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La scuola che cambia:
dall'aggressività alla
gestione costruttiva
dei conflitti
competenze sociali, prevenzione e gestione
dei conflitti nella scuola digitale
a cura di Renato Briante
LA SCUOLA CHE CAMBIA:
DALL'AGGRESSIVITÀ ALLA GESTIONE
COSTRUTTIVA DEI CONFLITTI
competenze sociali, prevenzione e gestione
dei conflitti nella scuola digitale
a cura di Renato Briante
Pubblicazione realizzata nell’ambito del
Progetto “GUICHETS ANTIVIOLENCE POUR
LES MINEURS” (JUST/2010/DAP3/AG/1377)
Finanziato dal Programma DAPHNE III
dell’Unione Europea 2011-2013
Ente capofila: CRESM
Coordinatrice del progetto: Annamaria Frosina
"This publication has been produced with the
financial support of the DAPHNE Programme
of the European Union. The contents of this
publication are the sole responsibility of
Provincia Regionale di Trapani and can in no
way be taken to reflect the views of the
European Commission."
Progetto grafico e impaginazione:
Maria Pia Zinnanti
Foto di copertina: Rita Alagna
Altre foto: Archivio CRESM - Gabriella Ebano
Stampa: fashiongraphic - Gibellina (TP)
Dicembre 2012
2
Indice
PREMESSA
Il quadro etico e storico di riferimento.
Un percorso che viene da lontano
Lorenzo Barbera 7
Annamaria Frosina, Romano Mazzon 13
INTRODUZIONE
La costruzione del progetto
LE FASI DEL PROGETTO
La centralità dell’esperienza scolastica
27
Laura Gilli, Giuseppina Sutera, Giovanna Triolo 35
Laura Gilli La formazione nelle scuole
del Trapanese
3
La formazione a Dublino
Jeraldine Richardson, Michael Conlon 47
51
Lo strumento degli atelier
Atelier O.N.S.A.
Rosanna Frosina “Non di solo rabbia …” atelier strategico
sul riconoscimento delle emozioni
Laura Gilli 61
65
Atelier “Laboratorio per ragazzi sulle
tecniche di mediazione”
Sutera Giuseppina, Giovanna Triolo LA VALUTAZIONE DELLE ESPERIENZE
Joelle Timmermans, Giovanni Ghibaudi 69
4
LE METODOLOGIE OPERATIVE
JoelleTimmermans, Giovanni Ghibaudi 97
I LINGUAGGI POSSIBILI
Sperimentazione virtuale: la mediazione
attraverso i giochi di ruolo virtuali negli
ambienti virtuali 3 D
Marilena La Placa 113
163
171
La comunicazione al tempo della
net-generation
Romano Mazzon LA MEDIAZIONE
DELL’APPRENDIMENTO
O.N.S.A obiettivi non specifici di
apprendimento
Rosanna Frosina 5
DUE MODELLI DI GOVERNANCE
La mediazione di comunità
Renato Briante
177
IL PATTO DI SICUREZZA LOCALE DI
DUBLINO
Michael Mernagh 217
VERSO NUOVE PROSPETTIVE
la “Scuola che cambia”: per la costruzione
di una nuova comunità didattica
Gabriella Ebano, Annamaria Frosina
223
CONCLUSIONI
Alessandro La Grassa
229
AUTORI
237
BIBLIOGRAFIA
238
6
Premessa
IL QUADRO ETICO E STORICO
DI RIFERIMENTO. UN PERCORSO
CHE VIENE DA LONTANO
Lorenzo Barbera, Presidente onorario del Cresm
Le persone, le famiglie e i gruppi sociali più deboli,
quando non sono ignorati o identificati come fastidi,
intralci o nemici di cui liberarsi, vengono quasi
sistematicamente considerati e trattati come puri oggetti
di assistenza da istituzioni locali e centrali, da organismi
di assistenza sociale, da gruppi di volontariato. Pur
riconoscendo che in situazioni di emergenza e in una
serie di casi specifici l’intervento assistenziale può essere
indispensabile e risolutivo, le istituzioni e i soggetti privati
impegnati nella costruzione di sistemi di welfare solidali
integrati e permanenti devono andare ben oltre e
considerare e trattare le persone, le famiglie e i gruppi
sociali più svantaggiati come preziosi valori aggiunti
capaci di produrre ricchezza sociale, economica,
culturale, scientifica, tecnologica, ambientale, oltre che di
autogestire e superare le proprie difficoltà e i propri limiti.
Primo obiettivo, quindi, deve essere la loro liberazione
dalla dipendenza. L’assistenza pubblica e privata,
consapevolmente o inconsapevolmente, molto spesso
7
accresce e consolida la dipendenza degli svantaggiati
anziché ridurla e cancellarla. In molti casi questa
assistenza crea sistemi di dipendenza tali da impedire agli
assistiti il libero esercizio della cittadinanza.
La liberazione dalla dipendenza può essere meglio
perseguita attraverso un processo di sviluppo locale
integrato e sostenibile cui partecipino in modo
responsabile e solidale tutti i rami della società civile e
istituzionale.
Obiettivi fondamentali di questo sviluppo sono:
a. la partecipazione di donne e uomini di tutte le età di
ogni collettività locale: bambini e ragazzi della scuola
dell’obbligo, giovani delle scuole superiori e
dell’università, lavoratori e imprenditori del mondo
agricolo, marino, artigiano, industriale turistico e degli
altri servizi, dei disoccupati, dei pensionati, degli
immigrati, dei cosiddetti disabili, dei
tossicodipendenti, nonché di dipendenti, dirigenti e
politici delle istituzioni locali e di tutti gli altri servizi
istituzionali, compresa la sanità, la pubblica sicurezza,
la gestione delle acque, dei rifiuti, dell’energia, ecc...
Ogni persona che partecipa concorre in modo
consapevole e responsabile alla qualità, alla
molteplicità, all’efficacia, alla condivisione e alla
coesione di programmi e progetti grandi e piccoli
settoriali e trasversali, generali e particolari;
b. la integrazione tra pubblico e privato; tra attività
produttive e servizi; tra lavoro e formazione; tra i vari
settori e comparti di attività economica; tra ricerca e
attività produttive; tra scuola e territorio; tra welfare,
8
economia, educazione formazione scienza tecnica e
tecnologia; tra passato, presente e futuro; tra saperi e
saper fare; tra qualità ambientale qualità sociale
qualità culturale; tra la collettività locale e le
collettività di altri territori vicini e lontani. Naturalmente
la partecipazione è la strada maestra per realizzare un
processo permanente di incontro e integrazione;
c. la sostenibilità ambientale, sociale, etica ed
economica come sistema di valori condiviso da tutte
le persone della comunità locale, qualunque sia il loro
ruolo nella società civile e istituzionale.
Ciascuna delle quattro sostenibilità può essere definita
come segue.
La sostenibilità ambientale impegna tutti i cittadini e tutte
le istituzioni a curare che:
- ciascuna attività, pubblica o privata, non arrechi danno a
chi la svolge, ai destinatari dei beni e dei servizi prodotti e
a tutti coloro che, direttamente o indirettamente, verranno
in contatto con essi.
Ogni attività, inoltre, non deve arrecare danno alla terra,
all’acqua e all’aria;
- tutti i rifiuti urbani, agricoli, industriali, ecc. siano
sistematicamente vissuti da tutti gli abitanti, a partire dai
bambini della scuola materna, come risorse da riciclare
nel proprio territorio e che, di conseguenza, siano
effettivamente riciclati.
- si persegua l’autosufficienza energetica del proprio
territorio, producendo energie pulite rinnovabili (solare,
fotovoltaico, geotermico, biomassa, idrogeno, ecc.);
- si protegga e si restauri il proprio patrimonio edilizio rurale
e urbano, non solo quando è di valore monumentale, ma
9
anche quando è semplice testimonianza del vivere,
dell’abitare del lavorare nostro e dei nostri antenati.
Le strade, le piazze, e tutti gli altri spazi pubblici,
unitamente all’arredo urbano e alle facciate del nostro
patrimonio edilizio, costituiscono il salotto condiviso di
tutti gli abitanti in cui vengono accolti i visitatori della
nostra città e del nostro territorio;
- tutti gli abitanti conoscano la storia, il patrimonio
archeologico, artistico, culturale, geologico, speleologico,
naturalistico, agricolo, marinoartigiano, industriale,
tecnico, tecnologico e scientifico del loro territorio.
Tale conoscenza è presupposto indispensabile per
innervare efficacemente nel territorio i talenti, le vocazioni,
le competenze degli abitanti, rendendo così questi ultimi
capaci di entrare in relazione feconda e interattiva con
altri territori vicini e lontani.
La sostenibilità sociale di un territorio è reale e buona
quando tutti gli abitanti, dai bambini agli anziani, operano
affinché nessuno sia escluso dalla partecipazione alla
produzione di ricchezza economica, sociale, scientifica,
tecnica, tecnologica e culturale. E, cioè, nessuno, deve
essere abbandonato o consolidato in una condizione di
dipendenza. Ogni collettività territoriale organizzerà la sua
vita, la sua città, le sue case, i suoi ambienti di lavoro, le
sue attività, i suoi programmi e i suoi progetti in modo che
ogni portatore di svantaggio possa parteciparvi secondo
la sua vocazione e i suoi talenti e, cioè, sia un prezioso
valore aggiuntocome tutti gli altri. Ogni territorio, al fine di
liberare ogni persona e ogni gruppo sociale in difficoltà,
non si limiterà ad adottare le soluzioni escogitate altrove,
ma, attraverso ricerche e sperimentazioni specifiche,
troverà soluzioni pertinenti, puntuali e innovative.
10
Il welfare, quindi, non può essere concepito e trattato
come una variabile indipendente dalle varie attività
economiche, culturali, di ricerca, istituzionali, educative,
formative, ludiche, ecc., ma piuttosto come una
dimensione imprescindibile di ciascuna di esse. E, del
resto, anche tutte
queste attività, per essere di qualità non possono
prescindere dalla sostenibilità sociale e ambientale.
La sostenibilità etica e politica implica che i
comportamenti di tutti i cittadini di un territorio siano
improntati all’onestà e alla rettitudine e l’operatodi ogni
soggetto istituzionale, oltre a essere onesto e retto, sia
anche limpidamente trasparente. L’ostacolo principale è
la corsa verso la ricchezza e verso il potere. Questa corsa
con un eufemismo viene chiamata competizione
economica, politica, scientifica, tecnologica, sportiva,
ecc.. In effetti si tratta di una guerra continua le cui vittime
sono sistematicamente i più deboli. Come in tutte le
guerre il fine giustifica i mezzi. Così l’onestà e la
rettitudine sono considerate ingenuità, se non stupidità.
Mentre la furbizia, la scorrettezza, l’assenza di
trasparenza, la bugia, la truffa, l’inganno, la corruzione…
sono considerati armi legittime per la corsa alla ricchezza
e al potere.
La stragrande maggioranza di soggetti finanziari,
imprenditori e politici e gli strumenti mediatici che
controllano sono i nemici mortali della sostenibilità etica e
politica. E ciò anche perchè essi si propongono
quotidianamente come il modello, il firmamento di stelle
luminose a cui tutti, compresi i più deboli, possono
aspirare. E i più deboli, proprio perché tali, sono le vittime
più vulnerabili.
11
Non è eticamente e politicamente sostenibile un sistema
scolastico e universitario il cui corpo docente non adotti il
territorio dei loro alunni come principale libro di testo cui
applicare tutte le discipline con la massima tensione e
attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale.
Senza tale adozione il sistema scolastico e universitario
concorrono allo sradicamento delle nuove generazioni,
che, così non adotteranno i loro territori come bacini di
ricchezza economica sociale storica culturale naturalistica
cui applicare i loro talenti, vocazioni e competenze.
Alunni e studenti protagonisti di ricerca scoperte e
progetti nel proprio territorio cresceranno con una forte
identità versatilità progettualità e competenza che
spenderanno efficacemente non solo nel loro territorio,
ma in qualunque angolo del pianeta. L’attuale approccio
didattico del corpo docente
per divenire eticamente e politicamente sostenibile ha
bisogno di interiorizzare ed elevare notevolmente la sua
missione e la sua passione pedagogica.
Il sistema degli Enti Locali in Sicilia non è sostenibile sul
piano etico e politico, dato che, nella stragrande
maggioranza dei casi i sindaci, gli assessori e i consiglieri
comunali non sono impegnati a chiamare i cittadini a
divenire protagonisti di programmi progetti e iniziative
mirati alla sostenibilità sociale e ambientale, ma piuttosto
a tessere clientele, attraverso cui accrescere potere e,
spesso, ricchezza.
La sostenibilità economica si realizza quando i beni e i
servizi prodotti dalle singole persone e dalle collettività
locali sono sufficienti a soddisfare i loro bisogni e, nello
stesso tempo, sono basate accuratamente sulle
sostenibilità ambientale, sociale ed etico-politica e non
contro di esse.
12
Introduzione
LA COSTRUZIONE DEL
PROGETTO
La scelta metodologica
Annamaria Frosina
Alla fine degli anni i ’70, si assiste ad un aumento della
violenza non soltanto nella società in generale, ma anche
nelle istituzioni scolastiche. Tale fenomeno si caratterizzò
per la crescita di aggressioni fisiche, estorsioni, atti di
vandalismo, comportamenti e attitudini antisociali e
atteggiamenti offensivi e maleducati.
Alcuni studi dimostrarono che la causa principale della
proliferazione di questi atti di violenza nelle scuole era
l’indebolimento della solidarietà e la disgregazione della
stessa comunità scolastica. In quel periodo, la comunità
scientifica sottolineò che tale violenza accelerava il
processo di atomizzazione della società, che creava
sfiducia, paura e risentimento. Il risultato era che lo
studente tendeva a ripiegarsi su se stesso, o si aggregava
ad un sotto-gruppo, restringendo i suoi campi d’azione, le
discussioni e lo scambio di idee e la partecipazione ad
attività comuni.
13
In quel periodo, lo studioso Jean-Pierre Bonafè-Schmitt,
coinvolto nell’analisi di questo fenomeno, elaborò un
nuovo modello di mediazione dei conflitti alternativo al
modello autoritario e disciplinare applicato in quel tempo,
basato sulle punizione e sanzioni che producevano
processi di stigmatizzazione e espulsione.
Il modello di “mediazione tra pari”, introdotto da BonaféSmith nelle scuole, prevedeva una “zona neutra” dove i
conflitti sono trattati e dove attori della comunità
educativa si riuniscono, in modo da arrivare ad un
accordo attraverso la mutua comprensione dei bisogni e
degli interessi comuni.
Riguardo la violenza nelle scuole, Bonafé-Schmitt
sostiene, ancor oggi, che l’incremento di atti di bullismo,
aggressioni fisiche, vandalismo riflettono una crisi
strutturale del sistema. Egli afferma, inoltre, che sarebbe
illusorio credere che le cause di questi atti di
prevaricazione siano dovuti a semplici problemi di
inefficienza, come la mancanza di risorse (docenti,
supervisori,.....) o a programmi di studio e metodi di
insegnamento obsoleti (metodi attivi, competenze di
base).
Egli giudica questa visione, eccessivamente funzionalista,
non interpreta la crisi della scuola che è più profonda e
che è comunque soltanto un aspetto di una crisi più
generale che colpisce tutti i settori della vita sociale, i
nostri sistemi di regolazione sociale e le modalità di
risoluzione dei conflitti. Quindi, la legge, come la giustizia,
sono sempre più chiamate a regolare i conflitti che
rientrano all'interno di quella che Habermas chiama la
sfera del mondo vitale, che comprende anche la scuola.
14
"Le rappel à la loi" 1 diventa, la parola d'ordine della
politica di prevenzione della violenza scolastica. Per
gestire la violenza nelle scuole stiamo di fatto assistendo
a d u n a a b d i c a z i o n e d e l l ’ e d u c a t o re i n f a v o re
dell’avvocato.
Per Bonafé-Schmitt questa situazione dimostra la
necessità di sviluppare meccanismi di regolazione sociale
a livello istituzionale, al fine di (ri)creare le condizioni per la
ristrutturazione di una vera scuola di comunità. E’
necessario, quindi, programmare azioni che creino nuovi
luoghi, strutture, programmi educativi (conoscenza,
apprendimento, ma anche ascolto, comunicazione
comprensione...). Questi programmi devono coinvolgere,
non solo tutti i membri della comunità scolastica
(insegnanti, alunni, genitori), ma anche i professionisti che
lavorano nelle istituzioni sociali, la polizia giudiziaria, etc,
per creare strutture intermedie, per lottare contro il
processo di atomizzazione della comunità scolastica e,
soprattutto, per creare nuove forme di solidarietà tra
studenti e tra studenti e la comunità educativa.
E’ sua convinzione che questo tipo di struttura é in grado
di prevenire il fenomeno del bullismo, di facilitare la
1 Le rappel à la loi est, en droit français, une mesure qui permet de « procéder au
rappel auprès de l'auteur [d'une infraction] des faits des obligations résultant de la
loi » (article 41-1 du Code de procédure pénale).Par cette mesure, l'auteur de
l'infraction peut échapper à des poursuites judiciaires, le procureur de la
République lui signifiant simplement son tort au regard de la loi.Le rappel à la loi
n'est pas mentionné dans le casier judiciaire dans la mesure où il ne s'agit pas
d'une condamnation. En revanche, le rappel à la loi suspend la prescription de
l'action publique ce qui permet éventuellement à une victime de demander
réparation de ses préjudices. Il faut toutefois noter que cette mesure d'alternative
aux poursuites judiciaires est généralement choisie par le procureur lorsque les
faits ne sont pas graves et généralement lorsqu'il n'y a pas de victime.Par ailleurs,
en cas d'échec ou de récidive, le procureur peut alors mettre en œuvre une
composition pénale ou engager des poursuites judiciaires. (fr.wikipedia.org)
15
collaborazione, l’ascolto e la solidarietà tra pari, e di
ricostituire una vera comunità scolastica.
Essenziale in questo processo educativo, è la figura del
"mediatore scolastico, come terzo neutrale", che
ristabilisce il dialogo tra le parti, con l'intento di
riorganizzare le relazioni in un modo che sia accettabile
per coloro che sono coinvolti nel conflitto. Attraverso la
creazione di un clima di fiducia, il mediatore propone una
visione alternativa al conflitto, e costruisce tali condizioni
che consentano alle parti in causa di (ri) ottenere, in modo
creativo e responsabile, le competenze decisionali
attraverso la comprensione delle loro emozioni e di quelle
degli altri. Nello stabilire un clima di fiducia, il mediatore
offre una visione alternativa del conflitto, impedendo la
sua degenerazione in atti di violenza. Inoltre, nel processo
di mediazione, il conflitto diventa una fonte di
apprendimento che aiuta i contendenti a sviluppare nuove
forme di solidarietà (Ciurlia, Lucatello, 2008).
La mediazione scolastica mira a creare una nuova
modalità relazionale tra alunni e insegnanti e tra la scuola
e la famiglia. In effetti, la mediazione partecipa alla
costruzione di un nuovo ordine nelle istituzioni
scolastiche, collocato a metà strada tra un ordine
imposto e un ordine negoziato. Questo non significa che
tutto può essere negoziato, o che ogni decisione
dovrebbe essere negoziato, ma solo che gli studenti sono
autorizzati a partecipare direttamente alla costruzione di
questo ordine intermediario, a partire non da vincoli
esterni, imposti dagli adulti, ma dalle decisioni prese dalle
parti in conflitto, al fine di risolvere il conflitto stesso
(Bonafè-Schmitt, 1996).
16
Il progetto
Il progetto "Guichets Antiviolenza pour les Mineurs" è la
continuazione di un precedente progetto di mediazione
sociale, denominata "Territorial Network for the Mediation
of Conflict, TNMC", che ha già visto la collaborazione del
CRESM, le Città di Castelvetrano e Marsala, le due
associazioni, Amely e SICCDA. Dai risultati ottenuti e le
criticità individuate, durante la realizzazione di TNMC, si è
evidenziata la necessità di capitalizzare le esperienze di
mediazione scolastica tra pari. Questa convizione è stata
rafforzata dai risultati ottenuti attraverso un'indagine
condotta dalla partnership, nazionale e transnazionale, in
Italia e in altre nazioni europee, che ha dimostrato che i
problemi più critici nelle loro comunità, sono quelli legati
ai giovani (disagio giovanile, violenza fisica e psiclogica, bullismo, vandalismo, abbandono scolastico, ecc).
A seguito di queste riflessioni sono state contattate
diverse istituzione scolastiche in provincia di Trapani e a
Dublino, operatori del sistema giudiziario minorile, servizi
sociali del territorio, trovando da parte loro disponibilità
per sperimentare un modello di mediazione scolastica tra
pari nei rispettivi territori, arricchendo tale sperimentazione
con il contributo di esperienze maturate in altri Paesi. Da
qui la necessità di intraprendere un percorso di
sensibilizzazione e formazione teso allo start-up di
Sportelli di mediazione scolastica all'interno delle scuole.
In collegamento con il programma"Daphne III" è nata
anche l’esigenza di individuare pratiche comuni in grado
di allineare i loro processi istituzionali sulla prevenzione e
gestione dei conflitti in ambito minorile.
17
In Italia, in ambito minorile, è Torino la città in cui si sono
sviluppate le esperienze più significative nell'ambito della
mediazione scolastica e penale, sia attraverso
l'esperienza diretta del Gruppo Abele con i centri di
gestione e mediazione dei conflitti e il lavoro di
formazione con adulti e studenti, sia con le attività svolte
dal Centro di Mediazione della Città di Torino2 coordinato
da Giovanni Ghibaudi. Per l’esperienza siciliana, quindi, si
decide di adottare la loro metodologia facente capo alla
scuola di Bonafè Schimtt e a quella della scuola umanista
di Jacqueline Morineau. Mentre in Italia è stata seguita
esclusivamente la metodologia della mediazione
scolastica tra pari, in Irlanda è stata scelta anche la
metodologia “Restorative Practices” incentrata sull’uso
del Cerchio.
Complessivamente sono stati formati 225 giovani
mediatori e 40 adulti referenti .
Molteplici sono stati gli obiettivi del progetto: la
sensibilizzazione e l’educazione alla cultura della nonviolenza e del rispetto per un reale recupero di valori
solidaristici e di sicurezza sociale all’interno della
comunità scolastica per arginare fenomeni di dinamiche
patologiche di gruppo come le aggressioni fisiche, il
racket, il vandalismo e il bullismo.
Il progetto ha previsto atelier, seminari, conferenze e
dibattiti per sensibilizzare sul fenomeno della violenza,
degli abusi domestici, sulle dinamiche del bullismo nelle
scuole e sulla mediazione pacifica dei conflitti. Sono stati
2 La sperimentazione sull’attività di mediazione in ambito penale minorile, a Torino,
è iniziata - prima esperienza in Italia - nel gennaio 1995.
18
utilizzati, come strumenti operativi, il linguaggio e il ruolo
dei mezzi multimediali e dei social network, la
sperimentazione virtuale 3D, i metodi open source,
l’alfabetizzazione delle emozioni, l’individuazione di
m e t o d i d i d a t t i c i s p e c i fi c i s u l l a m e d i a z i o n e
dell'apprendimento, sulla mediazione penale e la giustizia
riparativa e sul ruolo delle istituzioni pubbliche e private.
Questi programmi, hanno coinvolto l’insieme dei membri
della comunità educativa (insegnanti, alunni, genitori), ma
anche i professionisti del sociale, della giustizia e della
polizia, e vogliono contribuire a creare nuove forme di
solidarietà tra gli alunni ma anche con l’intera comunità
educativa.
Le attività progettuali hanno portato all’apertura di
sportelli di mediazione all’interno delle scuole gestiti
direttamente dai ragazzi in provincia di Trapani e a
Dublino. In tal modo gli stessi alunni, saranno in grado di
prevenire e gestire situazioni di conflitto tra i propri pari
che si generano all’interno delle classi.
Grazie alla peer mediation, i ragazzi, appositamente
formati da un mediatore scolastico, aiutano i loro
compagni coinvolti in conflitti o prevaricazioni a trovare
una soluzione che soddisfi tutte le parti in causa. Mediare
significa, per le parti coinvolte, avere la possibilità di
esprimere il proprio punto di vista, le proprie emozioni, le
proprie paure, le proprie motivazioni, ascoltando e
accogliendo anche quelle presentate dagli altri. Infine se
le parti lo desiderano potranno trovare una soluzione,
risultando, così, tutti vincenti.
E’ un metodo efficace per sviluppare in modo positivo e
creativo i rapporti interpersonali, per diffondere la cultura
19
della non violenza, della tolleranza e della pace. Mostra ai
giovani ed agli adulti quanto sia importante imparare ad
accettare l’altro, accoglierlo, ascoltarlo ed essere
ascoltati.
Con la formazione in 3D inoltre, studenti, insegnanti e altri
professionisti hanno sperimentato le tecniche della
mediazione all'interno di un ambiente virtuale.
I giochi di ruolo nell’OpenSimulator, una piattaforma
simile a una Second Life, si sono svolti in un ambiente
sicuro e protetto per i minori.
Nelle scuole della provincia di Trapani e di Dublino, dove il
progetto è stato sviluppato, per la risoluzione pacifica dei
conflitti si potrà contare sull'aiuto di ben 225 mediatori tra
pari ed i giovani mediatori della scuola saranno chiamati
ad assolvere al loro compito con serietà e professionalità.
Così l’istituzione scolastica, ricostituita come reale
comunità, grazie a tale progetto, potrà essere realmente
considerata luogo ideale di socializzazione e risoluzione
pacifica dei conflitti.
20
Partnership e Qualità del progetto
Romano Mazzon
La partnership che è stata definita in questo progetto ha
inteso unire una serie di competenze che potessero
contare su una comprovata esperienza nel campo della
risoluzione dei conflitti con una particolare attenzione al
mondo dell’infanzia, della preadolescenze e
dell’adolescenza.
Nella discussione che ha portato alla definizione del
progetto si è inteso porre attenzione a quei soggetti che
nei territori si occupano di mediazione tra pari sia
direttamente come operatori che per mandato
istituzionale. L’attenzione è stata rivolta anche alle
modalità di interazione tra i ragazzi non potendo non
considerare che vengono ormai definiti come la
generazione digitale.
I partner coinvolti avevano già avuto esperienze comuni in
progetti passati per cui la discussione sui temi e sulle
modalità di attuazione del progetto hanno trovato un
mileau già condiviso.
Tale condivisione era presente sia a livello nazionale che
transnazionale e ha permesso di procedere rapidamente
alla definizione di un programma operativo.
In questo contesto il lato istituzionale, la Provincia di
Trapani, e quello operativo, Gruppo Abele, SICCDA,
Mediante e CRESM, hanno da subito condiviso
l’approccio nonviolento alla risoluzione dei conflitti per
promuovere una cultura della convivenza e della coesione
21
sociale in territori dove le condizioni socio-economiche
spingono a una risoluzione violenta delle controversie che
non produce alcun risultato se non il perpetuarsi del
sopruso, dentro e fuori le istituzioni.
Per meglio diffondere tale principi di nonviolenza e di
relazioni costruttive nei ragazzi, si è coinvolto il gruppo di
Cineca che grazie all’esperienze maturate ha potuto
fornire uno strumento educativo che ben si adatta a
questa nuova generazione digitale, potendo predisporre
una piattaforma interattiva on-line.
Questa unione di esperienze pratiche nei territori e di
conoscenza dei nuovi canali comunicativi ha dato origine
a questo progetto che ha l’ambizione di portare a un vero
cambiamento culturale che, partendo dalla scuola e dai
gruppi di pari, possa influire sulla cultura dei territori in cui
viene attuato, promuovendo la coesione sociale e, quindi,
uno sviluppo sostenibile, secondo quanto promosso
dall’Unione Europea, in ambito economico, sociale ed
ambientale.
Fin dalle prime fasi progettuali è stato ben chiaro a tutti i
partner che il progetto, per le peculiarità dei territori
prescelti per la sperimentazione, doveva poter contare su
un’assoluta condivisione degli obiettivi da raggiungere e
delle modalità per farlo.
Proporre un modello nonviolento di risoluzione dei conflitti
a ragazzi che sono cresciuti in ambienti in cui la violenza
e la prevaricazione possono apparire modelli vincenti
richiede che chi propone questo nuovo modello culturale
debba essere, per primo, convinto che l’unico sistema di
22
vera risoluzione del conflitto risieda nell’apertura di canali
relazionali di discussione tra le parti coinvolte.
Il secondo punto che è parso centrale è stata la necessità
di un coinvolgimento attivo dei diversi stakeholder. Per
questo motivo si è effettuata una mappatura precisa di
tutti quei soggetti, istituzionali e della società civile, che,
in qualche misura sono coinvolti nel mondo dei ragazzi.
Infatti, in caso contrario, il progetto e i suoi obiettivi, per
quanto ben articolati, sarebbero apparsi, agli occhi dei
ragazzi, come un’isola a sé non trovando conferme nel
mondo che li circonda e che decide anche per loro. Solo
in questo modo si è ritenuto possibile promuovere un
m o d e l l o c h e n o n p u n t i s u l l a re p re s s i o n e d e i
comportamenti o sulla loro occultazione ma, bensì,
consideri la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti e
della loro rete sociale in una discussione aperta e franca
che permetta di trovare al suo stesso interno la soluzione.
Per questo motivo si è messa in atto un’opera di
sensibilizzazione che portasse alla condivisione più ampia
possibile non solo degli obiettivi ma anche dei principi
guida di questa modalità di risoluzione delle controversie.
Questa condivisione permetterà, al termine del progetto,
che i risultati ottenuti e le modalità con cui questi sono
stati raggiunti, entrino nella quotidianità grazie ad un
impegno delle istituzioni e di tutti coloro che operano a
stretto contatto con il gruppo target. Per raggiungere
questo obiettivo si è reso necessario, da un lato, definire
obiettivi precisi che possano essere condivisi con i diversi
stakeholder e, dall’altro lato, un’opera di coordinamento
delle azioni che non le facesse apparire come una
23
sommatoria progressiva ma che mantenesse sempre una
visione di insieme.
Il legame tra progetto e territorio viene inteso come
qualità emergente, una qualità in grado di ridefinire anche
le relazioni, e i prodotti di queste, nel dialogo tra istituzioni
e società civile promuovendo una crescita innovativa nella
modalità di gestione e risoluzione dei conflitti.
24
Le fasi del
progetto
25
26
La centralità dell’esperienza
scolastica
Laura Gilli
“La scuola rappresenta un aspetto importante nella vita di
ogni persona, in particolare nella giovane età: essa, infatti,
non è soltanto un luogo di apprendimento, ma anche uno
spazio di aggregazione, un momento di forte
socializzazione, di confronto, di scontro e di incontro tra
bambini e bambine, tra ragazzi e ragazze, tra giovani e
adulti”.3
Se fino al secolo scorso la scuola veniva considerata
esclusivamente l’istituzione deputata a diffondere
l’alfabetizzazione e la cultura, oggi le dinamiche che stanno
contribuendo a ridefinirne il profilo, non fanno altro che
confermare responsabilità educative e sociali decisamente
più impegnative. Vanno infatti cristallizzandosi in questa
istituzione gran parte delle tensioni che emergono dalla
società ed è per questo che diventa fondamentale
promuovere al suo interno comportamenti responsabili che
si rivelino in grado di diffondere la cultura dell’incontro, del
rispetto, dell’accettazione e della solidarietà.
La scuola è quindi il principale mezzo di trasmissione della
cultura e quindi strumento indispensabile per la
costruzione della cittadinanza, intesa come spirito di
appartenenza e partecipazione alla vita sociale. Insieme
3 Cfr. Macramé Diritto 6 dovere allo studio, n 1 /2002
27
all’educazione ricevuta in famiglia, la scuola è il luogo nel
quale si conoscono e si praticano i principi e i valori su cui
si basa la convivenza tra gli esseri umani.
Si è capito che nella scuola è diventato fondamentale
guardare l’allievo nella sua globalità, fatta non solo di
pensieri e conoscenze, ma anche di sentimenti ed
emozioni, di relazioni con se stesso e con gli altri, per
aiutarlo a crescere in una società sempre più complessa;
per far ciò è necessario spostare l’attenzione sulla
“persona” cercando di trovare il giusto equilibrio tra
obiettivi socio-affettivi e cognitivi.
Si presuppone di avere una visone dell’ambito educativo
non solo come luogo di trasmissione del sapere, ma uno
spazio di educazione che diventi un laboratorio di socialità
in cui i ragazzi sperimentano luoghi di scambio sociale,
dinamiche relazionali, territori di identità su cui incontrarsi,
confrontarsi e scontrarsi”
Nei primi anni della scuola materna ed elementare si esce
dal ventre protettivo della famiglia e si impara direttamente
cosa voglia dire stare insieme agli altri, condividere spazi,
tempi ed oggetti..
“La scuola ha il compito di insegnare, è vero, ma non più
nozioni, espressioni matematiche, ricorrenze storiche o
quanto altro. Insieme alla famiglia, ha il compito, di
insegnare a vivere”.4
Ma la scuola è anche uno dei luoghi, dove più facilmente
avvengono conflitti a causa del numero elevato dei
soggetti che in essa confluiscono: alunni, genitori,
insegnanti, dirigenti, personale non docente, operatori
4 Lozzi M: Prefazione (a cura) del vol. “Mediatori Efficaci Come gestire i conflitti a
scuola.“K.J. Duden Ed La Meridiana
28
esterni e anche a causa del prolungato tempo che si passa
al suo interno: come mostra, infatti, una analisi sociologica
della crisi del sistema scolastico seguita da J.P. BonafèSchmitt e dalla sua equipe di ricercatori di Lyon emerge
“che la crisi della scuola non è che una delle sfaccettature
della crisi più generale in tutti i settori della vita sociale”.5
Crisi del sistema e nuovi percorsi di
gestione
La ricerca di nuove strade da percorrere rispetto ai conflitti
è sovente motivata da forte disagio dei docenti provocato
non solo dai litigi tra allievi ma anche dalla percezione della
propria incapacità ad una reazione adeguata di fronte ad
una situazione difficile.
La tensione che si crea è spesso causa di abbandono
scolastico o scarso rendimento: gli insegnanti si sentono
inadeguati ed impotenti ad affrontare queste problematiche
e spesso ricorrono a provvedimenti disciplinari che hanno
la finalità di ristabilire l’ordine ma non di indagare le ragioni
profonde del conflitto. “Potrebbe essere invece utile iniziare
un percorso di autoconsapevolezza e autodisciplina che
conduce gradualmente all’autocontrollo passando
attraverso la ricezione di modelli positivi. Uno dei percorsi
possibili è la mediazione scolastica, un processo capace di
indicare ai ragazzi, ai bambini, ai docenti ai genitori… un
5 Bonafe-Schmitt J.P “La mediation scolaire: une tecnique de la gestion de la
violence ou un processus educatif?” Les cahiers de la mediation, Buotiques des
droits de Lyon, Lyon 1996
29
modo diverso di affrontare i conflitti, una strada alternativa
alla veemenza, all’ irruenza, alla violenza … nei rapporti
interpersonali”6
Si può considerare per mediazione scolastica una serie d’
iniziative svolte in istituti scolastici con lo l’obiettivo
avvicinare
di
gli allievi, i genitori e i docenti rispetto ad un
processo nuovo alla gestione dei conflitti”
La mediazione è una chiave di vita che aiuta a costruire uno
spazio sicuro in cui imparare a gestire i conflitti tra pari con
l’aiuto di una terza persona neutrale - il mediatore
scolastico – capace di guidare le parti alla composizione
dei loro conflitti attraverso forme morbide di consenso e
non più attraverso atteggiamenti impulsivi di dissenso.
Istruendo e responsabilizzando all’interno dei gruppi dei
pari alunni capaci di vestire i panni dei mediatori scolastici,
avremmo non solo alunni che aiutano gli alunni a superare
i rispettivi contrasti ma anche facilitatori di nuove relazioni
e forme di solidarietà all’interno di ogni scuola .
Per A. Baldry “La mediazione scolastica è un processo
volontario dove una terza persona neutrale aiuta le parti in
conflitto a trovare forme alternative per risolvere o
comunque affrontare il problema che le vede coinvolte.
Con la mediazione, le parti in conflitto hanno la possibilità
di parlare di sé, dei loro bisogni, desideri e paure che li
hanno portati a litigare. Il mediatore aiuta le parti a trovare
una soluzione che le veda entrambe soddisfatte; non
decide per loro, non si schiera da una parte o dall’altra, non
dice chi ha torto o chi ha ragione, bensì ascolta in maniera
attiva ciò che le parti esprimono, domanda quali sono i loro
6 D’Alò – Mastro – Persano op.cit
30
interessi sollecitandole a individuare possibili alternative per
affrontare il conflitto che si è creato”7.
La mediazione scolastica si innesta su un duplice e
interconnesso sistema di significati. Da una parte fornire
strumenti e supporto per rispondere a problemi immediati
con i quali si confrontano gli istituti scolastici, come la
violenza, il bullismo, i conflitti tra studenti, insegnanti e
famiglie; dall’altra favorire un cammino educativo attraverso
la diffusione di una nuova cultura della regolazione dei
conflitti, che favorisca la ri-scoperta della capacità di
comunicare, ascoltare, cooperare, gestire aggressività e
conflitti.
Per Bonafè-Schimtt la mediazione “rappresenta una
tecnica basata sull’apprendimento da parte degli allievi di
tecniche di comunicazione e di risoluzione dei conflitti al
fine di permettere loro di accrescere la loro responsabilità
per migliorare il clima scolastico, di aumentare la loro
cooperazione e quindi ridurre le tensioni e la violenza tra
compagni, rinsaldando la comunità scolastica”.8
Le finalità della mediazione scolastica sono quelle di fornire
degli strumenti agli allievi per poter in futuro gestire, in
maniera attiva e consapevole, i loro conflitti. Il suo compito
non è solo quello di occuparsi di situazioni o problemi
immediati, ma quello di creare spazi di confronto e
d’ascolto attivo tra insegnanti, genitori e alunni.
“Saper gestire i conflitti è una competenza che passa
attraverso un percorso di consapevolezza del sé proprio
emotivo e degli altri. Può essere insegnata e appresa ed è
7. Baldry A.C –. Ardone R “Mediare i conflitti a scuola . Presupposti teorici e
intervento psicosociale“ Roma Ed Carocci 2003
8 Bonafè-Schmitt J.P. in, La sfida della mediazione, Padova CEDAM 1997
31
importante che la scuola riconosca anche questo compito:
dare la possibilità di fornire ai ragazzi un luogo e delle
competenze tali per esprimere ed elaborare modalità
alternative per la gestione dei conflitti; acquisire a scuola
capacità per la gestione dei conflitti permette di crescere,
di confrontarsi, di stare meglio “9.
Il Progetto di mediazione favorisce l’autonomia dei ragazzi
la possibilità di proporre risposte a problemi che emergono,
sviluppa la capacità di attuare un cambiamento, tutto
questo significa dare loro un ”potere” e una “forza” di
cambiamento che alcune volte può essere destrutturate
per l’istituzione scuola che potrebbe percepire tale
modalità come una minaccia a un delicato equilibrio di ruoli
e funzioni. Infatti a differenza del modello disciplinare la
mediazione restituisce ai ragazzi anche la gestione del
carico emozionale che accompagna il conflitto, educando
ad una nuova attenzione al mondo delle emozioni,
allenando ad un ascolto empatico e alla creazione di un
clima di fiducia e cooperazione
Un percorso di mediazione non offre ricette pronte per
risolvere conflitti a scuola, come a volte i docenti
desidererebbero, ma presuppone di lavorare su un piano
preventivo per permettere, in un lungo periodo il far
nascere una disposizione a porsi in maniera nuova rispetto
al conflitto, non negandolo o considerandolo solo come un
fattore di disturbo, ma cercando di comporlo in maniera
costruttiva ritrovandone anche il carattere positivo.
Si promuove una visione del conflitto come una risorsa
trasformativa, laddove si attrezzino le risorse personali di
9 Masoni M. V. “La mediazione creativa – L’arte di risolvere i problemi tra
insegnante e alunno” Trento Erickson 2002
32
ognuno e il contesto sociale a fornire sostegno alle nostre
potenziali capacità di gestione e costruzione. La scuola
rappresenta un buon laboratorio di apprendimento di
tecniche alternative di gestione dei conflitti basate sul
consenso e sull’autoregolazione piuttosto che sulla
coercizione o l’imposizione dall’alto.
Il percorso mediativo non deve considerare solo gli
studenti ma si deve intendere come un progetto ad ampio
raggio che coinvolga anche i genitori, gli insegnanti e tutto
il personale scolastico (dove è possibile). Attraverso tale
percorso, adulti e ragazzi apprendono che i comportamenti
possibili per far fronte al conflitto non sono solo la risposta
violenta e la fuga ma che sono possibili veri momenti
d’incontro con l’altro basati sull’ascolto e sulla fiducia.
La mediazione scolastica oltre a consentire una gestione
pacifica e costruttiva dei conflitti, presenta altri vantaggi e
benefici:
‣ lo sviluppo di capacità di comunicazione, negoziazione
e cooperazione
‣ lo sviluppo di competenze emotive e capacità di ascolto
‣ l’aumento dell’autostima
‣ lo sviluppo di capacità d’autoregolazione e di riflessione
critica
‣ la ricostruzione dei legami
‣ la diffusione di una cultura della tolleranza e della
democrazia
‣ il miglioramento del clima scolastico
‣ il ricorso a tecniche di gestione del conflitto anche in
ambienti extrascolastici
33
34
La formazione nelle scuole del
Trapanese
La formazione presso la scuola
media G. Mazzini e l’Istituto
comprensivo M. Nucci di Marsala
Laura Gilli
Le fasi del progetto “Guichets antiviolence pour ls
mineurs” riguardanti la realizzazione degli sportelli
(guichets antiviolence), hanno previsto un parte di
formazione e di avvicinamento ai temi della gestione
del conflitto rivolta al mondo degli adulti delle scuole,
un’azione di
sensibilizzazione e in seguito di
formazione rivolta agli studenti ed infine una azione di
supervisione rispetto all’attività svolta nella scuole
coinvolte nel progetto.
Formazione insegnanti
La prima fase, che ha previsto il coinvolgimento degli
insegnanti è stata necessaria per prevedere la
condivisione sui presupposti teorici del modello di
sperimentazione al fine di creare una collaborazione tra
35
i saperi e le funzioni delle persone che in seguito
sarebbero state coinvolte e che potesse creare le basi
per la percorribilità e continuità del progetto.
Il percorso formativo è stato realizzato alcuni mesi
prima del
coinvolgimento dei ragazzi, al fine di
sensibilizzare i docenti e avvicinarli al tema del
conflitto, implicandoli in prima persona rispetto a ciò
che poi sarebbe stato in seguito proposto agli studenti.
L’obiettivo proposto è stato quello era di meglio
comprendere le diverse dinamiche
del conflitto e
migliorare la propria capacità di lettura delle situazioni
critiche al fine di collaborare con gli allievi per una
nuova gestione della conflittualità scolastica.
La mediazione scolastica si innesta su un duplice e
interconnesso sistema di significati. Da una parte
fornire strumenti e supporto per rispondere a problemi
immediati con i quali si confrontano gli istituti
scolastici, come la violenza, il bullismo, i conflitti tra
studenti, insegnanti e famiglie; dall’altra favorire un
cammino educativo attraverso la diffusione di una
nuova cultura della regolazione dei conflitti, che
favorisca la ri-scoperta della capacità di comunicare,
ascoltare, cooperare, gestire aggressività e conflitti.
Per tale motivo si è reso fondamentale un percorso
formativo con gli insegnanti che in seguito avrebbero
avuto la responsabilità di presidiare e accompagnare il
progetto rivolto ai ragazzi.
L’iter formativo ha previsto quattro giornate di lavoro
con due formatori dell’Università della Strada per un
totale di circa 12 ore.
Il lavoro è stato realizzato alternando lezioni teoriche a
piccoli gruppi di lavoro al fine di rendere i partecipanti
attori del percorso, favorendo la discussione sul tema,
36
offrendo un’opportunità di confronto e di scambio
reciproco.
Gli obiettivi dell’attività formativa sono stati:
‣ aumentare le competenze individuali nella lettura di
situazioni critiche e di conflitto,
‣ accrescere le competenze emotive e le capacità di
ascolto,
‣ apprendere modalità concrete e costruttive per
gestire i conflitti della quotidianità in maniera più
appropriata, in modo da moltiplicare la possibilità di
intraprendere le strade del mutamento e della
crescita – sia relazionale che individuale – piuttosto
che quelle della
contrapposizione e della
rottura,
‣ fornire strumenti di analisi e riconoscimento di
situazioni a rischio di prevaricazione e
vittimizzazione, al fine di ipotizzare strategie e
interventi utili al miglioramento della qualità di vita in
ambiente scolastico.
‣ accompagnare e favorire le risorse riparative degli
attori della scuola al fine di implementare strategie
rispetto alla gestione delle regole, delle sanzioni e di
modalità alter native di
risoluzione delle
controversie.
In ultimo è stato dedicato spazio alla costruzione e
coordinamento dello sportello di mediazione tra pari
poiché non è pensabile delegare l’intera gestione ai
ragazzi. Al contrario, è importante per questi ultimi
avere una o più persone adulte competenti a cui fare
riferimento.
Inoltre per la buona riuscita del progetto è importante
che le persone adulte coinvolte nella formazione
possano farsi portavoce di una nuova modalità di
37
gestione dei conflitti all’interno del proprio istituto,
sensibilizzando e avvicinando a tali tematiche il
personale, docente e non, che non ha avuto modo di
partecipare alla formazione iniziale.
Se all’inizio del lavoro alcuni insegnanti ha esplicitato le
loro perplessità rispetto al progetto e soprattutto
rispetto alle capacità competenze
che i ragazzi
avrebbero dovuto mettere in pratica per realizzare il
fine del piano di lavoro, è stato interessante alla fine
dell’intero percorso verificare come fosse avvenuto un
cambiamento di pensiero rispetto alle possibilità di
operare da parte dei ragazzi e anche alla risposta della
scuola riguardo all’attività di sportello.
Formazione studenti
l percorso rivolto agli studenti è stato realizzato in due
azioni: una prima di sensibilizzazione e una di
formazione mirata per i “giovani mediatori”.
Sensibilizzazione.
Una volta terminata la formazione con i docenti delle
scuole coinvolte, si è dato inizio all’attività di
sensibilizzazione nelle varie scuole implicate nel
progetto, prendendo come riferimento tutte le classi
seconde per la scuola secondaria di 1 grado, le classi
4 per la scuola primaria e le classi terze per la scuola
secondaria di 2 grado.
38
Tale momento ha avuto come scopo quello di
avvicinare i ragazzi al tema della gestione e mediazione
dei conflitti e alla presentazione di un percorso di
formazione per diventare “giovani mediatori” al fine di
realizzare all’interno del proprio istituto uno sportello di
mediazione gestito dagli stessi studenti. Al termine di
tale presentazione gli allievi hanno avuto la possibilità
di candidarsi per far parte del gruppo di formazione.
Dopo aver visto alcuni spezzoni video che hanno
stimolato la discussione sui temi del conflitto e la sua
gestione, i ragazzi si sono alternati nella
drammatizzazione, portando i propri vissuti rispetto alle
situazioni proposte e le pratiche normalmente utilizzate
per cercare di gestire il litigio.
Con il contributo dei formatori si sono analizzate le
situazioni, suggerendo le modalità di gestione dei
conflitti tra pari, anticipando alcune caratteristiche di
tale pratica.
Lo scopo è stato quello di stimolare la discussione
rispetto a quali interventi si possono mettere in pratica
per cercare di gestire una situazione conflittuale e quali
stati d’animo possono provare le parti coinvolte.
L’intento di tale momento, oltre che raccogliere le
iscrizioni dei possibili volontari per il percorso di
formazione, è stato quello di poter avvicinare un gran
numero di ragazzi alle teorie della mediazione tra pari
in ambito educativo e di permettere una riflessione
sulle pratiche quotidianamente messe in atto per la
gestione dei conflitti, riconoscendo anche gli aspetti
positivi e trasformativi di tale esperienza.
39
Formazione “giovani mediatori”:
Il percorso di formazione dei bambini e ragazzi, si è
realizzato in un ciclo di 8 incontri di circa 2 ore
ciascuno (sia per i bambini della scuola primaria, sia
per i due gruppi distinti delle scuole secondarie di 1°
grado della scuola Nuccio e Mazzini). Gli incontri sono
stati programmati a cadenza quindicinale nel periodo
tra gennaio e marzo 2012.
Per quanto riguarda l’Ist. Comp. Nuccio gli incontri si
sono svolti in orario scolastico (in mattinata) all’interno
dell’aula magna, diversamente, nella scuola media
Mazzini, le attività si sono svolte in orario extrascolastico (nel pomeriggio) in un’aula-laboratorio.
(Questa è stata la nostra esperienza a Marsala ma
anche nelle altre scuole coinvolte generalmente si è
lavorato in orario scolastico)
In seguito alla sensibilizzazione generale si dato avvio
alla formazione dei giovani mediatori. I ragazzi che si
sono candidati per tale percorso hanno espresso le
loro motivazioni ed emerso come fosse importante per
loro trovare altre modalità di gestione del conflitto e
come questo ultimo fosse spesso vissuto in modo
pesante e negativo.
Il modello di mediazione proposto nel progetto è quello
“tra pari”, un modello in cui sono coinvolti direttamente
i ragazzi come mediatori ed ha come campo d’azione i
conflitti tra coetanei e non quelli in cui è coinvolta una
persona adulta (insegnante o genitore). Le situazioni
che generalmente si affrontano con la mediazione tra
pari sono quelle riguardanti il bullismo, le liti, le
incomprensioni e gli scontri in genere. Si è pensato di
utilizzare tale modello poiché l’esperienza di progetti
analoghi, sia sul territorio siciliano che in altre città
40
italiane e straniere, ha evidenziato come la richiesta
d’aiuto per i giovani che vivono un conflitto è più
frequentemente rivolta ai coetanei piuttosto che agli
adulti. Ciò per i seguenti motivi:
‣ I coetanei condividono lo stesso ambiente e sono
quindi più facilmente reperibili
‣ La comunicazione è più facile, si utilizza lo stesso
linguaggio.
‣ Non ci sono posizioni di potere, i coetanei sono
quindi più facilmente accettati dalle parti ed hanno
meno potere sanzionatorio degli adulti
‣ I pari capiscono più facilmente l’importanza che il
conflitto riveste nella vita dei compagni.
La mediazione tra pari si rivela uno strumento efficace
per la gestione dei conflitti, responsabilizzare all’interno
della scuola un gruppo di mediatori pari aumenta
l’autonomia degli allievi e spesso le competenze
acquisite sono applicate in altri contesti quali la
famiglia e il quartiere.
E’ importante che chi si propone come mediatore lo
sia del tutto volontariamente, per tale motivo è stata
prevista una sensibilizzazione sui temi della gestione
dei conflitti tra compagni, rivolta a tutti gli allievi delle
quarte elementari della scuola primaria Nuccio e agli
allievi delle seconde medie della scuola secondaria di
primo grado Nuccio e Mazzini. In seguito si è data la
possibilità di iscriversi e seguire un corso di formazione
ad hoc per diventare “giovani mediatori”.
41
I temi affrontati durante i vari incontri sono stati:
“Conoscenza partecipanti e presentazione
laboratorio”
“Io, noi, il conflitto e la rabbia …”
“Punti di vista e buona soluzione”
“Comunicazione, ascolto e emozioni”
“La cooperazione”
“Il ruolo del mediatore”
“Tecniche di mediazione”
“La mediazione e lo sportello a scuola”
Si è trattato quindi di un lavoro con un gruppo “misto”,
poiché formato da persone non appartenente allo
stessa classe, ma bensì a classi diverse, ciò ha
permesso di uscire dalle classiche dinamiche della
classe e di riuscire a creare un’aula formativa che
comunque potesse essere per i partecipanti un nuovo
contesto culturale di apprendimento dove, attraverso
un linguaggio condiviso, fosse possibile valorizzare le
proprie esperienze e competenze. Un luogo in grado di
far emergere le differenze, che attraverso tale
formazione, diventassero ricchezza comune e valore
aggiunto dell’apprendimento stesso.
Attraverso le tappe proposte nel percorso formativo si
è lavorato sulle competenze necessarie per poter
operare come mediatore al fine di costruire all’interno
del proprio istituto scolastico uno sportello di
mediazione gestito da pari.
I ragazzi coinvolti nel progetto hanno espresso
interesse per i temi affrontati, hanno partecipato in
modo attivo hanno saputo prestare attenzione durante
gli incontri e dare ascolto alle parole degli operatori e
42
dei compagni, dimostrando sensibilità rispetto ai temi
proposti.
Gli incontri hanno consentito ai ragazzi di parlare delle
piccole arrabbiature che vivono tutti i giorni a casa e a
scuola e che spesso non riescono a trovare uno spazio
e un tempo in cui avere un’adeguata accoglienza.
Hanno mostrato un interesse vivo e partecipe non solo
verso i temi trattati, ma anche verso le modalità di
conduzione, apprezzando la possibilità di giocare
raccontandosi e contribuendo a creare un clima di
lavoro attento e sereno.
Tale lavoro ha permesso loro di confrontarsi con il resto
del gruppo e di provare a sperimentare nuove modalità
di gestione del conflitto.
Al temine del percorso formativo è stato dato l’avvio al
momento di costruzione dello “Sportello di
mediazione”. E’ stata l’occasione per i ragazzi di
mettersi alla prova rispetto a tutto il percorso fatto e di
potersi sperimentare con i i compagni.
L’entusiasmo che li ha accompagnati ha reso possibile
un ulteriore fase di sensibilizzazione all’interno del
proprio istituto per rendere noto l’attività dello
sportello, il fine del lavoro del mediatore e rassicurare
sul riservatezza delle persone implicate in questa
attività.
La costruzione fisica dello sportello, in un aula
destinata, attraverso cartelloni e altro ha coinvolto
anche le docenti di riferimento del progetto, che da
parte loro hanno provveduto a informare l’intero corpo
docente sull’attività dei ragazzi.
43
C – Supervisione degli sportelli nelle scuole
Al termine dei percorsi di formazione e con la
realizzazione degli sportelli nei vari istituti scolastici, si
sono incontrati gli insegnati di riferimento del Progetto
per monitorare l’andamento dell’attività di mediazione
tra i ragazzi.
Per i ragazzi è stato importante ritornare su alcune
modalità, poter esprimere le proprie perplessità, ma
anche poter riferire l’andamento dell’attività e la
ricaduta sulla scuola del progetto.
E’ stato un momento in cui gli adulti hanno avuto la
possibilità di chiarire i propri dubbi sulle modalità di
gestione dello sportello, di esprimere le loro incertezze
e confrontarsi con altri.
Si è rilevato quanto possa essere importante per i
ragazzi avere un riferimento adulto che li possa aiutare
a coordinare l’attività di gestione dello sportello,
diffondendo all’interno della propria scuola l’attività di
mediazione, attraverso momenti di sensibilizzazione
con altri studenti, insegnanti e operatori scolastici e
sostenendoli nelle proprie capacità.
44
La formazione presso il II Circolo
di Castelvetrano, la Scuola Media
G. Grassa di Ma zara del Vallo e
l’Istituto Nautico M. Torre di Trapani
Giuseppina Sutera, Giovanna Triolo
Nell’ambito del progetto “Guichets antiviolences pour
les mineurs”, si è tenuto un corso di formazione
finalizzato alla creazione di un’equipe, all’interno della
scuola, di giovani mediatori che supportati dai loro
insegnanti, sappiano gestire uno sportello di
mediazione scolastica. Alla fine del percorso lo
sportello è stato attivato in tutte le scuole che sono
state individuate e coinvolte attivamente nel progetto.
Il corso ha avuto una durata di 16 ore e ha coinvolto 26
alunni delle classi IV elementare del II circolo di
Castelvetrano (sedi di Piazza Dante e Ruggero
Settimo), 23 alunni delle seconde medie nella scuola G.
Grassa (sede centrale e succursale) e 13 alunni delle IV
classi per l’istituto tecnico Nautico M. Torre di Trapani.
Il corso ha previsto 2 tappe principali:
‣ incontro di sensibilizzazione
‣ formazione rivolta agli alunni che sono stati
individuati.
La sensibilizzazione ha permesso la conoscenza del
tema gestione dei conflitti, è stato necessario infatti
diffondere i principi fondamentali della mediazione,
puntualizzando sul fatto che lo scontro, le liti e il
conflitto sono componenti comunque presenti nella
vita di tutti i giorni ma che, se opportunamente
45
affrontati, possono rappresentare stimoli importanti per
il cambiamento e la crescita dell’intera comunità.
I ragazzi, attraverso la visione di filmati prima e la
simulazione di un conflitto dopo, hanno avuto un ruolo
dinamico nelle giornate di sensibilizzazione, in
particolar modo i filmati sono diventati spunto per
l’apertura di discussione, mentre i role play sono serviti
per comprendere fino in fondo gli stati d’animo che
vivono le parti in conflitto. Lo scopo principale delle
giornate di sensibilizzazione è stato quello di fare
comprendere che la mediazione favorisce un
approccio non giudicante rispetto alle persone, e
promuove un metodo basato sulla comunicazione, la
consapevolezza e la comprensione delle differenze.
Inoltre si è cercato di fare comprendere che con la
mediazione le persone non rinunciano alle loro
convinzioni o valori, ma utilizzano soluzioni creative.
Alla fine della giornata di sensibilizzazione i ragazzi si
son liberamente candidati e successivamente sono
stati sorteggiati per partecipare al corso di formazione.
Durante le ore formative sono stati affrontati questi
argomenti:
‣ Conoscenza partecipanti e presentazione
‣ il conflitto e la rabbia
‣ Punti di vista
‣ L’ascolto
‣ La cooperazione
‣ Il ruolo del mediatore e le tecniche di mediazione
‣ La mediazione e lo sportello a scuola
Durante il corso i ragazzi sono stati forniti di strumenti
pratici con la quale gestire i conflitti, aiutarli a
comprendere meglio se stessi e renderli capaci di un
ascolto autentico verso gli altri. Hanno imparato che i
conflitti non possono essere effettivamente risolti a
meno che i partecipanti stessi non scelgano di farlo.
46
La formazione in Irlanda
Geraldine Richardson, Michael Conlon
SICCDA è un’associazione formata dai cittadini che
abitano nel quartiere delle Liberties di Dublino, un
gruppo di volontari che lavora per risolvere i problemi
sociali, educativi, sanitari, economici e ambientali che
la comunità si trova a dover affrontare.
La mission dell’associazione è di creare una comunità
tra i cittadini delle Liberties, nella quale tutti, ma
soprattutto i più svantaggiati, si sentano invece ben
accetti e valorizzati.
Nel corso degli ultimi due anni sono stati avviati
programmi di mediazione in tutta la comunità, per
aiutare i residenti a gestire i conflitti locali. Allo scopo di
favorire un approccio comunitario, è stato avviato un
programma di mediazione scolastica (peer mediation e
restorative practice) nelle scuola primarie del quartiere,
in particolare nella St. James, Frances Street, e
Warrenmount. ma si conta di coprire altre scuole nei
prossimi anni. Si ritiene che trovare una soluzione
condivisa ai conflitti locali ha reso la comunità più
pacifica, riflessiva e positiva. Le scuole coinvolte si
trovano in un’area urbana estremamente svantaggiata,
con problemi sociali ed economici enormi. Si tratta di
scuole particolarmente esposte a problemi della sfera
comportamentale, in particolare si registra molta
aggressività da parte dei ragazzi, e dunque si è sempre
pronti ad abbracciare qualsiasi nuovo metodo che aiuti
a gestire questo aspetto, e questo è particolarmente
adatto per scuole come queste.
47
Peer mediation
L’impatto è stato estremamente positivo per le scuole,
sia per il personale in genere che per i ragazzi. Durante
la formazione sono stati coinvolti tutti i membri della
comunità perché partecipassero: dagli psicologi che
lavorano nella scuola agli insegnanti del club
extrascolastico, tutti i membri della comunità hanno
seguito la formazione. E dunque si tratta di un
approccio positivo alla gestione dei comportamenti
condiviso da ogni segmento della scuola. C’è sempre
stato un approccio positivo ai comportamenti, e
all’avvio della pratica ci si è concentrati maggiormente
sull’uso di affermazioni costruttive, che già erano state
apprese durante una formazione precedente, con altri
programmi, e già usate. Così, sono state utilizzate
quelle competenze per consolidare il lavoro che già si
stava portando avanti. Però, lo strumento migliore
derivato da questa pratica sono le domande, utilissime
per l’insegnante che si trova ad affrontare ogni giorno
lo stesso, identico problema, con i ragazzi che litigano
in cortile. Così invece di dire frasi del tipo “lo stai
facendo di nuovo, perché lo stai facendo di nuovo?”, si
può far ricorso a questo pacchetto di domande, cosa
che elimina la confusione. I ragazzi che arrivano e si
trovano ad affrontare una situazione di aggressività,
hanno familiarità con le domande, sanno dunque cosa
gli verrà chiesto dopo, e sanno che avranno la
possibilità di raccontare la loro versione dell’accaduto.
E questo elimina l’aggressività. Le conseguenze che ha
generato nel cortile e nelle classi tra gli alunni sono
straordinarie.
48
Domande utilizzate durante la peer mediation
-Cos’è successo?
-Cosa pensavi in quel momento?
-Cos’hai pensato dopo?
-Che conseguenze hai avuto da quello che hai fatto?
-E che conseguenze hanno avuto gli altri?
Il training ricevuto con i metodi precedenti non
prevedeva l’accettazione del comportamento
dell’alunno, non erano loro a decidere. Con questo
metodo invece, hanno la possibilità di comprendere
quali conseguenze il loro comportamento ha avuto
sugli altri e su se stessi. Questo sistema è preferibile
rispetto a quello che si utilizzava prima. I ragazzi ora
sanno che saranno ascoltati, che verrà il loro turno di
parlare; e dunque se accade un incidente sono
piuttosto calmi mentre spiegano l’accaduto. Quando
vengono utilizzate le domande, sanno che si vogliono
anche ascoltare le loro versioni; si prenderanno la
responsabilità di quello che hanno fatto, ma si lavora
nella scuola con un atteggiamento positivo, più di
prima, grazie a questo.
Restorative practice (pratica del cerchio)
Altri strumenti utili sono gli incontri formali, durante i
quali è a disposizione un facilitatore se ci sono casi
particolari di alunni che mostrano comportamenti
molto distruttivi in classe. Il facilitatore è di solito un
membro dello staff che non si occupa però
direttamente di quegli alunni e di quella classe in
particolare, e si invitano anche i genitori. Si pongono le
49
stesse domande, nello stesso ordine, e l’alunno ha la
possibilità di ascoltare le conseguenze che il suo
comportamento ha sugli altri. Ed è molto efficace
ascoltare qualcuno che dice quali sono gli effetti diretti
del tuo comportamento, e
questo ha generato
cambiamenti del tutto positivi.
Il feedback è dunque positivo, anche perché il metodo
è molto facile da applicare; non sono necessarie
attrezzature, oggetti, o altre risorse, servono solo le
carte con le domande, dunque estremamente
semplice.
Si usa di solito al mattino, quando entrano, chiedendo
all’alunno come sta da uno a dieci, e se un alunno
risponde ‘uno o due’, questo è un campanello
d’allarme che fa capire che l’alunno quel giorno ha
qualcosa che non va. Un approccio molto semplice
davvero che non richiede nemmeno un minuto di
tempo, ma che da’ all’insegnante il senso del clima
generale che troverà quel giorno in classe e che c’è
qualcosa di cui dovrà occuparsi. Gli insegnanti sono
molto contenti, apprezzano molto le domande. Per
quanto riguarda il cerchio, anche quello veniva già
usato, ma solo per chiedere cose del tipo “preferisci
questo o quello”, ma non per risolvere i conflitti.
Il punto centrale è che i ragazzi ora sono sempre
consapevoli del fatto che il loro comportamento ha
degli effetti sugli altri, che non vivono in una bolla, che
gli altri risentono dei loro comportamenti.
50
Lo strumento degli atelier
Rosanna Frosina
Laboratorio, Didattica tradizionale, Atelier.
Che cosa hanno in comune e in che cosa differiscono
queste tre esperienze?
Sicuramente al laboratorio si associa l’esperienza mentre
alla didattica di tipo tradizionale si associa la trasmissione
del sapere. Quindi volendo usare una espressione
matematica ,possiamo dire che "il fare sta al laboratorio
come il dire sta alla didattica tradizionale". In questo
momento storico si avverte la necessità di un approccio
esperenziale in quanto i bambini di oggi, rispetto a quelli
del passato, vivono più lontani dalla natura, dai suoi
processi e dall’esperienza diretta dei suoi cicli. E’
necessario quindi costruire, mediante un approccio
mediazionale, occasioni di crescita a livello di contenuti,
soprattutto di quelli di cui hanno poca memoria storica
(esperienza laboratoriale).
Ma è altresi’ importante costruire uno spazio dove
materializzare l’astratto, dove fare esperienza di
trascendenza, dove si incontrino il contenuto e il suo
fruitore, l’esperienza e la trascendenza…
Esiste dunque uno spazio dove ciò si possa realizzare?
E ,se esiste, questo spazio è necessariamente fisico?
Gli Atelier possono rappresentare la risposta a queste
domande, quel momento in cui "la buona pratica" funga
da ponte in un percorso circolare tra esperienza ,
51
contenuto e individuo. L’Atelier ,cosi’, diventa un
momento,una forma mentis, una volontà da sperimentare
ogni qualvolta si voglia intraprendere un viaggio la cui la
meta è lontana dal "hic et nunc".
E’ quello che è successo nelle scuole di Marsala, di
Trapani, di Castelvetrano….che hanno aderito al
progetto,ma è quello che può accadere quotidianamente
in tutti quegli spazi in cui si voglia trasformare
l’esperienza in occasione per ex-ducere .
Nel nostro caso specifico, gli atelier hanno coinvolto
famiglie, studenti, personale scolastico, operatori delle
forze dell’ordine e del settore sociale trattando temi
strategici per la prevenzione e la gestione dei conflitti.
Tipologie di atelier:
‣ divulgativi, finalizzati a sensibilizzare la comunità sui
temi trattati
‣ operativi, sulla gestione della rabbia e dei conflitti a
scuola, in grado di fornire strumenti immediati per “detensionare” situazioni di emergenza.
‣ strategici, per favorire lo sviluppo di atteggiamenti pro
sociali attraverso la ricerca di un nesso trasversale con
la programmazione didattica
‣ “percettivi”, per far emergere il sentire dei ragazzi, e
poterne dare voce, sulle problematiche inerenti al
pericolo e all’insicurezza sociale
‣ istituzionali, finalizzati alla sottoscrizione di protocolli
d’intesa per una governance della mediazione
‣ sui nuovi processi comunicativi, finalizzati ad
approfondire le nuove forme di socialità in rete.
‣ sperimentali, volti a conoscere la mediazione
attraverso i giochi di ruolo negli ambienti virtuali 3D
52
Atelier O.N.S.A
Come può la Scuola trovare lo spazio ed il tempo,senza
in alcun modo violare il suo ruolo di servizio pubblico,per
educare i suoi ragazzi a diventare interpreti di buone
pratiche educative e addestrarli quotidianamente al
rispetto dell’alterità?
In che modo la Scuola può fungere da palestra per un
allenamento costante e sistematico allo star bene?
E’, in altre parole, possibile "andare a Scuola di non
violenza" mentre si studia l’Italiano o la Matematica?
Come si possono mettere in pratica i cosiddetti O.N.S.A.
con le risorse di cui dispone la Scuola oggi?
Di esempi se ne potrebbero fare tantissimi ,mi limiterò ad
allegarne alcuni che possono essere rappresentativi sia
per la scuola primaria sia per la scuola secondaria di
primo grado.
Premetto che di seguito verrà dimostrato come,partendo
da un qualunque strumento didattico, si possa arrivare a
dirottare il fine didattico curricolare a quello educativo con
un investimento in un futuro magari non prossimo ,ma
sicuramente più responsabile.
Seguono una serie di unità didattiche come esempi su cui
applicare gli Obiettivi Non Specifici di Apprendimento..
53
CLASSE IV SCUOLA PRIMARIA: allegato n1
SCHEDA TECNICA ALLEGATO 1
O.S.A.: leggere e comprendere testi appartenenti ai vari
generi testuali.
O.N.S.A.: invitare gli alunni ad una riflessione guidata sul
valore dell'insulto e delle parole e sul pericolo della
stigmatizzazione dei ruoli che può provocare l'annullamento
della personalità dei confliggenti.
54
SCUOLA PRIMARIA:(classe IV): allegato n2"
NOMI CONCRETI E NOMI ASTRATTI
(Scheda pag 7, GUIDA DIDATTICA PER LA SCUOLA PRIMARIA.
AA.VV., FABBRI EDITORE)
O.S.A.: distinguere i nomi concreti dai nomi astratti
O.N.S.A.: riflettere sul significato di parole come
"paura","rabbia", "dispiacere","esclusione"...,
ed associare, usando altre parole astratte, parole che
indicano un BISOGNO come
"comprensione","partecipazione,giustizia......
55
SCUOLA MEDIA:(classe I) allegato n3
"STOP AL BULLISMO"
(scheda pag161,GRAMMATICA ITALIANA I N SCHEDE,
A.MORETTI, ALICE EDITORI)
SCHEDA TECNICA ALLEGATO 3
O.S.A.:saper distinguere il complemento di termine e di
specificazione
O.N. S.A: condurre i ragazzi alla comprensione del valore
del dialogo in caso di episodi di bullismo
56
CLASSE PRIMA vignetta (ALLEGATO 4)
57
SCHEDA TECNICA ALLEGATO 4
O.S.A.:
‣ Sa mettere in cronologico fatti e fenomeni
‣ Sa porre in relazione i fatti
‣ Sa cogliere il nesso fra causa ed effetto
O.N.S.A.:
‣ creare nel bambino la tendenza a governare /
pianificare il proprio comportamento, ragionare
sull’esito
‣ formulare ipotesi (se reagisco cosi’ cosa accadrà?)
‣ favorire il processo decisionale per stabilire qual è la
soluzione migliore
SCUOLA PRIMARIA CLASSE TERZA
SCIENZE: Gli animali si difendono:
Abitudini e comportamenti diversi degli animali per
difendersi dai loro nemici:
‣ fuga
‣ mimetismo
‣ attacco
‣ etc
SCHEDA TECNICA
O.S.A.:
Individuare il rapporto esistente tra organismi viventi e il
loro ambiente naturale
O.N.S.A.
58
Guidare il bambino alla riflessione sul corretto modo di
agire in caso di attacco esterno
CONCLUSIONI
Continuare con gli esempi sarebbe divertente e
stimolante, ma diventerebbe un mero elenco di di
momenti strutturati che possono magicamente
trasformarsi in occasioni di riflessione…
Allora ,mi piacerebbe concludere questo breve
viaggio
con un invito che rivolgo ai miei colleghi, di ogni ordine e
grado, affinchè raccolgano la sfida quotidiana di trovare
un pretesto (all’interno della propria lezione) per
"trascendere" ,oltrepassando quel limite impostoci dalla
consuetudine.,sublimando la conoscenza……. d’altronde,
come ci insegna Seneca,<< …le migliori idee sono
proprietà comune…>>.
59
60
“Non di solo rabbia …” atelier
strategico sul riconoscimento
delle emozioni
Laura Gilli
Attraverso questo laboratorio si vuole mettere in evidenza
come le emozioni non siano innate negli individui ma
come si
possano apprendere nel corso della vita cosi
come si impara a parlare, poiché di innato c’è solo la
possibilità di emozionarsi. Imparare a provare emozioni
condivise, così come imparare ad usare un linguaggio
comune, è di fondamentale importanza per lo sviluppo
delle capacità e delle libertà individuali.
Il lavoro è stato rivolto in modo particolare al mondo
scolastico poiché compito della scuola non è solo quello
di offrire agli studenti attività didattiche ma ormai da
tempo l’obiettivo è quello di sviluppare un complessivo
ben-essere dello studente (Ed alla salute, alla pace,
all’intercultura, alla legalità,alla sicurezza, all’ecologia…
cioè Educazione alla convivenza civile). La scuola quindi
diventa il terreno sul quale lo studente dovrebbe imparare
a trasformare, grazie ad attività disciplinari ed
interdisciplinari, le conoscenze e le abilità relative a
diversi ambiti educativi in competenze relazionali.
Si è posta l’attenzione sul significato generale delle
emozioni
e sulla loro importanza per lo sviluppo
armonico della personalità.
61
Essendo l’atelier inserito nell’ambito del progetto
“Guichet antiviolence pour les mineurs”, si è fatto
riferimento al percorso proposto ai ragazzi delle scuole
interessate e all’importanza data in tale percorso agli stati
emotivi che emergono in una situazione di tensione o di
conflitto
Gli obiettivi che un lavoro sul riconoscimento emotivo si
propone sono:
‣ Facilitare la conoscenza delle proprie emozioni
‣ Costruire un vocabolario per i sentimenti
‣ Imparare a controllare le proprie emozioni negative
‣ Perfezionare la propria capacità di empatia,
comprendendo i sentimenti e le preoccupazioni degli
altri, cercando di capire il loro punto di vista
‣ Comunicare meglio ascoltando e facendo domande.
‣ Imparare ad accettarsi, riconoscendo i propri punti
deboli e di forza.
‣ Acquisire maggiori competenze nel campo della
gestione dei conflitti.
Attraverso alcune attivazioni, in cui si sono direttamente
coinvolti i partecipanti dell’atelier,si è lavorato
s u l l ’ i m p o r t a n z a d i n o m i n a re l e e m o z i o n i , s u l
riconoscimento emotivo e il rimando empatico. Per ogni
attività sono precisati gli obiettivi, la durata, i materiali
occorrenti e lo svolgimento, particolare interesse hanno
suscitato le osservazioni, le indicazioni e i suggerimenti
delle persone che hanno avuto la possibilità di
sperimentate le esercitazioni proposte.
L’atelier ha avuto come scopo quello di far emergere
come un investimento sul lavoro sulle emozioni possa
62
essere uno strumento e un aiuto per poter rendere più
facile l’educazione affettiva ed emotiva nell’ambito
educativo
con la convinzione che per riuscire nel
processo di apprendimento sia necessario sviluppare
un’adeguata consapevolezza della propria affettività .
E’ altresì importante l’assunzione di un’impostazione
pedagogica che consideri l’intera complessità del
“ragazzo” e non soltanto un esame oggettivo delle sue
prestazioni .
63
64
Atelier “Laboratorio
per ragazzi sulle tecniche
di mediazione” 25 Gennaio 2013
Sutera Giuseppina, Giovanna Triolo
In occasione del convegno "Scuola: dall'aggressività
alla gestione costruttiva dei conflitti - Valutazione
delle attività svolte e prospettive future" tenutosi il 25
Gennaio 2013 presso Palazzo Riccio di Morana,
si è
svolto l'atelier “Laboratorio per ragazzi sule tecniche di
mediazione”., a cui hanno partecipato i ragazzi della
scuola elementare del II circolo di Castelvetrano e i
ragazzi dell'istituto Nautico di Trapani che per la prima
volta hanno avuto l’occasione di mettere a confronto
l'esperienza della mediazione e permettere così uno
scambio.
Dopo una fase iniziale in cui i ragazzi disposti a cerchio si
sono presentati
e superato lo stupore iniziale causato
dalla differenza di età, hanno cominciato a rispondere a
tutte le domande che venivano loro poste dai facilitatori,
analizzando i punti di forza e debolezza che in questi mesi
hanno riscontrato.
In particolare ai ragazzi è stato chiesto:
‣ Un breve racconto della loro esperienza
‣ come hanno organizzato lo sportello e come avviene la
mediazione all’interno dell’Istituto di appartenenza
‣ Le loro impressioni e i dubbi da chiarire
65
I ragazzi in maniera libera hanno risposto a tutte le
domande, esprimendo pareri positivi e negativi e facendo
emergere riflessioni costruttive e
non prive, in alcuni
casi ,di criticità su alcuni argomenti. In particolare tra i
ragazzi del Nautico è emerso che la difficoltà principale
per la diffusione dello sportello nasceva dallo scetticismo
iniziale dei ragazzi più grandi in quanto veniva presentato
loro, un modo diverso di affrontare il conflitto, una
modalità alternativa che mira all’utilizzo di un linguaggio
nuovo ma che offre strumenti pratici e più efficaci per
gestire le situazioni conflittuali.
Per i ragazzi della scuola elementare il problema
principale era legato invece ad aspetti pratici e
organizzativi (es. aula a disposizione molto piccola e di
passaggio)
In un secondo momento si è passati a considerare gli
aspetti positivi che da questo percorso sono emersi e si è
arrivati alla conclusione che la mediazione permette di
creare a scuola un ambiente più rilassato e produttivo
dove si è sviluppato un maggiore interesse e rispetto per
l’altro.
I mediatori, soprattutto nella scuola primaria , sono stati
da tutti i compagni di scuola
ben accolti in quanto
essendo loro “pari” hanno valori comuni a chi si rivolge a
loro, e sono meno esposti alle gerarchie scolastiche
e
quindi riconosciuti come più competenti. I ragazzi del II
circolo hanno raccontato che il numero dei bambini della
scuola che hanno richiesto l'intervento dei giovani
mediatori è molto alto e che
i ragazzi di tutto l’istituto
hanno imparato che la mediazione non è un obbligo, non
è un gioco né un modo per imporre la soluzione ad un
66
litigio, ma si sono sentiti ascoltati e hanno avuto lo spazio
necessario per ascoltare l’altro, superando in alcuni casi e
migliorando le loro capacità comunicative, e grazie a
questo molte controversie hanno trovato rapida
soluzione.
Dal confronto è emerso inoltre che il processo di
mediazione, non imponendo soluzioni, ma utilizzando
alfabettizazioni emotive, permette, nel rispetto delle
proprie differenze, di ricercare soluzioni creative che
vanno nella direzione dell’accettazione e del rispetto e
grazie alla quale si scopre che gli interessi e i valori propri
sono condivisibili e comuni a quelli degli altri.
67
68
La valutazione
delle esperienze
69
70
Il progetto «Guichets antiviolence
pour les mineurs »:
unascommessacomplessa
Giovanni Ghibaudi, JoelleTimmermans
Quando si è iniziato ad impostare il progetto “Guichet de
la violence” si era consapevoli di dare vita ad una
scommessa complessa, rispetto alla quale i rischi di non
raggiungimento degli obiettivi, individuati e condivisi tra i
partners italiani e irlandesi, erano molto alti. Rischi
evidenziati dal fatto che ci si trovava di fronte ad uno dei
pochi progetti di lotta alla violenza in ambito scolastico,
rivolti al mondo della scuola in provincia di Trapani.
L’idea di fondo, da cui ha preso vita questo progetto, è
offrire l’opportunità di discutere e confrontarsi sui vissuti
che le azioni violente (agite e/o subite) portano con sé e
costruire insieme agli studenti delle alternative praticabili
e realistiche per gestire le situazioni conflittuali che si
possono incontrare nella quotidianità delle relazioni fra
coetanei.
71
La sperimentazione in Italia e
in Irlanda
Il presente lavoro vorrebbe restituire quanto realizzato nel
corso delle varie fasi progettuali e gli elementi emersi
dalla ricerca e dall’attività formativa condotta presso
alcune scuole di primo e secondo grado in Trapani,
Marsala, Mazara del Vallo e Castelvetrano, per quanto
riguarda l’Italia, e nel quartiere delle Liberties di Dublino,
per quanto riguarda l’Irlanda. Esso ci permette di dire che
la scommessa è stata vinta, pur nella consapevolezza che
il futuro ci interpellerà e stimolerà a ricercare nuove vie di
risposta alla violenza agita/subita,soprattutto dai giovani
attori della scuola, ma non solo.
Di qui l’aspetto caratterizzante che ci pare possa
sintetizzarsi nell’individuazione di azioni mirate, sia per la
componente allievi utilizzandoil modello
dellapeereducation;modello in cui “sono coinvolti
direttamente i ragazzi come mediatori e ha come campo
d’azione i conflitti fra coetanei”, sia per la componente
docenti, che ha la responsabilità di presidiare,
accompagnare e facilitare il progetto rivolto agli studenti,
nei confronti dei quali è necessario investire in percorsi
formativi specificatamente “ad hoc”
Tali azioni, avviate contemporaneamente presso le sedi
dei singoli istituti coinvolti, potranno arricchirsi di ulteriori
strumenti formativo/operativi, in un continuum dinamico
che le deve caratterizzare.
72
Il tema dei conflitti fra i giovani
Il tema dei conflitti fra i giovani e delle forme di bullismo,
sono temi che non possono rimanere relegati tra le pareti
della scuola, quasi a minimizzarne la portata, ma vanno
affrontati all’interno di uno scenario di riferimento molto
più vasto: quello della violenza agita e subita attraverso
sia il coinvolgimento di più attori sociali (giovani, adulti),
sia di attori istituzionali (scuola, enti locali), nonché di
attori professionali (insegnanti, educatori, animatori).
La violenza, nei gesti, nelle parole, nel clima che si respira
nei contesti di aggregazione, ma anche per la strada e nei
luoghi di formazione dei giovani è una modalità di vivere
l’aggressività là dove le parole si sono perse e si realizza
una perdita del controllo della situazione e del senso
dell’altro. E’ una reazione che, in parte, si apprende dalla
propria esperienza individuale e/o di gruppo e può
diventare uno schema anche rigido di comportamento,
che rischia di compromettere la qualità della vita e delle
relazioni nel contesto classe.
La violenza costituisce una delle più potenti spinte alla
disgregazione nella vita degli individui.E’ ovunque intorno
a noi: attraversa i nostri territori, i luoghi della formazione
educativa ed i luoghi del tempo libero e nessuno può dirsi
davvero al riparo dai suoi effetti; possiamo sperimentarla
nelle nostre case, ma temiamo di incontrarla per strada e
nei luoghi di aggregazione.
Simultaneamente il tema della violenza si innesta sul tema
del conflitto che, pur facendo parte della vita quotidiana
di ciascuno di noi, spaventa perché, culturalmente,
73
prevale una percezione negativa del medesimo.
Percezione che si fonda su assiomi dicotomici (giusto/
ingiusto, vincente/perdente, diversità/differenza,
persecutore/vittima), che possono essere utili per una
semplificazione del problema, ma che lo rendono statico
come le immagini di una fotografia.
Statico perché il
conflitto viene relegato tra due confini predefiniti (lettura
dicotomica), su cui è focalizzata l’attenzione e lo sviluppo
di un dialogo tra sordi, non permettendo in tal modo alle
parti coinvolte di individuare processi risolutori differenti.
I conflitti rappresentano un aspetto dell’esistenza di ogni
persona, di ogni comunità e sistema sociale, attraversano
e contribuiscono a costruire le dinamiche relazionali e di
sviluppo individuale di chi li sperimenta, segnano anche in
maniera difficile la convivenza con i nostri simili.
Tuttavia, al conflitto, nelle sue manifestazioni più diverse,
può non essere data unicamente una connotazione
negativa: l’esperienza del conflitto cioè, pur portando con
sé un bagaglio di disagio e sofferenza, può risultare
potenzialmente costruttiva.
74
Fornire gli strumenti per gestire e
superare il conflitto
L’obiettivo cui tendere non è quello di tentare di
“deconflittualizzare” la vita di tutti i giorni, né di affrontare
il tema della violenza partendo da posizioni di condanna
morale o valoriali, bensì di fornire gli strumenti per gestire
il conflitto in maniera più appropriata, onde moltiplicare la
possibilità di intraprendere le strade del mutamento e
della crescita – sia relazionale che individuale - piuttosto
che quelle distruttive dello scontro nella logica del
vincente/perdente.
Un percorso di approfondimento sul tema della violenza e
dei conflitti può indicare come non esistano solo reazioni
d’aggressione, fuga o resa, vittoria e sconfitta, ma sia
possibile una via alternativa.
E’ possibile superarne gli aspetti negativi per giungere ad
esprimere i propri punti di vista e le proprie emozioni,
ascoltare le ragioni dell’altro, veder comprese le esigenze
di più parti, senza forme di sopruso o prevaricazione,
riconoscere l’altro e riconoscersi nell’altro, oltre che
essere riconosciuto dall’altro.
Obiettivo generale è favorire, all'interno di uno dei più
importanti ambiti di vita dei giovani (la scuola), un clima di
confronto che favorisca e aumenti la fiducia in sé dei
ragazzi, e siafinalizzato a gestire in maniera più positiva i
conflitti che essi sperimentano nella propria esperienza
scolastica, familiare e di relazione.
75
Gli “attori sociali” della comunità
locale: città,scuola, famiglia
Affrontare la questione del bullismo e del conflitto
significa anche interrogarsi su alcune situazioni rispetto
alle quali,talvolta, ci sentiamo totalmente estranei, e
realizzare che, invece, riguardano tutti, in misura più o
meno diretta. Infatti, oltre a interessare direttamente le
persone coinvolte, riguardano i legami sociali all’interno
della comunità nel suo insieme, e la società civile in cui
avvengono. È sul territorio che nascono e si sviluppano i
conflitti, è all’interno della comunità locale che si
mantengono o s’interrompono le relazioni sociali, ma gli
attori sono sempre gli stessi e proprio per questo sono da
considerare “attori sociali”, secondo la definizione del
mediatore tedesco Zauberman.10
Ma, proprio perché
attori sociali che convivono nella medesima comunità
(città, scuola, famiglia), devono poter avere la possibilità,
se non il diritto, di riappropriarsi della gestione del
conflitto, con l’aiuto e l’intervento di differenti figure
professionali formatesi ad hoc.
10 dal libro di Michèle Guillaume-Hofnung “La Médiation” – Presses Universitaires
de France, 1995
76
Formazione
Nello specifico del progetto “Guichetsantiviolence pour
lesmineurs”, la funzione di mediatori è previsto che la
svolgano, dopo opportuna formazione, gli studenti
medesimi con l’aiuto delle insegnanti che hanno aderito
alla proposta presentata e coordinata dal Centro Ricerche
Economiche e Sociali per il Meridione (C.R.E.S.M.), di
Gibellina.
La formazione deve riguardare:
‣ le insegnanti, che hanno la responsabilità di presidiare
e accompagnare l’intervento all’interno dei singoli
plessi scolastici: a Trapani il percorso formativo si è
potuto sviluppare in un ciclo di quattro incontri di tre
ore ciascuno, per un totale di 12 ore; a Dublino in due
giornate di formazione sulle pratiche riparative e la
pratica del Cerchio, e due giornate dedicate alla
formazione sulle competenze del facilitatore;
‣ gli studenti, ai quali è più frequentemente rivolta, in
caso di conflitto, la richiesta d’aiuto da parte dei loro
coetanei: la formazione si può sviluppare in un ciclo di
8 incontri di 2 ore ciascuno, per un totale di 16 ore e il
coinvolgimento massimo di due classi per volta.
77
Posizione della scuola
Un consistente meccanismo di negazione tende talvolta
ad evitare di prendere in considerazione la cattiva sorte di
chi ha compiuto violenza, e ancor di più di chi l’ha subita,
la vittima: dopo gli atti di bullismo e/o violenza,
rimangono sul campo feriti e rotture che contribuiscono a
minare il senso di sicurezza nell’incontro con l’ “altro”,
nella propria vita scolastica e sociale.
Ma quale valore educativo e formativo deve avere la
scuola oggi, per accogliere il disordine emotivo dei
giovani e per non peccare di omissione di fronte a una
conflittualità sempre crescente?
Quale posizione può assumere la scuola quando il
conflitto oltrepassa il limite del consentito, del
socialmente pensabile e diventa espressione di violenza,
di prevaricazione, di disprezzo per l’altro? L’isolamento e
la punizione esemplare dell’elemento disturbante,
deviante, può e deve essere l’unica risposta possibile?
78
Responsabilizzazione,
consapevolezza e riconoscimento
Il progetto “Guichetsantiviolence pour lesmineurs” ha
voluto, con le differenti azioni messe in essere, sostenere
e dimostrare che, forse, è più opportuno pensare ad
interventi che concorrano a ricostruire le relazioni
interpersonali interrotte attraverso azioni mirate alla
responsabilizzazione, alla auto-consapevolezza, al
riconoscimento dei vissuti emotivi dei singoli confliggenti,
al fine difavorire concreti spazi di confronto e di
rielaborazione dell’esperienza vissuta e/o patita.
Se ci si pone, nei confronti di questi eventi, con la volontà
di comprenderne il senso, ci si trova molto facilmente
nelle condizioni di rintracciare nella storia dei fatti, ma più
ancora nella storia e nelle parole delle persone, la portata
e le ragioni comunicative, individuali e di gruppo, che
hanno contribuito a collocarle in quel preciso destino.
Ma come coniugare quanto detto sopra con il ruolo della
scuola ed il suo riconoscimento da parte degli enti
istituzionali e non? Come sviluppare un’azione congiunta
tesa ad affrontare il problema della violenza e dei conflitti
a scuola non come “risposta emergenziale”, ma come
“capacità a so-stare nel conflitto come luogo della
relazione11”?
11 Daniele Novara – « L’alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace » in
F.Scaparro, Il coraggio di mediare. Guerini e associati,2001 – pgg. 177-187
79
Per quanto attiene l’ambito della socialità e delle relazioni
positive, sembrano emergere tre aree di riferimento verso
le quali orientare possibili proposte d’intervento.
Proposte d’intervento che non possono e non devono
essere viste in un’ottica di “risoluzione di problemi”,
quanto piuttosto in un’ottica di “accompagnamento di
processi di cambiamento” che si sviluppino lungo l’asse
di nuovi codici d’azione pedagogica-sociale.
80
Accompagnamento di processi e
alfabetizzazione relazionale
Il passaggio dall’ottica di “risoluzione di problemi”
all’ottica di “accompagnamento di processi” comporta
un problema di riposizionamento dei diversi soggetti
coinvolti, finalizzando l’interazione delle specifiche
professionalità e capacità alla costruzione di convergenze
e connessioni. Connessioni e convergenze che
permetteranno di riappropriarsi delle problematiche senza
più sentirsi da soli nel lavorare nel contesto di riferimento,
quanto piuttosto nel percepirsi quali attori interagenti con
altri soggetti in un medesimo contesto, che si presenta
dinamico e complesso.
Occorre, pertanto, porsi nell’ottica della gestione del
conflitto, e della violenza ad esso connessa, se si
vogliono ottenere dei risultati che possano radicarsi nella
vita quotidiana, Per ottenere tali risultati occorre avere il
coraggio di pensare soluzioni nuove, modelli educativi
che introducano l’”alfabetizzazione relazionale” quale
strumento che va oltre la classica funzione, svolta
dall’istituzione scuola, di trasmissione cognitiva del
sapere ed esperienziale del fare. Alfabetizzazione che non
può e non deve essere relegata al solo ambito
cognitivista, ma deve prevedere un coinvolgimento attivo
delle varie figure coinvolte nell’organizzazione degli istituti
scolastici: in primis la componente studentesca, a seguire
le componenti docenti e genitoriali nel rispetto dei relativi
ruoli e funzioni. Voler affrontare la violenza a scuola con il
classico metodo della sanzione, può essere appagante
per chi la commina, ma non favorisce quel processo di
responsabilizzazione dei giovani che permette agli stessi
81
di introiettare dentro sé stessi modelli comportamentali
diversi. Mo d e l l i c o m p o r t a m e n t a l i c h e p a r t o n o
dall’identificazione delle proprie emozioni e dal
riconoscere l’altro come portatore di percezioni differenti
dalle nostre, ma non per questo meno valide. Si tratta di
un processo dinamico che partendo da un nuovo
concetto di soggettività (data dall’interazione fra l’identità
e la diversità), permette lo svilupparsi di un nuovo modo
di pensare e di affrontare i problemi, i contrasti, i conflitti
nella ricerca continua delle soluzioni appaganti le
aspettative di tutte le componenti dei medesimi. Ma per
quale motivo è importante coinvolgere, nella gestione del
conflitto, le varie componenti sociali? Perché
un’amministrazione pubblica (comune, ville, provincia,
département…), dovrebbe occuparsi del bullismo e della
conflittualità a scuola? Perché mai le scuole di ogni ordine
e grado, istituzioni formativo-educative, dovrebbero
accettare che altre istituzioni, altre figure professionali e
non, si attivino nella realizzazione di interventi condivisi?
Perché il problema non consiste nella soluzione del
conflitto, che alcune volte è comunque irrisolvibile, ma
nella sua gestione. Attraverso la gestione del conflitto
possiamo arrivare a trasformarlo “da una percezione
negativa” (paura, minaccia, debolezza),“ad una percezione
positiva” (ascolto, riconoscimento, crescita), con
conseguente ricaduta, in generale sul contesto sociale e
scolastico, in particolare sul contesto classe.
Ora, se la “soluzione del conflitto” può essere affrontata
tramite lo strumento della decisione super partes o della
sanzione comminata dal preside o da un insegnante; la
“gestione della violenza insita nel conflitto”, che il più delle
volte è l’iceberg di situazioni ben più complesse, deve
essere affrontata con un’azione sinergica tra le varie
componenti istituzionali e non.
82
Un’azione sinergica
Solo attraverso un’azione sinergica che si sviluppi in un
‘ottica sistemica è possibile riconoscere specificità e
complessità del problema. Il riconoscimento della
differente referenzialità dei soggetti coinvolti, tramite il
reciproco influenzamento, può permettere la costruzione
di risposte alternative, che acquistano significato e
valenza nell’inter-azione continua fra gli attori coinvolti.
Contemporaneamente la violenza ed i conflitti ad essa
connessi richiedono risposte adeguate a situazioni che si
sviluppano nell’informalità. Ma offrire risposte adeguate
non implica che si debba agire solo nell’ambito della
formalità o dell’autorità: il più delle volte occorre
sviluppare la gestione del conflitto mantenendola nella
“sfera dell’informalità”.
Ma lavorare nella sfera dell’informalità comporta lavorare
sulla relazione, perché “esiste una necessità di vivere la
relazione in ambito educativo e di assumere questa
relazione anche conflittuale come una sfida che porta
all’apprendimento di competenze, e permette alle nuove
generazioni di mettersi alla prova”12 . Invece molte volte ci
troviamo di fronte a situazioni, a insegnanti e/o educatori
che, nell’ansia di trovare una soluzione, utilizzano
metodologie pedagogico-educative classiche che, il più
delle volte, dimostrano di aver esaurito la loro funzione
storica.
12 Daniele Novara – « L’alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace » in
F.Scaparro, Il coraggio di mediare. Guerini e associati,2001 – pgg. 177-187
83
Nuove prassi e formazione alla
relazione in ambito educativo/
scolastico
Di qui la necessità di sperimentare nuove modalità di
risposta che richiedono una formazione mirata e
l’introduzione di percorsi di “formazione alla relazione in
ambito educativo/scolastico”, sia per gli insegnanti sia per
gli studenti medesimi (peereducation).
La “peereducation”, letteralmente “educazione tra pari” è
una metodologia di intervento volta ad attivare un
processo naturale di passaggio di conoscenze, di
emozioni e di esperienze da parte di alcuni membri di un
gruppo ad altri membri di pari status per età, background,
interessi.E’ un metodo educativo in cui “persone con un
interesse comune vengono formate a sviluppare
conoscenze e specializzazioni appropriate e a
condividere queste conoscenze, in modo da informare e
preparare altri e diffondere competenze e abilità simili
all’interno dello stesso gruppo di interesse” (Svenson,
1998).13
“Peer Education”: una modalità partecipativa.
La peculiarità della “peereducation” è proprio quella di
essere “un’esperienza di giovani tra i giovani” e fonda i
propri presupposti teorici e metodologici sull’importanza
13 Dalla relazione di Giovanna Gangarossa – Introduzione alla peereducation progetto The B-Band, building a bridge to go beyondbullyin”
84
che il gruppo riveste naturalmente nell’ambito dei
processi evolutivi dell’adolescenza, divenendo strumento
di crescita e sperimentazione. Il passaggio di informazioni
tra giovani è di tipo orizzontale e favorisce
l’apprendimentopartecipativo poiché utilizza canali e
strumenti di comunicazione propri del gruppo dei pari,
riducendo la differenza tra sé e gli altri grazie a modalità
relazionali dirette e l’uso di un linguaggio comune. Questo
li rende una fonte di informazione più credibile e non
giudicante, specialmente su temi sentiti come
particolarmente sensibili e significativi. In quanto
appartenenti allo stesso gruppo di riferimento, in
possesso dello stesso patrimonio linguistico, valoriale,
rituale, essi possono rappresentare modelli
comportamentali positivi, supportando con più efficacia la
condivisione di valori e stili di vita orientati al benessere.
All’interno del gruppo gli adolescenti hanno la possibilità
di formare e definire la propria identità attraverso
l’incontro, il confronto e lo scontro con la dimensione
dell’altro. Nel gruppo trovano contenimento affettivo e
relazionale ed hanno la possibilità di elaborare e
comprendere i cambiamenti psicofisici e psicosociali che
stanno vivendo. Come teorizzato da alcune teorie psicologiche e
pedagogiche, il gruppo dei pari è, inoltre, particolarmente
importante nel facilitare i processi di apprendimento. Esse
hanno confermato che l’apprendimento è determinato da
molteplici fattori e non solo da processi cognitivi; la sola
trasmissione di saperi non è quindi sufficiente e
determinare cambiamenti significativi nel comportamento.
Per questo è importante passare da una modalità
85
tradizionale di trasmissione passiva dei saperi ad una
modalità partecipativa che coinvolga i ragazzi nella
condivisione degli obiettivi formativi.14
Intelligenze multiple e intelligenza
emotiva
La letteratura specializzata ci insegna che Gardner
propone il modello delle intelligenze multiple, che integra
tra loro intelligenze tecniche (verbali, logico-matematiche,
musicali) con intelligenze di tipo interpersonale (capacità
di alimentare relazioni, di risolvere i conflitti, di analisi
sociale) ed intrapersonale (consapevolezza dei propri
limiti e dei propri punti di forza). L’individuo per poter
acquisire un pieno controllo sulla propria vita fa ricorso a
queste diverse intelligenze che interagiscono fra di loro.
Se l’intelligenza interpersonale, considerata come
naturalmente acquisita in un gruppo di pari che condivide
il medesimo ambiente di vita,è funzionale ad un’efficace
intervento di peereducation,l’intelligenza intrapersonale
consente l’acquisizione consapevole di un modello
realistico di se stessi e la capacità di operare
proficuamente nella vita.
14 Dalla relazione diGiovanna Gangarossa – Introduzione alla peereducation
progetto The B-Band, building a bridge to go beyondbullyin”
-
86
Lo sviluppo di queste intelligenze diventa pertanto
fondamentale, nella formazione dei peer educator, per lo
sviluppo di abilità indispensabili alla costruzione di
relazioni educative efficaci all’interno del gruppo di
appartenenza.
Tra le intelligenze multiple, particolare rilievo riveste
l’apprendimento e lo sviluppo dell’intelligenza emotiva
(Goleman), ovvero la capacità di riconoscere i propri
sentimenti e quelli degli altri, di motivare se stessi, e di
gestire positivamente le proprie emozioni, tanto
interiormente, quanto nelle relazioni sociali, consentendo
a ciascuno di utilizzare al meglio tutte le proprie abilità,
comprese quelle intellettive.15
Nell’ambito delle singole fasi del progetto, il percorso di
formazione degli studenti tra pari ha previsto
l’apprendimento e lo sviluppo di competenze psicosociali
o life skill, cioè delle abilità che mettono la persona in
grado di fronteggiare in modo efficace le richieste e le
sfide della vita quotidiana.
15 Dalla relazione diGiovanna Gangarossa – Introduzione alla peereducation
progetto The B-Band, building a bridge to go beyondbullyin”
-
87
Ragazzi protagonisti responsabili e
adulti facilitatori del processo
Attraverso la metodologia della “peereducation” si
vogliono riconoscere e valorizzare le risorse, le
potenzialità e le abilità possedute dai ragazzi per renderli
protagonisti responsabili nella promozione del proprio
benessere. Essipossono così diventare soggetti attivi
nella progettazione, realizzazione e valutazione
dell’intervento educativo, mentre gli adulti possono
assumere il ruolo di facilitatori del processo.
Gli adulti possonolavorare con i ragazzi, e non su o per i
ragazzi, ascoltandoli, dialogando e confrontandosi con
loro, accompagnandoli nello sviluppo di competenze
efficaci in un’esperienza di progettazione condivisa.
La scuola, uno dei luoghi educativi privilegiati che può
c o n s e n t i re u n a e ff e t t i v a s p e r i m e n t a z i o n e e i l
rafforzamento di nuove dinamiche relazionali, ha le
potenzialità e le capacità, attraverso una specifica
formazione, per coinvolgere direttamente gli studenti in
un nuovo ruolo responsabile e attivo all’interno
dell’istituzione.
88
Tre componenti: studenti,
insegnanti o adulti di riferimento,
genitori
Dall’esperienza sperimentata nei vari plessi scolastici, sia
in Italia sia in Irlanda, emerge chiaramente che le tre
componenti di maggior riferimento, verso le quali sarà
necessario orientare possibili proposte d’intervento, siano
rappresentate da:
1. Gli studenti, che esprimono il loro disagio nelle forme
più diversificate, il più delle volte sanzionate perché
incomprese nella loro effettiva dimensione di richiesta
d’aiuto, o anche solo di riconoscimento di esistenza, e
raramente affrontate sul piano della relazione, sia nei
confronti del singolo sia nei confronti del gruppo classe.
Sembra emergere perentoria una loro richiesta d’ascolto
attivo da parte di un adulto significativo quale può essere
l’insegnante; adulto che sappia porsi in una posizione non
giudicante, ma che sappia offrire risposte aperte,
attraverso le quali l’allievo si senta riconosciuto ed
accettato come individuo in evoluzione, come persona
che sta attraversando una fase evolutiva particolare e al
contempo delicata, ma fondamentale per la costruzione
della sua personalità e della percezione della propria
cittadinanza.
“Contemporaneamente emerge, da parte dei giovani che
vivono un conflitto, come una loro richiesta d’aiuto sia
rivolta, più frequentemente, ai propri coetanei in quanto:
89
‣ I coetanei condividono lo stesso ambiente e sono più
facilmente reperibili
‣ La comunicazione è più facile, si utilizza lo stesso
significato
‣ Non ci sono posizioni di potere, il che comporta una
diminuzione del loro potere sanzionatorio
‣ I pari comprendono meglio l’importanza che il conflitto
riveste nella vita dei compagni”.16
2. Gli insegnanti, ed eventuali altri adulti di riferimento
significativi, che lavorano a stretto contatto con gli
adolescenti, dai quali traspare la necessità di
intraprendere strade e strategie nuove, a fronte di un
rapporto relazionale che si presenta sempre più difficile e
complessificato da fattori di non facile interpretazione e
conseguente gestione, soprattutto se inquadrato
all’interno di una relazione empatica volta
prevalentemente al piano della pura didattica.
Appare, di conseguenza, importante la riappropriazione di
un rapporto dialogico che aiuti a riscoprire le competenze
relazionali dei singoli attori coinvolti (docenti / allievi); che
permetta di costruire una visione dell’allievo più ampia ed
articolata; che consenta l’instaurazione di una
comunicazione maggiormente efficace.
Per gli insegnanti la formazione può fornire loro
l’acquisizione di una maggiore consapevolezza che, solo
attraverso una corretta relazione con gli studenti, è
possibile trasmettere il “saper essere” prima del “saper
fare”. La formazione alla relazione dovrebbe essere
16 Ass. Gruppo Abele – Formazione giovani mediatori - gennaio-marzo 2012 –
Relazione a cura di Laura Gilli
90
obbligatoria nel corso di studi di quanti hanno intenzione
di lavorare nell’ambito educativo/formativo; il che potrà e
dovrà permettere la destrutturazione dei modelli e dei
ruoli professionali che ci sono stati tramandati, per
ridefinirli nell’ambito della “umanizzazione dell’oggetto
quale superamento dell’oggettivazione del soggetto”17
“Sinteticamente si possono indicare quali obiettivi
dell’attività formativa:
‣ aumentare le competenze individuali nella lettura di
situazioni critiche e di conflitto
‣ accrescere le competenze emotive e le capacità di
ascolto
‣ apprendere modalità concrete e costruttive per gestire
i conflitti in maniera più appropriata, in modo da
moltiplicare la possibilità di intraprendere le strade del
mutamento e della crescita – sia relazionale che
individuale – piuttosto che quelle della
contrapposizione e della rottura
‣ fornire strumenti di analisi e riconoscimento di
situazioni a rischio di prevaricazione e vittimizzazione,
al fine di ipotizzare strategie e interventi utili al
miglioramento della qualità di vita in ambiente
scolastico
‣ accompagnare e favorire le risorse riparative degli
attori della scuola al fine di implementare strategie
rispetto alla gestione delle regole, delle sanzioni e di
modalità alternative di risoluzione delle controversie”. 18
17 Lucien Hounkptin – etnopsichiatre du Centre Devereux de l’Université VIII di
Paris
18 Ass. Gruppo Abele – Relazione formazione insegnanti Marsala e formatori
CRESM – novembre 2011, relazione a cura di Laura Gilli
91
3. I genitori , che appaiono sempre più in difficoltà nella
relazione con i propri figli, i cui atteggiamenti sembrano
riflettere la “crisi dell’adultità” nelle sue varie espressioni;
in particolare, nella difficoltà ad esprimere la “genitorialità
in modo coerente e condiviso”.
Tenuto conto che i cambiamenti propri dell’adolescenza
tendono a mettere in disordine gli assetti relazionali
costruiti nel tempo, creando conflittualità nella relazione,
ne deriva l’importanza di promuovere un interscambio di
sapere, all’interno del mondo adulto, che parta dal
reciproco riconoscimento del linguaggio dell’altro.
Riconoscimento che è alla base della co-costruzione di
un qualcosa che non c’è (una relazione propositiva), ma
che può essere costruito dall’incontro dei nostri linguaggi,
in modo da permetterci di uscire dalla cecità connessa
alle abitudini di pensiero, che non può esistere senza
interazione.
92
Interazione e co-costruzione
In sintesi possiamo dire che il progetto
“Guichetsantiviolence pour lesmineurs”, si è posto
l’obiettivo di lavorare sul tema della violenza dei giovani,
con particolare attenzione al mondo della scuola, per
prevenire il suo verificarsi e per affrontarne le
manifestazioni, interagendocongiuntamente su più piani e
integrando differenti azioni all’interno di ciascun specifico
territorio.
I piani su cui hanno lavorato i partners ci indicano
l’opportunità di focalizzare, anche per il futuro, gli
interventi volti a contrastare la violenza fra i giovani
prioritariamente attraverso:
‣ lo sviluppo di attività di peereducation fra gli studenti;
‣ la formazione di gruppi di studenti alla gestione dei
conflitti nelle singole scuole di appartenenza;
‣ lo sviluppo e aggiornamento della conoscenza del
fenomeno;
‣ le forme di auto-formazione e di formazione continua
per gli insegnanti in servizio;
‣ le forme di auto-formazione e di formazione continua
per gli altri adulti di riferimento;
‣ la sensibilizzazione e la consapevolezza della famiglia;
‣ l’individuazione e sperimentazione di percorsi e
strumenti didattici utilizzabili nelle classi;
‣ il collegamento dei programmi sulla violenza alle azioni
positive di miglioramento del clima nell’istituzione
scolastica e nelle singole classi;
93
‣ lo sviluppo della capacità di valutazione degli
interventi;
‣ la co-costruzione di una rete composta da attori
sociali, istituzionali e familiari;
‣ il ruolo dell’istituzione scolastica attraverso la
responsabilizzazione di tutti, pur nel riconoscimento
dei differenti livelli;
‣ il coinvolgimento della comunità attraverso lo sviluppo
ed il sostegno di specifiche politiche;
‣ l’accompagnamento dell’attività di mediazione tramite
una supervisione e una valutazione permanente degli
interventi
da parte di esperti esterni alle équipesdi
mediatori.
Il progetto si è articolato in una serie di attività finalizzate
a costruire un sistema di scambio, confronto,
sperimentazione e valutazione tra i partners impegnati sul
terreno della prevenzione e della lotta alla violenza nella
scuola.
Partendo da comuni sperimentazioni, si è dato vita ad un
lavoro di sistematizzazione di esperienze, di produzione di
materiali e di costruzione condivisa di un patrimonio di
riferimenti e conoscenze intorno alle “buone pratiche”
finalizzate ad uno specifico intervento preventivo.
L’organizzazione del lavoro sul piano delle azioni
congiunte da sviluppare è stato tale da coinvolgere
attivamente tutti i partners, individuando all’interno del
gruppo un responsabile per ogni piano di lavoro.
94
In conclusione, personalmente noi siamo convinti che
quanto è emerso dal presente lavoro ponga ancora
un’ultima questione, che non può non considerarsi
strutturale ad un corretto funzionamento di qualsiasi
progettualità che veda coinvolte componenti differenti: il
passaggio da una logica di rete ad una logica di sistema.
La rete, pur nello sviluppare diverse connessioni,
costruisce risposte differenziate che, tendenzialmente, si
incardinano sull’autoreferenzialità dei singoli attori. Il
sistema, riconoscendo le specificità, la molteplicità ed il
reciproco influenzamento degli attori, si pone in un
p ro c e s s o d i “ d e t e r r i t o r i a l i z z a z i o n e d e i s a p e r i
professionali”, che favorisce la costruzione di risposte
differenti all’interno di un processo che rilegge e
riconosce i bisogni, attivando quell’azione che si
incardina in una reale inter/azione.
Da una simile impostazione potranno scaturire nuovi
modelli organizzativi, sia per la scuola che per i settori
educativi, maggiormente rispondenti alle esigenze della
società contemporanea, ma soprattutto alle esigenze dei
giovani che sono e rimangono la principale ricchezza
delle nostre comunità.
95
96
Le metodologie
operative
97
98
Le metodologie operative
JoelleTimmermans e Giovanni Ghibaudi
Fasi del progetto e fasi
d’intervento: passo dopo passo
Quando si vuole introdurre la mediazione in una
istituzione o un organismo, è necessario procedere passo
dopo passo. Osservando le due esperienze italiane e
irlandesi, e il confronto con ciò che succede in Belgio, si
possono individuare cinque fasi per l'attuazione del
progetto. Ogni fase deve essere seguita nell'ordine e
continuità.
1- Fase dell’ analisi :
‣ Analizzare le esigenze del settore
‣ Stabilire un piano d'azione che risponda a queste
domande: Cosa, Perché, Quando, Come, Dove, ...
‣ Formare il gruppo di coordinamento interno alla
scuola: persone motivate e disponibili per diversi anni.
2- Fase di avvio /start up :
‣ Formazione per tutti sullo spirito della mediazione:
adulti e giovani.
‣ Sensibilizzare gli adulti al programma.
‣ Sensibilizzare i giovani al programma.
99
‣ Costituire un gruppo di coordinamento e individuare
una persona che coordina.
‣ Informare in merito al piano d'azione e ai suoi obiettivi
tutti gli interessati esterni: la famiglia, ecc.
3- Fase di integrazione:
‣ Formazione dei giovani.
‣ Supervisione del progetto da parte del gruppo di
coordinamento.
4- Fase di monitoraggio e supporto :
‣ Supervisione delle situazioni vissute (compito svolto
da un professionista).
‣ Rafforzare/potenziare/responsabilizzare il gruppo di
coordinamento per continuare lo sviluppo del progetto
all'interno della scuola.
5- Fase di autonomia
‣ Sostenere il progetto e il suo processo di sviluppo, da
parte dei suoi membri.
Per radicare operativamente il progetto e creare nuove
abitudini nella scuola, è necessario che il processo
preveda una impostazione a medio termine: 3 -5 anni.
Rispetto al lavoro a lungo termine, siamo tutti
coinvolti con Tre parole chiave: TEMPO, MEZZI e
PERSEVERANZA
100
Affinchè il progetto abbia successo
e come possiamo “affidarlo”
all’usura del tempo
‣ Il 75% dell’équipe educativa deve sottoscrivere il
proprio consenso al progetto; chi non vi partecipa si
impegna a non sabotarlo;
‣ La maggioranza degli adulti considera adeguata
questa modalità di gestione e trasformazione dei
conflitti e vi indirizza gli studenti;
‣ Molti adulti dell’équipe educativa contribuiscono a
formare i mediatori e coordinano il progetto per
renderlo duraturo;
‣ Si deve riservare un momento della giornata alla
mediazione, al lavoro preparatorio e conclusivo;
‣ Il progetto di mediazione tra pari è integrato nel
sistema scolastico tramite il regolamento d’istituto.
‣ L’équipe educativa, i genitori, gli alunni comprendono
e condividono gli obiettivi della mediazione e l’utilità
del progetto.
‣ Si devono prevedere figure o spazi di supporto esterni
all’équipe pedagogica: un operatore scolastico o un
educatore, un centro di mediazione operante sul
territorio, un servizio istituzionale e/o del privato
sociale (centro aggregativo, associazione), destinato ai
giovani, un servizio psico-medico-sociale finalizzato al
benessere e alla salute della persona….
101
In effetti, la creazione e il sostegno permanente di un
progetto di “Mediazione tra Pari”, richiedono una notevole
quantità di energia e di tempo, che va oltre l’energia
dell’équipe pedagogica in quanto sarà sempre più
sollecitata sotto vari aspetti.
Occorre, inoltre, sottolineare che i progetti hanno una
maggiore possibilità di durata se gli adulti sono capaci di
risolvere i propri conflitti e se creano parallelamente, al
loro livello, un sistema di risoluzione dei conflitti
altrettanto legato al metodo o allo spirito della
mediazione.
L’esperienza ci insegna che solo i progetti che sono durati
in un tempo superiore ai 3-5 anni hanno saputo creare
una vera e propria cultura della mediazione.
Risorse interne: personale e
struttura del lavoro
Risorse interne
È essenziale per l'ente coinvolto in un progetto di
mediazione, tener conto di fattori diversi :
‣ Il tempo e la struttura a disposizione.
‣ Le motivazioni generali
(in caso di crisi, le persone
tendono ad abbandonare l’impegno rendendo la
situazione sempre più difficile)
‣ Una fase di preparazione adeguata.
‣ L’adesione ai principi della Mediazione.
102
‣ Un’informazione e una formazione specifiche sia per i
giovani sia per gli adulti.
‣ Il follow-up degli accordi.
‣ Una valutazione e una supervisione permanenti.
‣ Una rete attiva: all’interno e all’esterno delle scuole.
‣ La buona volontà di tutti a sviluppare «saper essere +
saper fare».
‣ Focus sui bisogni di tutte le persone coinvolte.
‣ Accettazione degli effetti comportamentali sugli altri e
la comunità.
‣ La coscienza della nostra autonomia e la nostra
interdipendenza.
‣ Responsabilità rispetto a ciò che diciamo / ciò che non
dicono, a quello che facciamo / quello che non fanno.
Risorse personali e qualità dei giovani mediatori
Insieme con le risorse interne dell'istituzione, un
mediatore giovane usa le conoscenze e le competenze
acquisite e/o sviluppate nel corso della sua formazione
personale.
In generale, il formatore diventa il riferimento per la
supervisione di mediatori addestrati.
Ad esempio, dopo la mediazione, può essere proposta,
sia al supervisore sia al mediatore, la seguente griglia di
valutazione che può anche essere utilizzata come autoosservazione o auto-valutazione.
103
Griglia di auto-osservazione di mediatori qualificati
Quando ogni parte desidera comunicare e gestire il
conflitto che li contrappone, il mediatore qualificato
utilizza il suo telaio.
Per sviluppare le proprie capacità, ecco una griglia di
auto-osservazione.
Impostare: "O" quando si ha agito nella direzione
indicata.
"R" quando non hai notato nulla.
"N" quando avete fatto il contrario.
Quando si osserva un altro mediatore, immettere "O", "R"
o "N" per gli stessi motivi.
Data e luogo .....................
Nome del Mediatore
osservato ...........................................
A. Valorizzare le risorse personali.
1. Ascolta con le orecchie, gli occhi e il cuore.
2. Mostra empatia.
3. E’ non-giudicante.
4. Crea un clima di fiducia.
5. E’ obiettivo, imparziale.
6. Prende il tempo di verificare.
7. Mantiene la calma, pazienta.
8. Regola i turni di parola
9. ......................................
104
B. Utilizzare tecniche di comunicazione.
1. Utilizzare un linguaggio semplice, chiaro e neutrale.
2. Fare domande aperte.
3. Guidare le discussioni.
4. Far rispettare le regole.
5. Ricentrare l’attenzione sul soggetto.
6. Chiarire le parole dette e non dette.
7. Gestire e disinnescare i comportamenti aggressivi.
8. Reinquadrare il conflitto.
9. Mantenere un buona equidistanza, senza prendere in
carico il problema.
10. Rispettare i silenzi.
11. Mostrare l’esempio: esprimersi in "Io", eccetera....
12. Riformulare il verbale e il non verbale.
13. Far riformulare da uno quello che ha detto l'altro
(tecnica del bilanciere)
14. .....
C. Lavorare con un altro peer
1. Sostenere il processo.
2. Lavorare insieme.
3. Chiedere aiuto all'altro mediatore.
4. Procedere insieme nella stessa direzione.
5. Riconoscere ed esprimere i suoi limiti.
6. Fare riferimento ad un adulto se si è in difficoltà
7.
Riferire la situazione ad una persona, organizzazione
appropriata se la mediazione si interrompe.
8
.......................................................................................
Una volta acquisite le competenze personali, è
indispensabile organizzare una struttura operativa che si
adatti al lavoro che il giovane deve eseguire.
105
Strutturazione del lavoro dei giovani mediatori
È necessario definire con i giovani la struttura del loro
lavoro e i limiti delle loro azioni:
‣ I mediatori tra pari aspettano in cortile che i bambini
che hanno un problema si rivolgano a loro;
‣ Lavorano in coppia e sono riconoscibili dalla maglietta
(o da altro segno distintivo);
‣ Il loro ruolo consiste nell’aiutare gli altri giovani a
parlarsi, ascoltarsi e trovare soluzioni condivise;
‣ Non si comportano né da sorveglianti né da “spioni” o
da Zorro;
‣ I sorveglianti mantengono il loro ruolo e propongono ai
bambini che hanno un problema di rivolgersi al
mediatore;
‣ I mediatori si alternano e agiscono solamente quando
tocca a loro.
106
Gli ostacoli alla realizzazione del
progetto e il successo parziale
Ci sono alcuni problemi o difficoltà da sapere.
Ci sono anche apriori e credenze che possono ostacolare
la realizzazione del progetto.
Ci possono essere anche elementi di successo parziale.
Ostacoli alla realizzazione del progetto
‣ La paura di essere percepita come una scuola
problematica o violente.
‣ La contrapposizione alla cultura scolastica.
‣ La necessità di un altro modello di gestione dei
conflitti.
‣ Preferenza per la pena / dissuasione : contro ciò che
dispiace all'adulto (dissuasione imitata dagli studenti).
‣ Clima degradato nel team educativo o con il "leader".
‣ Ruoli e funzioni di ogni adulto non chiari, né definiti o
territori non rispettati.
‣ Nessun accordo su regole comuni tra gli insegnanti.
‣ Le disparità riguardanti la concezione e il modo di
esercitare l'autorità.
‣ Mancanza di fiducia tra gli adulti e tra adulti e giovani.
‣ Regole / sanzioni mal definite o non riconosciute.
‣ Vaga idea "di ciò che è giusto, ciò che è sbagliato?».
‣ L’ incapacità di cogliere gli aspetti positivi quando si
affrontano i cambiamenti.
‣ "Risultati non accettati": accordo per chiudere, ma
rimane la frattura nella relazione
‣ Vulnerabilità nel reggere la frustrazione.
107
‣ L’attacco nei confronti delle persone senza mettere a
fuoco i problemi
Fattori che spiegano il successo parziale
‣ Problemi con la droga, alcool o altre dipendenze.
‣ Una cultura cooperativa deficitaria: nessun esempio,
nessun supporto, nessuna volontà, ...
‣ La mancanza di monitoraggio da parte del mediatore o
dell'istituzione.
‣ Lentezza istituzionale.
‣ Intensità e "passato" del conflitto.
‣ Mancanza di attenzione o di rispetto.
‣ Mancanza di una risposta a determinate richieste.
‣ Non riconoscimento delle responsabilità
‣ Danni del gruppo, di alcuni membri istituzionali o di
quanti sono coinvolti.
‣ Modificazione delle circostanze
‣ Nessuna rete di supporto
‣ Concorrenza tra i professionisti che si occupano della
gestione dei conflitti
‣ …..
Per una cultura della mediazione
Praticare la mediazione è creare una nuova cultura.
Se ci sono disagi relazionali, la mediazione è uno
strumento specifico di socializzazione nelle scuole, nelle
famiglie, nel lavoro, nei loro quartieri.
108
Socializzazione: rafforzare la capacità di ogni
individuo di agire adeguatamente nelle diverse
situazioni che implicano la relazione (conflittuale o
meno) e la sua capacità di chiedere aiuto a un terzo
se necessario.
Si apprende a vivere e lavorare insieme.
Aderire allo spirito di mediazione per “vivere e
lavorare bene insieme ”.
E 'importante che si trasformi in un apprendimento di
base per tutti, giovani e adulti, che aiuti ad accrescere il
senso civico
Apprendimento di base per tutti delle “Alternative
Dispute Resolution (ADR)”:
Rispettare la cultura della mediazione vuol dire
condividerne lo spirito, in modo da evitare questioni quali:
Come relazionarsi fra adulti e giovani, senza entrare/
rimanere in un rapporto di autorità?
Come stimolare un rapporto che si svolga in entrambe le
direzioni e salvaguardi i diritti e i doveri reciproci?
Come applicare preventivamente la mediazione a scuola?
Come gestire il conflitto senza "accusare" la persona?
Come affrontare le resistenze?
Come stimolare positivamente le parti in conflitto e creare
opportunità dentro e fuori della scuola?
Una cultura della mediazione
comporta una lavoro a lungo termine
in cui siamo tutti coinvolti
passo dopo passo.
109
110
I linguaggi
possibili
111
112
Sperimentazione virtuale:
la mediazione attraverso i giochi di
ruolo virtuali negli ambienti virtuali 3D
Marilena La Placa
A quasi 10 anni dalla nascita di Second Life
sono
numerosissime in Italia ed in Europa le sperimentazioni
sull’uso didattico dei mondi virtuali.
L’ambiente virtuale 3D ha infatti delle caratteristiche che
si sposano felicemente con le didattiche “aperte”,
interattive e costruttiviste.
Le sperimentazioni hanno evidenziato che i tratti distintivi
degli ambienti 3D sono l’immersività e il senso di
presenza, cioè sentirsi presenti nello spazio circostante e
interagire con esso, ma anche sentire la presenza di altri
“qui ed ora”: caratteristiche ideali per costruire un
apprendimento “sociale” che crei significati attraverso
l’interazione con altri.
Tra le diverse attività didattiche che è possibile tenere nei
ambienti digitali 3D, il gioco di ruolo è probabilmente
quella che utilizza maggiormente le potenzialità di questo
media.
Ogni partecipante anima e muove nel mondo virtuale un
Avatar ed interpreta un personaggio, all’interno di un
canovaccio prestabilito.
113
L’ambiente 3D consente da un lato di dar vita ad un
personaggio anche molto diverso da sé stessi
(sperimentando ad esempio le proprie parti aggressive) e
contemporaneamente di partecipare emotivamente alla
drammatizzazione grazie all’identificazione con il proprio
Avatar. Permette quindi di creare una palestra emotiva, un
luogo in cui sperimentare emozioni e cognizioni ed
apprendere competenze relazionali in un luogo sicuro.
Il progetto Guitches pour les mineurs mette a
disposizione delle scuole partecipanti un ambiente
virtuale 3D dove mettere in pratica le tecniche di
mediazione del conflitto secondo un approccio
cooperativo e giocoso.
Il progetto prevede lo svolgimento di giochi di ruolo
virtuali all’interno del mondo digitale OpenSimulator
(http://www.opensimulator.org) che è molto simile a
quello di Second Life.
In ogni sessione di gioco verrà rappresentato un conflitto
scolastico tipico: i giocatori reciteranno la parte dei
personaggi descritti nello scenario fornito alle scuole che
tratteggia la storia del conflitto e dei relativi partecipanti e
cercheranno insieme una soluzione comune e
collaborativa.
La storia raccontata nello scenario non ha una fine
prestabilita: sta ai giocatori inventarla. Giocando, si può
creare un finale diverso in ogni sessione.
Nel gioco di ruolo infatti non è tanto importante il
prodotto finale, quanto la mediazione, come processo di
crescita che gli alunni in modo consapevole sviluppano
intorno a situazioni probabili e simili a quelle con cui
spesso devono confrontarsi nella realtà.
114
I giochi di ruolo virtuali (Virtual Role Play o VRP) si
svolgeranno in uno dei più famosi
mondi digitali 3D
online: OpenSim (http://www.opensimulator.org). In ogni
gioco di ruolo si rappresenterà uno scenario basato su
un tipico conflitto scolastico. In ogni scenario i giocatori
dovranno cercare di trovare soluzioni comuni in modo
cooperativo e collaborativo.
L'obiettivo di questi giochi di ruolo è quello di aiutare gli
studenti a mettere in pratica le tecniche di mediazione tra
pari apprese durante la formazione.
Per giocare verranno messi a disposizione scenari e
personaggi (avatar), le cui reazioni, i sentimenti e le
esigenze sono simili a quelle che vivono i giovani. I
ragazzi incontreranno dei loro pari che li incoraggeranno a
parlare e li aiuteranno a trovare una soluzione ai vostri
conflitti, attraverso la mediazione tra pari.
E adesso ......... vediamo come diventare uno dei
protagonisti del gioco.
Partecipare al gioco
Su questo sito è possibile scegliere uno scenario in cui
sono presenti 3 personaggi.
Alcuni giorni prima della sessione online, ogni giocatore
selezionato riceverà il nome utente e la password per il
log in, dopo il login riceverà tutte le informazioni
sull'avatar (il personaggio) da interpretare nel gioco.
Accesso ad Open Simulator
Entrare su Open Simulator e familiarizzare con il mondo
virtuale è fondamentale prima di prendere parte al gioco,
ma non preoccupatevi: troverete tutte le informazioni sui
requisiti tecnici nelle guide fornite.
115
Ricordate che per giocare, si entra OpenSim utilizzando il
nome utente e la password ricevuta che identifica l'avatar
che sarà nello scenario.
Lo scenario: caratteristiche e contenuti
Nello scenario troverete la descrizione di una certa
situazione, dei personaggi coinvolti, e del luogo in cui
sono stati concepiti per giocare. Oltre a queste
informazioni essenziali, che vengono divulgate e
condivise tra tutti gli avatar, ogni giocatore riceve ulteriori
informazioni riservate su alcuni aspetti della storia (cioè
cose solo lui / lei conosce) e la descrizione delle
caratteristiche del suo avatar.
Il gioco
Il gioco dovrebbe svolgersi all’interno di questa ‘cornice’:
tenendo conto di tutte le informazioni ricevute, in
particolare i dati confidenziali, e interpretare il
personaggio nel miglior modo possibile, come un vero
attore.
La storia raccontata nello scenario non ha una fine
prestabilita: tocca inventarla ai giocatori. Giocando, si
può creare un finale diverso in ogni sessione.
Alla fine del gioco tutti i partecipanti saranno invitati a
partecipare ad una sessione di scambio per commentare
quanto emerso nel gioco.
Di seguito riportiamo le guide utilizzate nel progetto
VUOI ESSERE PROTAGONISTA DI UN PROGETTO
EUROPEO SULLA MEDIAZIONE SCOLASTICA?
116
VUOI PARTECIPARE AD UN GIOCO DI RUOLO
VIRTUALE?
Ecco le nostre guide che ti saranno utili ad imparare a
giocare sul nostro mondo virtuale:
‣ Guida ai giochi di ruolo Virtuali
‣ Guida tecnica del giocatore
‣ Guida tecnica per l’installazione di OpenSIM
GUIDA PER IL GIOCO DI RUOLO
VIRTUALE
L’obiettivo dei giochi di ruolo è che voi alunni/e impariate
a risolvere bene i vostri conflitti e litigi in maniera
autonoma: addirittura senza che ci sia un adulto a dirvi
chi ha torto o ragione, ma proprio tra voi. E’ per questo
che parliamo di mediazione tra pari, perché nei giochi
potrete incontrare dei ragazzi come voi, dei pari, che vi
stimoleranno a parlare e a trovare delle soluzioni ai vostri
conflitti.
E ora………. vediamo come si diventa protagonisti di
questo gioco.
1. Come si partecipa al gioco.
Sul sito del progetto (www.guichetsantiviolencepourles
mineurs.eu) potrete scegliere uno degli scenari proposti
e una delle sessioni di gioco elencate. Ogni scenario
ha 3 giocatori: un mediatore e due giovani che affrontano
una situazione di conflitto. Alcuni giorni prima della
sessione di gioco (la data verrà concordata con Cineca),
117
ciascuno dei giocatori prescelti riceverà una mail con
username e password necessarie per l’accesso; riceverà
inoltre tutte le informazioni sull’avatar (cioè il
personaggio) che dovrà impersonare nel gioco.
2. L’accesso a OpenSim.
Entrare in OpenSim e familiarizzare con la piattaforma è
fondamentale prima di partecipare al gioco, ma non
preoccupatevi: troverete tutte le informazioni sui requisiti
tecnici e su OpenSim nel Manuale di Installazione e nella
Guida per i Giocatori (pubblicate sul sito
www.guichetsantiviolencepourles mineurs.eu).
Ricordatevi che per questo gioco di ruolo dovrete entrare
in OpenSim usando la user name e la password che
avete ricevuto via mail, e che identificano il vostro avatar
nello scenario che avete scelto.
3. Cos’è lo scenario.
Nello scenario troverete la descrizione di una determinata
situazione, dei personaggi coinvolti, del posto in cui si
svolge. Accanto alle informazioni generali, che sono note
e condivise tra tutti gli avatar, ciascun giocatore riceve
ulteriori informazioni riservate, relative ad alcuni aspetti
della storia (cioè cose conosciute solo da lui/lei) e alla
descrizione del proprio avatar.
Dovrete giocare senza andare oltre quello che vi è stato
detto: tenendo conto di tutte le informazioni che avete
ricevuto, soprattutto di quelle riservate, e calandovi
nel personaggio, come se foste degli attori.
118
La storia raccontata nello scenario non ha un finale
predeterminato: sono i giocatori che, giocando,
determinano il finale, che sarà perciò, ogni volta diverso.
4. Come si gioca.
Quando giocate dovete calarvi pienamente nel vostro
personaggio e nella sua personalità.
C’è una situazione di conflitto tra 2 personaggi e
partecipate ad una sessione di mediazione per risolvere il
problema.
Prima di iniziare a giocare, ripassiamo le poche regole
che non devono essere mai trasgredite durante il gioco:
‣ nella mediazione, la violenza è vietata come strumento
per la risoluzione dei conflitti: quindi, se siete in una
sessione di mediazione, non dovrete assumere
comportamenti violenti.
‣ Quando vi rivolgete agli altri giocatori non dovete
usare espressioni offensive o parolacce.
‣ Quando, durante il gioco, incontrerete un mediatore
(uno dei giocatori che vi proporrà la mediazione),
dovrete ricordare che la mediazione è sempre
volontaria e che, quindi, partecipate all’incontro di
mediazione solo se volete.
‣ Se decidete di partecipare ad una procedura di
mediazione, dovrete lasciar parlare gli altri giocatori
quando è il loro turno e cercare di capire le loro
ragioni; loro faranno lo stesso con voi.
‣ Al termine, se raggiungete un accordo, potrete
decidere di trascriverlo e salvarlo, usando le
inventories di OpenSim.
119
GLOSSARIO
Gioco di ruolo
In un gioco di ruolo, ogni partecipante deve giocare
assumendo i panni di un determinato personaggio, il cui
aspetto, sentimenti, personalità sono stati stabiliti in
precedenza. I giochi di ruolo sono spesso utili per testare
e cercare di gestire possibili situazioni difficili o di
conflitto, in un ambiente protetto. In particolare, grazie ai
giochi di ruolo di avatar@school, potrete acquisire nuovi
spunti, utili per comprendere come gestire i vostri conflitti
a scuola e, in generale, nella vita reale.
Mediazione tra pari (Peer Mediation)
La mediazione tra pari è uno strumento alternativo per la
risoluzione dei conflitti. In particolare, lo scopo della
mediazione tra pari è di aiutare le persone
trovano
coinvolte
in
un
conflitto
a
che
si
trovare
un
accordo, tramite cui risolvere la lite. In questa procedura
interviene un terzo, il mediatore, che è sempre imparziale
e non da mai delle soluzioni: aiuta solo i ragazzi coinvolti
nella lite a trovare da soli un accordo.
Il mediatore Il mediatore tra pari, in questo caso un ragazzo come voi,
favorisce la risoluzione delle liti tra ragazzi che si trovano
in una situazione di conflitto. Nella risoluzione dei conflitti
tra pari si ricorre infatti alla presenza di un terzo neutrale
per aiutare i partecipanti che lo vogliono, a risolvere la
loro lite. Il mediatore è quindi una sorta di ponte che
unisce due rive opposte.
120
Guida tecnica per i giocatori
Accesso e registrazione
Per accedere all’ambiente di OpenSim è sufficiente
aprire
l’applicazione
di Second Life usando l’icona
“Guitchets” che appare sul desktop. A questo punto
apparirà la maschera per il log in, dove andranno
inseriti
i
dati
per
la registrazione (user name e
password), che sono stati comunicati via mail.
Movimento e visuale
In
OpenSim
è
possibile
muoversi
nello
spazio
camminando o volando (l’ultima operazione è possibile
solo se si è stati autorizzati); il modo più semplice
per muoversi è usare le chiavi della tastiera.
Cliccando con il tasto destro del mouse sull’avatar,
apparirà un cerchio a spicchi
contenente dei comandi:
• Andare avanti (Go)
• Gruppi (Groups)
• Profili (Profiles)
•Aspetto (Appearance)
• Atterraggio (Take off)
• Gesti (Gestures)
•Amici (Friends)
• Alzarsi (Stand up). (Se siete già in piedi, questo
comando non apparirà nel cerchio).
121
Comandi chiave della tastiera per muoversi:
[W] o [freccia all’insù] – fa muovere l’avatar in avanti
[S] o [freccia all’ingiù] – fa muovere l’avatar all’indietro
[A] o [freccia a sinistra] – fa ruotare l’avatar verso sinistra
122
[D] o [freccia a destra] – fa ruotare l’avatar verso destra
[E] o [tasto pagina precedente] – per volare verso l’alto o
saltare
[C] o [tasto pagina successiva] – per volare verso il
basso / chinarsi in avanti sulle ginocchia
123
[F] o [Home] è il comando per passare dal volo alla
camminata e viceversa
N O TA B E N E : è s e m p re p o s s i b i l e a g i re s u d u e t a s t i
contemporaneamente.
Per muoversi è comunque necessario prendere confidenza con lo
strumento virtuale. Provate muovendovi un po’ a caso. Se cadete
nell’acqua per uscire dovete volare, invece di saltare fuori.
Visuale:
Annoiati di vedere la schiena del vostro avatar? Volete
vedere le cose da un’angolazione diversa? Volete
guardare qualcosa senza muovere l’avatar? Ecco le
indicazioni fondamentali.
Tenete cliccato il tasto Alt fino ad ottenere una lente
d’ingrandimento, quindi:
• puntate con il mouse sul vostro avatar e tenete
cliccato il tasto sinistro.
• Fate scivolare il mouse da sinistra a destra per ruotare
con la visuale e avanti e indietro per zoomare.
• Se cliccate su qualcosa che si trova accanto al
vostro
avatar,
la visualizzazione verrà ri-centrata sul
punto in cui si trova la lente d’ingrandimento quando
state cliccando.
124
•
Cliccate con
il
tasto sinistro
sul vostro
avatar e tenete premuti, contemporaneamente, i tasti
Control (Ctrl) e Alt, fino ad entrare nell’orbita del mouse;
muovendo il mouse la telecamera si muoverà intorno
all’avatar, ad una distanza costante.
• Cliccate con il tasto sinistro sul vostro avatar e
tenete premuti i tasti
Control (Ctrl), Shift (maiuscolo) e Alt e muovete il mouse.
Questo fa fare alla telecamera una panoramica a destra e
sinistra dell’avatar.
Sembra semplice, ma ci vuole in po’ di pratica.
Potete zoomare o ruotare la visualizzazione stando fuori
da un palazzo, dietro le rocce o da qualunque posto dal
quale normalmente l’avatar non potrebbe vedere.
125
Nel visualizzare non si muove l’avatar, ma la telecamera,
che spazia in un determinato territorio di Second Life. Per
questo è facile perdere completamente di vista il proprio
avatar, o vederlo svanire dietro degli alberi. Per ritornare
verso di lui o riacchiapparlo, si deve cliccare su Escape
(ESC) o cliccare sulla freccia all’insù che si trova nel box
dei movimenti (questo perché i comandi dalla tastiera
fanno cambiare la visuale, ma non fanno
automaticamente ritornare l’avatar al centro della scena).
Lo spazio intorno a voi
Quando ci si guarda intorno in Second Life (OpenSim), si
può usare il tasto destro del mouse
per
cliccare
su
qualcosa che si trova accanto al proprio avatar.
Questo farà apparire il menù a torta con la lista dei
comandi, che comprende “Siediti qui” (fa sedere l’avatar
in quel punto). Se invece si clicca su un oggetto, che può
essere aggiunto al proprio inventario, apparirà anche il
comando “prendi”.
126
Comunicazione
Chat
Cliccando sul tasto “chat”, al fondo del visualizzatore di
Second Life, si aprirà, subito sopra, una piccola barra
bianca dove potrete scrivere quello che volete dire a chi vi
sta intorno. Una volta ciccato “invio”, le parole
appariranno sul proprio schermo e su quello di tutti coloro
che si trovano nei paraggi. Se avete bisogno di dire
qualcosa a qualcuno che sta più lontano, ma nel raggio
visivo, potete usare il tasto “shout” (“urla”), che si trova
alla fine della barra della chat. Nella maggior parte dei
luoghi di Second Life urlare non è molto apprezzato, per
cui va usato solo quando ce n’è bisogno.
Se volete usare i comandi chiave, come “M” per la visuale
dal mouse, dovrete cliccare di nuovo il tasto “chat”, in
modo da far sparire la barra della conversazione,
altrimenti chi vede penserà che volevate dire “M”!
127
Messaggi istantanei
Un messaggio istantaneo, o IM, è una maniera per parlare
in privato con una persona o un gruppo. Ci sono diversi
modi per iniziare con l’IM.
Con le persone che vedete accanto a voi:
• Andate sull’avatar con cui volete parlare, cliccate sul
tasto destro del mouse e scegliete “IM”,
128
Gesti
I gesti consistono in diverse animazioni, pose, suoni,
messaggi di testo e movimenti facciali. I gesti sono
differenti dalle altre animazioni e possono essere messi in
atto solo con le seguenti modalità:
1. Selezionate il gesto dal menu “Gesti”, che si trova
in basso a destra sul visualizzatore di Second Life.
2. Scrivete il nome del gesto, così come appare
nell’inventario, nella barra della conversazione. Scrivete i
caratteri tra virgolette. Per esempio, scrivete “afk” per
assumere la posa che avete scelto per quando non siete
alla tastiera.
129
“CTRL-G” fa apparire la tavola dei gesti, che mostra tutti
i gesti possibili (e attivi), consente di modificare i gesti
esistenti, di crearne di nuovi, usando i suoni e le
animazioni del vostro inventario, e permette di vedere e
modificare le scorciatoie e i dispositivi della chat previsti
per mettere in atto un determinato gesto. I gesti di default
si trovano nelle cartelle "Library -> Gestures" e "My
Inventory -> Gestures" dell’inventario.
130
I gesti devono essere attivati per poterli utilizzare: quindi,
aprite la cartella che contiene i gesti, cliccate col tasto
destro
sul
gesto
e
dal
menu
pop
up
scegliete
“Attiva” (Activate). Ora potrete usare i gesti, seguendo il
procedimento descritto sopra. Appena arrivati in Second
Life, troverete una serie di gesti di default, che tutti hanno
a disposizione. Se, in qualunque momento, i gesti
dovessero disattivarsi, seguite semplicemente il processo
descritto sopra per riattivarli.
Guida tecnica per l’installazione di
OpenSIM
Requisiti di sistema e di rete
Per giocare con i giochi di ruolo virtuali su OpenSimulator
è necessario installare il client Second Life® 1
(www.secondlife.com)
Prima di scaricare il client occorre verificare di avere i
requisiti di rete e di sistema adeguati.
I seguenti requisiti sono gli stessi indicati sul sito di
Second Life, all’indirizzo http://secondlife.com/support/
system-requirements/
131
1 Second Life® and Linden Lab® sono marchi registrati di Linden Research, Inc.
1
Second Life® and Linden Lab® are registered trademarks of Linden Research,
Inc.
132
Note Importanti
* Second Life non è compatibile con dial-up internet, internet via
satellite, e alcuni servizi internet wireless.
** Second Life potrebbe non funzionare su schede grafiche diverse
da quelle sopra elencate. Le seguenti schede NON sono
compatibili con Second Life:
• Le schede NVIDIA che riportano come RIVA TNT o TNT2
• Le schede ATI che si identificano come RAGE, RAGE PRO,
oppure RADEON
320M, 340M, 345M, o simili numeri di modello
• I chipset Intel meno di 945 tra cui Intel Extreme
• Le schede con il marchio seguente: 3DFX, RIVA, TNT, SiS, S3,
S3TC, Savage, Twister, Rage, Kyro, millenni, MATROX
Le seguenti schede non sono state testate con Second Life, e la
compatibilità non è certa:
• Le schede NVIDIA Quadro che si identificano come
• Le schede ATI che si identificano come RADEON IGP o RADEON
XPRESS
• Le schede ATI che si identificano come FireGL
• Le schede ATI che si identificano come FireMV
Download del Client
SL Client 1.23 per Windows:
http://download.cloud.secondlife.com/
Second_Life_1-23-5-136262_Setup.exe
SL Client 1.23 per Mac
http://download.cloud.secondlife.com/
SecondLife_1_23_5_136262.dmg
SL Client 2.x NON è compatibile con i server Opensim
In alternative è possibile usare il client Hippo:
http://forge.opensimulator.org/gf/download/frsrelease/217/792/
Hippo_OpenSim_Vi ewer_v0
.6.3_Windows_Setup.exe
133
Firewall
È necessario configurare il firewall per raggiungere il server
OpenSim (IP130.186.8.23) sulla porta 8999, utilizzando i protocolli
TCP e UDP.
Configurazione del Client e primo log in
Dopo aver installato Second Life, occorre modificare le proprietà
del collegamento a
Second Life sul desktop, per poter raggiungere la nostra scuola
virtuale.
Se sul desktop non c’è il collegamento, lo si può creare seguendo
questi passaggi:
• aprire il menu di avvio e scegliere “Programmi”
• cliccare con il tasto sinistro del mouse sulla cartella Second Life
• cliccare con il tasto destro sull’applicativo Second Life
• scegliere “invia a” e quindi “Desktop”
A questo punto sul desktop dovrebbe apparire l’icona di Second
Life.
134
Il collegamento così creato deve essere modificato come segue:
• cliccare con il tasto destro del mouse sull’icona di
collegamento Second Life e scegliere “Proprietà”
• nella finestra “Collegamento” (la seconda) sostituire il testo
nella
casella “Destinazione” (c:¥Programmi¥SecondLife
¥SecondLife.exe) con il seguente testo (comprese le virgolette,
tutto il testo in grassetto): "c:¥Programmi¥SecondLife
¥SecondLife.exe" -loginuri http:// opensim01.cineca.it:8999
Come mostrato nel seguente screenshot:
Vi suggeriamo di rinominare il collegamento con il nome “Guichets
OpenSim”. Con un doppio click su questo nuovo collegamento
“Guichets OpenSim” si aprirà l’interfaccia del mondo virtuale e
potrete accedere usando le credenziali: Firstname: GUICHETS
Lastname: test
Password: xxxx
135
Scenario: La bella ragazza
Riassunto
Lucia una settimana fa si è accorta che una sua
compagna, Marta, tramava qualcosa contro di lei. Ha
visto Marta e ridacchiare spesso con alcune compagne e
cambiare discorso appena lei si avvicinava. In particolar
modo si è accorta che spesso ridevano guardando
qualcosa sul loro cellulare. Lucia aveva provato a
chiedere di cosa ridessero e Marta aveva risposto che le
faceva ridere un filmato fatto con il cellulare durante
l’ultima gita, ma Lucia non era convinta da tale
spiegazione. Dopo un paio di giorni Lucia aveva scoperto
che il video in questione riprendeva lei mentre si
cambiava nello spogliatoio della palestra della scuola.
Lucia allora ha cercato di prendere il telefono a Marta, ma
la ragazza glielo ha impedito. Lucia quindi ha litigato con
Marta e questa le ha annunciato che pubblicherà il video
su YouTube, in modo che tutti possano ammirare la sua
bellezza.
Due compagne di scuola che sono amiche sia di Lucia
che di Marta chiedono ad entrambe di andare allo
sportello di mediazione. Lucia e Marta decidono di
provare a rivolgersi ai mediatori.
Nozioni di base
Luogo
In giardino, durante la pausa.
Numero di giocatori
4
136
1. Scenario: La bella ragazza
Personaggi e istruzioni per i giocatori
Nome del personaggio
Lucia
Che cosa sai del tuo personaggio?
Età:
14
Background:
Lucia è la ragazza più bella della classe. È cresciuta di
colpo, e anche la sua bellezza è sbocciata durante lo
scorso anno scolastico, prima era ‘un maschiaccio’ e
nessuno dei ragazzi la guardava.
Anche se lei non indossa abiti appariscenti, tutti i ragazzi
della scuola adesso la guardano,
molti di loro si sono
innamorati di lei. Come conseguenza, molte ragazze
hanno iniziato ad escluderla, perché invidiano la sua
bellezza e non accettano il fatto che i ragazzi hanno meno
interesse per loro!. Lucia non è felice di questo e vorrebbe
far capire alle altre ragazze che i ragazzi non le
interessano e che non ha colpa di questa situazione.
Situazione familiare:
Lucia vive con i genitori e un fratello maggiore. La sua
famiglia è serena e molto attenta ai suoi problemi, così lei
ha raccontato ai suoi genitori la situazione che vive a
scuola.
137
Tratti della personalità:
È una ragazza solare, che ama trascorrere il suo tempo
con i suoi amici e compagni di scuola. Non è interessata
a ragazzi e non le piace la loro eccessiva attenzione su di
lei. Quando non si sente a proprio agio ha paura di
qualcosa, si innervosisce e diventa un po 'aggressiva.
Indossa di solito jeans e una t-shirt.
Situazione scolastica:
Lucia è piuttosto brava a scuola ed è apprezzata dai suoi
professori.
Cosa sa il personaggio degli altri personaggi?
Marta - E 'una delle ragazze che la invidia, a tal punto da
far di tutto per mettere Lucia in una situazione difficile
come quella in cui si trova adesso, Lucia si sente vessata
da Marta.
Che cosa sa il personaggio della situazione?
Da qualche mese Marta la tratta un po’ male, quando
vede il video che ha realizzato ha paura delle possibili
conseguenze della pubblicazione del video su YouTube.
Qual è il ruolo e il compito del giocatore in questo
scenario?
Vuole evitare che Marta vada avanti con il suo terribile
scherzo. Vuole spiegare loro non ha colpa di essere bella
e che non le importa della sua bellezza.
Un paio di compagne di scuola di Lucia e di Marta che
conoscono la situazione hanno suggerito ad entrambe di
andare allo sportello di mediazione per risolvere la
situazione. Lucia è molto arrabbiata ma ha anche paura
che venga pubblicato il video su Youtube e vuole che
Marta non la tormenti più.
138
Nome del personaggio
Marta
Che cosa sai del tuo personaggio?
Età:
14
Background:
Marta è innamorata di Francesco, un ragazzo simpatico e
grazioso della scuola, più grande di lei. All'inizio,
sembrava che F. fosse interessato a lei, ma da qualche
mese si interessa solo di Lucia, come tutti gli altri ragazzi,
perché lei è diventata la ragazza più bella della scuola.
Marta invidia Lucia per questo ed è convinta che sia
colpa sua se Francesco ha perso ogni possibile interesse
su di lei. Questo è il motivo per cui ha deciso di darle una
lezione, realizzando di un video di lei mentre si cambia
nello spogliatoio, con l'obiettivo di pubblicarlo su
YouTube.
Situazione familiare:
Vive con i genitori, che lavorano entrambi e spesso
tornano a casa tardi la sera. Così lei ha un sacco di
tempo per pensare alla situazione creatasi con Lucia e
Francesco che la fa stare male.
Tratti della personalità:
Ama essere al centro dell'attenzione e quando non ci
riesce diventa talvolta aggressiva e vendicativa. Soffre
perché non è ancora cresciuta e il suo aspetto è ancora
più simile a quello di una bambina, piuttosto che a quello
di una ragazza.
139
Situazione scolastica:
Non ama studiare e gli insegnanti si lamentano spesso
con lei per questo.
Che cosa sa il giocatore degli altri personaggi in
questo scenario?
Lucia - Marta non la sopporta, perché è troppo bella e lei
ha catturato l'attenzione del ragazzo che piace a lei.
Cosa sa il giocatore della situazione?
Ogni volta che Marta vede parlare Francesco con Lucia
diventa molto gelosa. Una volta è capitato che era
d’accordo con Francesco di fare i compiti insieme dopo
la scuola, in biblioteca. quando era andata lì lo aveva
trovato seduto accanto a Lucia e quindi è andata via
arrabbiatissima. Marta crede che Lucia faccia finta di non
essere interessata a Francesco e ai ragazzi in genere ma
in realtà sia la classica ‘gattamorta’.
Negli ultimi giorni ha parlato molto le sue amiche che le
hanno fatto capire che il suo atteggiamento nei confronti
di Lucia è ingiusto. Non può dare tutta la colpa solo a
Lucia se le cose non vanno come desidera. E soprattutto
non può mettere il video su Youtube. Marta non è
convinta che Lucia sia così innocente ma si fida delle
amiche e quindi accetta di provare a parlare con i
mediatori.
Qual è il ruolo del giocatore e del compito in questo
scenario
Vuole che Lucia smetta di ‘sedurre’ Francesco
140
2. Scenario Mike e Nic
Riassunto
Due studenti, Mike e Nic, frequentano la terza media ed
hanno un rapporto "difficile", che dura dall'inizio della
seconda media. Entrambi fanno parte della squadra di
calcio della scuola che ha vinto diversi tornei. Il primo
anno Mike e Nic erano diventati amici, ed anche se molto
diversi andavano d’accordo. Poi in seconda media hanno
litigato durante una partita e non si sono parlati più.
Adesso è iniziato il nuovo anno scolastico, la terza media
appunto, e la relazione è peggiorata, quindi è necessario
l'intervento di qualcuno che possa aiutarli nella gestione
di questa situazione.
Tre giorni fa Mike, durante la ricreazione, ha insultato la
madre di Nic e questo ha risposto a Mike, in presenza di
altri compagni di scuola: - Mike, quella che deve essere
insultata, non è mia madre, che non ha nessuna colpa,
ma la tua, perché ti ha abbandonato! Mike è diventato rosso per la rabbia, ha preso Nic per il
collo e lo ha spinto contro il muro, poi ha gridato: Stai
attento, idiota! Quando esco da scuola io ei miei
amici ......... ti facciamo male!!
Nessuno dei ragazzi presenti è intervenuto, Mike se ne è
andato e Nic si è sentito in colpa per le cose che ha detto
a Mike.
E' due giorni che Mike appare più nervoso, esce spesso
dalla classe e gli insegnanti lo rimproverano.
I due ragazzi hanno deciso di rivolgersi ai mediatori: oggi
all’uscita della scuola
Mike e Nic si trovano nel cortile
della scuola per parlare con i mediatori.
141
Posto
Cortile della scuola
Numero di giocatori
2 studenti, 2 mediatori
I personaggi e le istruzioni per i giocatori
Mike
Nic
Mike
Cosa sai del tuo personaggio?
Età: 14
Background: Mike è un ragazzo vivace e quando è
nervoso non rispetta le regole: se viene rimproverato dai
suoi insegnanti, respinge l'accusa e reagisce in modo
teatrale.
Situazione familiare: i suoi genitori non hanno alcun
contatto con la scuola e anche se erano stati inviati più
volte dagli insegnanti, hanno sempre difeso il figlio,
spiegando che è semplicemente un ragazzo vivace e che
il vero problema è che la scuola è non in grado di gestire
tali situazioni.
Mike è stato adottato quando aveva 5 anni, non appena
suo padre morì e sua madre lo abbandonò.
Comportamento: È un pò ansioso, loquace, ha talvolta
espressioni facciali infantili. Cerca sempre di avere un
contatto fisico con i suoi interlocutori, non rispetta le
distanze interpersonali necessarie. Dà spesso occhiate
sarcastiche, ridendo “sotto i baffi".
142
Situazione scolastica: Mike studia poco e i suoi voti
arrivano appena alla sufficienza. Gioca nella squadra di
calcio della scuola ma non partecipa alle gite e alle attività
sociali dell’istituto,
ed i suoi genitori hanno scelto
deliberatamente di non avere alcun contatto con i genitori
dei suoi compagni di scuola.
Quando è nervoso o si sente in difficoltà reagisce in
modo aggressivo, ad esempio offende i suoi compagni:
dice cose spiacevoli delle ragazze
o delle madri dei
ragazzi.
Che cosa sa questo personaggio degli altri
personaggi in questo scenario?
Nic è un compagno di scuola di Mike. In prima media
hanno iniziato a giocare entrambi nella squadra di calcio
ed erano diventati molto amici. Erano entrambi molto
bravi in attacco. Durante una partita in cui era venuto un
talent scout per reclutare nuovi giocatori per la squadra
cittadina Nic si era comportato male con lui, vicino alla
porta non gli aveva passato la palla (anche se era in una
posizione perfetta per segnare) e aveva proseguito
l’azione da solo per cercare di fare gol e quindi farsi
notare dal talent scout. Arrivati negli spogliatoi avevano
litigato ed erano venuti alle mani ed erano stati divisi dal
professore di educazione fisica. Da allora non si parlano
più e Mike ha diminuito il suo impegno nella squadra.
Questo è l’ultimo anno delle medie ed entrambi sanno
che non si vedranno più, perché Nic il prossimo anno
frequenterà il liceo, mentre Mike sarà andrà in un istituto
tecnico.
143
Che cosa sa questo personaggio della situazione?
Mike si sente umiliato da ciò che Nic e gli ha detto e
vorrebbe dargli una lezione. Inoltre è ancora arrabbiato
per il comportamento di Nic di 2 anni fa e, anche se non
vuole ammetterlo è dispiaciuto di avere perso un amico,
quando erano amici si divertivano molto insieme a
giocare a calcio o a parlare durante la ricreazione.
Qual è il ruolo del giocatore e il compito in questo
scenario
Mike reagisce alle frustrazioni diventando aggressivo ma
a volte sente la pesantezza di avere l’etichetta di quello
che offende, solo che non conosce altre modalità per
affrontare le difficoltà.
Non parla con nessuno della situazione familiare e ciò
alcune volte lo fa sentire solo. Dopo che Nic lo ha offeso,
comincia a sviluppare una forte volontà di rivincita.
Il suo insegnante di educazione fisica che è anche il suo
allenatore della squadra di calcio gli ha suggerito di
rivolgersi allo sportello di mediazione per cercare di
risolvere la situazione tra lui e Nic. Mike decide di fare un
tentativo anche perché gli dispiace dire di no al suo
allenatore.
Nic
Cosa sai del tuo personaggio?
Età: 14
Background: Nic è un compagno di scuola Mike
Situazione familiare: ha un buon rapporto con la sua
famiglia. Ha un buon rapporto con le ragazze, che si
trovano bene con lui e apprezzano la sua simpatia e
capacità di ascolto.
144
Tratti di personalità: Nic è sicuro di sé e dato che riesce
bene in tutto quello che fa, affronta le situazioni pensando
di potersela sempre cavare bene.
Situazione scolastica: Nic è uno studente eccellente, tra
i migliori della sua classe, ha modi gentili e sembra
sensibile.
Che cosa sai degli altri personaggi in questo
scenario?
Nic si sente in colpa nei confronti di Mike per quello che
gli ha detto due giorni fa. Molti ragazzi a scuola sanno
che Mike è stato adottato a 5 anni, quando suo padre è
morto e sua madre l’ha abbandonato. Quando Mike ha
cominciato ad offenderlo non ci ha visto più e ha risposto
con la cosa più cattiva che gli veniva in mente, ma in
questo caso ha esagerato.
Nic in questi giorni ha ripensato a quando lui e Mike
erano amici ed era bello giocare insieme. È ancora un po’
arrabbiato con Mike per il litigio di 2 anni fa. Avevano
giocato una partita amichevole alla presenza di un talent
scout. A fine partita, negli spogliatoi, Mike lo aveva
accusato di essere stato egoista e di non avergli passato
la palla anche se era in posizione per segnare perché
voleva essere notato dal talent scout. Sicuramente
durante la partita Nic era molto concentrato a fare bella
figura e a segnare un gol. ma non aveva visto che Mike
era in posizione da gol, secondo lui Mike se l’è presa
troppo.
145
Che cosa sa il personaggio della situazione?
Il giorno dopo il litigio tra Nic e Mike, Anthony, il migliore
amico di Nic, ha detto ai suoi genitori quello che è
successo, questi si sono messi in contatto con i genitori
di Nic e gli hanno raccontato tutto. I genitori di Nic
vogliono parlare con il preside, ma Nic si oppone a tale
decisione, perché vuole risolvere la faccenda senza i
genitori. Anthony gli ha suggerito di rivolgersi allo
sportello di mediazione della scuola, ed in effetti potrebbe
essere una buona idea.
Qual è il ruolo e i compiti del personaggio in questo
scenario
Anche se spesso Mike è antipatico ed aggressivo, Nic è
dispiaciuto per quello che è successo con Mike e si
vergogna di aver detto quelle cose in presenza dei suoi
compagni di scuola: teme di apparire vigliacco per quello
che ha detto a Mike. Vuole riparare a questa situazione
anche se non ama chiedere scusa.
Informazioni per i moderatori (dato solo ai moderatori)
Mike e Nic hanno litigato. Vedere il Riassunto per i
dettagli del dialogo tra Mike e Nic
Percorsi possibili della situazione
Mike Nic iniziano si recano nel cortile della scuola per
incontrare i mediatori.
Modi in cui i moderatori possono intervenire nella
situazione
In caso i ragazzi escano fuori dai loro personaggi o
diventino troppo aggressivi si deve fermare il gioco,
suggerendo di cercare di trovare un modo possibile per
gestire la situazione.
Nel caso i ragazzi recitino il loro ruolo svolgono il loro
ruolo utilizzando le tecniche di mediazione.
146
3. Scenario Francesca ‘il maschiaccio’
Riassunto: .Francesca è un ragazza di 15 anni che
frequenta il primo anno dell'Istituto Tecnico Commerciale
e la sua colpa è quella di avere una voce un po' bassa e
una fisionomia abbastanza mascolina. Un gruppo di suoi
compagni e compagne di classe, capeggiate da Serena
che invece è una ragazza molto femminile e corteggiata
dai maschi della scuola, prendono spesso in giro
Francesca.
Serena e alcuni suoi compagni e compagne di classe un
giorno arrivano a mandarle un biglietto finto firmato da
una ragazza di un'altra classe che dichiarava di essersi
innamorata di “lui”. Questo episodio per lei è stato troppo
umiliante, perché nel giro di pochissimo lo sapeva tutta la
scuola e tutti ridevano di lei.
Francesca allora scoppia a piangere e vuole picchiare
Serena per il male che le ha fatto, Serena si mette a
gridare offendendola e dicendole che non si deve
permettere nemmeno sfiorarla, ma a quel punto
intervengono dei compagni che le fermano e le fanno
calmare e propongono di andare in mediazione.
Informazioni generali:
Luogo:
L'episodio avviene nel corridoio della scuola, sotto gli
occhi di tutti i ragazzi e ragazze della scuola.
Numero giocatori: 3
Oggetti: un bigliettino
Personaggi e istruzione per i giocatori
Nome del personaggio 1 : Francesca
Età: 15
147
Backgrond: Francesca è una ragazza di indole
abbastanza mite, non ama la violenza anche se quando la
rabbia le arriva al culmine può sfociare in aggressività.
Francesca è una ragazza che è cresciuta insieme ai suoi
due fratelli maschi più
grandi e da loro ha preso molti
modi di fare, è giovane e non ha ancora definito bene la
sua identità e questo la mette spesso in crisi.
Situazione familiare: Francesca viene da una famiglia
modesta e viene seguita il giusto nelle sue faccende
scolastiche, non si confida molto con i genitori e si tiene
tutto dentro di sé.
Caratteristiche e aspetto: Francesca non è molto alta, ma
ha un fisico robusto e tratti
molto mascolini. A renderla più mascolina sono i suoi
atteggiamenti che esprime con naturalità e che non riesce
a cambiare e il suo abbigliamento che consiste in
magliette larghe che nascondono le forme e jeans.
Francesca è mite, ma anche molto fragile proprio perché
non riesce ancora a dare un nome alla sua identità.
Situazione scolastica: Francesca ha iniziato il nuovo anno
scolastico con qualche difficoltà e più il tempo passa più
odia la scuola e non vorrebbe più andarci
Personaggio 2: Serena
Età: 15
Background: Serena è una ragazza che è stata sempre
abituata ad essere al centro dell'attenzione e voluta come
amica dalle sue compagne di classe, perché è una delle
ragazze più belle e alla moda della scuola. Forte
dell'appoggio delle compagne e dei compagni che invece
la vogliono conquistare non teme rifiuti e per farsi notare
ancora di più lo fa prendendo di mira una sua compagna,
148
Francesca, che non ha mai fatto niente per essere sua
amica e che anzi non la considera.
Situazione familiare: Serena era una ragazzina molto
gentile, finché la nascita un anno fa del suo fratellino l'ha
trasformata in una bimba superba, aggressiva e sempre
pronta a fare dispetti.
Carattere e aspetto: Serena è viziata, poco attenta alla
sensibilità altrui e molto superba. E' per contro molto
bella, con capelli biondi lunghi, occhi verdi e pelle bianca
e liscia.
Situazione scolastica:
Serena si cura poco del suo
rendimento scolastico, anche se riesce a ottenere sempre
la sufficienza per andare avanti senza problemi.
Informazione su cosa è accaduto:
A Francesca viene consegnato un biglietto da una
compagna e sopra c'è la dichiarazione d'amore di una
ragazza di un'altra classe. Il biglietto in realtà è stato
scritto da Serena al fine di umiliarla e deriderla. Questa
scena avviene nel corridoio della scuola, tutti vengono a
sapere cosa è successo è tutti ridono di Francesca e
dell'equivoco in cui si è trovata. Tutti ridono e guardano
Serena e Francesca ha la conferma che è stata lei a
scrivere il bigliettino.
149
4. Scenario I fotografi
Un nuovo studente è arrivato alla scuola: Martin. E
'davvero bello, alto e simpatico. Un sacco di ragazze lo
corteggiano.
Paula e Carla, che erano molto amiche, hanno litigato per
alcune foto che ritraggono Paula e Martin abbracciati che
sono state pubblicate sul sito della scuola. Carla era
venuta a sapere delle foto da un suo compagno di classe.
Prima di questa situazione, Carla aveva confessato a
Paula di essere innamorata di Martin. Carla si è molto
arrabbiata ed ha litigato con Paula.
I compagni di classe hanno suggerito alle ragazze di
andare dal mediatore e dopo un paio di settimane
passate senza parlarsi le due ragazze si rivolgono ai
mediatori.
Paula
Età: 14 anni
Background: Paula ha un sacco di amici ed è un po’
pettegola: le piace sapere tutto quello che succede a
scuola. L'unica persona con cui ha un rapporto di
amicizia più sincero è Carla. La scorsa settimana, Paula
ha passato un pomeriggio con Martin. Hanno
chiacchierato giocato e ha scattato alcune foto che li
ritraevano insieme. Paula sapeva che Carla era
innamorata di Martin, ma non ha pensato troppo alle
conseguenze delle sue azioni. In effetti, ha pensato che
queste foto le avrebbero dato più popolarità nella scuola.
150
Aspetto: E 'una bella ragazza.
Situazione scolastica: Normale.
Cosa sa Paula degli altri personaggi in questo scenario?
Paula pensa che Carla sia una sciocca, perché lei è
innamorata di Martin, un ragazzo stupido e inutile. È
convinta che Martin non vada bene per lei.
Cosa sa Paula della situazione?
Carla le ha inviato un sms aggressivo chiedendole di
parlare. Paula si era sorpresa di questo tipo di
messaggio, ma era andata all’appuntamento.
Carla si è arrabbiata per le foto che ritraggono lei e Martin
insieme, lei ci ha riso su e l’ha presa un pò in giro. Le ha
fatto credere che c’è una relazione tra lei e Martin, solo
per dimostrarle che l'amicizia è più importante di qualsiasi
ragazzo.
Carla
Età: 14 anni
Carla è un po 'complessata con la sua altezza. Non molto
tempo fa, ha incontrato Martin. Hanno parlato qualche
volta e lei aveva pensato che poteva iniziare una relazione
seria con lui, anche
se non è così bella come le altre
ragazze. Ha raccontato tutto a Paula. Qualche giorno
dopo aveva visto alcune foto di Paula e Martin abbracciati
sul sito della scuola. Si era sentita tradita dalla sua amica,
così aveva dato a Paula un appuntamento per incontrarla
nel parco giochi, per insultarla e rompere la loro amicizia.
Aspetto: Lei è un po’ bassina.
151
situazione scolastica: Normale.
Cosa sa Carla degli altri personaggi in questo scenario?
Paula: E 'una ragazza superficiale e inaffidabile
Cosa sa Carla della situazione?
Quando ha litigato con Paula le ha detto che è una
pettegola, una cattiva amica anzi una persona cattiva che
cerca di rubare i ragazzi che piacciono alle altre. A
momenti la picchiava pure.
152
5. Scenario Lavoro di squadra
Riassunto
L'insegnante di scienze ha deciso che tutti gli studenti
devono presentare un lavoro (una ricerca sulle specie
animali che vedranno nella prossima gita). Divide la classe
in coppie, ogni coppia dovrà collaborare nella
realizzazione di una ricerca. C’è però una coppia di
studenti (Susanna e Alvaro) che crea problemi. In
particolare Susanna non vuole far coppia con Alvaro.
Inizia a dire a tutti che non è contenta di fare la ricerca
con Alvaro ma non lo dice direttamente a lui. Susanna
vorrebbe fare la ricerca con Daniel, che è il suo ragazzo.
Alvaro lo viene a sapere e si arrabbia. Alvaro pensa di
essere discriminato perché ha un difetto dell’udito (70%
di invalidità) che riesce però a compensare leggendo le
labbra.
Susana
Età: 15 anni
Background: Non ha mai avuto problemi con i suoi
compagni di scuola. Lei non vuole avere nemici, così
cerca di andare d'accordo con tutti. Avrebbe preferito
lavorare con Daniel, il suo ragazzo. È molto preoccupata
e interessata al lavoro, perché ha bisogno di un buon voto
per non essere bocciata.
I tratti della personalità: E 'abbastanza normale, forse un
po' interessata a finire le cose velocemente per avere
tempo da passare con il suo fidanzato.
153
Situazione a Scuola: Non va molto bene. Non ha buoni
voti.
Che cosa sa Susana di Alvaro?
Sa che lui si arrabbia quando la gente non lo lascia
partecipare alle attività a causa della sua sordità.
Álvaro
Età: 15 anni
Background: Ha il 70% di invalidità dell’udito dalla
nascita, ma può leggere le labbra e comunicare se la
gente collabora un po '.
Situazione iniziale: Egli è il figlio unico di una famiglia
normale.
I tratti della personalità: Alvaro è timido, così i suoi
compagni di classe hanno difficoltà a interagire con lui. Si
sente discriminato e crede che la gente lo tenga a
distanza per la sua invalidità.
Situazione della scuola: E 'uno studente brillante.
Cosa sa Alvaro di Susana?
È una bella ragazza, ma molto egoista, perché è sempre
alla ricerca di favori della gente. Alvaro è arrabbiato con
Susana che non vuole fare la ricerca con lui. Anche se
Susana non glielo dice apertamente lui lo ha capito e ne
soffre.
154
6. Scenario La partita a scacchi
A scuola viene organizzato un torneo di scacchi. La
classe di George e Paul, decide di partecipare, ma Paul
viene scartato dal caposquadra George, perché
quest’ultimo non
lo ritiene
abbastanza bravo. Paul ci
rimane molto male, ma non lo dice direttamente a lui,
decide di andare dalla professoressa a lamentarsi
dell’accaduto. si sente escluso ingiustamente. La
professoressa allora interviene e obbliga George a
inserirlo nella squadra. Durante la partita finale del torneo
Paul sbaglia una mossa decisiva e quindi tutta la squadra
perde. Da qui ne nasce una lite con George che lo prende
in giro e lo accusa di non sapere giocare. Nessuno dei
compagni presenti interviene e Paul
nervoso se ne va.
Dopo alcun giorni, Paul decide di andare in mediazione e
anche George accetta. All’ora concordata escono in
cortile per incontrare il mediatore
Nozioni di base
Luogo:
In giardino, durante la pausa.
Paul
Età 15 anni
Backgrond: Paul è stato sempre un bravo ragazzo
scherzoso,
rispettoso delle situazioni, bravo a scuola.
Gioca a scacchi da quando era molto piccolo.
Caratteristiche: ha un carattere nervoso, non ama le
situazioni in cui è messo sotto stress. E’ un po’ insicuro.
155
George
Età 15 anni
Background: è considerato il leader della classe, per il
suo modo di fare. E’ molto concentrato su di sé e poco
attento a ciò che accade ai suoi compagni che invece lo
ammirano molto. E’ molto bravo a giocare a Scacchi ma
non quanto Paul, ed è geloso di questo
Carattere e aspetto: George ha un carattere molto forte, è
sicuro di se Cerca sempre di avere un contatto fisico con i
suoi interlocutori, non rispetta le distanze interpersonali
necessarie E' stato eletto capo classe
Situazione scolastica: George non studia molto
156
7. Scenario Giovanni il buffone
Riassunto: Il periodo in cui accade il fatto è verso la
seconda metà dell'anno scolastico. Giovanni
frequenta la prima media e dall'inizio dell'anno si è
proposto ai suoi compagni come il
ragazzo che fa sempre ridere, che fa battute anche
quando non è il caso e che risponde sempre con
delle mimiche facciali alquanto “strambe”. Dopo i primi
tempi a scuola Giovanni inizia a
essere presentato agli altri ragazzi della scuola come lo
“scemo” della classe, lui ci rimane molto
male, ma non dice niente. Più passa il tempo più questa
etichetta non se la leva più di dosso. Non ci
sta più bene dentro, lui voleva solo essere simpatico e
accettato dai suoi compagni e non lo scemo
della scuola. Alcuni insegnanti cominciano a preoccuparsi
quando verso la seconda metà dell'anno
scolastico quando Giovanni viene interrogato inizia a non
rispondere più alle domande perché dice
che tanto lui è scemo. I compagni ridono e gli chiedono di
fare le facce da stupido, a lui sta
crescendo dentro molta rabbia, ma non sa come fare a
comunicarla ai suoi compagni.
Tra i compagni che lo prendono maggiormente in giro c’è
Enrico che è il leader della classe.
Un giorno Enrico e Giovanni litigano violentemente.
Alcuni compagni più sensibili parlano con entrambi
suggerendogli di rivolgersi alla mediazione.
I due accettano e all’ora concordata escono in cortile per
incontrare il mediatore (o i mediatori).
157
Personaggi e istruzione per i giocatori
Nome del personaggio 1 : Giovanni
Età: 11
Backgrond: Giovanni è stato sempre un ragazzo
scherzoso fin dalle scuole elementari, sempre
contenuto e rispettoso delle situazioni, ha sempre tenuto
al suo rendimento scolastico fino all'impatto con la nuova
scuola e i nuovi compagni delle Medie.
Situazione familiare: Giovanni viene da una famiglia
agiata, è figlio unico e viene sempre iper protetto dalla
mamma e dal papà
Caratteristiche: E' un ragazzo, seppur sempre pronto a
fare ridere tutti, molto
nervoso e continuamente sfoga il suo nervosismo sugli
oggetti che ha intorno “torturandoli” in continuazione.
Situazione scolastica: Fino dalle scuole elementari
Giovanni ha sempre avuto dei rendimenti non eccelsi, ma
buoni e anche all'inizio del I quadrimestre andava
abbastanza bene, poi qualcosa dentro di lui è sembrato
essersi rotto, non avuto più fiducia nelle sue qualità e ha
iniziato a dire che non poteva capire perché lui è uno
stupido e che è così perché glielo dicono sempre tutti.
Giovanni in questo periodo della scuola fa ridere i
compagni, ma dentro è arrabbiato e triste anche se non
riesce
a manifestare questi suoi sentimenti.
Personaggio 3: Enrico
Età : 11 anni
158
Background: Enrico è considerato il leader della classe,
per il suo modo di fare sempre sulle righe, brillante,
propositivo, ma spesso troppo concentrato su di sé e
poco attento a ciò che accade ai suoi compagni che
invece lo ammirano molto. Enrico è uno dei compagni di
Giovanni che sempre lo prende in giro, gli chiede di fare le
espressioni da buffone e lo presenta ai compagni e alle
compagne della scuola (che quando lo vedono ridono)
come uno scemo e un po' “toccatello” di testa.
Carattere e aspetto: Enrico è un ragazzo molto
intelligente, ironico e brillante nelle sue intuizioni
scolastiche, è forte negli sport e ama essere al centro
dell'attenzione. E' stato eletto capo classe e nelle
assemblee la rappresenta lui.
Situazione scolastica: Enrico è bravo a scuola pur non
studiando molto, è
bravo nello sport aiutato anche dal
suo fisico ben piazzato.
159
8. Scenario Les
Riassunto
Les è un ragazzo di 14 anni che ha poca fiducia in se
stesso e si fa trascinare con facilità dagli altri. Dan infatti
si porta dietro Les e lo convince a fare cose cattive. Les
di solito ci ride su e tutti gli altri ridono di Les. Su
suggerimento di Dan durante la ricreazione Les alza la
gonna di Joyce e lei dalla rabbia e dalla vergogna si mette
a piangere e litiga furiosamente con Les.
A Joyce Les era simpatico anche se ha sempre pensato
che è un po’ stupido a farsi trascinare da Dan a fare
cattiverie continuamente. Adesso è molto arrabbiata con
Les.
Dopo qualche giorno i compagni di classe suggeriscono
a Les e Joyce di andare in mediazione. I due decidono di
fare un tentativo e si rivolgono ai mediatori.
Les
Cosa sa l’attore del proprio personaggio?
Età:
14 anni
Background:
Les è grande e in sovrappeso. Ha
paura di prendere l'iniziativa nelle
situazioni ed ha una bassa autostima.
Situazione
Les vive con la madre. Suo padre ha
familiare:
lasciato la casa sei anni fa e vive con
un altra donna. Les non vede quasi
mai suo padre e non parla mai di lui.
Les è figlio unico.
160
Personalità:
Apparentemente Les è un buffone e
tutti lo vedono fare ‘casino’ in giro e
scherzare sempre ma quando è solo è
molto triste. Non ha veri amici. Crede
di essere stupido ed è confuso su se
stesso.
Situazione
Les sta avendo molti problemi con gli
scolastica:
insegnanti. Gli altri studenti lo
spingono a fare cose stupide a scuola
e poi ridono delle conseguenze delle
sue azioni
Cosa sa il giocatore degli altri personaggi dello
scenario?
Dan è nella stessa classe di Les ed è considerato un tipo
‘figo’
Joyce è una compagna di classe noiosa e niente affatto
divertente
Cosa sa il Personaggio della situazione?
Les vuole solo ridere e scherzare, gli piace anche far
ridere la gente. Les vorrebbe avere un amico con cui
andare in giro. Ammira molto Dan e vorrebbe diventare il
suo migliore amico.
Dan (personaggio citato ma non presente all’incontro)
A Dan piace far fare a Les tutte le cose più cattive e folli
che riesce a pensare specialmente quelle che lui ha paura
di fare personalmente.
Dan cerca di convincere Les a dire cose cattive ai
compagni, a far finta di andare in bagno per combinare
161
guai, a rispondere in modo stupido ai professori, a ballare
sulla scrivania, ect.. Dan fa fare queste cose a Les ma lui
non fa niente in prima persona.
Joyce
Età:
14 anni
Background:
Joyce è una ragazza seria e
studiosa. Ha alle spalle una
situazione stabile
Situazione familiare:
Joyce vive con i genitori e un
fratello più piccolo
Personalità:
Joyce vuole riuscire bene a scuola
e nella vita. Non gli piace giocare
lo considera una perdita di tempo.
Ha pochissimi giochi e fa poche
cose fuori dalla scuola.
Situazione scolastica: Joyce è tra le più brave a scuola e
di solito è la prima a consegnare I
compiti.
Cosa sa Joyce degli altri personaggi dello scenario?
Les in fondo non è un ragazzo cattivo è solo un pò troppo
stupido. Si fa trascinare da Dan a fare cose stupide e
irritanti agli studenti e ai professori e viene rimproverato
molto spesso dagli insegnanti. Ha bisogno solo di
calmarsi un po’ e prendere la vita un po’ più sul serio.
Dan è un bullo. A Joyce non piace Dan e non vuole avere
a che fare con lui.
Les dovrebbe cominciare a pensare con la sua testa e ad
ignorare Dan che sembra riuscire a fargli fare cose pazze
a scuola.
162
La comunicazione al tempo della
net-generation
Romano Mazzon
Parlare oggi, inizio 2013, di comunicazione significa
prendere atto del fatto che si sta parlando di un campo in
progressivo cambiamento. L'unico punto certo rimasto è
che occorrono, come minimo, un emittente e un ricevente
e che la comunicazione tra i due può essere disturbata
dal rumore di fondo: dalla confusione di un mercato
mentre due amici parlano tra loro, alla connessione ad
alta velocità che non funziona in pieno quando i due amici
utilizzano un sistema Voice over IP (Voce tramite
protocollo Internet), acronimo VoIP. Per il resto si tratta di
un campo in cui l'introduzione delle Information
Comunication Tecnologies (ICT) e delle sempre più ampie
possibilità di accesso alla rete, il tutto a prezzi accessibili,
determina cambiamenti veloci. Sino a un tre/quattro anni
fa, si vedevano i bambini di pochi anni aprire i libri come
fossero computer portatili e notare, stupiti, che non
succedeva niente schiacciando. Negli ultimi due anni i
bambini di quella stessa età cercano di ingrandire le foto
sulle riviste cartacee con un touch.
163
Tra crisi e opportunità
Non disponendo di una lampada di cristallo, non è
p o s s i b i l e p re v e d e re c o s a q u e s t o c o m p o r t e r à .
L'impressione è di trovarsi in un momento di
cambiamento tecnologico, di crisi, di opportunità. Si
parla molto di ritardo tecnologico. Se si effettua una
ricerca sul motore di ricerca Google, si trova che “ritardo
tecnologico” ha un milione e quattrocento novantamila
occorrenzze. Il sociologo W. F. Ogburn, trattando di
tecnologia e mtamento sociale nei primi anni del '900,
caratterizzati da un simile mutamento tecnologico,
descriveva il ritardo tecnologico come un momento in
cui la conoscenza e la dimestichezza con le nuove
tecnologie è molto più presente nei governati pittosto che
nei governanti. Non per altro la generazione nata dopo la
diffusione della rete e della banda larga viene definita
composta da nativi digitali. Ossia coloro che sono nati
quando queste tecnologie erano ormai diffuse e non
hanno conosciuto forme diverse di comunicazione. I loro
supereroi non si trasformano in una cabina telefonica,
come Super Man, ma si trasformano grazie ai poteri
segreti contenuti nei loro particolari telefoni cellulari,
come i Power Rangers.
Se questa discrepanza può essere vista come una crisi
bisogna considerare anche una delle opportunità che
nascono da questa. Un periodo simile, nell'uso delle
tecnologie, seguendo il sociologo J. Simmel (anche lui
attento analizzatore dei cambiamenti tecnologici e sociali
dell'inizio del secolo scorso), permette alle capacità
soggettive di esprimersi e trovare soluzioni originali a
problemi che si pensavano insolubili.
164
Negli anni 2000 un contributo all'analisi dei cambiamenti
in corso è venuto dal sociologo H. Rheingold e dalla sua
idea di smart mobs, moltitudini intelligenti. Secondo
l'autore le nuove rivoluzioni sociali nasceranno dalle
sempre maggiori possibilità di connettività tra le masse
attraverso l'uso degli smart phone. Da notare che questo
lo ha scritto anni prima rispetto alle Primavere Arabe.
Dal collettivo al connettivo
Dalla ricerca fatta in questo progetto su ragazzi delle
scuole medie si è trovato che oltre il 98% usa internet e
che oltre il 90% di questi lo usa per comunicare con gli
amici. Se si osservano gli strumenti utilizzati per
comunicare con gli amici, si trova che la parte da leone la
fanno sistemi portatili, computer portatili, cellulari,
smart phone, tablet. La diffusione sempre più vasta di
questi dispositivi a partire dalle scuole elementari è
confermata anche dal X rapporto annuale di Telefono
Azzurro. La riduzione dei costi degli strumenti (si è passati
dai milioni della fine degli anni '90 per un PC ai 150 € per
un tablet), la sempre maggiore facilità di approccio (user
friendly) sta producendo una diffusione ccapillare di
questi strumenti. La connessione alla rete, la
partecipazione a una discussione che non è
esclusivamente uno ad uno si è notevolmente ampliata
unendo in un vorticoso cambiamento le potenzialità di
telefonia e personal computer. Il fenomeno riguarda
anche i videogiochi, vista la possibilità che si ha di
connettere tra loro più console, sia in copresenza che a
distanza tramite la rete. Una serie di opportunità che
165
spesso sfuggono al mondo adulto, un mondo adulto
che, in diversi casi, apprende le nuove funzionalità proprio
dalle generazioni più giovani. Un po' come gli immigrati
italiani negli USA in cui molto spesso i genitori
apprendevano l'inglese dai figli. Non per altro le
generazioni nate prima della diffusione di queste
tecnologie vengono definite immigrati digitali.
Un esempio di questo è il seguente dialogo, intercorso tra
un ragazzino di 5° elementare e suo padre furi dalla
scuola, all'inizio dell'ano scolastico 2011 – 2013:
Figlio: La nostra maestra non ci lascia portare a scuola il
Nintendo per giocarci nell'intervallo mentre quella di 4°
glielo lascia, non è giusto!
Padre: Sempre lì attaccati al Nintendo ad isolarvi,
possibile che almeno quando siete in cortile durante
l'intervallo non possiate fare dei giochi insieme? Sempre e
solo a schiacciare...
Figlio: Ma papà, noi ci connettiamo!
Si asssite a un passaggio dal gruppo inteso come
collettivo al gruppo inteso come connettivo. Il filosofo D.
De Kerckhove afferma:
con il Web e con l'accesso che abbiamo a questa
intelligenza collettiva, a questa base cognitiva, …
possiamo avere accesso a tutto senza avere imparato mai
niente. Ciò è divertente, fa parte del piacere di
appartenere della nostra epoca, di essere legati a questa
formidabile memoria collettiva.
Dalla ricerca emerge che la rete non viene utilizzata per
sole attività di svago come ascoltare musica, guardare
video o giocare. La rete, se principalmente viene utilizzata
per comunicare con gli amici, viene anche intesa come
strumento per lo studio e per tenersi informati. Non si
vuole qui discutere sulla qualità delle informazioni trovate
166
ma sicuramente rappresenta uno strumento completamente
nuovo per la conoscenza, essendo stati abbattuti diversi
ostacoli attraberso la condivisione di contenuti.
Emozioni e social network
Parallelamente a questo cambiamento tecnologico si è
sempre più diffuso l'uso di social network. Vi è una
tendenza sempre crrescente a possedere uno, o più,
account su questo tipo di piattaforme. A questa tendenza
si associano anche i ragazzi delle scuole medie di
Mazzara del Vallo se l'86,5% dichiara di essere iscritto
almeno ad un social network. Il più diffuso viene
confermato Facebook, a cui sono iscritti tutti coloro che
usano questo tipo di strumento. Da sottolineare che però
Facebook non è l'unico social networ utilizzato. Tra i
giovani raggiunti dal questionario si notano anche Badoo
e MySpace che raggiungono entrambe il 10% del gruppo.
La partecipazione a social network comporta uno
sviluppo di quella che D. Goleman chiama intelligenza
emotiva, la capacità di riconoscere le proprie e altrui
emozioni, regolando le proprie emozioni in modo
adeguato. Questo scambio di emozioni è la merce deii
social network. Un bene relazionale basato sulla
condivisione di emozioni.
Dalla ricerca emergono due criticità principali legate
all'uso dei social network:
‣ una difficoltà, riconducibile alle tappe dello sviluppo,
nel prevedere le emozioni dell'altro;
‣ una non conoscenza, dovuta a una diffusa mancanza
di confronto su qursto argomento, delle conseguenze
167
di fornire i propri dati personali rendendoli disponibili in
rete e permettendo a una società privata di trattarli.
Da notare che il gruppo preso in considerazione non
aveva l'età per essere iscirtto a Facebook ma ha
semplicemente mentito nella casella in cui deve essere
inserita la data di nascita. Proprio perché si tratta di uno
scontro tra nativi di un ambiente e immigrati che non
conoscono così bene il territorio, appare difficile limitare
l'accesso attraverso divieti, mentre appare molto più
fruttuoso creare un ambiente della conoscenza, un
ambiente che, seguendo il modello della connettività,
metta a disposizione i saperi, che non li costudisca
proteggendoli, che renda accessibile sempre più
l'informazione permettendo la collaorazione di tutti
Prospettive
Dall'esperienza del progetto emerge come sia importante
riscire a utilizzare le ICT per comunicare con le giovani
generazioni. Se queste generazioni dimostrano una
familiarità prima sconosciuta con questi strumenti rimane
il compito educativo del mondo adulto. Un 'educazione
intesa come “tirare fuori” o, utilizzando il modello di
Danilo Dolci, un'operazione di capacitazione. Tale
operazione può avvenire utilizzando un modello di peer
education e proponendo l'uso di queste nuove tecnologie
anche per la comunicazione verso le istituzioni locali,
un'operazione che sappia utilizzare queste nuove
capacità/competenze per crescere cittadini attivi, in grado
di promuovere uno sviluppo sociale ed economico
sostenibile e duraturo.
168
La mediazione
dell’apprendimento
169
170
O.N.S.A obiettivi non specifici di
apprendimento
Rosanna Frosina
Si fa mediazione allorquando gli insegnanti si
interpongono (modificandolo) in quel segmento che va
dal sapere disciplinare (fatto di contenuti, concetti,
linguaggi,ecc) all’attività vera e propria di apprendimento.
Quindi da una parte appare il contenuto e
dall’altra i
giovani, con i propri strumenti . L’insegnante è chiamato
ad intervenire per mediare proprio tra questi due
elementi : contenuti e beneficiari.
La mediazione dell’apprendimento di tipo tradizionale si
pone come obiettivo la trasmissione erga omnes dei
contenuti,mentre quella considerata più
efficace ha
l’obiettivo di educare all’apprendimento, mettendo gli
alunni nelle condizioni di imparare ad imparare. Per
fortuna, posso testimoniarlo, esiste tutta una generazione
di insegnanti che già da anni opera in questo
senso…….ma allora qual è la sfida di oggi?
La sfida è quella di mediare anche nella formazione di
quegli atteggiamenti considerati pro sociali
dove la
scuola deve fungere da palestra per un allenamento
quotidiano e sistematico.
La scuola, oggi,è chiamata a garantire l’unitarietà del
sistema di istruzione e di formazione attraverso il
raggiungimento, da parte degli alunni di specifiche
competenze (OSA).
171
Le NUOVE
INDICAZIONI NAZIONALI PER IL
CURRICOLO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL
PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE del 2012, però,
asseriscono che: <<La scuola
si deve costruire come
luogo accogliente,coinvolgendo in questo compito gli
studenti stessi. Sono infatti,importanti le condizioni che
favoriscono lo star bene a scuola,al fine di ottenere la
partecipazione più ampia dei bambini e degli adolescenti
a un progetto educativo condiviso. La formazione di
importanti legami di gruppo non contraddice la scelta di
porre la persona al centro dell’azione educativa,ma è al
contrario indispensabile per lo sviluppo della personalità
di ognuno…>>.
Perché non pensare,allora,di porsi degli
obiettivi non proprio “specifici” facendoli
“emergere”
dai diversi campi disciplinari? E’ necessario interrogarsi
su quali strategie adottare al fine di a)promuovere un
atteggiamento riflessivo b)migliorare il controllo del
c o m p o r t a m e n t o c ) c o s t r u i re c o r re t t e a b i t u d i n i
comportamentali per controllare
e pianificare quegli
atteggiamenti che possono prevenire la violenza…
Ecco perché,quasi in maniera provocatoria,li ho chiamati
ONSA, obiettivi non specifici di apprendimento, facendo
riferimento a quelli invece specifici (OSA) con cui all’inizio
dell’anno siamo chiamati a confrontarci per la
programmazione didattica.
Per spiegare ai non addetti ai lavori cos’è un obiettivo
specifico di apprendimento,vi riporto l’esempio di
un’unità didattica all’interno di una classe prima: viene
proposta ai bambini una scheda con un disegno
rappresentante due insiemi,uno con elementi che hanno
la stessa caratteristica e l’altro con elementi che non
172
hanno quella caratteristica Per intenderci,ad esempio un
insieme con gruppo di bambini con un cappellino ed un
insieme con un gruppo di bambini senza cappellino. Ai
bambini toccherà denominare e riconoscere il gruppo che
non ha il cappellino riconoscendo la negazione di una
c a r a t t e r i s t i c a . . L’ O B I E T T I V O S P E C I F I C O D I
APPRENDIMENTO (OSA) quindi da raggiungere sarà:
c l a s s i fi c a re i n b a s e a l l a n e g a z i o n e d i u n a
caratteristica, Come raggiungere, invece, il cosiddetto
ONSA partendo da un percorso cosi’ accademico?
Questo è il momento in cui l’insegnante mediatore deve
fare quello che il prof. Feuerstein chiama trascendenza,
approfittare cioè dell’occasione per allargare gli
orizzonti, in modo da generalizzare partendo dal
particolare per arrivare alla individuazione di un
principio.
Nel caso specifico,ad esempio,si può guidare il gruppo
classe ad una serie di riflessioni del tipo :<< disegnate
due insiemi ,uno di bambini con la pelle bianca (che loro a
questa età chiamano rosa) ed un altro con bambini con la
pelle non bianca. Alla fine,racchiudete i due insiemi un
uno solo .Quale insieme .si è formato? Un insieme di
bambini…>>Si arriverà cosi’al principio che malgrado le
differenze fisiche o di altro genere,si è sempre bambini….
Questo è soltanto un esempio di come,non aspettando le
ore di educazione alla cittadinanza,non confidando in un
qualsiasi progetto di educazione alla legalità,non
appellandosi alle ore di compresenza con la collega,non
demoralizzandosi per eventuali tagli su progetti
educativi,si possa investire a costo
zero sulla
prevenzione di atteggiamenti discriminatori o violenti e
173
sulla educabilità agli atteggiamenti pro sociali. Una scuola
che investe su questo tipo di apprendimento significativo
aiuterà sicuramente lo scolaro a star bene con il bambino.
LA SFIDA DELLA SCUOLA E’ QUELLA DI PREVENIRE
GLI ATTEGGIAMENTI VIOLENTI CON LA DISPONIBILITA’
DA PARTE DEGLI INSEGNANTI a trovare un nesso con
la programmazione didattica(inserendo l’attenzione a
questo aspetto nello svolgimento delle normali
attività,con possibili collegamenti con le materie
insegnate.)
Soprattutto nella scuola primaria, ma anche in quella
secondaria di primo grado, è doveroso intervenire
nell’unico modo che forse è consentito alla scuola: a
livello strategico.
Gli interventi di fronte alla violenza, infatti, possono essere
di tre tipi:
ESTEMPORANEO
TATTICO
STRATEGICO
Nel primo caso lo scopo è quello di contenere gli
eventuali danni fisici e/o psicologici.
Nel secondo caso si lavorerà per tenere sotto controllo le
dinamiche che possono far nascere conflitti.
Nel terzo caso, ed è quello in cui si possono inserire gli
O.N.S.A., si ha un approccio meno episodico, investendo
sulla
educabilità ad atteggiamenti corretti e costruttivi.
La scuola,quindi, può
assumere un ruolo determinante
nella prevenzione della violenza, non solo facendo
attenzione al non prodursi di fatti negativi, ma
r a p p re s e n t a n d o u n a p a l e s t r a d i e d u c a z i o n e
consapevole.
174
Due modelli di
governance
176
La mediazione di comunità per
l’inclusione sociale e
Il paradigma inclusivo
Renato Briante
IL PATTO LOCALE DELLA SICUREZZA
TRA I GIOVANI
Incipit.
“ A questo scopo non c’è mezzo di persuasione più
efficace, che offrirsi nelle contese private come mediatore
conciliante, calmo, che sta fermo sulle prime cause e che
non accentua in nessuno amore di contesa, né ira, e
nessuna altra passione che rinfocoli asprezza e collera nelle
contese inevitabili “ (Plutarco - Consigli Politici - 32 D).
“ Con l’attenzione, infatti, come dice Catone, una
questione grande diventa piccola, e una piccola si riduce
a nulla ” (Plutarco – ibidem).
Il principale obiettivo di Europa 2020, il documento
strategico della Comunità dei 27 Paesi membri, resta
l’inclusione sociale e lavorativa. Il 75% delle persone
deve poter aver un lavoro e anche attraverso questa
“conquista” deve poter contribuire, con piena dignità, alla
crescita della comunità di appartenenza. Quando poi non
è la crisi economica a determinare l’inoccupabilità, ma un
pregiudizio qualsiasi o una forma di discriminazione di
177
genere o di altra natura, allora il paradigma inclusivo deve
mirare, prima di tutto, alla rimozione dell’ostacolo
preclusivo, ricercandone le cause nel contesto specifico,
per permettere il raggiungimento dell’obiettivo. Resta
inteso che, nell’uno come nell’altro caso, il processo di
individuazione del problema di impedimento e di
realizzazione dell’obiettivo vada ricercato e affrontato
attraverso un coinvolgimento diretto e progressivo di tutti
gli attori sociali che in quella specifica comunità hanno
concorso a determinarlo, sia in forma diretta che
indirettamente, anche per la semplice detenzione di
responsabilità di governo o di governance. Uno degli
strumenti metodologici più interessanti per l’attuazione di
questo processo è senza dubbio la mediazione che, nata
come metodologia specifica, sociale, scolastica, tra pari,
va sempre più assumendo connotati di sistema, per
diventare mediazione di comunità e strumento di
inclusione sociale.
Nell’Europa allargata vivono circa 75 milioni di giovani in
età compresa tra i 15 e i 25 anni. Sono loro i destinatari di
questo lavoro, perché sono ancora loro gli interpreti
possibili di un cambiamento culturale in grado di ripensare e ri-generare la nuova Europa che verrà.
Il quadro del malessere.
Nel 2007 il reddito pro-capite degli italiani equivaleva al
91% di quello tedesco. Nel 2011, il dato è sceso all’84%
e nel corso del 2012 lo stesso è continuato a scendere. Si
contrae considerevolmente il risparmio e aumenta del
25% l’indebitamento delle famiglie. Parallelamente al
degrado economico, nel corso del 2011, sono saliti al
178
12,59% i casi di violenza verso gli anziani e sono
aumentati, in particolare, gli episodi di violenza,
soprattutto psicologica, sulle donne con oltre 65 anni.
Nella maggior parte dei casi, la causa scatenante è il
bisogno di procurarsi denaro, anche attraverso la vendita
di immobili e oggetti. La Caritas ci comunica la costante
crescita del numero degli homeless italiani e di quanti
ricorrono alle mense pubbliche per mangiare. La
permanenza prolungata nella casa dei genitori non è più
riconducibile alla genericità di una casta di bamboccioni,
ma diventa un indice di instabilità sociale: il 31% degli
italiani è costretto a convivere con la madre, il più delle
volte vedova. Secondo una ricerca condotta nel 2012
dalla Coldiretti e dal Censis, si allarga il fenomeno delle
donne costrette a “tornano in massa ai fornelli” e ad
abbandonare il lavoro, per non potersi permettere un
aiuto domestico o la cura dei figli e, molto spesso, degli
anziani. Ad aggravare il quadro, i giovani e le famiglie
finiscono per non vedere nella specializzazione degli studi
un mezzo efficace per la ricerca del lavoro e di una
migliore condizione di vita. La laurea non è più vista come
una soluzione alla disoccupazione, anche perché
mancano aiuti alle famiglie degli studenti e sostegni
concreti agli studi e, in aggiunta, per il crescente e diffuso
malcostume legato alle pratiche di nepotismo e alla
raccomandazione come barriera alla vera meritocrazia.
Un dossier di Libera e Legambiente ci informa che la
corruzione rappresenta una tassa che vale 50/60 miliardi
di euro all’anno (10 miliardi di Pil). La disoccupazione
nazionale è al 10,7%, ma continua ad aumentare quella
giovanile, in particolare l’inoccupazione e la rinuncia alla
ricerca del lavoro. In provincia di Trapani oltre la metà dei
giovani non ha un lavoro stabile e regolare e lo stesso
179
problema coinvolge più del 60% delle donne che, per
giunta, abbandonano in massa il lavoro in coincidenza
della nascita del primo figlio, dissipando anche il capitale
di competenze acquisite con lo studio, spesso superiore
o universitario.
Il bullismo è la prima categoria di violenza segnalata a
Telefono Azzurro nel 2009 (25% dei casi).
Dalla crisi di valuta alla crisi di valori.
Dal 2000 al 2010, assistiamo al raddoppio degli episodi di
bullismo e dei problemi fra coetanei, che passano dall’8%
al 16%. Secondo l’Eurispes, nel 2009 il 20% dei minori è
stato vittima di offese immotivate e ripetute e il 19% di
provocazioni e prese in giro a carattere non episodico. Il
5% dei minori in Europa risulta vittima di quel fenomeno
conosciuto come bullismo on line o anche cyberbullismo. Infatti, 1 minore su 6 viene escluso dai gruppi in
rete con l’accusa di aver praticato forme di bullismo e di
violenza, soprattutto psicologica. Particolare rilevanza ha
un dato che ci mostra come gli stessi bambini che si
mostrano e diffondono immagini sul web con tanta facilità
e leggerezza, diventano così fragili e insicuri di fronte alla
mancanza di una parola. Secondo un’indagine condotta
da Telefono Azzurro, i bambini che hanno bisogno di
parlare con qualcuno sono aumentati dal 5,3% del 2000
al 38,8% del 2010. La solitudine del minore, anche dentro
la famiglia, riguarda l’8,5% dei casi, contro il 3,3% del
2000. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità,
oltre il 20% degli adolescenti soffre di disturbi mentali e il
180
suicidio è la terza causa di morte tra i giovani. Nel 2008
si è registrato il record dei suicidi nella fascia dei maschi
tra i 14 e 17 anni. Nello stesso anno si è, inoltre, raggiunto
il record negativo dei tentativi di suicidio per le femmine
della stessa fascia di età. In Italia, l’età in cui si inizia a
consumare alcool è scesa a 12 anni. La “Liquid life”,
secondo Bauman, favorisce la solitudine giovanile e il
bisogno di compensare questa assenza dell’altro che
alimenta paure e senso di inadeguatezza, spinge verso il
consumo di droghe e, più in generale, verso forme di
devianza. Questa società giovanile liquida in Italia è
rappresentata, secondo uno studio del 2010 di
Confartigianato, dai 641.000 ragazzi tra i 15 e i 24 anni
che non studiano, non lavorano e nemmeno cercano
un’occupazione, in quanto non risultano iscritti ai centri
per l’impiego. Il bullismo, in risposta alla solitudine
interiore, si presenta principalmente come fenomeno di
gruppo. La maggioranza degli episodi avviene alla
presenza di coetanei. Nel gruppo, oltre al bullo e alla
vittima, si assumono ruoli diversi, attivi e passivi e i
differenti livelli di “partecipazione” e di “responsabilità”
coinvolgono aree sociali largamente diffuse, che
investono molteplici soggetti, in maniera diretta e
indiretta, della comunità di riferimento. Generalmente, i
fattori di rischio investono:
Il contesto familiare.
Il contesto scolastico.
Le caratteristiche individuali.
I fattori socio-ambientali.
181
La percezione della violenza e della mediazione da
parte dei giovani.
Dall’analisi dei workshop organizzati a Marsala con
studenti delle scuole elementari e medie, sulla
mediazione e sulla violenza tra i minori, sono emerse
alcune considerazioni interessanti. Per gli studenti delle
scuole medie è fondamentale che siano gli stessi giovani
a guidare, con la loro diretta partecipazione, il processo di
mediazione, al quale non deve mancare, però, il ruolo
attivo e responsabile degli insegnanti, del direttore
scolastico e delle famiglie. Per quanto riguarda il contesto
extra-scolastico, in primo piano appare il coinvolgimento
della chiesa, delle parrocchie e dei centri sportivi, come
luoghi di educazione ma anche di prevenzione. Per i
giovani intervistati, non è ancora del tutto chiaro il ruolo
degli enti locali, soprattutto del comune e, pertanto, la
sua competenza viene genericamente
limitata al
finanziamento di programmi sulla mediazione o alla
creazione di servizi, in particolare centri di ascolto e
sportelli di contrasto alla violenza.
Per i bambini delle classi elementari, invece, i riferimenti
sono più ampi ed eterogenei e il compito di primo
intervento spetta proprio alle istituzioni, scuola, direttori,
bidelli, quindi al comune, alla regione e coinvolge perfino
le più alte cariche dello Stato. Il ruolo delle famiglie è
quello, estremamente pratico, di assicurare protezione ai
bambini. In questo contesto, la mediazione è percepita
come un percorso legato al fatto specifico, ad un
particolare episodio di violenza.
182
L’origine emozionale della violenza.
Randall Collins, dell’University of Pennsylvania, ha
cercato di spiegare le origini dei fenomeni violenti, in
modo da permettere alle comunità organizzate di
predisporre adeguati sistemi di riconoscimento e di
prevenzione, a partire dalla evidenziazione dei sintomi.
Analizzando diversi casi di violenza nei loro ricorsi storici
e nel modo di rappresentarsi, sia come fenomeni collettivi
che domestico/familiari,
è giunto ad evidenziare come
ogni fenomeno, pur nascendo da un caso particolare,
tragga origine da una costante comune, che è
rappresentata dalla paura. La paura, nella sua
radicalizzazione genera rabbia ed è quest’ultima, con lo
scatenarsi di particolari condizioni, a trasformarsi in
violenza. Più precisamente, secondo il prof. Randall,
questo passaggio si determina nel momento stesso in cui
qualcuno si viene a trovare in una situazione di
vulnerabilità. La presenza di uno stato di vulnerabilità
provoca una condizione di asimmetria tra le emozioni che
vengono in contatto, in virtù della quale si forma uno
squilibrio tra chi assume per sé la condizione di
“dipendenza emotiva” e chi quella di “dominio emotivo”.
Fino a che tra le parti permane una situazione di
simmetria emotiva, la rabbia non si trasforma in violenza.
In questo modo, pur confermando la natura eccezionale e
particolare del fenomeno violento, si può considerare
l’esistenza di una “struttura comune”, riconducibile a tutti
i fenomeni violenti, tant’è vero che pur mostrando una
prevalenza di genere propria del logotipo maschile,
quando è la donna a sostenere l’atto violento, lo stesso
183
assume le stesse caratteristiche di quello dell’uomo.
Partendo dall’analogo concetto di “asimmetria”, la
prof.ssa Carmen Leccardi, dell’Università di Milano
Bicocca, riporta il discorso sulle cause del conflitto
generazionale, che provoca nei giovani un indebolimento
o annullamento delle capacità relazionali. In ambito interfamiliare questa caduta dei livelli relazionali spesso viene
nascosta dall’incidenza della mediazione affettiva, che
spiega come mai a tutt’oggi la famiglia rimanga una delle
poche “istituzioni” nella quale i giovani e gli studenti
continuino a riporre la propria fiducia, sebbene in maniera
acritica. Diverso è il caso delle relazioni nella scuola, dove
si manifesta la specificità del rapporto tra giovane e
insegnante che, in moltissimi casi, seppur con
conseguenze e con processi differenti, si evidenzia
attraverso un vissuto di violenza psicologica. Una delle
ragioni di questa sudditanza psicologica emersa dallo
studio condotto dall’Università di Milano è risultata l’età
media degli insegnanti, in genere sopra i 50 anni e quindi
piuttosto asimmetrica dal punto di vista generazionale
rispetto a quella degli studenti; inoltre, la differenza
anagrafica introduce un’ulteriore asimmetria, quella legata
alle esperienze politico/sociali, che rappresentano un
vissuto comune a tutti gli insegnanti che hanno condiviso,
da spettatori o da co-protagonisti, i movimentismi degli
anni ’60 e ’70, fino all’uccisione di Aldo Moro. Questa
asimmetria produce un gap generazionale che aumenta le
distanze tra le reciproche culture, creando una situazione
di incomunicabilità e di inadeguatezza. Si tratta,
paradossalmente, di una relazione violenta che non riesce
a diventare conflitto proprio per la mancanza di una
184
qualsiasi forma di comunicazione, ma che porta i giovani
a chiudersi in una forma di assoluta indifferenza. Una
violenza che non sfocia in conflitto aperto rischia di
generare quelle condizioni particolari ed eccezionali che,
venendo in contatto con gli stati asimmetrici delle diverse
emotività in conflitto, creano stati di vulnerabilità che
possono degenerare in atti violenti, anche e soprattutto
tra pari, dando origine a fenomeni quali il bullismo o le
baby gang. E se i fenomeni di violenza giovanile si
riproducono prevalentemente in situazioni di massa,
attraverso azioni di gruppo o di branco, anche se la
partecipazione attiva raramente coinvolge più del 25%
dei testimoni, lo si deve al verificarsi di una forma tipica di
rete giovanile conosciuta con il nome di solidarietà
antagonistica. Il problema che ci si pone è, una volta
definita la struttura del fenomeno, come prevenirne gli
effetti? La lettura dei casi ci insegna che se l’intervento
preventivo riesce a mantenere lo stato rabbioso entro
forme di auto-riproduzione, impedendone di fatto la
trasformazione in violenza, si avvia un percorso di
contenimento attraverso il quale la stessa rabbia finisce
con l’auto-eliminarsi per noia. Pertanto, nel caso della
violenza giovanile, l’intervento migliore è quello di
sbloccare il conflitto, ma all’interno di un processo che lo
renda negoziabile. Il concetto di negoziazione introduce
di nuovo elementi relazionali che per essere socialmente
utilizzabili, devono sfociare in rapporti di reciprocità. In
questo modo, la sostenibilità dei temi sociali pone alcune
condizioni irrinunciabili, quali la ri-considerazione della
centralità del bene comune anche in rapporto alle
dinamiche di risoluzione dei conflitti, e l’usabilità degli
185
effetti prodotti nei diversi contesti operativi di riferimento.
Non si tratta più di questioni da trattare “ a porte chiuse”
o di problemi che coinvolgono due o un numero
comunque limitato di soggetti, ma la prevenzione e il
trattamento della violenza tra i giovani diventano oggetto
di una responsabilità e di un impegno condiviso dall’intera
comunità locale.
I giovani e la Comunità Ristretta.
E’ interessante la lettura dei dati emersi da un’indagine
condotta dall’ISFOL per il Ministero della Gioventù e
pubblicata nel 2011 con il titolo di “Giovani protagonisti
del futuro, un’indagine sociale sul disagio giovanile con
l’obiettivo di individuare strategie di prevenzione. “Nel
corso degli anni, le cose che per i giovani rivestono
importanza sono sempre più quelle legate alla sfera della
socialità ristretta, a scapito dell’impegno collettivo. La
tendenza che emerge è la crescita dell’area delle relazioni
amicali ed affettive e dell’importanza che i giovani
attribuiscono allo svago e al tempo libero. Tra le priorità
dei giovani permangono, in coerenza con gli ultimi venti
anni, l’avere degli amici e divertirsi. Alte percentuali si
riscontrano anche per gli atteggiamenti solidaristici, come
“aiutare gli altri” ed “essere onesti”, mentre perdono
terreno
le indicazioni di “avere molti soldi”, “avere una
fede religiosa” e “avere un impegno politico”. Se la scelta
del tempo libero e dello svago dà l’impressione di
rimanere legata allo svolgimento di attività organizzate
che non lascino tempo e spazio alla noia e all’inerzia, una
spiegazione la trovano Paolucci e Vergati nella definizione
186
della società cronofaga, dove il tempo dei giovani non è
mai investito veramente nel rapporto con gli altri, per
essere freneticamente deprivato di spazi di riflessione e
approfondimento sulle proprie condizioni e sui bisogni,
individuali e collettivi. La ricerca dell’ISFOL tenta anche di
esplorare il duplice significato che i giovani attribuiscono
alla fiducia, che nelle loro priorità segue a breve distanza
il tempo libero e lo svago. In questa scelta appare
evidente una duplice implicazione: la percezione della
mancanza di fiducia che gli adulti, in particolare i genitori,
nutrono nei loro confronti; ancora, il senso di insicurezza
con cui i giovani sono costretti a convivere. La fiducia
viene percepita come una priorità della sfera relazionale e
diventa, pertanto, un indicatore di valutazione. Permane
altissima la fiducia nella famiglia, come istituzione e
riferimento affettivo, quasi a contraddire le evidenti
difficoltà di comunicazione e il dato sulla solitudine intrafamiliare. Altissima è la fiducia nel gruppo e a buon livello
quella sul volontariato. Seguono nella graduatoria,
l’esercito e la scuola, più in basso, i carabinieri e la
polizia. All’opposto, quasi inesistente è la fiducia nella
politica – che occupava i primissimi posti nella hit parade
dei loro genitori - , nei sindacati e, dato interessante, nella
tifoseria. Bassi i valori per la magistratura e la chiesa.
Meno di un giovane su due, maschio o femmina, ritiene di
poter essere tra 10 anni, autonomo, realizzato ed
indipendente.
187
Mediazione di Comunità.
Nel 2007 nasce l’Osservatorio Regionale permanente sul
bullismo, promosso dall’Ufficio Scolastico Regionale della
Sicilia con i Tribunali dei minori, l’Assessorato Regionale
della P.I., la Questura, l’ASP, le associazioni genitoriali e la
Consulta provinciale degli Studenti. L’intento è lodevole
ma nella pratica resta imbrigliato in una logica
centralistica e verticistica, rinunciando a sviluppare la sua
azione nei luoghi nei quali il fenomeno si determina e si
alimenta. Mentre il livello regionale dovrebbe costituire il
punto di arrivo dei dati e delle esperienze che si animano
nei diversi territori, lo stesso finisce per coordinare
soltanto la propria auto-referenzialità. Nasce spontanea la
domanda: perché la comunità deve delegare allo Stato e
all’Ente locale le funzioni di governance di fenomeni che
coinvolgono direttamente quasi tutti gli stakeholders che
la compongono? Lo Stato e l’Ente locale sono attori
importanti e necessari per lo sviluppo del processo, ma
per la Costituzione, in virtù del principio di sussidiarietà,
tutti gli attori locali hanno pari dignità di ruolo e di
competenza. E, soprattutto, laddove il partner pubblico
non dovesse svolgere i suoi compiti di informazione e di
programmazione, nei tempi e nei modi richiesti, la
responsabilità della conduzione delle azioni, tanto più
quando riguarda la risoluzione dei conflitti sociali,
dovrebbe spettare agli altri attori e, in primo luogo, alle
persone e, quindi, alla cittadinanza attiva. Per costruire
reti efficienti occorre che ciascun terminale locale sia in
grado di raggiungere i propri obiettivi e perché questo sia
188
possibile, ogni attore deve poter contare su di un ruolo
definito e assumere impegni precisi. Questo significa
costruire COMUNITA’ INCLUSIVE, basate sulla
Partecipazione attiva e consapevole dei propri membri.
Un secondo e successivo livello del processo inclusivo è
costituito dalla necessità di definire le scelte e, pertanto,
di arrivare a formulare decisioni largamente condivise. La
possibilità che le scelte siano correttamente condivisibili
dipende in maniera proporzionale dai livelli di usability di
un percorso, ovvero da quanto un’idea può essersi
costruita attorno a step di valutazione basati sul
confronto sistematico tra giudizi positivi e criticità, i cui
termini siano definiti in funzione del raggiungimento di
obiettivi di bene comune e di crescita diffusa.
Il luogo è la cura.
A sostegno di questa impostazione ci viene incontro
quella particolare branchia della ricerca clinica francese
applicata al reinserimento delle povertà estreme che si
auto-definisce psichiatria ecologica. La crisi economica,
la perdita di valori tradizionali e di riferimenti sociali e
culturali non ha una ricaduta soltanto sulla dimensione
individuale, ovvero sulle diverse figure dell’escluso o
dell’emarginato, agendo sulla sua vulnerabilità, ma ha
conseguenze altrettanto dirette sull’ambiente, fino a
rendere i luoghi più fragili. Nello spazio così determinato
le relazioni risultano più complicate, in quanto
maggiormente esposte alla vulnerabilità di chi non riesce
ad avere risposte ai propri bisogni di aiuto e di
189
comunicazione e che, pertanto, rischia di scontrarsi con
altre vulnerabilità irrisolte. Secondo questa tesi, i luoghi e
gli spazi dedicati al recupero e al reinserimento devono
essere distribuiti all’interno dell’architettura sociale
urbana ad ampio raggio, evitando la concentrazione di
quartieri o, peggio, la creazione di ghetti, che finiscano
con il favorire la marginalizzazione di comunità nelle quali
sia più difficile stabilire relazioni normali e programmare
inserimenti liberi. Sono questi i luoghi nei quali si
segnalano i più alti numeri di suicidi, in particolare tra i
giovani e i maggiori livelli di solitudine e di
incomunicabilità, anche all’interno dei nuclei familiari.
Stabilire un equilibrio tra ambiente e intervento sociale
rappresenta un obiettivo necessario per definire la qualità
e la sostenibilità della cura e questa tesi rafforza ancora
una volta il ruolo centrale che la comunità assume in tutti i
processi di crescita della persona e di sviluppo del
territorio, anche in quella particolare sfera delle relazioni
umane che determina i meccanismi inclusivi. La domanda
che dobbiamo porci, prima di attivare un qualsiasi
percorso di inclusione, sociale o lavorativa, è la seguente:
il luogo che andrà a costituire lo scenario in cui si
orchestreranno le diverse azioni, presenta i livelli di ecosostenibilità richiesti dall’intervento, tanto da risultare
idoneo a garantire relazioni reciproche, a sostenere le
emozioni, le energie e gli stimoli necessari, insomma, a
sopportare tutta quella vasta gamma di asimmetrie che
possono mettere a dura prova l’equilibrio di ogni
comunità complessa?
190
La necessità di una Programmazione strategica.
Uno strumento di governo della mediazione di comunità è
stato individuato nel Patto per la Sicurezza dei Giovani. Il
tema strategico del patto viene da lontano: nel 2005,
quattro anni dopo la pubblicazione del Libro Bianco e ad
un anno dal successivo follow-up del 2004, viene
sottoscritto il Patto Europeo per la Gioventù, a
completamento del quadro operativo della strategia di
Lisbona. Il Patto europeo si articola in quattro temi che
vanno dalla vulnerabilità alla solidarietà tra le generazioni,
dall’istruzione e formazione, alla coerenza tra le aree
d’intervento. La risposta italiana si attua anche attraverso
la promulgazione del DPCM 13 giugno del 2008, che
rivede e allarga le funzioni del Ministro della Gioventù,
rafforzando le deleghe di contrasto e trattamento della
devianza e del disagio giovanile. La scelta tipologica del
Patto recupera alcuni indirizzi culturali di origine “globale”
e li contestualizza in ambito locale. Di per sé stesso il
concetto di patto evoca la dimensione di un accordo tra
più parti che, mediante la sua sottoscrizione, configura il
raggiungimento di livelli reciproci di soddisfazione. In
aggiunta, il termine “sicurezza” rappresenta un obiettivo
senza dubbio “multi-stakeholders”, che fa riferimento a
gruppi bersaglio diversificati e multipli, arrivando a
configurarsi in uno schema decisamente collettivo. Lo
strumento disegnato dal progetto si muove, pertanto, su
più livelli operativi, proprio per includere più ambiti di
responsabilità. Intanto,
proprio perché si muove nella
sfera relazionale, deve partire dalla Comunità più piccola
e diretta, ovvero dalla singola scuola. Ma anche in questo
191
caso, i protagonisti principali devono essere gli studenti,
consapevoli attori della funzione e della necessità del
metodo della mediazione e, soprattutto del processo di
prevenzione delle dinamiche che costituiscono causa dei
conflitti e delle violenze, assistiti in questo compito, dagli
adulti professionisti della mediazione, dagli insegnanti, dai
diversi livelli di gerarchia scolastica e dalle famiglie. Ogni
scuola diventa un luogo dedicato alla pratica del
contrasto alla violenza e alla sopraffazione, uno spazio
condiviso all’interno del quale ciascuno riveste ruoli che
assommano responsabilità e competenze perfettamente
sincronizzate. La rete delle scuole di una specifica
comunità rappresenta un primo livello di qualificazione
strategica di un obiettivo, permettendo il confronto tra le
esperienza e il coordinamento delle attività.
Esiste un secondo livello della Rete che comprende la
definizione della Comunità locale. Rientrano in questa
dimensione i diversi organismi del Terzo Settore, ivi
compreso l’associazionismo sportivo che fa riferimento
allo sport per tutti e a quello dilettantistico, le reti familiari,
l’intera rete scolastica dell’area provinciale e le
organizzazioni della chiesa. E’ qui che il cittadino ha
l’opportunità di incontrare i rappresentanti degli enti
istituzionali, a partire dai Distretti socio-sanitari, l’ASP,
l’USSM, la Provincia Regionale, i Comuni, dando vita al
Tavolo Provinciale per la Mediazione di Comunità, ovvero
uno spazio tecnico in cui condividere le esperienze e
suggerire indirizzi operativi alle politiche e alle
programmazioni, attraverso le azioni di meanstreaming o
la progettazione. Sempre a questo livello, il singolo Patto,
sottoscritto in ogni scuola, diventa un’esperienza da
192
mettere in confronto con la molteplicità degli altri analoghi
accordi locali e, ancora, con quanto avviene in altre aree,
anche attraverso la condivisione di studi e di ricerche, per
giungere a definire una sorta di “Patto Strategico di Area
per la Mediazione”, che altro non è che un documento di
analisi e di valutazione atto a fornire le linee guida per gli
indirizzi operativi e l’aggiornamento del sistema.
Si giunge, quindi, al terzo livello della Rete, che coincide
con la peculiarità transnazionale dei programmi
comunitari. La rete transnazionale permette un confronto
più ampio ed aperto con altri Paesi e ha il vantaggio di
poter andare oltre il progetto, accumunando iniziative che
appartengono a programmi diversi. In questa logica si
può leggere il lavoro portato avanti dallo stesso Cresm e
dalla Provincia nell’ambito del progetto”Urban Security”,
in ambito di Criminal Justice, che amplia la lettura della
figura del mediatore coinvolgendo l’ambito di indagine
penale . E, sempre in questa direzione, va letto il progetto
avviato dallo stesso gruppo di lavoro e promosso dalla
Francia in occasione di un bando del programma
sull’apprendimento continuo
“Grundtvig”, per il quale il
gruppo di lavoro si è impegnato a configurare una
tipologia di mediatore europeo specializzato nei processi
di inclusione.
Ma prima di giungere a questo terzo livello di rete,
occorre dotare i coordinamenti locali di un sistema di
connessione che permetta loro di interfacciarsi
efficacemente e in maniera duratura e regolamentata con
tutti gli stakeholders del territorio, proprio per assicurare
a l Ta v o l o u n a re s p o n s a b i l i t à p i e n a e d i re t t a
nell’organizzazione e gestione di un sistema di
193
prevenzione della sicurezza sociale e di contrasto alla
violenza. Ecco perché il Tavolo della mediazione assume
rilievo nella misura in cui lo stesso diventa parte
integrante di un Osservatorio del welfare dell’Area
provinciale e inter-distrettuale, in modo da rappresentare,
di fatto, un organismo di supporto alla programmazione
locale, attraverso i Piani di Zona e alla rete operativa
territoriale, mediante il collegamento con gli sportelli antiviolenza, rivolti ai diversi gruppi bersaglio. Sempre
nell’ottica di un sistema di rete, il progetto intende
collegarsi al Piano Strategico dei Giovani, che vede
sempre la partecipazione del Cresm e della Provincia
Regionale, per avviare i laboratori della progettazione, in
collaborazione con il Comune di Gibellina, che diventano,
nell’ottica della loro replicabilità in chiave distrettuale, i
punti di incontro per stimolare la creatività in funzione di
una programmazione diffusa e partecipata.
194
Funzioni &Obiettivi.
Il Coordinamento territoriale.
La funzione di coordinamento parte, di fatto, dalla scelta
del metodo da adottare: un percorso operativo in grado di
attraversare e comprendere i diversi ambiti che
definiscono gli scenari ai quali si rivolge il manuale/linee
guida, unitamente all’impegno di risultare, al contempo,
innovativo, sperimentale, esauriente ed efficace. Quando
questa scelta ha finito con il coincidere con l’area di una
mediazione “di comunità”, allargando ulteriormente la
platea d’intervento propria della “restorative justice” o
“giustizia ripartiva”, ovvero un modello proprio dei sistemi
di mediazione penale, si è avvertito il bisogno di definire il
nodo dei collegamenti con l’intero quadro locale delle
responsabilità sociali e della condivisione degli effetti. Un
concetto di intervento che si avvicina alla dimensione
della “mediazione inter-comunitaria”, perché non si limita
a ricercare soluzioni (definitive/superficiali/immediate) al
conflitto tra due minori (o, comunque, tra le due figure
chiave della vittima e dell’autore della violenza), ma anzi
rifugge dagli stereotipi che di fronte ad un conflitto
esigono un colpevole assoluto a tutti i costi, per proporre
un’estensione del rapporto tra responsabilità e risoluzione, all’intera comunità di riferimento, evidenziando
il ruolo, diretto o indiretto, degli altri attori della scena
sociale (reti familiari, branco degli amici/nemici,
insegnanti, istruttori/educatori, referenti istituzionali, etc.).
In questo modo si amplia e si completa la visione delle
correlazioni possibili e dei loro effetti sulle cause delle
tensioni e si evidenzia un percorso di trasformazione del
195
conflitto, attraverso il quale la sua lettura e la successiva
elaborazione si trasformano in processo. Il
raggiungimento del risultato si determina soltanto quando
la presa in carico del conflitto da parte degli stakeholders
coinvolti sollecita una presa di coscienza “collettiva”,
nella quale ciascun attore “scopre” il proprio ruolo, che
sfocia nell’assunzione di una doppia responsabilità,
individuale e di comunità che, partendo proprio dal riconoscimento del ruolo, conduce verso una progressiva,
possibile rimozione delle cause. In questo modo, il
processo di trasformazione del conflitto attiva, di fatto,
una rete di comunicazione “circolare” che include tutti gli
agenti che all’interno di una comunità concorrono alla
determinazione del conflitto, nella quale passano
informazioni, notizie, esperienze, risultati; è un flusso
attivo e partecipato, sintomo di un processo mai statico
ma assolutamente aperto ad ogni stimolo, sollecitazione,
effetto, che possa contribuire a rimuovere non solo il
conflitto, ma le cause che l’hanno generato, fornendo
elementi per la definizione di una vera e propria rete di
prevenzione sociale. All’interno di questo processo di
trasformazione permanente, trovano spazio e funzionalità
i diversi approcci di mediazione che si propongono, caso
per caso, all’attenzione degli operatori, come la peer
mediation, la mediazione penale, tipica dei percorsi di
giustizia ripartiva, quella scolastica e quella
genericamente sociale, fino al concetto, fortemente
innovativo, di mediazione di comunità o, ancora, per
l’inclusione (sociale e/o lavorativa …).
196
Le relazioni di mediazione diventano i punti di forza di un
meccanismo di comunicazione sociale basato sul
coinvolgimento della comunità e sul concetto di
“trasformazione”:
La trasformazione del conflitto, attraverso una mediazione
di comunità favorisce:
a. un coinvolgimento allargato del luogo del conflitto,
non circoscritto ai due minori (attori) coinvolti,
aumentando i livelli di responsabilizzazione della
comunità civile;
b. una maggiore circolarità delle informazioni a
vantaggio dell’efficienza della comunicazione, grazie
alla rete degli atelier, dei forum o dei diversi strumenti
relazionali e di confronto;
c. l’evoluzione del patto tra le parti, che in una
mediazione tradizionale si risolve con l’accordo tra le
due figure di vittima e colpevole, in un patto sociale di
sicurezza urbana, sostenibile in una dimensione di
reciprocità, multi direzionale e multi stakeholder;
197
d. l’aggiornamento continuo delle competenze per le
figure di mediatori e di formatori (educatori, docenti,
consulenti familiari, facilitatori, counselor, etc.), in
coerenza con le risposte che il territorio richiede alle
sollecitazioni derivate dai casi pratici.
L’analisi dello stato attuale, permette di evidenziare
diversi punti di criticità:
a. I bassi livelli di partecipazione attiva e di
responsabilizzazione consapevole di alcuni attori della
Comunità: Famiglie, Enti locali;
b. Gli scarsi livelli di disponibilità dei giovani, soprattutto
nella fascia pre-adolescenziale, a prendere parte ai
percorsi e alle soluzioni proposti e gestiti dagli adulti;
c. La difficoltà del modello proposto, ovvero degli
strumenti realizzati e dei metodi definiti, di garantire
una programmazione capace di andare oltre il
progetto stesso, in modo da salvaguardare
l’investimento di risorse e di lavoro.
La storia dei casi registra molte difficoltà, soprattutto di
tipo culturale, da parte dei nuclei familiari, nel mettere in
discussione i propri figli o, comunque, ad accettare un
dialogo costruttivo con altri soggetti “esterni” al nucleo
familiare. Allo stesso modo, appare evidente la mancanza
di una cultura locale che comprenda un utilizzo concreto
e diffuso dei tavoli integrati o di luoghi di incontro tra
soggetti istituzionali diversi, al di fuori delle
programmazioni di risorse finanziarie.
Negli ultimi tempi, inoltre, si nota una maggiore
predisposizione da parte dei giovani, soprattutto in età
198
compresa tra i 16 e i 25 anni, ad escludere o a guardare
con sospetto ogni offerta di collaborazione e di
coordinamento che parta dal mondo organizzato e
governato dagli adulti. Il fenomeno è più evidente nelle
aree metropolitane, ma anche nelle periferie o nei centri
medio-piccoli aumenta la sfiducia verso le istituzioni,
coinvolgendo anche la credibilità degli strumenti di
programmazione gestiti dai governi e dall’Europa.
Una soluzione possibile è quella di accompagnare la rete
degli atelier con l’organizzazione di forum informativi e di
focus group, questi ultimi
soprattutto per favorire una
partecipazione responsabile delle parti sociali e una
maggiore condivisione dei processi.
Più complessa appare la definizione di un percorso che
riduca i rischi che un progetto appena concluso riesca a
non disperdere l’insieme delle funzioni avviate e a
trasferire al territorio la gestione delle strutture e degli
strumenti che hanno prodotto risultati positivi.
Mantenendo l’attenzione sul tema della mediazione e del
contrasto della violenza tra giovani, due sono i principali
rilievi che il problema propone, il primo di natura tecnica e
il secondo, di tipo strutturale:
199
a. La presenza di una debole cultura della mediazione
che paga, a livello penale e civile, l’ostracismo di
alcune categorie professionali e a livello sociale e
scolastico, la scarsa professionalità e il ridotto
accesso alle risorse (inesistenti quelle pubbliche,
discontinue e legate al singolo progetto, quelle
private);
b. una insufficiente propensione delle Istituzioni a
elevare a sistema il modello della mediazione, in tutte
le sue declinazioni, all’interno delle pianificazioni e
programmazioni sociali, limitandone l’impatto alle fasi
di sperimentazione che, in genere, si sviluppano e si
esauriscono attorno ad una specifica progettazione.
Per la soluzione del punto a) occorre agire attraverso la
organizzazione di forum di comunicazione, in modo da
evidenziare i risultati ottenuti con la pratica, in termini di
coesione e di inclusione, nonché mediante il
collegamento con percorsi di formazione e di
qualificazione, per adeguare le figure professionali ai
fabbisogni del territorio, favorendo le reti di orientamento
scolastico, il rapporto con le università e gli enti di
formazione. Contemporaneamente, è possibile sviluppare
una progettazione integrata a supporto della mediazione,
all’interno dei laboratori e degli atelier o delle altre forme
di concertazione programmate.
200
Il punto b) prevede un rapporto più integrato con le
strategie di sviluppo locale, in particolare, nel contesto
italiano, con le Province o, meglio, con le Aree Vaste che
concorrono allo sviluppo strategico, nonché con i Distretti
socio-sanitari di riferimento, per il collegamento con i
Piani di Zona. Utilizzando la pratica dei focus group, si
può immaginare un Tavolo dedicato alla Mediazione di
Comunità che concorra alla definizione dell’Osservatorio
provinciale del welfare e che trovi spazio nel gruppo di
redazione del Piano Strategico provinciale per la
Sicurezza e la Legalità del Territorio, quale strumento di
valorizzazione delle risorse e di condivisione degli obiettivi.
Un Piano che, a sua volta, deve confluire nel Piano
Strategico del Welfare dell’Area Vasta o inter-distrettuale.
Profilo a)
201
Profilo b)
Ritornando alla discussione sul modello di strumento da
definire, la scelta di preferire l’impostazione delle linee
guida al concetto di manuale non risponde solo a logiche
dialettiche, ma corrisponde all’impostazione
estremamente pratica di un lavoro che si pone l’obiettivo
di sostenere concretamente i processi di trasformazione
delle società locali. La strutturazione dei capitoli offre
tutte le chiavi di lettura, metodologiche, comportamentali,
normative e regolamentative per costruire un sistema
della sicurezza sociale per le comunità locali, che indichi i
punti di contatto tra i risultati ottenuti con l’applicazione
del modello di mediazione e i conseguenti benefici
trasferibili
ai processi di sviluppo del territorio.
Importante è il ruolo svolto dalla rete della comunicazione
sociale per sottolineare il compito sostenuto dalla
202
mediazione nella promozione di una cultura relazionale,
funzionale alla soluzione dei conflitti della comunità
locale, attraverso l’inclusione e la coesione; un impegno
sostenuto anche mediante la valorizzazione di strumenti
collettivi, quali l’Osservatorio del welfare e il Piano
provinciale per la Sicurezza e la Legalità. Il processo
stesso di mediazione, all’interno di un approccio di
comunità, deve essere finalizzato all’inclusione non solo
dei destinatari diretti, l’autore e la vittima del caso di
violenza, ma di tutti gli attori che concorrono a definire il
perimetro dell’area del disagio.
Una parte rilevante del processo di mediazione di
comunità è rappresentata dalla mappa dei ruoli e delle
c o m p e t e n z e c h e , n e l q u a d ro d e i p ro c e s s i d i
trasformazione dei conflitti, disegna i compiti delle diverse
figure professionali di formatori, educatori, docenti,
facilitatori e che comprende anche, con un approccio
diverso, i genitori e i familiari; in sintesi, lo scenario
completo degli “agenti della trasmissione” all’interno della
comunità.
Resta fondamentale il valore aggiunto che si può
garantire alla rete grazie al confronto con il partenariato
nazionale e transnazionale, proprio per la possibilità di
equilibrare gli eccessi di localismo determinati da un
approccio sistematico di tipo comunitario. In questo
modo le identità e i significati del territorio potranno
sempre godere degli stimoli suscitati dall’incontro
con
esperienze più ampie ed articolate.
203
Le linee guida per l’indirizzo operativo delle comunità
sicure.
Per tutte queste ragioni, la tipologia delle linee guida
definisce meglio di quanto siano in grado di fare un
manuale o uno studio, le dinamiche di un processo di
costruzione “a più mani” di una comunità interessata alla
sicurezza dei giovani e alla prevenzione di ogni forma di
violenza e di sopraffazione, come premessa essenziale
per favorire lo sviluppo collettivo e la crescita individuale.
Infatti, divenendo strumento diffuso e indirizzo di strategie
collettive, la sicurezza non viene più intesa soltanto come
“interesse individuale”, subordinato alle possibilità e alle
esigenze del singolo, secondo lo schema “io devo
difendermi”, ma assurge al rango di Bene Comune, per
cui ciascuno, per sostenere la propria sicurezza, si fa
garante di quella dell’altro, in quanto membro della sua
stessa comunità.
Ecco che, dunque, rispondendo alla domanda “a chi
servono le linee guida?”, emerge netta la risposta “alla
comunità locale”, per definire il quadro delle
responsabilità e delle competenze e rispondere alla logica
di chi fa che cosa, in modo che ciascun attore abbia
chiaro il proprio ruolo nel rafforzare la pace e contrastare
le tensioni e le violenze. Nel caso particolare dei giovani
e, soprattutto, degli studenti,
gli indirizzi strategici
diventano uno stimolo per farli sentire decisori,
protagonisti di scelte e detentori di responsabilità. In
questo modo il giovane ha la possibilità di riconsiderare il
proprio spazio nell’ambito della rete relazionale collettiva,
204
recuperando centralità operativa, autonomia creativa e
considerazione di ruolo.
Per gli operatori, le linee guida diventano strumento utile
al coordinamento delle azioni e alla valorizzare delle
esperienze, come anche per ricercare modalità innovative
e condivisibili e confrontarle con scenari più ampi ed
articolati.
Infine, servono all’opinione pubblica per comprendere
meglio il ruolo della mediazione, come strumento
operativo in grado di recuperare le origini sociali dei
conflitti e porre le migliori condizioni alla definizione di
strategie per diffondere il ben-essere e lo sviluppo.
Le lingue della mente e del cuore.
La comunicazione si muove utilizzando forme e strumenti
diversi, in funzione del coinvolgimento dei destinatari ai
quali intende rivolgersi. Si parla ai giovani attraverso
mappe figurative, immagini e giochi di simulazione legati
alla realtà virtuale; si dialoga con gli operatori proponendo
scambi di esperienze
e di informazioni pratiche o
rappresentando metodologie innovative, in modo da
attirare l’attenzione su fatti concreti. Si realizzano, di fatto,
comunità virtuali aperte, supportate da reti operative di
comunicazione, in rappresentanza di diversi contesti,
nazionali ed europei, creando occasioni per arricchire e
condividere il proprio patrimonio di conoscenze;
si
comunica con le Istituzioni proponendo forme compiute e
sostenibili di governance sociali territoriali, con l’obiettivo
di valorizzare le competenze in funzione della crescita
205
collettiva e dividendo le responsabilità tra molteplici
stakeholder; si rafforzano i legami tra le persone
promuovendo la diffusione della democrazia partecipata e
condividendo i valori dell’informazione, concorrendo al
rafforzamento delle identità comuni.
In una comunità sicura le regole, le norme, le innovazioni
e le reti si solidificano anche attraverso i percorsi della
memoria: le reti antiviolenza per i giovani si collegano
idealmente alle marce per la pace e per i diritti, così come
i manifesti di cartone si trasformano nella formula dei “mi
piace” e dei “condivido” propri della comunicazione
social. Il ricordo diventa la testimonianza etica del
presente e consegna spessore e contenuto alla storia. In
questo modo la lingua comune si arricchisce di motivi
etici e la comunicazione non è più spot, ma torna ad
essere messaggio, cultura, missione.
“non permettere alla lingua di oltrepassare il pensiero”
(Anton Cechov).
206
PATTO LOCALE PER LA SICUREZZA DEI MINORI
Tra
Le scuole ……………, rappresentate da
……………………., nella funzione di …………………;
l’USR MIUR
- Ambito Territoriale per la provincia di
Trapani – Ufficio XVIII, rappresentato dal Dott. Rosario
Leone, nella funzione di Dirigente;
l’ASP n. 9, rappresentato da ….., nella funzione di
…………;
la Provincia Regionale di Trapani, rappresentata da
…………, nella funzione di ……….;
i Distretti socio sanitari di ……………………….,
rappresentati da…………………… nelle funzioni di
………………………….;
l’ Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Palermo del
Ministero della Giustizia, rappresentato dalla dott.ssa
Rosalba Salierno, nella funzione di direttore.
il Cresm …………………, rappresentato da ………......…,
nella funzione di …………………………………;
l’associazione ………………………….......... ,
r a p p re s e n t a t a d a … … . . . . . . . . . . . … i n f u n z i o n e d i
…………………………………
per la sottoscrizione di un
PATTO LOCALE PER LA SICUREZZA DEI MINORI
Premesso
Che il presente protocollo si inserisce nel quadro
operativo del progetto “Guichet Antiviolence pour les
Mineurs”, realizzato nell’ambito del Programma
comunitario Daphne III dal Cresm, in collaborazione con
207
la Provincia Regionale di Trapani,
il Gruppo Abele,
Cineca, SICCDA di Dublino, con l’obiettivo di rafforzare le
reti territoriali di contrasto alla violenza dei minori e al
bullismo e di contribuire a diffondere la cultura e la pratica
della mediazione sociale e di comunità come modello di
soluzione dei conflitti, anche attraverso la comprensione
delle tensioni dalle quali traggono origine.
Che negli ultimi anni, anche a causa del perdurare della
crisi economica e sociale che coinvolge il nostro Paese e
l’intera Comunità Europea, si sta assistendo ad una
progressiva evoluzione dei fenomeni di violenza giovanile
e di bullismo, che coinvolgono i minori tanto di sesso
maschile che femminile e si consumano tra pari,
prevalentemente in gruppi, nella maggior parte dei casi in
ambiente scolastico, nelle palestre ma anche nelle piazze
e nei luoghi di ritrovo;
che, al contempo, i tradizionali riferimenti educativi, come
la famiglia e la scuola, non risultano sempre in grado di
rispondere in maniera puntuale e adeguata ai bisogni
relazionali e formativi che contraddistinguono i processi di
crescita in rapporto alle possibili sollecitazioni, non
sempre positive, che provengono dagli ambienti esterni;
che troppo spesso il cattivo o disordinato utilizzo delle
nuove tecnologie digitali, non accompagnato da una
adeguata informazione, rischia di diventare un ulteriore
modello di devianza e di emarginazione sociale e
culturale, creando nuove solitudini e dando luogo a
fenomeni rilevanti quali il cyber bullismo;
che la mediazione di comunità può rappresentare un
sistema innovativo di partecipazione e di
responsabilizzazione dei diversi attori che in un
208
determinato ambito territoriale concorrono alla definizione
della governance sociale, per sostenere:
a. La realizzazione di un coordinamento operativo tra
tutti gli stakeholders, pubblici e privati;
b. La partecipazione attiva dei giovani alla costruzione di
modelli sostenibili di mediazione tra pari;
c. Una continua animazione di tutti gli strumenti, di
sensibilizzazione e di governo, che dopo essere stati
prodotti attraverso progetti, diventano bene comune e
arricchimento permanente per tutta la comunità;
d. Una programmazione che comprenda le strategie
funzionali all’avviamento di percorsi in grado di
contrastare ogni fenomeno di tensione e di violenza,
in particolare tra i giovani e i minori, favorendo
progressivamente la realizzazione di reti di
prevenzione;
che mediazione di comunità vuol dire anche condividere
le esperienze, le risorse umane e professionali, le
competenze, individuare obiettivi sostenibili e metodi
innovativi per rafforzare le politiche di welfare e
concorrere allo sviluppo integrato del territorio.
CONSIDERATO CHE
I minori, in particolare gli studenti delle scuole primarie e
secondarie di 1°grado e gli adolescenti, rappresentano i
destinatari principali dell’intervento oggetto del presente
Protocollo e che la loro partecipazione attiva e motivata ai
percorsi di mediazione sociale costituisce la condizione
prevalente per assicurare un aspetto preventivo ad ogni
209
progetto, e conferire una dinamica veramente strategica
all’intero processo di rinnovamento del quadro sociale;
gli istituti scolastici rappresentano i luoghi dove si
sviluppano le sintesi dei processi di apprendimento e le
capacità relazionali dei giovani studenti, a seguito dei
diversi stimoli e delle differenti informazioni elaborati nei
molteplici contesti sociali di appartenenza, la famiglia,
l’ambiente, il gruppo, la strada, la palestra, la parrocchia;
pertanto, è nelle scuole che, principalmente, occorre
accompagnare i percorsi di educazione e apprendimento
a stimolazioni che implichino un’attenta lettura delle
abilità e capacità relazionali e comportamentali, alla luce
sia dei possibili interventi esterni, che delle specifiche
implicazioni caratteriali, promuovendo la partecipazione
diffusa di tutti gli attori della scena sociale, a cominciare
dagli insegnanti, dai direttori didattici e dai presidi e
coinvolgendo le reti familiari;
le associazioni sociali, culturali, quelle che si occupano
nei rispettivi ambiti di politiche giovanili, comprese le
associazioni sportive, competitive e dilettantistiche,
costituiscono un fondamentale riferimento sul territorio,
quali reti di servizio e di cittadinanza attiva, in grado di
fornire risposte a diverse esigenze, individuali e collettive:
a. Promuovere la partecipazione diretta e motivata dei
giovani, inducendoli a considerare le proprie
responsabilità nei confronti del personale processo di
crescita e del contesto di riferimento;
b. Stimolare la creatività individuale, valorizzando le
abilità individuali, ma inserendo ogni performance
all’interno di un sistema relazionale diffuso che illustri i
vantaggi della cooperazione;
210
c. Rappresentare un riferimento educativo e formativo,
esterno ma non necessariamente alternativo, al
binomio scuola famiglia, con la possibilità di integrare
e allargare la platea delle occasioni di apprendimento
e di crescita;
d. Integrare le reti di ascolto e di sostegno di contrasto
alle situazioni di solitudine e di emarginazione, sociale
e familiare;
e. Rafforzare le reti di diffusione della cultura della
mediazione tra pari e di comunità;
gli Enti locali e gli enti terzi, definiscono il contesto
istituzionale, garantendo al sistema di welfare locale i
dovuti supporti normativi e favoriscono l’accesso alle
opportunità di finanziamento regionali, nazionali e
comunitarie, attraverso una più ampia condivisione delle
informazioni e una più equa distribuzione delle risorse. In
particolare, i Distretti socio-sanitari rappresentano
l’esempio più diretto di governance sociale integrata e
possono diventare il riferimento principale per includere la
mediazione nelle pianificazioni di zona e favorire una
progettazione mirata all’acquisizione di risorse aggiuntive
e compensative. Inoltre, il Distretto ha il compito
istituzionale di stimolare la partecipazione di tutti i
comuni, facilitando un’equa distribuzione dei servizi di
cittadinanza su tutto il territorio. L’ASP, oltre a costituire
parte integrante del Distretto, favorendo il completamento
del quadro dei servizi al cittadino, nella realtà trapanese
rappresenta un riferimento storico per la ricerca di
soluzioni innovative nei settori del welfare integrato
sociosanitario, intervenendo attivamente nella rete dei
211
servizi rivolti ai tossicodipendenti, alle persone con
disabilità e a quanti, soprattutto donne e minori, hanno
subito violenze, sia fisiche che psicologiche. Ma il lavoro
dell’azienda sanitaria si è allargato ad altri ambiti sociali,
come l’assistenza agli immigrati e alla popolazione
carceraria. L’USR MIUR
- Ambito Territoriale per la
provincia di Trapani – Ufficio XVIII,
può interpretare il
ruolo di collante della rete delle scuole, evitando
frammentazioni e promuovendo politiche condivise e
diffuse a tutti gli istituti. Un importante apporto può
essere dato alla definizione di modelli metodologici e di
regolamenti operativi trasferibili nei diversi contesti
scolastici, favorendo anche il confronto con analoghe
esperienze avviate in altri ambiti territoriali. La Provincia
Regionale di Trapani è il luogo deputato al coordinamento
e alla organizzazione del sistema locale di rete. Compito
della Provincia è quello di stimolare la definizione di
programmazioni strategiche, atte a favorire la
realizzazione di progetti corrispondenti ai bisogni rilevati e
in linea con i possibili canali di finanziamento, facilitando
le attività di networking e la creazione di partnership.
L’U.S.S.M. rappresenta la localizzazione del Ministero
della Giustizia e oltre alle attività di recupero e reinserimento della popolazione penale minorile, è
fortemente attiva nel disegnare strumenti di prevenzione
ai fenomeni di devianza e di emarginazione minorile.
212
TUTTO QUANTO PREMESSO,
I SOTTOSCRITTORI SI IMPEGNANO A REALIZZARE
IL PATTO LOCALE PER LA SICUREZZA DEI MINORI
nelle modalità descritte dai seguenti articoli:
ART. 1. Il Patto locale per la Sicurezza dei Minori.
Il Patto Locale per la Sicurezza dei Minori, di seguito
definito come Patto, è di fatto un Coordinamento
operativo che mette in rete tutti gli attori, pubblici e
privati, che nel territorio della provincia di Trapani e, più in
particolare, nei sei Distretti socio – sanitari che
caratterizzano la provincia, concorrono alla costruzione
delle politiche e del sistema dei servizi e degli interventi
sociali e socio-sanitari e di cittadinanza, che rientrano nel
più vasto ambito della sicurezza urbana, sociale e civile
dei minori e degli adolescenti.
Il Patto si sostiene
attraverso la definizione di specifici PATTI di MEDIAZIONE
SCOLASTICA, ovvero singoli accordi di mediazione tra
pari, sottoscritti e praticati in ciascuna delle scuole
aderenti, secondo le linee guida previste al successivo
Art. 3.
ART. 2. Tavolo provinciale per la Mediazione di Comunità.
Il Coordinamento si impegna a costituire un Tavolo
provinciale per la Mediazione di Comunità, con l’obiettivo
di diffondere la cultura della mediazione in quanto
strumento di superamento e di contrasto dei conflitti e
delle tensioni tra i minori e i tra i giovani, attraverso il
coinvolgimento attivo degli studenti, quali principali
213
interlocutori e di tutte le parti sociali, direttamente e
indirettamente coinvolte, mediante un metodo votato alla
individuazione e alla rimozione progressiva delle cause
scatenanti. Compito del Tavolo è quello di rappresentare
la cultura e la pratica della mediazione sociale e di
comunità all’interno di tutti gli strumenti e gli organismi
che facilitino la sua diffusione e rafforzino la governance
sociale, come l’Osservatorio provinciale (o interDistrettuale) del welfare per lo sviluppo, i laboratori
distrettuali di progettazione sociale, la rete degli sportelli
anti – violenza, i Piani di Zona e il Piano strategico di Area
per la mediazione.
ART. 3. Linee guida e manuale.
Il Tavolo provinciale per la Mediazione di Comunità, di
seguito Tavolo, si prende carico della diffusione e
applicazione delle Linee guida alla mediazione e del
Manuale sul Bullismo e la violenza dei minori, redatti in
attuazione del progetto Daphne “Guichet antiviolence
pour les mineurs”. Il Manuale e le sue successive
modificazioni, costituiscono gli indirizzi operativi e
metodologici per la promozione della cultura e della
pratica della mediazione sociale nelle comunità della
provincia di Trapani, così come il Manuale sul bullismo e
la violenza dei minori definisce il contesto attuativo dei
Patti di Mediazione Scolastica, propedeutici alla
definizione del PATTO.
ART. 4. Regolamento operativo.
Il Tavolo e, quindi, il Coordinamento vengono sottoscritti
in prima istanza dagli enti e dagli organismi che hanno
214
promosso e sostenuto il progetto fin dalla sua ideazione,
a partire dai partner del progetto “Guichet antiviolence
pour les mineurs”. Il Tavolo, entro novanta giorni dal suo
avviamento, deve licenziare un regolamento operativo per
disciplinare il sistema organizzativo, la gestione del
calendario e l’adesione di nuovi partner.
ART. 5. Formazione e Aggiornamento.
Tra i compiti del Tavolo si evidenzia quello di promuovere
la formazione e l’aggiornamento professionale di tutte le
figure di mediazione sociale e di comunità rivolte ai minori
e propedeutiche al contrasto della violenza e del bullismo,
anche attraverso la costante ricerca e applicazione di
metodologie innovative. Molto importante, in questa
ottica, è il contributo che può essere conferito dal
partenariato transnazionale e dalla presenza di
associazioni di rilievo nazionale che vantano una grande
esperienza e tradizione nel settore.
ART. 6. Sensibilizzazione.
I sottoscrittori si impegnano a porre in essere ogni azione
volta alla sensibilizzazione dei minori e delle parti sociali
della Comunità, per affermare una cultura della
mediazione sociale e la centralità di un sistema di servizi
volto al riconoscimento del BENE COMUNE, dal quale
l’intera collettività e ogni singolo componente possono
trarre i necessari benefici per raggiungere obiettivi di benessere, di maggior sviluppo del territorio e per
conquistare livelli più elevati di felicità.
215
ART. 8. Patto per la Sicurezza.
I sottoscrittori si impegnano a dar seguito alle attività
connesse agli obiettivi definiti dal presente Patto, anche
sviluppando le corrette correlazioni con altri progetti in
atto e ancora da definire, a cominciare dal progetto
“Criminal Justice, Urban Security and Social Inclusion: A
new European Approach”, promosso dal Cresm e da altri
partner, molti dei quali già sottoscrittori del presenta atto,
nell’ambito del programma “Restorative Justice”. La
connessione tra i due progetti promuove il passaggio
ulteriore dal PATTO locale alla definizione di un PATTO per
la Sicurezza dei Minori e dei Giovani, sostenuto attraverso
la redazione di un PIANO STRATEGICO PER LA
SICUREZZA DEI MINORI E DEI GIOVANI, in grado di
comprendere anche le funzioni, i compiti e le competenze
di Prefettura, Questura e, quindi, Ministero degli Interni e
Ministero della Giustizia.
216
Il Patto di sicurezza locale di
Dublino
Michael Mernagh
INTRODUZIONE
A causa dei molti problemi sociali ed economici che
affliggono Dublin Inner City negli ultimi 20 anni (la droga,
disoccupazione, abbandono scolastico, condizioni povere
abitative, la mancanza di servizi di comunità) che hanno
portato alla violenza e comportamenti anti-sociali in
particolare tra i giovani, SICCDA ha condotto una
campagna per una soluzione integrata per le principali
parti interessate. Come risultato di questa campagna da
parte di SICCDA e altre organizzazioni interessate il
governo irlandese, in collaborazione con l'Autorità di
vigilanza irlandese (An Garda Siochana) hanno concordato
dei protocolli per l'istaurazione di una polizia locale nelle
zone colpite dalle droghe e altri problemi connessi.
LE STRUTTURE ORGANIZZATIVE
Una struttura a due livelli è stata istituita per Dublino sotto
la Garda Siochama Act 2005
• Un comitato congiunto di polizia per la Inner City
• 4 fori di polizia locale per le diverse aree del South Inner
City. (Vedi allegato 1).
217
FUNZIONI DEL FORUM LOCALE
Meccanismo per la Comunità / Gardaí e autorità locali
(rappresentanti pubblici e di altre agenzie di legge e le
parti interessate, come richiesto) per incontrare
formalmente e migliorare le comunicazioni tra le parti.
• Condivisione e scambio di informazioni pertinenti tra cui
data di reato su aree locali
• Identificare le questioni di interesse re; comportamenti
anti-sociali, di polizia e di gestione immobiliare
• lavorare insieme per trovare soluzioni
• Fornire un feedback sui progressi e mantenere agenzie
accettabile
• Migliorare la sicurezza dei residenti locali
• Elaborare linee guida e appoggio per la gestione delle
tensioni / divisioni nelle comunità re; comportamenti antisociali
• Identificare e fornire per le esigenze di formazione di
tutti i soggetti interessati
• Facilitare la creazione di capacità dei residenti locali
• Organizzare conferenze locali e seminari su temi
rilevanti
• Rappresentanti del Comitato che l'autorità membro
eletto locale dovrebbe essere nominato per 3 anni
• Incontro mensile del Comitato di gestione
• Un membro del Comitato di amministrazione dovrebbe
essere nominato per coordinare le attività del Forum
Polizia Locale e di collegamento fra Forum Polizia Locale
e Comitato misto di Polizia.
218
LE LIBERTÀ DEI MEMBRI DEL FORUM SUD INNER
CITY POLIZIA LOCALE
• Il Garda Siochana
• Comune di Dublino
• Dublin South Inner City Local Drugs Task Force
• Risposta Community
• South West Inner City Network
• I commercianti di Meath Street
• l’Associazione dei residenti di via Bridgefoot
•l’Associazione di South Inner City Community
Development Association
METODI E STRUMENTI UTILIZZATI
• Organizzazione della serie di incontri a livello
comunitario in materia di sicurezza urbana nella zona di
Liberties della città meridionale interna. SICCDA ha fatto
una campagna e organizzato questi incontri.
• Riunioni all'interno delle scuole (presidi e gli insegnanti),
come indicato nello schema allegato per spiegare la
necessità di una strategia e un programma per sostenere
i giovani nella comunità integrata.
• Introduzione di mediazione tra pari, i presidi e la pratica
nelle scuole selezionate. Questo programma sta
continuando e riguarderà tutte le scuole
• Coinvolgimento dei rappresentanti delle scuole nel
forum di polizia locale.
• Nuovi programmi educativi in materia di non-violenza
sono attualmente organizzati per tutte le scuole nella
comunità. Questo è necessario a causa del crescente
219
livello di bande e della violenza legata alla droga nella
comunità.
• SICCDA sta analizzando e valutando le strategie antiviolenza in corso con i partner comunitari e di volontariato
al fine di sviluppare modi più efficaci per coinvolgere i
giovani nel nostro programma.
220
Verso nuove
prospettive
221
222
La “Scuola che cambia”: per la
costruzione di una nuova
comunità didattica
Gabriella Ebano, Annamaria Frosina
“Non è eticamente e politicamente sostenibile un sistema
scolastico e universitario il cui corpo docente non adotti il
territorio dei loro alunni come principale libro di testo cui
applicare tutte le discipline con la massima tensione e
attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale. Senza
tale adozione il sistema scolastico e universitario
concorrono allo sradicamento delle nuove generazioni,
che, così non adotteranno i loro territori come bacini di
ricchezza economica sociale storica culturale naturalistica
cui applicare i loro talenti, vocazioni e competenze. Alunni
e studenti protagonisti di ricerca scoperte e progetti nel
proprio territorio cresceranno con una forte identità
versatilità progettualità e competenza che spenderanno
efficacemente non solo nel loro territorio, ma in qualunque
angolo del pianeta”.
(Lorenzo Barbera)
Questi basilari concetti, espressi da Lorenzo Barbera,
quale espressione della metodologia Cresm, in riferimento
alla sostenibilita’ sociale partecipata e
allo sviluppo
locale, rappresentano un punto di riferimento
imprescindibile per illustrare le nuove prospettive che il
Cresm intende intraprendere nel campo socio-educativo.
223
Tali concetti ci riportano anche tutto il bagaglio di
esperienza che dal secondo dopoguerra ad oggi è stato
sviluppato sul territorio, con le lotte e le iniziative del
“Centro Sudi e iniziative per la piena occupazione”
promosso da Danilo Dolci negli anni ’50 a Trappeto e dal
“Centro Studi e iniziative per la Valle del Belice”
promosso, dopo il terremoto del 1968, da Lorenzo
Barbera, tuttora presidente onorario del CRESM.
E ancora oggi, in stretta continuità con le azioni intraprese
nel passato, è centrale, nella mission del Cresm, il
rapporto privilegiato con il territorio, la cui conoscenza è
presupposto indispensabile per stimolar ne ed
accrescerne le vocazioni, i talenti e le competenze,
espresse dai suoi abitanti. Tra questi un ruolo
fondamentale è rappresentato dai più giovani: bambini e
ragazzi, che attraverso la partecipazione diretta e
consapevole nel loro percorso di crescita, riusciranno a
percorrere questa strada maestra per realizzare un
processo permanente di incontro e integrazione,
rendendoli così capaci di entrare in relazione feconda e
interattiva con altri territori vicini e lontani.
La scuola, quindi, intesa come territorio di vita e di
socializzazione, riveste un ruolo centrale e delicato che
deve essere sostenuto, specialmente in questi anni in cui
è soggetta ad una molteplicità di pressioni, spesso
divergenti, che rendono particolarmente difficile il suo
operare nella quotidianità. E per la sua natura di crocevia
educativo ineludibile, unica agenzia formativa di
riferimento attualmente disponibile, la scuola è destinata a
divenire sempre più luogo di innovazione, sperimentazione
e realizzazione di esperienze significative.
224
E’ importante, quindi, per valorizzare l’intero “mondoscuola”, lanciare un messaggio forte per la realizzazione
di percorsi educativi e formativi al fine di stimolare ed
accrescere le potenzialità degli alunni e la loro personale
evoluzione.
Ecco il perché della nascita di OFFICINE DIDATTICHE:
Laboratori permanenti e percorsi didattici nelle scuole
con azioni che mirano a sviluppare nei bambini e nei
ragazzi lo spirito critico e la creatività. E questo
proseguendo i nostri progetti con le scuole realizzati
fino ad ora, che sono stati sono state sperimentazioni
per tentare di tracciare strade nuova dentro le diverse
competenze, con l'obiettivo di farle diventare davvero
"materia" della Scuola, rafforzandone il collegamento
con il contesto esterno.
Per continuare su questa strada maestra, con le
proposte di OFFICINE DIDATTICHE, proseguiremo il
nostro cammino a fianco della "Scuola che Cambia".
Strumento principe, utilizzato nelle attività laboratoriali,
sarà il metodo maieutico, sperimentato da Danilo Dolci e
Lorenzo Barbera nel loro lavoro sociale ed educativo che
verrà applicato nel lavoro per piccoli gruppi, in cui
ciascuno potrà esprimersi, valorizzarsi e valorizzare gli
altri, in una spontanea comunicazione creativa. I
laboratori diventano, in tal modo, luoghi ideali nei quali i
p a r t e c i p a n t i e s p l o r a n o , i n v e n t a n o , p ro g e t t a n o
concretamente maturando la necessità di esprimersi,
comunicare, conoscere e sviluppare la creatività come
reale potenziale, in un rapporto vero con le proprie
emozioni, senza vincoli o preconcetti e con totale libertà
dagli schemi. Per arricchire il loro potenziale creativo ed
225
espressivo dando risposte originali e personali agli stimoli
che riceveranno.
In un percorso educativo didattico, ispirato a teorie
pedagogiche innovative, rivolto all’intero mondo
scolastico, dalla scuola dell’infanzia all’università,
particolare attenzione sarà rivolta alle proposte offerte ai
più piccoli, nell’età in cui maggiore è la capacità di
autonoma risposta agli stimoli loro offerti, quando il
bambino prende le sue misure con il
mondo, cresce e
matura.
Alla costruzione di una nuova comunità educativa
saranno chiamati a partecipare anche i docenti e i
genitori. I primi, con laboratori per l’intercettazione di valori
e l’applicazione di strumenti complementari e/o sussidiari
a quelli ministeriali. I Genitori saranno coinvolti per la
costruzione di progetti educativi integrati scuola-famiglia.
Ci si concentrerà sull’ambiente scuola, sugli attori
coinvolti e sugli obiettivi che si intendono raggiungere. Un
approccio sistemico, quindi, basato su una visione
complessiva ed integrata della realtà vista come un
sistema e un insieme di componenti interagenti tra loro
aventi come scopo comune il benessere dei propri ragazzi.
Il dibattito su studi e ricerche verterà su temi cruciali che
affliggono il mondo della scuola al fine di dare una visione
complessiva ed integrata della realtà scolastica.
L’apprendimento condiviso dei temi trattati, acquisito
attraverso un processo comunicativo che privilegia il
dialogo, la discussione, il confronto, renderà i partecipanti
più consapevoli sia dell’importanza della propria funzione
educativa, sia degli strumenti necessari per poterla
svolgere compiutamente.
226
E’ necessario, quindi, programmare azioni che creino
nuovi luoghi, strutture,programmi educativi (conoscenza,
apprendimento, ma anche ascolto,comunicazione
comprensione...). Questi programmi devono
coinvolgere,non solo tutti i membri della comunità
scolastica (insegnanti, alunni, genitori), per lottare contro
il processo di atomizzazione della comunità scolastica
ma, soprattutto, per creare nuove forme di solidarietà tra
studenti e tra studenti e la comunità educativa.
Questo tipo di struttura é in grado di prevenire il
fenomeno del bullismo e della violenza nelle scuole, di
facilitare la collaborazione, l’ascolto e la solidarietà tra
pari, e di ricostituire una vera Comunità Scolastica. E per
creare una nuova modalità relazionale sia tra allievi e
insegnanti, che tra la scuola e la famiglia.
L’obiettivo finale, in linea di continuità con il percorso
intrapreso e
portato avanti dal CRESM in tutti questi
anni, è di proporre e sperimentare un modello educativo
nuovo ma che, nel contempo, si ricollega idealmente a
quello ideato e promosso da Danilo Dolci e Lorenzo
Barbera nel loro lavoro pedagogico-culturale. Con la
convinzione che tale modello educativo sarà capace di
creare le condizioni per far nascere nei bambini e nei
ragazzi il
cittadino di domani pronto ad una migliore
comprensione del territorio a cui appartiene, per amarlo e
valorizzarlo, promuovendone lo sviluppo sostenibile per il
suo futuro.
227
228
Conclusioni
Alessandro La Grassa
Quest’anno il CRESM ha compiuto 40 anni. Quando fu
fondato, nel 1973, si incaricò di raccogliere il testimone di
un’esperienza sociale fra le più appassionanti del
dopoguerra italiano, quella portata avanti dalla metà degli
anni Cinquanta e fino al 1976, da Danilo Dolci, Lorenzo
Barbera e dai loro collaboratori, a cavallo tra le zone di
Partinico e l’area della Valle del Belice 19. Un’esperienza
che potremmo in qualche modo considerare “fondativa”
del concetto stesso di “partecipazione popolare” al
disegno dei percorsi di sviluppo (sociale, culturale ed
economico) di un territorio, e che il CRESM ha continuato
a promuovere ed applicare in tutti i contesti in cui ha
operato.
Ma ritornare al 1973, nel contesto di questo libro, non è
soltanto un esercizio di memoria utile a celebrare un
anniversario. Ci serve a rintracciare le origini del percorso
evolutivo della Scuola Italiana, da istituzione
sostanzialmente chiusa al confronto, a luogo sempre più
aperto al rapporto con gli allievi, le famiglie e la realtà
circostante. In quell’anno, infatti, non erano ancora stati
approvati i cosiddetti Decreti Delegati (che vedranno la
luce nel ‘74), che in sostanza recepivano le istanze del ‘68
e avviavano la Scuola pubblica al rapporto con il contesto
19 vedi sito www.epicentrobelice.net
229
esterno, con le famiglie e in qualche modo con la
democrazia (nascono gli organi collegiali).
Da allora ad oggi, la Scuola ha cercato di metabolizzare in
qualche modo quei cambiamenti (senza grandi entusiasmi
e spesso con poca partecipazione da parte delle famiglie)
e nel frattempo ha dovuto affrontare nuove sfide, che ne
stanno progressivamente cambiando i connotati.
Per citare le più rilevanti: il confronto con il resto
d'Europa, la politica dei tagli (a favore delle istituzioni
private) con conseguente precarizzazione crescente e,
per venire al tema di questo libro, la richiesta di allargare
e riqualificare gli ambiti di competenza, fino a lanciare lo
sguardo verso un futuro non lontanissimo in cui la stessa
istituzione "Scuola" avrà necessariamente un senso assai
diverso da quello attuale.
La Scuola nell’era digitale
Se guardiamo, ad esempio, alle 8 Competenze-Chiave
per l’Apprendimento Permanente20, definite dalle politiche
europee per l’Istruzione:
1 comunicazione della madrelingua
2 comunicazione nelle lingue straniere
3 competenza matematica e competenze di base in
scienze e tecnologia
4 competenza digitale
20 Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18
dicembre 2006
230
5 imparare ad imparare
6 competenza sociale e civica
7 spirito d'iniziativa e imprenditorialità
8 consapevolezza ed espressione culturale
ci accorgiamo che le prime 4 sono, al contempo, quelle
su cui la Scuola si sente storicamente più "preparata", ma
anche quelle su cui l’avvento dell’era digitale sta portando
enormi cambiamenti di prospettiva. I giovani nativi digitali
di cui parla Romano Mazzon, nel capitolo dei “linguaggi
possibili”, si stanno già chiedendo che senso abbia, oggi,
(fra l’altro nel contesto della spinta all’accorpamento e
alla chiusura di istituti minori) fare decine di km per
assistere ad una lezione che potrebbero tranquillamente
seguire da casa. In altre parti del mondo questo semplice
ragionamento sta già cominciando a prefigurare una
Scuola “smaterializzata”. Già da qualche anno decine di
milioni di ragazzi in giro per il mondo trovano conforto alle
carenze matematiche collegandosi col sito
"www.khanacademy.org" (consigliato dallo stesso Obama
alle sue figlie!), creato da un giovane ingegnere del
Bangladesh e le sue lezioni sono ora anche tradotte in
Italiano. Quanto tempo ci vorrà prima che per ognuna
delle "materie" classiche della scuola non si ripeta la
stessa cosa? Molto poco.
E quanto ci vorrà prima che un Ministro proponga, in
nome dell’Austerity, ma soprattutto dell’Innovazione, la
sperimentazione di Materie Virtuali, in cui un solo docente
potrà seguire qualche centinaio di allievi, magari con
l’assistenza di tutor digitali (che facilmente immaginiamo
sottopagati e precari)?
231
Le competenze sociali e relazionali: la
nuova dimensione della Scuola
Guardiamo ora alle altre competenze, ci accorgiamo
subito che si riferiscono agli aspetti più genuinamente
formativi della personalità e delle sue capacità relazionali
e sono anche quelle che meglio qualificano, e
qualificheranno, la scuola (come suggerisce Laura Gilli nel
capitolo sulla “Centralità dell’esperienza scolastica”)
come "luogo fisico" fatto di persone che si incontrano e si
confrontano senza perdere il contatto con la realtà
esterna, ma anzi attingendo il più possibile da essa.
Ma è altrettanto indubbio che si tratta di competenze,
come ad esempio quella sulla “capacità di mediare”,
proposta dal nostro progetto, che non sono ancora
entrate nel DNA della Scuola, soprattutto nel Sud
dell’Italia. La sfida che pongono queste competenze è
complicata, ma affascinante: non si tratta di aggiungere
materie a materie, come spesso capita di vedere in giro,
ma di trovare modalità trasversali a tutto il curricolo
scolastico per trasmettere l’utilità, ad esempio, della
mediazione, della relazione col territorio, della cooperazione.
In questo senso la proposta degli Obiettivi Non Specifici
di Apprendimento, trattati da Rosanna Frosina al Cap. 5,
e il metodo di trasferire dei contenuti “sociali” direttamente
nelle normali materie di insegnamento, chiarisce bene
alcuni aspetti di questa sfida tutta da giocare.
Sono davvero tanti i segnali che testimoniano della
conclamata necessità e urgenza di rivedere l’assetto della
Scuola alla luce di queste nuove competenze: dalla
232
crescente difficoltà degli insegnanti (la cui età media in
Italia ha ormai superato i 50 anni) a gestire il rapporto
sociale con e fra gli allievi, al problema della crescente
alienazione degli allievi dai loro contesti territoriali e quindi
alla incapacità di guardare al territorio e al contesto
sociale ed economico come risorsa.
E per noi, che ci occupiamo di sviluppo locale integrato e
sostenibile, è sempre stato un vero cruccio, per citare le
parole di Lorenzo Barbera, quello di sentirsi dire dai
ragazzi in uscita dalle scuole superiori (anche in epoche di
relativa prosperità) che nei loro territori "non c'era niente da
fare", segno, almeno in parte, di uno scollamento con la
realtà di cui la Scuola porta delle forti responsabilità.
I bambini come cellule staminali della
società
Nell’ambito di questa sfida dovremo infine fare i conti con
un dato di fatto confermato da innumerevoli esperienze e
studi: l’importanza dell’infanzia come momento cruciale
per la costruzione della personalità e dei saperi del
bambino. Un po’ come le cellule staminali che si adattano
perfettamente al contesto biologico in cui sono inserite,
cosi i bambini, in particolare al di sotto dei 4 anni risultano
dotati di enormi potenzialità che richiedono solo di essere
apprezzate e valorizzate, prima che l’avanzare del tempo
e i contesti sociali ne limitino inesorabilmente il “raggio
d’azione”.
233
Se in campo linguistico già Chomsky suggeriva, già a
metà degli anni ‘60 21, l’esistenza di un vero e proprio
“Dispositivo di Acquisizione del Linguaggio” (e quindi di
qualsiasi lingua) le cui potenzialità si affievoliscono già a
partire dal 6° anno di età del bambino, altri pedagogisti
come Ken Robinson 22
hanno sottolineato come le
capacità creative (legate al cosiddetto “pensiero
divergente”) dei bambini in età pre-scolare, siano spesso
mortificate proprio dalla struttura stessa dell’istituzione
scolastica, che risente ancora di una concezione quasi
“fordista” dell’insegnamento del sapere.
Partendo da questi presupposti il premio Nobel per
l’economia, James Heckman, ha di recente dimostrato
l’importanza, perfino economica, per la società, di
rivedere radicalmente l’investimento pubblico nel mondo
dell’istruzione e dell’educazione, per concentrarlo
soprattutto nel periodo dell’infanzia e della scuola primaria23.
Se applichiamo questo ragionamento al contesto di
questo libro, dovremo a questo punto chiederci quanto
sarebbe più utile concentrare in quel periodo educativo la
maggior parte degli sforzi di prevenzione di fenomeni di
disagio sociale (come appunto il bullismo), ma anche
come migliorare complessivamente le strategie educative
e gli sforzi maieutici dei nostri laboratori didattici per
rafforzare le competenze sociali (in termini ad es. di
cooperazione e mediazione) e creative dei bambini.
N. Chomsky Aspects of the Theory of Syntax. MIT Press 1965.
Vedi il video di presentazione di Cambiare i paradigmi dell’istruzione, Ken
Robinson, su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=FV7XS-1ix8Y
21
22
J. Heckman, The productivity argument for investing in young children –
NBER Working Paper Series Cambridge MA 2007 http://www.nber.org/
papers/w13016.pdf?new_window=1
23
234
E se è vero che un bambino può apprendere, prima dei 6
anni, fino a 3 lingue senza neanche accorgersene, chissà
quanti modi saprebbe trovare, se positivamente stimolato,
per risolvere i conflitti che troverà lungo il suo cammino.
Avremmo molto da imparare.
235
236
Autori
Lorenzo Barbera
Presidente Onorario del CRESM
Renato Briante
Esperto di welfare dello sviluppo - Provincia Regionale di Trapani
Michael Conlon
Coordinatore del Settore Mediazione e Formazione - SICCDA - Irlanda
Gabriella Ebano
Scrittrice, fotografa
Annamaria Frosina
Coordinatrice Settore Mediazione - CRESM
Rosanna Frosina
Insegnante, esperta di mediazione dell'apprendimento
Giovanni Ghibaudi
Coordinatore del Centro di Mediazione della Città di Torino
Laura Gilli
Mediatrice sociale e formatrice del GRUPPO ABELE
Alessandro La Grassa
Presidente del CRESM
Marilena La Placa
Gruppo e-learning - multimedia - CINECA
Romano Mazzon
Psicologo, Sociologo, Ricercatore - CRESM
Michael Mernagh
Programme Manager di SICCDA - Irlanda
Giuseppina Sutera
Mediatrice sociale e penale, formatrice - CRESM
JoelleTimmermans
Mediatrice Scolastica, formatrice -MEDIANTE – Belgio
Giovanna Triolo
Mediatrice sociale e penale, formatrice - CRESM
237
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Roberto Albani - Si fa come dico io - Pratiche Editrice
Fulvio Scaparro - "La bella stagione" Dieci lezioni sull'infanzia e
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Oltre vol. 2 - Tannini Editrice
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Kathrin Geldard, David Geldard - Parlami, ti ascolto - Erikson,
Eugenia Pelanda - Non lo riconosco più. Genitori e figli:
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240