Capitolo 5

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Capitolo 5
L’uomo che voleva essere Francis Scott Fitzgerald - David Handler
Odoya
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…La sala da pranzo era ormai piena di ospiti, richiamati
dalla sonora arringa di Cam e da quello che prometteva di
essere un incontro tra pesi massimi: in un angolo il ragazzo
terribile della letteratura americana, nell’altro il grande santone. I titolari delle rubriche scandalistiche si fecero avanti
brandendo le penne. I fotografi, Charlie compresa, si portarono in prima fila puntando gli apparecchi.
Era il turno di Tanner. Con estrema calma e lentezza accese un fiammifero e lo accostò al fornello della pipa. Quando
l’ebbe accesa, prese ad aspirare una boccata dietro l’altra finché non si ritrovò circondato da una nuvola di fumo azzurrognolo. «Il critico» replicò in tono saccente «fa da guida nei
vasti e selvaggi territori della letteratura. Traccia un sentiero.
Senza critici, alcuni dei più grandi autori della storia delle lettere non sarebbero mai stati scoperti. Tu, per esempio». Marsh
rivolse un’occhiata a Boyd e gli mostrò i suoi denti gialli. «Il
giovane Noyes sembra avere la memoria corta».
«No, non è vero, Tanner» lo rassicurò Boyd in tono sollecito. «Sul serio. Vero, Cam?».
“Stava cercando di impedire che il suo prezioso cliente si
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facesse un potente nemico o lo stava incitando?” mi chiesi.
Ma non ebbi tempo di rispondermi.
«Perché gli lecchi il culo, Boyd?» domandò Cam in tono
rabbioso. «Sempre a leccargli il culo, tutti voi! Ma perché? Chi
se ne frega di quello che pensa?». Cam si era portato di fronte
a Marsh, che dalla sua sedia lo fissava con freddo disprezzo.
«Non hai la minima idea di cosa ci voglia per creare qualcosa,
Tanner! Che cosa si prova. Credi di averla, ma non è vero. Sai
una cosa? Ti voglio fare un favore. Te lo voglio mostrare».
Detto questo, afferrò il grasso ometto per il petto e lo fece
scattare in piedi. Marsh si fece all’improvviso pallido di paura,
quasi si fosse appena reso conto di essersi cacciato in qualcosa
da cui il suo spirito pungente non era in grado di tirarlo fuori.
Si guardò intorno alla ricerca di un soccorritore, ma nessuno
si fece avanti. Ogni singolo ospite della Gotham Princess, me
compreso, era molto più interessato a vedere che cosa avesse
in mente Cam Noyes.
Cam strappò la giacca, la camicia e la cravatta di dosso a
Tanner Marsh, rivelando la sua carne bianca, pelosa e molliccia. Molti dei presenti trattennero il fiato. Non era un bel
vedere. Ormai in preda al terrore, Tanner cercò di fuggire, ma
Cam lo afferrò per la cintura.
«Non farmi del male!» gemette Tanner spalancando gli
occhi e tremando come una foglia. «Ti prego, non farmi del
male! Ti prego!».
Con un gran sorriso sulle labbra, Cam diede un potente
strattone verso il basso, lacerando i pantaloni di Marsh e facendoglieli cadere ai piedi. Tanner rimase soltanto con un paio
di mutande a calzoncino larghe e macchiate di urina. Ma non
per molto. Cam si preoccupò di strappargli anche quelle.
Il più importante critico letterario d’America si ritrovò così
nudo come un verme a fronteggiare duecento fra i personaggi
più famosi di New York, le cui bocche erano spalancate fino a
sfiorare il pavimento.
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Nessuno si mosse o emise un suono; specialmente Tanner, talmente umiliato e mortificato da sembrare di ghiaccio.
I flash illuminarono la scena quando i fotografi, Charlie compresa, decisero di immortalare il momento per i posteri.
«Bene, Tanner» dichiarò Cam facendo un passo indietro
per ammirare la sua opera. «Adesso sai cosa vuol dire essere un
autore. Congratulazioni». Detto questo, raggiunse il bar con
passo malfermo e ordinò altre due tequile.
Tanner si sollevò i laceri pantaloni con una mano, si strinse al petto la giacca e la camicia con l’altra e si allontanò con
passo affettato e claudicante verso la porta a vetri. «Te ne pentirai» sibilò in direzione di Cam. «Ve ne pentirete entrambi»
precisò rivolto a Boyd.
Quindi scomparve dalla sala da pranzo con ciò che gli era
rimasto della sua dignità. Skitsy Held, sua ospite nonché ex
moglie, lo seguì inorridita. Gli invitati iniziarono a disperdersi, commentando l’accaduto in toni eccitati.
Boyd Samuels si lasciò cadere su una sedia. «Cristo, nessuno dei miei autori otterrà mai più una buona recensione da
quello stronzo». Prese a mordicchiarsi un’unghia. All’improvviso si riscosse. «Forse potrei convincere Delilah a farsi leccare
la passera».
«Ti sbagli di grosso» lo informò la sessuologa.
Boyd scoppiò a ridere. «Dicevo tanto per dire, dolcezza»
le gridò dietro. «Mi avevano detto che lei era un tipo efficace,
amigo» borbottò rivolto a me. «Ma lasci che glielo dica, questa non è affatto la mia idea di un buon risultato».
Cam si era portato davanti a una delle grandi vetrate. Fumava una sigaretta e fissava la Statua della Libertà, illuminata
per la notte. Charlie gli si era avvicinata, aveva posato la mano
sul suo braccio e gli parlava in tono sommesso. Lui non sembrava badare alla sua presenza.
«è un tipo emotivo, non è vero?» commentai.
«Già, è un tipo emotivo» borbottò Boyd.
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«Si rende conto di quanto lei lo manipoli?».
Boyd aggrottò la fronte. «Non la seguo».
«Avrebbe potuto tranquillamente impedirglielo, ma non
l’ha fatto. Voleva che succedesse. Domani ne parlerà tutta
New York. Un altro mattone per costruire la leggenda di Cam
Noyes».
Boyd mi rivolse un sorriso lupesco. «Deve ammettere che
è stato un gran bel numero».
«Avrebbe potuto strangolarlo a mani nude» gli feci notare.
«Anche quello sarebbe stato un gran bel numero».
«Non farebbe mai niente del genere» obiettò Boyd. «Non
è un violento».
«Non ne sia così sicuro. Quando un uomo inizia a credere
a quello che i giornali dicono di lui, possono succedere strane
cose».
Boyd ridusse i suoi laser a due fessure e mi fissò. «È sicuro
che non lo sta manipolando anche lei?».
«Io? E perché dovrei?».
«Per vendicarsi di coloro che l’hanno messo sul podio e
hanno fatto scendere lei».
Mi pizzicai l’orecchio. «Considerazione interessante. È
una puttanata, ma una puttanata interessante. Prima mi ha
fatto capire che Skitsy gradirebbe vederlo con le chiappe sul
marciapiede. Perché l’ha tradita con un altro editore?».
«In parte».
«E quale sarebbe il resto?».
Boyd liberò una risata. «Una sera che mi sentirò generoso
e strafatto, forse glielo dirò».
«E questa storia con Delilah… da quanto va avanti?».
Mi scoccò un’occhiata sorpresa. «Gliel’ha detto?».
«Non esattamente».
«E allora come…».
«Ho i miei metodi».
Boyd gettò un’occhiata a Cam, che era ancora alla finestra
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Ah, ma la notte era ancora giovane, e noi altrettanto.
Nessuna serata mondano-letteraria poteva essere completa
senza una puntatina da Elaine’s, tradizionale roccaforte dei
pezzi grossi letterari. Qui, un tempo, Lulu aveva la sua ciotola
d’acqua riservata. Un gruppetto scelto di festaioli raggiunse il ristorante sulla ruggente Loveboat dopo che la Gotham
Princess aveva attraccato poco prima della mezzanotte: Cam e
Charlie, Boyd e Delilah, Todd e il sottoscritto.
La mamma di John John, Jackie, era seduta a un tavolo
in compagnia di Mike Nichols e Diane Sawyer. C’era anche
la solita banda: i Plimpton, i Talese, i Vonnegut. Ed Doctorow, Joe Heller. Era strano tornare in quel luogo. Elaine si
dimostrò lieta di vederci. Fece un sacco di feste a Lulu, che
si mise subito alla ricerca della sua ciotola ma tornò subito
dopo, confusa per non averla trovata.
Elaine arrossì imbarazzata. «Mi dispiace, Hoagy, ma è passato tanto di quel tempo… Gliene do subito un’altra».
Le chiesi di non farlo.
Eravamo seduti a un grosso tavolo verso il retro. Lulu si
sdraiò sotto la mia sedia e prese a tirare su col naso, infastidita
dal profumo di Delilah. La quale si sincerò di sedersi accanto
a Cam. Era leggermente sbronza per le attenzioni e lo champagne che le erano stati offerti nella breve crociera, e di conseguenza molto meno discreta. Chiacchierava allegra con Cam
e soltanto con Cam, la mano posata sul suo braccio, il volto
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con Charlie, quindi a Delilah, che si era portata al tavolo del
buffet e stava conversando con Frank e Kathie Lee Gifford. «Si
sono conosciuti qualche settimana fa nel mio ufficio» raccontò.
«Cam ne è rimasto preso all’istante, come se qualcuno l’avesse
picchiato in testa con un diapason. Ma non durerà. Fra un paio
di settimane Skitsy la farà partire per una tournée promozionale
in tutto il paese. Quando sarà di ritorno, Cam l’avrà dimenticata. Se lo conosco bene. E mi creda, so di cosa parlo».
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acceso, lo sguardo eccitato. Gli occhi di Cam erano fissi sui
suoi. Entrambi ignoravano Charlie, che era seduta fra Todd e
me e si rendeva perfettamente conto di cosa stava succedendo. Non era stupida, né inumana. Forse credeva davvero di
non avere alcun diritto di controllare il suo genio biondo e
corpulento. Se ne stava seduta, a disagio, gli occhi scintillanti
come pietre bagnate.
La situazione non mi piaceva. Non mi piaceva affatto.
Avevamo appena ordinato da bere quando Tanner Marsh,
vestito con un nuovo completo di popelin, fece il suo ingresso
insieme a Skitsy Held.
Il locale sprofondò immediatamente nel silenzio. Gli
sguardi di tutti si fissarono sui due nuovi arrivati. Le notizie
della sera si erano sparse in fretta.
Quando ci vide, Tanner si fece pallido come un cencio.
Lui e Skitsy iniziarono un botta e risposta sottovoce.
«La serata si fa interessante» osservò Todd in tono sommesso.
«Dovrei invitarli al tavolo?» domandò Boyd.
«No, no, aspettiamo di vedere cosa fanno» esclamò Delilah mentre Elaine si affrettava ad accogliere i due ospiti.
Tanner e Skitsy non se ne andarono. Si fecero accompagnare da Elaine a un tavolo il più possibile lontano dal nostro,
Skitsy rivolgeva cupi saluti ai clienti abituali del locale a mano
a mano che li superava. Lentamente, nel ristorante tornò a
diffondersi il solito sommesso cicaleccio.
Elaine raggiunse il nostro tavolo. «Stasera non crearmi
problemi, Cameron» implorò scoccando un’occhiata nervosa
in direzione di Tanner.
Charlie inserì un rullino nuovo nella macchina fotografica.
Mi aspettavo che Tanner si volesse vendicare. Era un critico. Un critico è abituato ad avere sempre l’ultima parola. Ma
non avrei mai immaginato che lo facesse in quel modo.
Quando gli venne servito il suo drink, Tanner lo scolò
in un sorso e si alzò con un certo sforzo. Skitsy allungò una
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mano per fermarlo, ma il grassone se la scrollò di dosso e
s’incamminò verso di noi. Le teste si voltarono. Il locale tornò
a sprofondare nel silenzio. Giunto al nostro tavolo, Tanner si
fermò e prese a fissare Cam. Non disse nulla, si limitò a fissarlo, il volto una maschera impassibile.
Fu Boyd a spezzare il silenzio. «Ciao, Tanner. Vuoi sederti
con noi?».
Per tutta risposta, Tanner Marsh estrasse una pistola dalla tasca della giacca, la puntò su Cameron Sheffield Noyes e sparò.