QUALUNQUE `GUERRA` NON GIUSTIFICA GUANTANAMO Il

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QUALUNQUE `GUERRA` NON GIUSTIFICA GUANTANAMO Il
QUALUNQUE ‘GUERRA’ NON GIUSTIFICA GUANTANAMO
ALLEGATO AL CAFFÈ DUNANT NR. 250 – GIUGNO 2005
GABOR RONA∗
Il dibattito sulle relazioni intercorrenti fra atti terroristici, misure contro-terroristiche e le leggi
sui conflitti armati ha sollevato un gran polverone dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre
2001 contro l’America. Molta della confusione nasce dall’uso inappropriato di un termine:
“guerra”.
William Taft per esempio, che è consigliere legale della segreteria di stato degli Stati Uniti,
ha recentemente dichiarato come nella lotta al terrorismo lo stato di guerra sia un dato di
fatto. Ha quindi suggerito che le persone detenute - per via di questa “guerra” - dagli Usa a
Guantanamo Bay (Cuba) siano da gestire secondo le leggi dei conflitti armati.
Ma suggerire che il riconoscimento del diritto dell’America di difendersi dai perpetratori di
quegli attacchi implichi accettare un ‘paradigma di guerra’ per ogni cosa e persona considerata
terrorista, è un po’ troppo. Detto in maniera semplice, i sospetti terroristi catturati in relazione
ad un vero conflitto armato (il termine giuridico per guerra) possono sı̀ essere imprigionati
secondo il diritto internazionale dei conflitti armati, noto anche come diritto internazionale
umanitario (Diu). In caso contrario, a loro si applicano altre leggi, quali le leggi sui diritti
umani e il diritto penale nazionale o internazionale, che generalmente vietano la detenzione
senza accuse e garantiscono il diritto di avere un’avvocato e un processo equo.
Cosa intendiamo allora per “conflitto armato”? L’espressione non è definita esplicitamente
nelle Convenzioni di Ginevra, le leggi internazionalmente accettate sulla condotta di guerra,
bensı́ viene normalmente intesa a designare l’uso della forza tra due o più stati (conflitto armato
internazionale), o il superamento di un certo livello di violenza fra uno stato e gruppi armati,
oppure tra gruppi armati all’interno di uno stato (conflitto armato non internazionale).
Cosa significa ciò in relazione al terrorismo? Dal punto di vista ufficiale degli Usa vi è un
conflitto armato internazionale in atto oggi, che dilaga in tutto il mondo e oppone alcuni paesi ai
terroristi. Questo conflitto avrà fine quando il terrorismo verrà sconfitto. Nel frattempo le leggi
dei conflitti armati sono in forza sul globo intero, il che significa che uccisioni, distruzione di
proprietà e detenzione sono, nei limiti, permesse, senza i freni posti dall’intervento giudiziario.
In un tale mondo, invece di arrestare semplicemente un sospetto terrorista per la strada, gli
Stati Uniti avrebbero facoltà di sparargli, se considerato “combattente nemico”.
Questa teoria porta lo scompiglio in un equilibrio ben calibrato e provato nel tempo tra il
diritto dei conflitti armati, i diritti umani e il diritto penale, minando seriamente i diritti umani
e la sicurezza, con gravi conseguenze.
∗
L’autore è consigliere legale del Cicr.
Articolo originariamente apparso sul Financial Times del 1 marzo 2004 e reperibile
http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/iwpList488/42BCD4D3BEB459ABC1256E51003EAF49.
in
inglese
sul
sito
Cicr
Qualunque ‘guerra’ non giustifica Guantanamo
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Gli Stati Uniti mal applicano il principio secondo cui nei conflitti armati le persone possano
essere detenute senza ricorso ad avvocati e corti. Vi sono ad esempio due categorie di detentui
a Guantanamo per i quali una detenzione a lungo termine senza revisione di giudizio o amministrativa non è permessa dal diritto internazionale. La prima categoria consiste in coloro i quali
sono stati catturati legalmente durante il conflitto armato internazionale in Afghanistan che
seguı̀ l’11 settembre e si concluse con l’insediamento del governo di Karzai nel giugno 2002. Le
successive ostilità sono da considerare o un conflitto armato interno o qualcosa di meno di un
conflitto armato. In ogni caso, quei detenuti hanno diritto a procedure individuali a riguardo
delle motivazioni per la loro detenzione. L’ironia è che gli Usa affermano giustamente il diritto,
secondo le leggi di guerra, di detenere alcune persone per la durata di un conflitto armato, ma
poi si sottraggano agli obblighi di concedere ai prigionieri un processo previsti dalle medesime
leggi.
Il secondo gruppo riunisce le persone imprigionate in luoghi più lontani come lo Zambia,
sospettati di attività criminali terroristiche ma al di fuori di conflitti armati, e che sono ‘consegnati’ in custodia agli Stati uniti senza un legale processo. Assoggettarli alle regole della
detenzione in guerra è contrario sia in linea di principio che in pratica al diritto internazionale.
Le persone che commettono atti ostili contro gli interessi statunitensi possono essere criminali,
ma non necessariamente combattenti nemici. Soltanto chi commette atti ostili nell’ambito di un
conflitto armato senza essere un soldato regolare, o un combattente “privilegiato”, può essere
propriamente considerato combattente “illegale” o “non privilegiato”. Per quanto essi possano
venir perseguiti per atti illegali di belligeranza, non possono tuttavia essere privati delle protezioni del diritto dei conflitti armati ed altre leggi relative, nonostante quanto affermato dagli
Stati Uniti.
Queste distinioni non sono solo mere sottigliezze legali. La vita delle persone e l’integrita’
della legge sono infatti in equilibrio. Per questo motivo il Cicr ha ribadito con insistenza
l’obbligo che gli Usa hanno di invocare le procedure previste dalle Convenzioni di Ginevra per
determinare lo status giuridico dei detenuti a Guantanamo e in altre località note o segrete.
Gli Stati Uniti stanno procedendo con i progetti di portare i prigionieri dinnanzi a commissioni militari, citando il precetto delle Convenzioni di Ginevra che prevede che i prigionieri di
guerra siano giudicati da corti marziali. Come possono gli Usa fare ciò mentre dichiarano che
nessun loro detenuto ha diritto allo status di prigioniero di guerra? Ma a parte questo, gli Usa
rischiano di portare davanti a corti militari persone i cui presunti crimini non hanno nulla a
che fare con un conflitto armato come inteso dal Diu. Tali persone possono e dovrebbero avere
un processo, ma non da parte di una corte militare.
Le leggi sui conflitti armati bilanciano gli interessi della sicurezza nazionale da una parte, e
la protezione delle persone in tempo di guerra dall’altra. Quando il terrorismo e la lotta contro
esso sfociano in conflitto armato, è proprio allora che si applica il diritto dei conflitti armati.
Ma se alcuni aspetti della cosiddetta guerra al terrorismo non rientrano nella definizione di
conflitto armato, è nell’interesse di tutti quanti che il diritto nazionale ed internazionale venga
rispettato.
(Traduzione non ufficiale di S.G.Chiossi)
Allegato al Caffè Dunant nr. 250 – giugno 2005