pronti, partenza, libia! - Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence

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pronti, partenza, libia! - Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence
PRONTI, PARTENZA, LIBIA!
PAPER DIFESA E SICUREZZA
I Paper dell’Istituto Alpha del programma di ricerca su Difesa e Sicurezza analizzano
scenari e fenomeni relativi al settore della difesa e della sicurezza pubblica e privata.
APRILE 2016
DENISE SERANGELO – GAETANO POTENZA
The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence – www.alphainstitute.it
The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence
Paper Difesa e Sicurezza
Pronti, partenza, Libia!
Aprile 2016
Denise Serangelo
Dottoressa in Scienze Strategiche laureata presso la Scuola di Applicazione e studi militari dell’esercito, è
stata tirocinante al IV reparto logistico dello Stato Maggiore Esercito a Roma. Si è occupata
specificatamente di Counter IED e di politiche d’impiego delle Forze Armate nei teatri operativi. Dall’inizio
della crisi libica si occupa di analizzare le forze in campo nel paese e le riposte che possono portare alla
sua risoluzione. Per lo scenario siriano si occupa dell’analisi dei sistemi d’arma russi. Collabora con diverse
riviste specializzate nel settore sicurezza e difesa trattando le analisi politico-militari.
Gaetano Potenza
Dottore in Scienze della Difesa e della Sicurezza nel 2011 con tesi sul “Riconoscimento del CNT Libico nel
diritto internazionale” e laureando in Scienze dell’amministrazione e delle politiche pubbliche con tesi su
“Interessi Nazionali in un sistema di sicurezza tra pubblico e privato”, dopo una breve carriera nell’Esercito
Italiano entra nel 2014 nel mondo della security privata come analista occupandosi di security management
ed analisi del rischio elaborando Risk Monitoring e Security Operation Planning per le aree del Medio
Oriente, Maqreb, West Africa. Collabora fin dal 2011 per numerose riviste scientifiche con focus sul Nord
Africa (Libia) e Pirateria Marittima. Nel 2015 ha fondato L’Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence di
cui è Direttore Generale.
Documento rilasciato con licenza CC BY 3.0 IT
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Indice
1. Il nuovo governo libico tra insicurezza e criticità strutturali - p.4
2. Tobruk – Tripoli: Prospettive di risoluzione della crisi politica – p.7
Paper Difesa e Sicurezza – Aprile 2016
Pronti, partenza, Libia!
di Denise Serangelo, Gaetano Potenza
La Libia è inesorabilmente diventata una
Somalia del Mediterraneo che bussa
prepotentemente alle porte del vecchio
continente per sapere che futuro gli si
vorrà dare.
1. Il nuovo governo libico tra
insicurezza e criticità strutturali.
Da ben due settimane a Tripoli si è
insediato il tanto atteso Governo di unità
nazionale, Fayez Serraj in qualità di neo
premier ha già dato segno di una
capacità alquanto anomala e inaspettata
di creare consenso intorno all’esecutivo.
Proprio quest’ultimo più che raffigurare il
nuovo inizio di un Paese distrutto da anni
di caos incontrollato rappresenta invece
l’ultimo amaro tentativo dell’Europa di
risistemare il grande scacchiere interno
al paese.
Un tentativo che risulta anacronistico e
soprattutto forzato agli occhi dei libici.
Un Governo non nasce a tavolino sulle
macerie di un regime durato decenni,
non si crea escludendo una parte della
popolazione dalle trattative di pace a
maggior ragione se tale Governo ha il
compito di arginare l’avanzata dello Stato
Islamico e fermare l’ondata di migranti
pronti a partire per il Mediterraneo.
La Libia aspetta solo il suo casus belli per
esplodere in una violenza inaudita che
travolgerà l’intera regione, dando spazio
di manovra alle milizie che intendono
affiliarsi
alle
bandiere
nere.
Vista e considerata l’instabile condizione
sociale, aggravata da una recessione
economica e dalla totale mancanza di
sicurezza interna, probabilmente non
dovremmo attendere molto.
Le prime avvisaglie si sono già percepite
nella notte tra sabato 16 aprile e
domenica
17
quando
è
stata
letteralmente assaltata la casa di uno
dei vice del premier Serraj.
Il politico si trovava impegnato in diversi
incontri di lavoro dopo essersi
confrontato con i primi ministri di Francia
e Gran Bretagna.
Proprio questi incontri potrebbero aver
scatenato
la
furia
delle
milizie
antagoniste al governo che vedono nelle
cancellerie europee un grosso ostacolo
al loro proliferare.
Nonostante l’incursione sia stata eseguita
senza
scomodare
tecniche
di
derivazione militare, il commando è
riuscito ad uccidere due guardie che
erano in servizio per la protezione
dell’abitazione.
Il Signore della guerra di Tripoli tale
Haitem Tajour ha rivendicando l’atto si è
detto fortemente contrario al nuovo
esecutivo, giurando ulteriori ritorsioni
verso chiunque appoggerà tale scelta.
Il suo nome era già salito alle cronache
per un primo grave caso di insicurezza
legato alla figura di Al-Serraj proprio al
momento dell’arrivo a Tripoli del premier.
Le continue minacce di Tajour al suo
antagonista fomentano a tutt’oggi
l’impossibile dialogo tra le due parti
facendo apparire impossibile un accordo
per
la
pacifica
convivenza.
Quello dello scorso fine settimana è il
primo vero attacco al Governo di Unità
Nazionale dal momento del suo
insediamento a Tripoli.
Per questioni di sicurezza Al-Serraj viene
tenuto in una blindatissima base navale
di Abu Sitta, la sua protezione è garantita
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Paper Difesa e Sicurezza – Aprile 2016
da unità altamente addestrate di reparti
speciali europei come esplicitamente
richiesto dall’ONU.
Per quanto
questa
segregazione
volontaria potrà durare in pochi lo sanno
quel che è certo è che appena Tobruk si
deciderà a concedere la fiducia al nuovo
esecutivo la presenza del Premier
designato per le strade si presenta come
prioritaria.
Le prime due settimane di lavori del
nuovo governo saranno ricordate dai
posteri come caratterizzate da minacce,
velati attacchi e tentativi piuttosto blandi
di
arrestare
i
suoi
esponenti.
Le principali città libiche si trovano
attualmente nel caos, riflettendo quello
che è il clima politico del paese.
Bengasi, la seconda città libica più
importante per economia e storia è ormai
assediata dai miliziani che ne rivendicano
la proprietà.
Nella sola giornata di domenica 17 aprile,
fonti della sicurezza, parlano di 24
persone morte e altre 25 ferite
gravemente, gli scontri dunque non si
fermano e sembrano intensificarsi nel
quartiere di Hawari.
Per quanto Fayez Serraj in queste ultime
settimane sia riuscito a conquistare il
sostegno di diverse milizie, molte delle
quali controllano fazioni più piccole da
cui dipende una parte dell’attuale
sicurezza territoriale, è sotto gli occhi di
tutti che il Governo non ha influenza
diretta
su
tali
sostenitori.
Economicamente il neo leader è
sostenuto dalla compagnia petrolifera di
Stato e dalla Banca centrale, due dei
principali attori finanziari del paese,
entrambi convinti che sia necessario
ripartire dalla produzione di greggio per
risollevare le sorti del paese.
Il Rappresentante ONU Martin Kobler, si
dice soddisfatto del lavoro svolto per il
futuro libico ma sfortunatamente tali
esternazioni non tengono conto di quella
parte di attori politici esclusi dalle
trattative di pace per le ragioni più
disparate.
Proprio come successe in Somalia quasi
25 anni orsono, gli eterni esclusi dal
dialogo politico risultano essere coloro
che più minano la sicurezza interna del
paese.
Senza dover scomodare teatri operativi
troppo distanti, basterebbe osservare
meglio quanto accaduto in Afghanistan,
un paese che nonostante governo e
supporto internazionale stenta a ritrovare
la sua pace sociale a causa
dell’esclusione talebana dalle trattative.
Le prime vere domande per questo
nuovo governo sono dunque la
seguente: vorrà il Premier Al-Serraj
distaccarsi dalla solita strategia di
emarginazione proposta dall’ONU e
lavorare in maniera più illuminata perché
tutte le sfere politiche libiche siano
rappresentate nel futuro del Paese?
Serraj guarderà con timore o rispetto a
quel bacino di utenza che si giura pronto
a muovergli guerra perpetua e che
placherà la sua furia solo in cambio del
giusto riconoscimento politico ed
economico?
Una linea politica ancora non esiste a
riguardo ma se si guardano i casi del
futuro appena passato certamente non
avremmo la risposta che vogliamo
sentire.
Dalla coalizione tra il governo e le milizie
si snoda un’ulteriore problema ben più
articolato: il controllo territoriale.
Da quest’ultimo elemento dipendono la
sicurezza interna del paese e la sua
proiezione verso l’estero (soprattutto
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nella regione mediterranea) nonché la
stabilità necessaria per far ripartire
l’economia. Per quanto pervado di buone
intenzioni e supportato da poteri
economici sommersi, questo esecutivo
non può farcela da solo, il controllo totale
ed incondizionato del territorio è
indispensabile e Serraj non lo otterrà
molto facilmente salvo che non si scenda
a compromessi con la controparte.
La comunità internazionale, consapevole
della difficoltà militari libiche, preme
avere la tanto sospirata missione che già
si presenta come un probabile Vietnam a
ridosso
dei
confini
europei.
Inviare
truppe
osteggiate
dalla
popolazione e mal viste dagli stessi
militari libici, in un territorio ostile e con
evidenti
ristrettezze
economiche,
accompagnato ad progetto politico
insignificante persino sul breve periodo è
sinonimo di sconfitta su tutta la linea.
In tutto questo clima di approssimazione
totale sarebbe superficiale dimenticare
la presenza ormai sempre più radicata
dello Stato Islamico, presente nella zona
di Sirte e con una forte influenza nella
omonima regione portuale.
Se la Libia dovesse definitivamente
ripiombare nell’anarchia è possibile
immaginare che parte delle milizie, oggi
solo orientate a far cadere il governo, si
troveranno presto senza risorse in un
gruppo alla sopravvivenza senza
esclusione di colpi.
In questo caso lo Stato Islamico, con la
sua rete di welfare state informale,
potrebbero essere un grande ed
importante polo di attrazione non solo
per le milizie in cerca di occupazione ma
anche per quei sostenitori del governo
disillusi dall’ONU.
Il Mediterraneo, grazie agli oltre 200km di
costa controllati dal Califfato, è candidato
a diventare non solo hub di partenza del
flusso migratorio ma anche territorio di
prova per nuove tecniche di guerriglia
marittima simile a quella dei Pasdaran
iraniani.
Sono molti gli analisti che sostengono la
poca incisività dello Stato Islamico in
Libia, probabilmente eliminabile con
delle incursioni ben strutturate da parte
degli uomini ombra europei.
Tuttavia se finora si è evitato il
coinvolgimento nella lotta al terrorismo
della fanteria il clima di incertezza politica
e sociale della Libia impone almeno una
sorta di arginamento del fenomeno
jihadista a tutela del Mediterraneo.
L’esercito libico, attualmente uno scarso
agglomerato di milizie informe, non sarà
in grado di arginare in nessun modo da
solo le bandiere nere in avanzata verso
pozzi petroliferi e città strategiche.
Potremmo prevedere un supporto
europeo alle manovre libiche, una sorta
di strategia simile a quella russa in Siria,
solo se ci sarà un nucleo tattico
abbastanza forte gestire una basilare
operazione militare. Nonostante la
confusione diplomatica e militare le
informazioni che giungono dai vertici
ONU lasciano presumere l’apertura di un
qualche supporto militare imminente.
Il Generale Paolo Serra, attualmente
Consigliere Militare del Rappresentante
Speciale del Segretario Generale ONU
per la risoluzione della crisi libica, ha
sostenuto di voler riaprire l’ufficio
diplomatico della missione Onu UNSMIL
dove attualmente ha sede il Governo
Serraj.
Una debole scintilla che lascia ben
sperare i sostenitori di un intervento
militare dai contorni incerti e dai risultati
ancora meno prevedibili.
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Il Generale si è allineato fin da subito con
la linea politica seguita da Roma e si è
dichiarato a più riprese contrario ad
interventi armati senza prima aver
stabilito una solida base politica di
partenza.
2. Tobruk – Tripoli: Prospettive di
risoluzione della crisi politica.
Tobruk
il
famoso
parlamento
riconosciuto e voluto dalla comunità
internazionale non ha intenzione di
votare la fiducia al Governo di Unità
Nazionale promosso dall'ONU.
Il governo di Serraj, protetto da milizie sul
territorio di Tripoli, subisce una incursione
nella notte del 16 aprile da parte di un
commando armato.
I media italiani riportano le interviste di
salafiti che disprezzano l'isis sconfitta a
Derna dal consiglio dei mujaheddin,
queste ultime alleate al generale Haftar.
Questa la Libia che appare all'alba del 19
aprile: un caos diplomatico, politico e
militare.
Non è una Libia folle ma solo la normale
dimostrazione che le forme chimeriche
di alleanze discusse a tavolino non
saranno mai plasmabili agli scenari che
tengono conto del potere concreto e non
teorico.
Se dunque la legittimazione viene dal
basso in un contesto di stato vestfaliano
adesso più che mai la Libia ha bisogno di
riscoprire in se stessa e nella sua storia un
collante che sia in grado di far dialogare
le forze sul campo. La sfiducia da parte di
Tobruk è un chiaro segnale che, anche
se ci sono dei foraggiamenti esterni in
Libia iniziano a ragionale in termine di
nazione e si alleano contro un qualcosa
di esterno.
E' interessante a riprova di questo quanto
è accaduto in passato dopo i droni a
Sabrata, cioè la reazione dei libici stessi
contro l'Isis.
Le milizie di Zintan si sono unite a quelle
di Misurata, cosa che non era mai
successa. Anzi, era impensabile.
L'Isis è percepito come una forza
straniera e i libici si sono mossi come un
esercito unico, come sempre accade
quando
si
sentono
minacciati
dall'esterno. Sotto questo aspetto
ribadiamo l'impossibilità odierna di un
intervento militare nel paese per il
principale timore di fungere da
catalizzatore per unire varie milizie contro
il nemico invasore.
Le mosse di Tobruk e la presunta
coalizione di Haftar con altre milizie che
si accinge alla lotta contro il governo
esterno (quello di Serraj) dimostra come
gli interessi di alcune potenze in
Cirenaica (quelle dell'Egitto ad esempio)
sono
alla
base
della
divisione
dell'odierno paese.
Il piano dell'Onu appoggiato da Roma
vedeva infatti la costruzione di una
legittimità sulla parte di Tripoli convinti
che sarebbe bastato poi la legittimazione
di Tobruk per unire il paese sotto un
nuovo
governo.
Piano estremamente esemplificativo di
una miopia storica di un territorio che
racchiude il punto nevralgico degli
interessi di mezzo mondo in nord Africa.
Tuttavia la partenza dalla Tripolitania con
l'appoggio di Roma potrebbe essere una
teoria ottimale per la risoluzione delle
ostilità.
Ma non con un governo creato ad hoc
dall'esterno ma andando a trovare dentro
la Libia quali sono i decision maker che
stanno facendo andare avanti il paese a
prescindere
dalle
lotte
intestine,
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Paper Difesa e Sicurezza
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Paper Difesa e Sicurezza – Aprile 2016
vogliamo qua sottintendere alla forza
economiche che stanno dialogando con
l'estero e che non sono assoggettate da
lotte di potere.
Sotto questo aspetto è interessante
quanto suggerito da Descalzi (ad ENI)
che in una intervista auspica non la
creazione di un governo ed una sua
imposizione dall'alto ma il cercare di
creare un consenso dal basso partendo
dalla Tripolitania regione dove ENI opera.
Il piano dell'AD sembra quello di cercare
di pacificare la Libia a piccoli "pezzi".
Creare un consenso per un governatore
della Tripolitania e poi allargare la
strategia nelle altre regioni.
A riprova di chi scrive ormai i libici sono
un popolo unito e la possibilità che
propone ENI ossia un federalismo che
parte dal basso e che fonda le sue radici
sulla base nazionale per cessare le
ostilità e cacciare i fondamentalisti dal
paese potrebbe essere una possibilità
percorribile. Inoltre questo potrebbe
garantire il dialogo con più entità esterne
che svolgendo la loro attività di lobby
non influenzerebbero la stabilità di un
unico governo. Il collante a questo
sistema potrebbe essere garantito dallo
smembrare gli interessi economici per
singole attività di lobby e dal proporre
una
base
mistica
storica
che
incarnerebbe gli ideali della nazione
libica ossia la vecchia monarchi della
senussyia più volte suggerita in altri studi
(nota il jihad in Libia ed il bai'a al califfato).
Federalismo con larga autonomia locale
anche sul versante di politica estera
potrebbe garantire una sopravvivenza
della Libia.
Per riuscire in un tal disegno la formula
adatta sarebbe quella di evitare una
operazione militare ma effettuare
operazioni chirurgiche coperte dai servizi
segreti per eliminare di target scomodi
ed una larga operazione di intelligence
economica costruita sulle relazioni delle
aziende private che operano sul
territorio che possa fungere da base per
costruire quei canali per una diplomazia
sotterrane e che ponga le basi per dei
negoziati reali tra le parti sul campo.
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