atti strettamente formali di tipo cognitivo quelli, per
intenderci, che sono realizzati concretamente nella classe come sede degli
apprendimenti formali. L’apprendimento è un atto personale e mentale, pertanto è
sempre attivo in qualsias i s ituazione. Questo è l’aspetto didattico che occorre
coltivare.
La scuola, con il suo apprendimento, rappresenta una parte di questa strategia
ma deve fare lo sforzo didattico di mettere il soggetto nella condizione di attivare
sempre, in qualsiasi circostanza, i processi di apprendimento necessari in quella
situazione. Mai rinunciare all’apprendimento, mai fermarsi; l’apprendimento avviene
quando avviene, non lo si può demandare al futuro o anche al giorno dopo. Quando
all’interno della scuola si affronta un contenuto, si può anche decidere di posticiparne
la lettura e la conseguente comprensione, ma l’apprendimento non va posticipato; è
attivo nel momento stesso dell’impatto con una qualsiasi situazione.
La seconda osservazione riguarda proprio la vitalità dell’apprendimento per la
vita: se non si sviluppa l’abilità di apprendere non ci può essere apprendimento
17
EU, Report from the Commission of 31 January 2001: The concrete future objectives of education
systems. “La più importante di queste competenze è l’abilità di apprendimento – mantenendo la
curiosità e l’interesse per le nuove questioni e le abilità – senza la quale l’apprendimento
permanente non può esistere”.
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durante tutto l’arco della vita. Questo è l’obiettivo generale e, nello stesso tempo,
l’obiettivo più importante.
Per realizzarlo vanno opportunamente sostenuti l’interesse e la curiosità sia
verso le nuove questioni che si presentano sia verso le abilità che sono necessarie. La
didattica deve trovare le modalità per mantenere vivo l’interesse verso le nuove e,
alle volte anche controverse, situazioni nelle quali sono indispensabili tutte le abilità a
disposizione compresa quella del saperne acquisire di nuove.
Va mantenuta alta l’attenzione alle proprie abilità per verificarne, nelle
situazioni concrete, il reale possesso ed essere disponibili a svilupparne altre
indispensabili per affrontare nuove situazioni. Le competenze si muovono sempre su
due binari: il primo è quello del possesso delle conoscenze e delle procedure, il
secondo è quello dell’attenzione alle proprie motivazioni, all’adattamento e allo
sviluppo di nuove abilità. I temi dell’attenzione e della motivazioni diventano
pertanto essenziali quanto l’oggetto che si intende affrontare.
Le operazioni mentali
Per comprendere il rapporto tra apprendimento e operazioni mentali ritengo che
possa essere esplicativa e utile una sintetica affermazione di Piaget fatta in occasione
della presentazione del lavoro del suo allievo Hans Aebli: “La reale assimilazione
delle cognizioni anche sotto il loro aspetto più intellettuale, presuppone l’attività del
fanciullo e dell’adolescente, perché ogni atto d’intelligenza implica un gioco di
operazioni e che queste operazioni non pervengano ad un vero funzionamento (cioè a
produrre un pensiero e non solamente delle combinazioni verbali), che nella misura
in cui esse sono state preparate da azioni propriamente dette; le operazioni non sono
infatti altra cosa che il prodotto dell’interiorizzazione e della coordinazione delle
azioni, in modo che senza attività non vi potrebbe essere autentica intelligenza”. 18
Vanno evidenziati alcuni termini che consentono anche di accedere meglio al
significato della stessa teoria piagetiana. I termini usati sono i seguenti: intelligenza,
operazioni, funzionamento, azioni, attività. Possono essere collegati in questo modo:
il funzionamento dell’intelligenza si basa su operazioni che hanno la loro base nelle
azioni generate da attività che costituiscono le condizioni dell’apprendimento. Le
operazioni, elemento centrale del discorso, sono il prodotto dell’interiorizzazione
delle azioni e della loro coordinazione.
Il soggetto, in condizioni di apprendimento, agisce mediante una serie di attività
che gli consentono di interiorizzare le diverse forme dell’azione mediante le
operazioni stesse che l’azione richiede. Questo schema procedurale forma
l’interiorizzazione del processo operazionale che costituisce e produce lo sviluppo
mentale del soggetto.
Il punto di partenza è l’attività, la quale è costituita di operazioni che generano
interiorizzazione dei processi di sviluppo continuo del soggetto. La mente pertanto
18
AEBLI, H. Didattica psicologica, Barbera, Firenze 1966 (1951), p.2.
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apprende mediante attività strutturalmente costituite da operazioni. Come infatti
potrebbe essere possibile un’attività in assenza di operazioni? Ecco perché il gioco
diventa importante, perché il laboratorio diventa importante, perché il lavoro diventa
importante.
Sulla base di questa affermazione si potrebbe affermare che un curricolo che
assuma questa posizione come fondamento epistemico dell’apprendimento, dovrebbe
essere pensato come un insieme di attività compiute dal soggetto tali da sviluppare un
complesso di operazioni in grado di metterlo nella condizione di dare al proprio
apprendimento una struttura dinamica.
La struttura dinamica della mente del soggetto si costituisce come obiettivo
essenziale e prioritario per la sua formazione, di conseguenza l’apprendimento su
base dinamica non ha fine, è generatore di un’apertura pressoché permanente. La
proposta di fare dell’apprendimento un dinamismo continuo che metta il soggetto
nella condizione di avere a disposizione una struttura operativa viva, appare come il
grande fine ma anche il grande sogno delle affermazioni di politica dell’educazione
presenti in questo secolo.
Ha certamente un rilevante fascino l’idea che si possa dotare il soggetto di una
capacità permanente di fronteggiare le diverse situazione nelle quali verrà certamente
a trovarsi lungo l’arco della sua vita. Situazioni non mai uguali tra di loro ma che
possono essere fronteggiare perché le operazioni che il soggetto compie e che
“materializzano”le sue capacità hanno la potenzialità interna di potersi espandere e di
poter essere applicate ad eventi nuovi. Tali eventi problematici sono anche forieri di
nuova ricchezza e di nuova maturazione delle stesse operazioni che sono impegnate
nella migliore soluzione degli eventi.
Ciò che diventa importante è che tutte le potenziali operazioni mentali del
soggetto vengano poste in campo, nei modo e nei tempi necessari. Colui che
apprende non deve pensare che esistano solo alcuni elementi che possono favorire il
suo sviluppo. Come si è visto, la psicologia della mente si trova di fronte ad un’ampia
pluralità di operazioni che possono essere compiute. Esse vanno tutte attentamente
utilizzate e, nello stesso, padroneggiate. Si tratta di avviare un percorso formativo
basato, per una parte, sulla teoria dell’azione e, dall’altra, sulla teoria della
conoscenza delle stesse operazioni effettuate; il soggetto va messo nella condizione di
poterle padroneggiare in quanto ha avuto il modo e il tempo di vederle in opera e di
riflettere su di esse e sul loro effettivo possesso.
In sostanza, l’impianto formativo basato sulle operazioni non va considerato una
forma di semplificazione ma un sistema composto da più parti interagenti le quali
necessitano sempre di essere usate, conosciute, padroneggiate.
Definirei questa capacità del soggetto di mettere in movimento tutte le sue
operazioni mentali come una forma di “umanesimo formativo” indispensabile per
tutti e capace di sostituire la base tradizionale del curricolo costruita sul “leggere,
scrivere e fare di conto”. Il salto qualitativo è notevole perché la preoccupazione
centrale della formazione diventa la mente del soggetto relazionata ad alcuni
contenuti che sono ritenuti utili per la cultura e per la società.
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
Nella versione tradizionale del curricolo si diceva che tutti avevano il diritto di
imparare a leggere, a scrivere e a conoscere quel tanto di “far di conto” che poteva
servire nella vita quotidiana. Nella visione nuova, nulla di tutto questo è scartato, ma
la centralità dell’investimento riguarda lo sviluppo delle operazioni della mente come
criterio di approccio ai contenuti perché il soggetto ha il primario diritto di vedere
che le sue energie mentali ricevono tutta l’attenzione a loro necessaria. E tali
dinamismi mentali sono quelli essenziali per fronteggiare la realtà. Questo
orientamento chiama in causa il rapporto con la posizione espressa da buona parte
della tradizione relativa alla tesi dell’educazione integrale; il rapporto tra queste due
componenti della proposta curricolare dovrà diventare un tema di lavoro per una
nuova riflessione.
Dopo gli studi di Piaget - non solo i suoi, ci sono contributi provenienti da
diverse discipline non psicologiche - si sono susseguiti vari tentativi per dare un certo
peso al cambiamento di prospettiva o almeno con l’intenzione di contribuire a
prestare l’adeguata attenzione ad aspetti operatori ritenuti essenziali per lo sviluppo
del soggetto. Le condizioni organizzative e istituzionali non hanno favorito questo
approccio anche se non rifiutato. Con l’avvento della teoria della competenza come
cornice generale del curricolo e come motore di azione delle sue attività, tale
prospettiva dovrebbe prevedere un’ulteriore spinta verso la sua realizzazione,
naturalmente a condizione che diversi aspetti dell’attuate assetto curricolare vengano
modificati.
Per dare una certa concretezza alla teoria appena esposta, ci si può riferire al
tentativo fatto dalla collana “Didattica per operazioni mentali” 19 di poter
rappresentare questa linea di sviluppo dell’impianto curricolare e della sua
intenzionalità formativa. La collana è stata costruita sulla base della riflessione fatta
da diverse teorie del curricolo e da diverse studi della mente, con l’intenzione di
raccogliere quegli elementi che vengono ritenuti comuni ed essenziali per ogni
tipologia di formazione nella sua fase di sviluppo. Se s i analizzano, per esempio, i
contenuti che provengono da proposte già fatte di organizzazione tassonomica della
formazione della mente, da quella classica e più famosa di Bloom 20 a quella più
recente di Marzano 21 , ci si rende conto che è in corso un’ampia impresa culturale per
trasformare il progetto di formazione.
L’ipotes i formulata, invece, dalla collana non si basa su una premessa
tassonomica ma su una rilevazione culturale delle princ ipali operazioni che la mente
deve affrontare nella sua vita per poterla comprendere e padroneggiare. Le dodici
operazioni indicate:
19
La collana “Didattica per operazioni mentali” comprende 12 volumi che trattano delle seguenti
operazioni: Creare, Descrivere, Giudicare, Interpretare, Ipotizzare, Osservare, Produrre, Riflettere,
Sperimentare, Valutare, Comparare, Comprendere, Erickson, Trento 2008-2009.
20
BLOOM , B., Taxonomy of educational objectives: Handbook I, The cognitive domain. New
York, David M cKay & Co. (With D. Krathwohl et al.), 1956.
21
MARZANO, R.J., Designing a New Taxonomy of Educational Objectives, CORWIN PRESS,
Thousand Oaks, California 2001
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
Creare
Comparare
Comprendere
Descrivere
Giudicare
Interpretare
Ipotizzare
Osservare
Produrre
Riflettere
Sperimentare
Valutare
stanno alla base di ciò che si ritiene tutti debbano possedere per essere presenti e
coscienti nel contesto dove si sviluppa il proprio vissuto. Le dodici operazioni non
hanno certamente il compito di esaurire il campo, si sa che la loro pluralità possibile è
molto alta. Hanno soltanto il compito di coagularsi come indicatori indispensabili di
area al fine di costituire un nucleo essenziale che tutti devono poter percorrere.
Com’è evidente, non tutti possono accedere a tutti i contenuti di un curricolo ma
tutti possono invece accedere a queste operazioni perché esse sono indispensabili per
lo sviluppo della propria formazione. Si tratta di traghettare il curricolo dall’obbligo
di istruzione, cioè di possesso di una serie di conoscenze, all’obbligo di praticare tutte
le fondamentali operazioni che l’esperienza di vita ci mette nella condizione di dover
possedere.
Vorrei eliminare subito un facile equivoco che può essere ricondotto alla
classica critica di formalismo. Credo che non si possa mettere in pratica nessuna
operazione mentale senza un contenuto. Questo non mi pare nemmeno un oggetto di
discussione; in questa proposta si tratta, invece, di organizzare un curricolo che renda
ben evidenti i criteri di costruzione che si vogliono seguire per raggiungere
l’obiettivo di formazione della mente. E tale obiettivo non s i raggiunge senza
concentrarsi sulle operazioni che rendono apprendibile lo stesso contenuto. Le
operazioni di apprendimento hanno, in questo caso, la priorità intenzionale e
organizzativa. L’impatto che tale spostamento può avere sull’organizzazione del
curricolo non sarà indifferente senza considerare gli effetti sul sistema valutativo.
Osservazioni conclusive
Le azioni qualitative che sono richieste alla scuola italiana - ma anche alla
scuola europea - appartengono al quadro concettuale esposto e vi sono
strutturalmente inserite; possono essere meglio capite partendo dalla cornice generale
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
tracciata dai documenti comunitari. Le competenze sono al centro del disegno
politico-pedagogico dell’Unione europea e degli Stati che la compongono. La strada
intrapresa avrà un lungo periodo di incubazione, di adattamento, di revis ione al di là
delle diverse opinioni che possono essere convergenti o divergenti. Resta il fatto che,
per molti anni, questa sarà la visione di qualificazione dei processi di istruzione e di
formazione. In questa nuova situazione che cosa può fare la didattica? Molto.
La didattica in questi ultimi decenni ha lavorato intensamente e ha prodotto
molte proposte che meritano di essere studiate e sperimentate. Il problema può essere
questo: la didattica ha avuto intuizioni ed esperienze s ignificative anche quando la
teoria delle competenze non era ancora apparsa e non era stata assunta ufficialmente
dai diversi paesi e dai loro sistemi di istruzione. L’Italia si è affrettata a usare
l’espressione “didattica per competenze” come prima aveva assunto l’espressione
“didattica per obiettivi” e i vari fans non mancano mai; sono corsi a promettere
interventi dal carattere messianico per cui la nuova scuola per competenze è
presentata come la soluzione di tutti i problemi. Assomigliano a quella diffusa
pedagogia italiana che non riesce mai ad affondare le mani né nella didattica né nella
filosofia rimanendo a metà strada più come pedagogia dell’illus ione che della realtà.
La storia della didattica dovrebbe rendere più prudenti ma siccome anche nei
corsi di formazione universitaria una seria Storia della didattica non viene presentata
ai futuri insegnanti, questi giovani “pieni di belle speranze” - così nel linguaggio
popolare - pensano di stare entrando nel mitico mondo delle soluzioni a “portata di
mano“. Inoltre, la pedagogia italiana si muove tra personalismi vari alla ricerca di un
discorso fondativo che non arriva mai e gli studenti, futuri professionisti, possono
imparare realmente qualcosa della scuola operante solo dai “tirocini” e dai
“laboratori” quando questi sono condotti da insegnanti effettivamente dotati di
esperienza e di senso critico. La storia della didattica ci mette a disposizioni alcune
informazioni che vanno considerate attentamente perché rientrano nella richiesta di
“azioni qualitative”.
Tali azioni possono essere prioritariamente ricondotte alle operazioni che ogni
mente deve mettere in pratica per poter vivere dignitosamente la propria esperienza.
Occorre che il soggetto esca dal s istema formativo con la capacità metodologica di
sapere usare in primis le proprie operazioni della mente. Questo orientamento
dovrebbe porre un nuovo interrogativo ai responsabili dei sistemi educativi: non sarà
il caso di cominciare a centrare il curricolo sulla mente del soggetto in modo tale che
quando questa incontra i contenuti della cultura e della realtà non ne venga travolta
ma sappia mettere in movimento la molteplicità delle sue operazioni le quali formano
nient’altro che il metodo con cui la realtà stessa chiede di essere capita, affrontata e
ordinata?
Bibliografia
© 2009 Lucio Guasti – Atti Convegno Erickson
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