metodi di ricerca per il design

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metodi di ricerca per il design
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Politecnico di milano
Facoltà del design
C.d.L. in design del prodotto
“metodi di ricerca per il design”
Prof. Stefano Maffei
Tutor. Elena Giunta
Studente: Dario Gaudio
1.
Path dependence: cos’è?
La path dependence è una teoria economica secondo la quale il successo di un elemento che si rapporta
con il mercato dipende in modo significativo dalla storia dell’evoluzione
dell’elemento stesso e del suo contesto sociale, culturale e tecnologico.
Genesi.
Nei primi anni ‘80 lo studioso di scienze della complessità Brian Arthur esplicitò il concetto di utente ingabbiato
(locked-in) nell’uso di una tecnologia
peggiore ma largamente diffusa, e
che non vuole o non riesce a passare ad altre potenzialmente superiori.
I primi accenni ad una teorizzazione del
concetto di dipendenza dal percorso avvengono nel 1985, dopo la collaborazione a Stanford di Arthur con Paul David.
David era uno storico dell’economia,
una disciplina non del tutto accettata
dalla ”maggioranza” degli economisti,
ed i suoi studi precedenti vertevano sugli stessi argomenti di Arthur. La scommessa era quindi quella di dimostrare
la loro tesi nell’ambito delle dinamiche
dell’innovazione strutturando una teoria matematica che le supportasse. Ma,
sebbene convinto delle proprie ragioni,
David si rese conto che, per poter
conquistare una fetta importante della
comunità scientifica, gli occorreva un
esempio eclatante ed emblematico di
una situazione di path dependence. La
soluzione venne proprio dalle discussioni con Arthur: il caso QWERTY/DSK.
Prima di introdurre il caso specifico,
è interessante notare come David
considerasse la comunità scientifica
“locked-in” su tecniche obsolete, solo
perchè consolidate e supportate da
una base teorica più consistente in
termini quantitativi. La sua ricerca di
un “valore aggiunto “ per rendere più
incisiva la presentazione della nuova
teoria, però, prelude ad un approccio
più evoluto alla path dependence, che
lo stesso David raggiungerà in seguito.
Tesi: qwerty e dsk
Per spiegare il suo concetto di dipendenza dal percorso David porta come
esempio l’evoluzione delle tastiere (prima per macchine da scrivere e poi per
computer), e nello specifico la storia
dello standard QWERTY (denominato
così a causa delle prime sei lettere in
alto a sinistra su questo tipo di tastiere). Nei primi esemplari di macchina
da scrivere la disposizione dei tasti
era stata vincolata da problemi di tipo
tecnico, essi erano nella configurazione
QWERTY solo per evitare inceppamenti
e rotture. Successivamente (superati i
limiti tecnici) vennero sviluppati altri
standard, che puntavano su di una
migliore e più ergonomica disposizione
dei tasti: una di queste nuove tastiere
era la Dvorak Simplified Keyboard (DSK).
David parte quindi dall’assunzione che
lo standard più diffuso al momento non
è effettivamente il migliore possibile, e
che nella storia possono verificarsi delle situazioni che bloccano l’evoluzione
dello standard migliore. Nel caso delle
tastiere, il fatto di essersi diffusa largamente ha posto la soluzione QWERTY in vantaggio, dato che gli elavati
costi di switching hanno praticamente
bloccato il passaggio alla concorrenza.
A questo si aggiungono altri due fattori chiave: effetti indiretti di rete e
economie di scala. Difatti il solo fatto
che la soluzione QWERTY fosse percepita come uno standard spingeva da
un lato i dattilografi ad imparare ad
usarla, e dall’altro le aziende ad acquistare macchine con tali tastiere, data
la disponibilità di utilizzatori esperti.
Antitesi.
Le affermazioni di David provocarono molte reazioni tra gli economisti,
e molte furono le critiche al concetto
della dipendenza dal percorso. Primi
tra tutti gli studiosi Liebowitz e Margolis, che in una pubblicazione del
1990 mettono in dubbio la veridicità
dei dati portati da David. Secondo le
loro teorie il concetto di economia
di mercato non viene messo in crisi dagli accadimenti storici, ed esso
punta sempre e comunque verso il
risultato più “socialmente preferibile”.
Dunque, i prodotti “sopravvissuti”
sono sempre i migliori.
Sebbene la critica sia poco costruttiva e più che altro conservatrice e
polemica, essa mette in luce un concetto importante: un prodotto socialmente ottimale non è necessariamente il migliore tecnicamente.
Un passo successivo verso un’evoluzione del concetto di path dependence viene fatto da Williamson, il quale
riconosce l’importanza degli elementi
storici nell’affermazione di un prodotto, ma li ritiene comunque subordinati
all’economia dei costi. Nel caso delle
tastiere, quindi, l’effettivo miglioramento in termini di velocità di battitura
con le tastiere DSK non copriva i costi
di passaggio da un sistema all’altro.
Sintesi.
Il concetto di path dependence stretta,
come era stata proposto inizialmente da David, ha subito un’evoluzione,
a cominciare dalla constatazione che
una tecnologia migliore non porta necessariamente ed univocamente ad
una alternativa socialmente preferibile.
Un esempio è il caso Betamax/VCR,
due standard di videoregistrazione sviluppati rispettivamente da Sony e JVC.
Il sistema Betamax proponeva una
migliore qualità video, mentre quello
VCR vantava una durata doppia delle
cassette (due ore contro un’ora di Betamax). Considerando che i videoregistratori venivano utilizzati principalmente per registrare programmi televisivi,
il fattore durata risultò più importante
per gli utenti, a discapito di una migliore qualità a volte poco percepibile.
E’ innegabile in ogni caso che sia presente una dipendenza dal percorso,
ed una maniera per limitare le possibilità di lock-in penalizzanti a livello
economico è procedere spingendo su
nuovi standard compatibili con i precedenti. Si arriva dunque al concetto, teorizzato dallo stesso David nel
2007, di “miglioramento vincolato dal
percorso” (path constrained amelioration). Possiamo immaginare questa
teoria come una scala, in cui i gradini sono singole fasi di path dependence collegate tra loro da “balzi” di
innovazione compatibili con gli stessi.
In questo senso le scelte portano raramente a casi di lock-in, persino in settori critici come quello automobilistico.
Un esempio sono gli scenari di utilizzo condiviso e sharing nei quali trovano posto tecnologie che in scenari
“standard” (auto di proprietà) sono risultati fallimentari, quali l’alimentazione elettrica o ibrida. In una visione
ottimistica questo potrebbe portare
ad una maggiore consapevolezza di
tali tecnologie, aprendogli la strada anche a quegli utilizzi in cui non
erano state pienamente accettate.
2.
Oggetto, artefatto,
oggetto tecnico,
individuo tecnico.
L’oggetto
Il concetto di artefatto parte da una
considerazione sugli oggetti e sull’oggettualità. La realtà che ci circonda è
costituita da oggetti, ma possiamo distinguere chiaramente un albero da un
tavolo, sebbene probabilmente siano
costituiti dalla stessa materia. Gli oggetti quindi si dividono in oggetti naturali, che ci si presentano per come
sono ed esisterebbero anche senza la
nostra presenza, ed oggetti intenzionali, ovvero “realizzati”.
La stessa etimologia della parola artefatto denota questo, in quanto artefatto (arte factum) significa proprio
“fatto ad arte”, realizzato secondo un
metodo, un principio o uno scopo.
materiale, attività e azione conseguente: senza tale cooperazione, l’artefatto è privo di senso. Questi artefatti
possono a loro volta essere distinti in
protesi, strumenti, macchine: una distinzione utile proprio in chiave semiotica. Le protesi sono artefatti sostitutivi
di una parte mancante, e quindi permettono un’azione altrimenti non più
possibile: di un organo fisico-biologico,
di una capacità percettiva, di una facoltà cognitiva. A loro volta le protesi
sono:
protesi motorie destinate
ad accrescere le nostre potenzialità di
forza, destrezza e di movimento, protesi sensorio-percettive che permettono di accedere percettivamente a qui
livelli della realtà che di norma non ci
a. L’artefatto e la natura artefatta
sono accessibili, protesi intellettive che
Nel suo “de rerum natura” Lucrezio potenziano le capacità intellettiva e
introduce il tema degli artefatti, ed protesi sincretiche meccanismi in graannulla la dicotomia tra oggetto natu- do di eseguire, senza partecipazione
rale e oggetto intenzionale affermando interattiva dell’uomo, complesse azioni
che “niente è natura, tutto è artificio”. ed elaborazione (Maldonado, 1976). Gli
Il suo intento è quello di sottolinea- strumenti sono artefatti finalizzati alla
re come la natura, nel suo continuo trasformazione di uno stato di fatto,
processo di mutazione, modifica se sia per produrlo o distruggerlo, sia per
stessa, divenendo anch’essa arteficio. alterarlo o modificarlo, sia per regoA questo si aggiunge l’intervento uma- larne o indurne il comportamento. Le
no, che anche solo interagendoci la macchine sono artefatti programmati
modifica, umanizzandola.
per un compito e in grado di eseguire
autonomamente e indipendentemente
b. Gli artefatti e la semiosi
dall’azione umana - appunto in virtù
Come abbiamo accennato in apertura, del programma - un determinato laun artefatto è un oggetto intenzionale, voro.
prodotto da una nostra intenzione e
quindi finalizzato verso un obiettivo. Differenze fra i tre artefatti.
Vanno distinti due artefatti: artefatti Le protesi sostituiscono ciò che manoperativi e artefatti comunicativi.
ca, primariamente al nostro organismo
Gli artefatti operativi sono quelli che corporeo, fisico e psichico; sono ogprevedono un opus, un lavoro
gettualità che integra uno stato naturale compromesso. Uno strumento è
invece ciò che permette di compiere
azioni e funzioni che il corpo da solo
non potrebbe mai compiere: ciò che
permette di costruire. Una macchina
è per molti versi o un’estensione del
corpo o una sua totale sostituzione,
è un automa che esegue una serie
programmata di operazioni senza l’intervento diretto dell’uomo.
La differenza semiotica fra i tre artefatti la si può ricondurre alle tre modalità semiosiche dell’iconicità, dell’indicalità e della simbolicità. Una protesi
infatti non può non somigliare - anche
per analogia o per omologia - all’organo che sostituisce. Uno strumento
comporta sempre una connessione
formale tra artefatto e oggetto su cui
si interviene. Il funzionamento di una
macchina infine dipende dalle istruzioni impartite e programmate, secondo
una logica di corrispondenza convenzionale o comunque imputata. (Zingale,
2008)
1993).
Gli artefatti cognitivi incorporano una
parte di storia intellettuale di una particolare cultura, sono l’espressione fattuale di una teoria, e gli utenti di questi artefatti accettano queste teorie,
sebbene spesso inconsapevolmente,
quando li usano. (Resnick,1987).
Individuo tecnico ed oggetto
tecnico
Possiamo definire i concetti di individuo tecnico ed oggetto tecnico come
una evoluzione dell’artefatto. O meglio, essi risultano essere una applicazione in un sistema socio-tecnico
delle nozioni di artefatto sopracitate.
Un artefatto si concretizza in oggetto
tecnico quando le sue funzioni interne
si unificano in una sinergia perfetta.
In questo quindi differisce dall’oggetto scientifico, il quale fa riferimento
a singole condizioni ed a singoli effetti, e si definisce come sistema. La
concretizzazzione completa in oggetto
c. L’artefatto cognitivo
tecnico avviene, dunque, quando il siLa mente umana è decisamente limi- stema diviene un punto di incrocio di
tata nella sua capacità di fare elabo- una moltitudine di dati ed effetti scienrazioni simboliche. Per un uomo con- tifici provenienti dai domini più vari,
durre ragionamenti complessi senza integrando i saperi in apparenza i più
l’aiuto di strumenti è veramente diffi- eterocliti e che possono non essere
cile, spesso impossibile. Le forme più intellettualmente coordinati, nonostanelevate di pensiero avvengono sempre te lo siano praticamente nel funzionain collaborazione con degli strumenti mento dell’oggetto tecnico. (Simondon,
e la stessa intelligenza umana è in- 1958)
timamente legata agli strumenti che L’individuo tecnico è definito da Sisostengono il pensiero. Di fatto, l’in- mondon come una fase della storia
telligenza umana ha la sua massima della tecnica, nella quale possono esespressione nell’invenzione e realiz- sere individuati tre tempi: l’elemento,
zazione di strumenti che permettono l’individuo, l’insieme. Lo stadio di eledi superarne i limiti. Infatti, più una mento tecnico corrisponde allo stadio
società è avanzata tecnologicamente, dell’attrezzo o dello strumento. Quanpiù è raro che il ragionamento venga do l’artigiano usa i suoi strumenti per
effettuato in assenza di strumenti. Gli scalpellare un pezzo di legno, egli dostrumenti che rappresentano, conser- mina perfettamente l’attrezzo (artefatvano e manipolano informazioni sono to) al punto che a volte lo si può
stati definiti artefatti cognitivi (Norman, considerare come un prolungamento
del corpo. Lo stadio dell’individuo tecnico è la macchina, che corrisponde
all’articolazione finalizzata di diversi
elementi. L’archetipo dell’individuo tecnico a vapore che può sviluppare forze gigantesche rispetto alle capacità
dell’essere umano. A partire da questo
stadio, appare un’ambivalenza: il ruolo
della tecnica è problematico perchè,
se la macchina decuplica la potenza dell’uomo, quest’ultimo percepisce
nella macchina una rivale vittoriosa di
cui tende a diventare l’aiutante. Nel
passaggio dallo stadio di elemento, in
cui l’artigiano domina perfettamente
lo strumento, allo stadio di individuo,
i vincoli indotti dall’individuo tecnico stesso sul comportamento umano
sono notevoli. Nello stadio di insieme
tecnico, quel senso di espropriazione
è ulteriormente rafforzato perchè la
macchina stessa si colloca entro una
rete di individui tecnici fittamente interrelati, dove queste relazioni sono
indispensabili alla realizzazione dei
compiti fissati. Un esempio concreto di
individuo tecnico è rappresentato dal
computer, o meglio dall’interfaccia con
cui dialoghiamo in un rapporto spesso
non paritetico, ma patetico.
3.
User centered design.
Un caso di UCD
“User-centered design (UCD) is an approach to
design that grounds the process in information
about the people who will use the product. UCD
processes focus on users through the planning, design and development of a product.”
Usability Professionals’ Association
Lo user centered design è un approccio al design che basa il suo processo
sulle informazioni riguardo gli utenti
che useranno il prodotto. Il processo
UCD si focalizza sugli utenti attraverso
la pianificazione, la progettazione e lo
sviluppo dei prodotti.
schema UCD,
www.usabilityprofessionals.org
Lo UCD si basa su di uno standard internazionale, registrato con la normativa ISO 13407: human-centered design
process. E’ un processo reiterativo,
cioè circolare, che si sviluppa attraverso fasi successive di analisi, progettazione, prototipazione e valutazione.
Gli strumenti necessari provengono da
diverse discipline, quali l’antropologia,
il design, l’ergonomia, la psicologia cognitiva e servono a sviluppare l’artefatto riferendosi all’utente.
Questa spugna è un progetto del designer Carlo Contin, sviluppato nell’ambito del workshop “design alla Coop”.
Chiaramente l’idea deriva da una osservazione delle dinamiche di fruizione dell’ambiente cucina, probabilmente
con un’operazione di shadowing, dalla quale sono nati il progetto ed il
successivo prototipo. Esso in seguito
potrebbe essere stato sottoposto alla
“revisione” di utenti che si interfacciano con questo ambiente.
User Driven Innovation
L’innovazione “user driven” in molti contesti viene confusa con lo User
Centered Design. In realtà quest’ultimo
può essere considerato come un sottoinsieme dell’UDI. Difatti mentre l’approccio UCD parte da un’indagine relativa ad un singolo caso di studio ed
è volto principalmente a veicolare la
funzione dell’artefatto progettato verso
l’utente a cui si rivolge, la UDI lavora
su di un piano differente. Essa difatti si definisce come “[...] the process
of tapping users’ knowledge in order
to develop new products, services and
concepts. A user-driven innovation process is based on an understanding of
true user needs and a more systematic involvement of users.”
Va sottolineato quindi che l’UDI è un
sistema strutturato tramite il quale le
realtà aziendali allargano le competenze dei vecchi centri di Research &
Development alla loro stessa utenza.
Uno degli strumenti utili a descrivere
una azienda che ricerca in termini di
user driven innovation è la Innovation
Wheel.
Grazie a questo strumento le aziende
dividono il processo di sviluppo in due
macro fasi: la fase “what” (cosa?) e la
fase “how” (come?). Ogni macro fase
si divide a sua volta in quattro sotto
passaggi. La fase “what” si divide in opportunity identification, data collection,
pattern recognition e concept idea, e
raccoglie in generale tutte quelle fasi
di identificazione dello scenario.
La fase “how”, invece, affronta le modalità di sviluppo dell’idea, e si divide
in conceptualization, prototyping, testing e implementation.
Naturalmente le fasi non sono necessariamente ordinate secondo una
scansione cronologica, e possono non
essere coinvolte tutte nello sviluppo
dei singoli progetti.
Un caso di UDI: Classmate PC di
Intel
La Intel è un esempio di azienda di
tipo technology driven leader nel settore dei chip e dei microprocessori,
che sviluppa su logiche user driven.
La scelta di questo approccio nasce
dalla consapevolezza che il semplice
scarto tecnologico non basta più per
affermarsi sui mercati attuali, ma che
“la tecnologia di Intel ha il valore che
l’utente ne percepisce.” (P. Otellini,
presidente Intel dal 2004).
A questo scopo l’azienda lancia nel
2005 una riorganizzazione, per ridefinire il suo reparto R&D in termini di
user driven innovation. Ne derivano un
processo e relativo modello, denominato BUT: business value, user value,
technology.
II. “how”
II.a Conceptualization
Mentre nelle prime quattro fasi si tende
a determinare il valore dato dall’utente
al progetto, a partire da questa fase
si scende più nello specifico attraverso
Dal modello si intuisce che i tre ele- analisi economico/produttive. Si riavmenti “di valore” per l’azienda man- via un processo di reperimento dati (
tengono un rapporto costante tra loro I.b ), questa volta relativo a ricerche di
durante tutto il processo di innovazio- mercato e tecnologiche.
ne, fino al risultato finale.
Tutto il processo UDI si ritrova nel II.b Prototyping
progetto Classmate PC, il cui sviluppo Vengono sviluppati alcuni mock-up, da
ha avuto luogo tra il 2000 ed il 2007, fare testare a focus groups compoe che può essere analizzato tramite le sti da studenti, insegnanti e genitori, i
fasi della Wheel of innovation.
quali vengono sottoposti anche a interviste.
I. “what”
I risultati vengono reimmessi nei passaggi I.c (pattern recognition) e II.a
I.a Opportunity identification
(conceptualization) per affinare ancora
Viene lanciato (2000) il programma di più il progetto.
“next billion users of computing” ed
avviata una ricerca etnografica. Lo II.c Testing
scenario risultante è quello scolastico/ Questa fase di test rispetto alle I.d
educativo.
e II.b è più relativa alle tecnologie
alla base del computer piuttosto che
I.b Data collection
all’usabilità, e coinvolge un contesto di
Viene lanciata una nuova ricerca etno- attori più specifico.
grafica, questa volta focalizzata all’interno delle classi.
II.d Implementation
Il Classmate PC viene lanciato sul merI.c Pattern recognition
cato nel gennaio 2007.
Si avviano dei brainstorming interni al
gruppo di ricerca tra esperti in etnografia, in scienze sociali e designers
per stabilire una connessione tra le
richieste dell’utenza e le caratteristiche
dell’azienda. Dai brainstorming emergono una serie di concept.
I.d Concept ideas
Vengono riesaminati i concept, testati
con il coinvolgimento degli utenti
4.
Metodologie di progettazione creativa.
La creatività è uno dei veicoli principali
della creazione del nuovo, ed è quindi
stato terreno fertile per moltissime discussioni legate alla teoria del design.
Uno dei contributi più importanti sulla concettualizzazione del movimento
creativo all’interno della progettazione
è sicuramente stato fornito da Bruno Munari. L’artista e designer milanese affronta i temi della creazione del
nuovo in particolare in “Fantasia”, un
testo strutturato come un piccolo manuale pratico del creativo, in cui passo
dopo passo guida il lettore attraverso
alcuni strumenti della creatività. Munari definisce alcune operazioni basilari
che la nostra mente opera, e che se
giustamente sfruttate e veicolate possono condurre all’ideazione del nuovo.
Esse sono:
coppie complementari
moltiplicazione
relazioni per affinità visive
spaesamento
cambio cromatico
cambio di materia
cambio di funzione o d’uso
cambio dimensionale
affinità tra parole
cambio di peso
fusione di elementi diversi
Droog Design è una realtà progettuale
che utilizza in svariati proposte l’approccio alla creatività di Munari, portando a termine realizzazioni spesso
molto innovative e interessanti.
a. relazioni per affinità visive:
Shadylace parasol xl
In questo parasole si risale all’origine
dell’atto di riposarsi all’ombra di un
arbusto. L’oggetto quindi racconta le
sue origini, ricreando, quando esposto
al sole, un’ombra simile a quella di un
albero.
“come si vede nella riproduzione della foto elaborata da Man Ray intitolata: Le violon d’Ingres,
l’immagine non nasce soltanto dal parallelo formale
tra un dorso di donna e un violino, che appare
vedendo i due fori neri a forma di F applicati sulla
schiena, ma dal fatto di sapere che Ingres suonava
il violino” (B.Munari, Fantasia)
b. cambio di funzione o d’uso:
Milk bottle lamp
c. fusione di elementi diversi:
Kokon furniture
In questo lampadario la funzione del
paralume, ovvero di filtrare la luce,
viene affidata ad un oggetto normalmente atto ad un altro uso: una bottiglia di latte.
Kokon è un sistema di elementi di
arredo concepiti come bozzoli di mutanti, fusioni di differenti tipologie di
oggetti, spesso di stili diversi, uniti tra
loro quasi chimicamente, in quella che
risulta una moderna chimera.
“...un bicchiere usato come portafiori, una bottiglia
usata come sostegno per un paralume, una damigiana con una lampadina dentro usata come apparecchio di illuminazione...” (B.Munari, Fantasia)
“Un altro aspetto della fantasia appare dalla fusione di elementi diversi in un unico corpo. Possono
essere tutti elementi animali, ma di diversi animali
per cui, messi assieme con una certa abilità, vengono fuori i mostri” (B.Munari, Fantasia)
5.
Design per il territorio
Provvidenti, borgo della musica
agli utenti un servizio -ed un’immagine
dello stesso- prolungata nel tempo: un
laboratorio stabile di sviluppo musicale
ed artistico.
il critico musicale Mario Luzzato Fegiz assiste ad
una prova nell’ex-fienile, ora sala registrazioni
Progettare per il territorio significa soprattutto sfruttare e valorizzare elementi che sono parte della sua storia
e della sua cultura, ed inserirli in una
prospettiva di tempo durevole, dando
valore aggiunto al progetto stesso.
Un esempio di questo approccio è il
comune di Provvidenti, in Molise, un
minuscolo centro abitato con meno di
150 abitanti, spopolatosi a causa di un
terremoto nel 2002. Le sue strutture
vuote, ma in molti casi ancora solide
ed utilizzabili, sono state analizzate,
nell’ottica di far rinascere il comune
come “borgo della musica”.
Tutta la cittadina, quindi, è stata ripensata nelle sue funzioni, nei percorsi, negli spazi senza intaccare le
strutture, per adattarsi a questa nuova
funzione. Con tale operazione i progettisti sono riusciti a coinvolgere le piccolissime realtà imprenditoriali locali,
indirizzandone l’organizzazione nell’ottica del progetto generale.
Naturalmente non è una mero processo di “ristrutturazione comunale”, ma
una operazione che ha coinvolto imprese, istituzioni,progettisti per fornire
CaLABria Design
imprescindibile dello stesso, e non dei
semplici committenti.
i progetti risultanti dal workshop: human made,
Neonè e A life less ordinary!
Progettare per il territorio può anche
voler dire analizzarlo, selezionarne i
punti forti ed evidenziarne i bisogni e
le necessità.
E’ il caso del progetto caLABria
design, curato dall’agenzia SDI del Politecnico di Milano in collaborazione
con le imprese del circuito Atena e
con le amministrazioni locali.
Questo progetto parte dalla volontà
di organizzare le dinamiche delle produzione tessile artigianale calabrese,
connettendole con le metodologie tipiche del design. Si susseguono quindi
fasi di ricerca desk -atte a raccogliere informazioni sulle imprese locali-,
di ricerca sul campo -con interviste e
visiete ai laboratori-, e di analisi -sui
bisogni e sulle potenzialità locali-.
In seguito parte una fase di concept
da cui scaturisce un progetto: la necessità di organizzare workshop di
design sul tema. Il workshop diviene
quindi lo strumento di valorizzazione
del territorio, in quanto porterà i progettisti ad interagire con le aziende
locali, le quali avranno la possibilità di
osservare ed applicare le basi del metodo progettuale. Gli imprenditori e gli
artigiani difatti intervengono in tutte le
fasi dall’analisi al progetto, divenendo
nello stesso tempo una risorsa
schema di controllo dei singoli progetti, che sottolinea il tipo di intervento ed i valori coinvolti.
DesignEscapade
etichetta progettata dal gruppo Designtrip
Un’operazione di design per il territorio
può anche essere quella di scegliere
una singola categoria di prodotti, nel
caso siano emblematici di una particolare area geografica. E’ questo il
caso delle etichette per bottiglia di
vino sviluppate in occasione dell’evento
DesignEscapade. Questa serie di otto
mostre si sviluppava in otto comuni
del basso Monferrato, e si proponeva
di valorizzare gli aspetti del territorio
attraverso interventi progettuali dei designer chiamati a partecipare. Anche
in questo caso diviene essenziale la
fase di ricerca e analisi del territorio,
anche se si focalizza su di uno specifico ambito, per esempio la produzione
vinicola. I progetti, sviluppati in collaborazione con gli imprenditori locali,
lavorano sul tema dell’etichetta come
elemento comunicativo di valore del
vino, contestualizzandola in una filiera
produttiva artigianale. E’ interessante il
fatto che l’operazione DesignEscapade
intervanga su varie zone di un’area più
estesa, identificando dei singoli potenziali di sviluppo ma sempre nell’ottica
di un evento unico, che ha la possibilità di essere riproposto annulamente
e di espandere i suoi ambiti di competenza.
Sitografia
Di seguito sono elencati parte dei siti visitati durante la redazione di questa
piccola guida.
Generici
http://www.designerblog.it
http://books.google.com
http://en.wikipedia.org
http://www.ricerca24.ilsole24ore.com
http://www.businessweek.com
http://scholar.google.it
http://www.experientia.com
http://findarticles.com
1. Path depandence: cos’è?
http://www.woa2008.sistemacongressi.com
http://www.strategy-business.com
2. Oggetto, artefatto, oggetto tecnico, individuo tecnico
http://www.filosofico.net
http://geo.tesionline.it
http://www.casadellacultura.it
http://www.room50.org
3. User centered design e user driven innovation
http://www.mapdesignstudio.it
http://www.opos.it/
http://www.usabilityprofessionals.org
http://foranet.dk
http://www.ebst.dk
http://www.nordicinnovation.net
4. metodologie di progettazione creativa
http://www.droog.com
http://www.ideo.com
5. design per il territorio
http://www.design.polimi.it
http://www.beniculturali.polimi.it
ttp://saperi.forumpa.it
http://www.designescapade.com
http://www.sistemadesignitalia.it
http://www.provvidentiborgodellamusica.com
http://www.komartmusic.com/
http://www.fondazionepolitecnico.it
http://www.drm.politecalab.org