alla guerra “umanitaria” all`intervento italiano

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alla guerra “umanitaria” all`intervento italiano
NO
alla guerra “umanitaria”
all'intervento italiano
La guerra in Libia è cominciata. Da giorni Tripoli e
le altre principali città sono sottoposte a bombardamenti
da parte dell’aviazione e della marina di Francia, Gran
Bretagna e Stati Uniti, con l’aiuto dell’Italia. L’intervento è stato legittimato da una risoluzione dell’Onu,
sulla base della necessità di “proteggere i civili” dal
Colonnello Gheddafi. La cruda realtà è che l’attacco in
atto in questi giorni è un aggressione imperialista vera e
propria, volta a promuovere e tutelare gli interessi della
borghesie occidentali e del mondo arabo.
La risoluzione dell’Onu è la classica foglia di fico
per giustificare questo intervento. È del tutto simile
a quella votata vent’anni fa, in occasione della prima
guerra all’Iraq, quando invita ad usare “tutti i mezzi
necessari” contro la Libia. Non sfugge a nessuno un
piccolo particolare: che il paese del Maghreb, similmente all’Iraq, detiene le maggiori riserve petrolifere
dell’Africa, il doppio di quelle statunitensi. Questa
guerra, ora come allora, è anche e soprattutto per il
controllo delle risorse energetiche.
Le rivoluzioni nel mondo arabo, che hanno travolto
dittatori come Ben Alì e Mubarak, hanno sconvolto gli
equilibri dell’intera regione. Alcune potenze, come la
Francia, cercano di approfittare dei vuoti di potere per
riconquistare il terreno perduto nelle lorio ex colonie
come la Tunisia. Gli Stati Uniti, il cane da guardia dello
status quo a livello mondiale, non possono perdere il
treno della riconquista imperialista. All’Italia è riservato
il ruolo di gregario, docile ed ubbidiente.
I “VALORI UNIVERSALI” E I PROFITTI
Da più parti si levano le obiezioni: non potevamo
mica lasciare che Gheddafi massacrasse gli insorti. Si
potrebbe semplicemente rispondere che i bombardamenti chirurgici dei volonterosi provocheranno molti
più morti civili di quelle contate finora, come insegna
il massacro quotidiano di civili in Afghanistan. Ma evidentemente ci sono civili più importanti degli altri.
Lungi da noi provare la benchè minima simpatia per
il dittatore libico, che ha da tempo esaurito il ruolo progressista che incarnava fino agli anni settanta e ottanta di
fronte alle masse del Terzo mondo. Ma chi è stato ad armare l’esercito del Colonnello? Chi ha fatto con la Libia
per anni affari miliardari? Chi ha fornito a Gheddafi la patente di guardiano dell’Occidente di fronte all’invasione
della Fortezza Europa da parte degli extracomunitari?
A questi sostenitori dell’intervento, numerosi a sinistra, chiediamo da quando le grandi potenze sono le
paladine degli interessi dei popoli oppressi. Al massimo
utilizzano le loro aspirazioni, per guadagnare posizioni
di influenza e poi gettarle nel dimenticatoio. L’esempio dei curdi in Iraq ed Iran è emblematico a riguardo.
Oggi il Kurdistan, a cui era stato promesso un futuro di
libertà dopo l’invasione targata Bush del 2003, è ancora
più sottomesso alla potenze straniere di dieci anni fa.
Sarà un’amara esperienza quella a cui saranno sottoposti gli insorti di Bengasi, quando scopriranno che i
propri leaders hanno svenduto il sacrosanto desiderio
di libertà e giustizia a Sarkozy e Obama. Dal 17 febbraio a Bengasi e in tante altre città della Libia abbiamo assistito a una vera e propria insurrezione popolare,
sull’onda delle rivoluzioni nel resto del mondo arabo.
Questa sollevazione è stata tradita dalla sua direzione.
Il Consiglio nazionale di transizione voleva conseguire
una vittoria militare e non abbattere sulla base della lotta di massa il regime. Quando sono stati sopraffatti dall’esercito regolare, meglio preparato ed equipaggiato, il
consiglio ha chiesto aiuto alle “democrazie” straniere.
Ancora una volta, torna più che mai attuale una massima: l’emancipazione dei popoli può essere opera solo
dei popoli stessi.
La volontà di spegnere le rivoluzioni che stanno
cambiando la mappa del Nordafrica è un altro dei propositi che si celano dietro a questo intervento. Quando
in Tunisia ed Egitto sono crollate dittature pluridecennali, un brivido di terrore ha percorso la schiena dei tiranni
sauditi e giordani. Chi sarà il prossimo, si saranno chie-
sti. E così la Lega araba, fedele strumento delle classi
dominanti, ha chiesto a gran voce l’intervento dei loro
amici occidentali. Deviare il corso delle rivoluzioni, terrorizzarli con la potenza militare di eserciti pronti a tutto, ecco la preoccupazione di Washington e Parigi.
Assicurarsi una testa di ponte in Cirenaica è funzionale a questo scopo e al controllo dell’oro nero. Una
volta raggiunto l’obiettivo, litigheranno su chi si prenderà la fetta più grossa
L’ESEMPIO DEL BAHREIN
Obama per giustificare la missione “odissea all’alba”
ci parla della “difesa dei valori universali dell’uomo”.
Ma questi valori, così importanti in Libia, sembrano non
valere in Yemen e soprattutto in Bahrein.
In Bahrein stiamo assistendo in queste settimane a
una rivolta popolare di proporzioni eccezionali, schiacciata nel sangue la scorsa settimana dal sovrano sunnita
e dalle truppe di Arabia saudita, Emirati arabi uniti e di
altri paesi della penisola. Perchè le Nazioni unite non
dicono nulla in questo caso? Perchè il rovesciamento del regime bahrenita significherebbe una minaccia
terribile per la dittatura saudita confinante. L’Arabia
saudita è un paese chiave per gli Usa nella regione e
detine quasi il 20% delle riserve mondiali. E dire che
per gli Stati uniti, difendere il “valore universale della
democrazia, sarebbe anche facile, visto che sulla piccola isola ha sede la sua Quinta flotta. Più o meno la stessa
cosa si potrebbe dire dello Yemen dove anche Saleh è al
potere da oltre trent’anni e spara contro i manifestanti,
ma è troppo importante per Washington in chiave anti
Al Qaeda e per il controlo del golfo di Aden.
La doppia morale dei governi occidentali è semplicemente ripugnante.
L’INTERVENTISMO
DELL’OPPOSIZIONE IN ITALIA
La maggior parte dell’opposizione parlamentare italiana ha invece abboccato al sorriso suadente di Barack
Obama. È semplicemente imbarazzante vedere come
Bersani sia diventato fra i principali guerrafondai in
Italia. Di Fini e Casini non parliamo nemmeno, notiamo
en passant che qualcuno a sinistra era pronto a fare carte false con questi ultimi pur di far cadere Berlusconi.
Sul fronte dell’IdV, Di Pietro dopo una coraggiosa astensione si è ricreduto prontamente. La Camusso ha dato il
suo benestare, per conto della Cgil, alla nofly zone. È un
unanimismo scandaloso, che conduce ad una situazione
paradossale, ma nemmeno poi tanto: la fonte principale
di sostegno al cavaliere è diventato il centrosinistra, sen-
za il quale la maggioranza non esisterebbe più.
L’opposizione più visibile alla guerra è diventata quella della Lega nord, che denuncia per bocca di
Calderoli i propositi neocoloniali della Francia. Tale opposizione è di stampo del tutto razzista: i leghisti scambierebbero subito il sì all’intervento con un blocco dei
profughi alle frontiere.
Non possiamo permettere tuttavia che l’opposizione
alla guerra in Libia sia lasciata alla Lega o a qualche
intellettuale della nuova destra.
Il movimento contro l’intervento in Libia, oggi minoritario, può crescere, a condizione che si leghi alle
mobilitazioni sociali oggi in atto, da quelle contro la
privatizzazione dell’acqua e contro il nucleare a quelle
contro il massacro sociale che porteranno allo sciopero
generale del 6 maggio. Perchè non è possibile che un
governo che non trova i soldi per la scuola o per la sanità
aumenti costantemente i fondi per le missioni militari
(1350 milioni di euro solo nel 2010).
I LIMITI DELLA DIPLOMAZIA
Per ricostruire un movimento contro la guerra, bisogna però rifuggire da pericolose illusioni. La principale
è che per fermare la pace serva la trattativa, le proposte
di mediazione,“un diverso ruolo dell’Onu” , che “ritorni
protagonista la diplomazia” e frasi prive di contenuto
simili. L’Onu, come ogni organizzazione sovranazionale simile, ha il ruolo di passacarte delle grandi potenze.
Se alle grandi potenze servirà di nuovo la “pace”, l’Onu
la sancirà, nè un minuto prima, nè un minuto dopo. Svelare i precisi interessi di classe che si muovono dietro al
conflitto è imprescindibile per i comunisti.
L’intervento militare italiano si può contrastare solo
attraverso l’azione di massa, solo attraverso una mobilitazione generale che blocchi gli aeroporti, le basi, i rifornimenti alle forze armate in conflitto. Per questo è
decisivo il ruolo della classe operaia che attraverso lo
sciopero generale può fermare il paese.
Se oggi siamo lontani da ciò il compito delle mobilitazioni nel prossimo periodo è che si squarci questo
muro di gomma e che la voce di chi dice NO arrivi fino
ai piani alti dei dirigenti del movimento operaio, affinchè la posizione di appoggio all’intervento imperialista
sia cambiata, e giunga soprattutto a tutti quei settori oggi
confusi dalla propaganda dei mass media.
Proprio cento anni fa l’Italia invadeva per la prima
volta la Libia. Il Partito socialista e la Cgl risposero con
uno sciopero generale ai propositi di conquista della
borghesia italiana. Oggi è compito dei comunisti recuperare queste tradizioni e farle riscoprire a tutti i giovani
e i lavoratori di questo paese.
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