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POLITECNICO DI MILANO FACOLTÀ DEL DESIGN Corso di metodi&tecniche per il progetto Prof. Stefano Maffei A/A 2008/09 Matteo Pastorio 734420 DEFINIZIONE Il termine path-dependence identifica un meccanismo evolutivo che implica che ogni successivo atto di sviluppo di un individuo, di una tecnologia, di una organizzazione o istituzione sia fortemente influenzato e dipendente dal tragitto precedentemente percorso. GENEALOGIA In origine la path-dependence è stata riscontrata nell’ambito della storia naturale e della biologia, nell’analisi riguardante l’evoluzione delle specie, come un tratto caratteristico per identificare l’ influenza che il vissuto passato di un organismo ha sul suo comportamento attuale. Questo concetto è stato poi adottato e ampiamente discusso in altri campi; a partire dalla ricerca economica sono stati coinvolti molti altri settori che spaziano dallo sviluppo tecnologico, alle dinamiche istituzionali, ai processi di accumulazione della conoscenza. L’immagine che si ha del presente in ognuno di questi campi, secondo la visione della path-dependence (che come vedremo è però soggetta a numerose, e talvolta controverse, teorie ed accezioni) è quella di un presente che esprime il portato di un percorso evolutivo dipanatosi nel tempo, attraverso progressi ed errori, in un legame di intima commistione. Per avere una visione completa di quello che rappresenta questo concetto in tutte le sue diverse sfaccettature è utile ripercorrere la sua stessa evoluzione nel corso del tempo intrecciando il discorso su vari livelli, a partire dalle letterature e ricerche svolte in ambito economico, fino ad arrivare ad un accenno dei meccanismi di conoscenza e memoria che consentono di affrontare il tema del rapporto tra presente e passato in un’ottica nuova. AMBITO ECONOMICO Nella letteratura economica degli ultimi decenni il ruolo del passato è stato ampiamente preso in considerazione per indagare le sue interconnessioni e le sue influenze sulle realizzazioni del presente. La path-dependence all’interno di questo discorso assume particolare rilevanza poichè si pone come un importante strumento teorico in grado di consentire una trattazione approfondita e interdisciplinare del tema in questione. Un apporto fondamentale al principio della costruzione delle teorie sulla path -dependence viene sicuramente dal lavoro di ricerca e diffusione svolto dagli economisti William Brian Arthur e Paul David. Brian Arthur è un noto economista, studioso delle scienze della compessità, che ha illustrato e provato in termini matematici, osservando le dinamiche di particolari processi detti a "rendimenti crescenti" e a "feed-back positivo" (Arthur 1983; Arthur 1994). Egli, con alcune sue ricerche e teorie, ha inspirato e contribuito a sviluppare gli studi effetuati da David Paul, che hanno preso il nome di “teoria della dipendenza dal percorso”. Come detto, Arthur, che ha ricoperto e ricopre tutt’ora importanti incarichi in alcune importanti università e instituti di ricerca, ha sviluppato la teoria dei “rendimenti crescenti (increasing returns) che è decritta in modo approfondito nel libro “Increasing Returns and Path Dependence in the Economy”. Secondo Brian Arthur l’economia, come ogni sistema, è pervaso da un articolato miscuglio di retroazioni positive e negative che produce configurazioni e quindi si struttura. Le retroazioni positive o rendimenti crescenti possono essere quindi attivati da qualsiasi circostanza, anche banale, e trasformarla in qualcosa di storicamente irreversibile. Pertanto egli afferma che gli incrementi sono generati non dall’equilibrio di mercato o di prezzo, ma dall’instabilità . Tale instabilità è dovuta all’interrelazione di più variabili, apparentemente non interconnesse tra di loro, secondo la Teoria della Complessità. Per quanto concerne l’ambito dello sviluppo tecnologico, Brian Arthur indica cinque fattori che determinano la selezione di un cammino di sviluppo di una tecnologia: 1 - l’apprendimento mediante l’uso (learning by use) 2 - le economie esterne di rete (network esternalities) 3 - l’apprendimento mediante la pratica produttiva (learning by doing) 4 - il rendimento crescente da informazione (increasing returns) 5 - le complementarietà tecnologiche 1 - l’apprendimento mediante l’uso (learning by use) Più una tecnologia (o un oggetto tecnico) è diffusa, più si impara ad utilizzarla, più è utilizzabile, più diviene efficace e performante. 2 - le economie esterne di rete (network esternalities) Con questa definizione si indica l’aumento di utilità in rapporto alla crescita della rete di adozione di una determinata tecnologia. Tipicamente si applica ai grandi servizi infrastrutturali o di telecomunicazione e agli oggetti tecnici a loro connessi e riguarda il processo di potenziamento che si ha quando la diffusione raggiunge uno status di standard de facto. 3 - l’apprendimento mediante la pratica produttiva (learning by doing) Esiste un rapporto tra diffusione della tecnologia e la sua scala di produzione e tra la sua produzione e l’apprendimento mediante la pratica produttiva; è interessante rimarcare come la circolarità del processo produzione-diffusione influenzi la scelta tecnologica. 4 - il rendimento crescente da informazione (increasing returns) La circolazione dell’informazione favorisce un’estensione della diffusione della tecnologia. 5 - le complementarietà tecnologiche L’affermazione di una tecnologia è permessa o rafforzata dalla compresenza di tecnologie complementari che completano o interagiscono tra loro. Va inoltre sottolineato che nei processi di sviluppo della tecnologia il fattore tempo è un fattore decisivo che modifica le possibilità di crescita della tecnologia attraverso il processo di scelta degli attori. Quando il numero di attori che compie una scelta in favore di uno sviluppo di una determinata tecnologia è considerevole (molto ampio) si ha un processo di accumulazione degli apprendimenti che attraverso processi di retroazione (positive feedbcks) rende la scelta tecnologica definitiva bloccandola (lock in). BRIAN ARTHUR E PAUL DAVID Tastiera QWERTY Brian Arthur incontra Paul David, storico dell’economia, poco dopo che si è trasferito all’Università di Stanford (1982-1986) nel 1982, come possiamo leggere dalle sue stesse parole: «A Stanford incontrai lo storico dell'economia, Paul David. Egli era molto in sintonia con le mie idee e per il vero stava già elaborando per suo conto su queste stesse direttrici da parecchio tempo prima di conoscere me. […] Paul era intrigato dalla prospettiva di una teoria formale dei rendimenti crescenti e della dipendenza dal percorso. Quali esempi potevano essere addotti? Io avevo raccolto articoli sulla storia della tastiera della macchina da scrivere, e usavo solitamente la tastiera QWERTY come esempio nei miei articoli e presentazioni. Paul lo prese in considerazione, come fecero diversi altri all'inizio degli anni '80. Come critica sollevò l'obiezione standard che se ci fosse davvero stata una tastiera migliore, la gente oggi la starebbe utilizzando. Io non ero d'accordo. Abbiamo continuato le nostre discussioni per i successivi due anni, e nel tardo 1984 Paul cominciò a effettuare ricerche sulla storia delle tastiere. Il risultato, il suo paper del 1985 "Clio and the Economics of QWERTY", divenne un classico istantaneamente (Arthur 1994). I due economisti hanno quindi molti interessi di ricerca comuni al momento del loro incontro; in particolare David è interessato a trovare ai suoi precedenti studi sulla dipendenza degli eventi dalla storia un fondamento matematico, che può essere individuato negli studi sulla dinamica dei feed-back positivi, dei rendimenti crescenti e dei possibili effetti di lock-in effettuati da Arthur. Sulla base di questa intuizione, David decide quindi di utilizzare le basi matematiche di Arthur per affermare di fronte ad una platea di economisti che la storia degli eventi passati non è soltanto un argomento di interesse culturale, ma contribuisce a determinare gli stati di equilibrio economico, condizionando le scelte degli attori. Egli trae quindi la storia della tastiera QWERTY, riconoscendo in questo oggetto di uso comune un esempio evidente di come le decisioni originarie sulla disposizione dei tasti delle prime macchine da scrivere meccaniche abbiano potuto influenzare il modo in cui ancora oggi si scrive al personal computer, costringendoci ad usare una tastiera che ci sembra oggi inefficiente e inadeguata. Infatti, nonostante siano state elaborate nel corso degli anni delle alternative migliori, il costo collettivo del passaggio ad un diverso tipo di tastiera sarebbe troppo elevato: siamo dunque rimasti "ancorati" a questa scelta inefficiente, dipendente dagli accidenti della storia passata. “Clio and the Economics of QWERTY, (1985)”, è il noto paper redatto da David che illustra la storia della tastiera e le implicazioni tratte dell’economista . La sua presentazione e la sua successiva redazione in un articolo, hanno un incredibile successo e clamore ed è per questo che catturano l’attenzione di illustri scrittori, come Jay Gould, studioso di storia naturale, e Jared Diamond, biologo. In particolare Gould ringrazia David dopo aver letto il suo articolo “Understanding the Economics of QWERTY: The Necessity of History”, pubblicato in versione definitiva nel 1986, e scrive a sua volta un articolo in cui si rende emblematico l’effetto che il discorso fatto dall’economista abbia conseguito sulle persone che come il biologo hanno provato sensazioni e esperienze negative con la tastiera QWERTY. La ovvia conclusione di David è che la tastiera QWERTY non è affato quella migliore; egli ipotizza che possano essere proprio gli elevati costi di switching ad aver bloccato la colletività su questo standard inefficiente. Afferma quindi nuovamente che le scelte di oggi dipendono da quelle di ieri, dipendo quindi dal percorso: Egli spiega poi il dominio di QWERTY in base a tre fattori: E' dipendente dal percorso una sequenza di cambiamenti economici le cui influenze di rilievo sull'eventuale risultato possono essere desunte da eventi temporalmente remoti, inclusi accadimenti dominati da elementi casuali piuttosto che da forze si stematiche. Processi stocastici come questi non convergono automaticamente ad una determinata distribuzione di risultati, e vengono chiamati non ergodici. In tali circostanze gli "accidenti della storia" non possono essere né ignorati ne messi in quarantena ai fini dell'analisi economica; anzi, il processo dinamico assume esso stesso un carattere essenzialmente storico. (David 1985). - effetti rete indiretti (technical interrelatedness) - economie di scala (economies of scale) - costi di switching (quasi-irreversibility of investments) Inoltre, facendo riferimento al percorso storico di affermazione della tastiera QWERTY, si evidenzia come uno standard possa affermarsi sui concorrenti e a divenire universale proprio quando le ragioni della sua superiorità tecnica cominciano a venire meno. David chiama “QWERTYnomics” i principi economici che spiegano l’accaduto in dipendenza dal percorso, richiamandosi ai concetti essenziali della “network economics”. (Shapiro e Varian 1998) Osserva infatti che l'hardware della macchina da scrivere richiede, per essere utilizzato in modo ottimale, la memorizzazione di sequenze e procedure corrette (software) da parte dei dattilografi, generando in questo modo degli effetti di rete indiretti: una maggiore disponibilità di macchine da scrivere QWERTY determina indirettamente un più ampio mercato di dattilografi esperti, con economie di scala "di sistema", cioè sia dal lato della domanda che dal lato dell'offerta. Man mano che QWERTY diveniva dominante anche i produttori che avevano adottato standard alternativi li hanno abbandonati: i costi di adattamento erano infatti bassi rispetto ai ben più alti costi per il riaddestramento della maggioranza dei dattilografi che già usavano "Universal". Per questi motivi, anche quando emerse il più efficiente standard DSK, il sistema QWERTY era talmente diffuso da rendere il passaggio sicuramente troppo costoso. In termini generali alla base della pathdependence c'è quindi l'idea che piccoli eventi storici possano avere successive conseguenze rilevanti, che l'azione economica può modificare solo in maniera limitata (David 1985; Arthur 1988). In questo senso, la path-dependence implica l'idea che la storia abbia un'importanza notevole per il presente e per il futuro: hystory matters. Occorre tuttavia fare attenzione al fatto che la path-dependence non sia concepita come “past-dependence”. In questa accezione infatti si limiterebbe ad indicare la permanenza nel presente di alcune strutture esistenti nel passato. Al contrario la path-dependence comporta “l’intrinseca imprevidibilità degli effettivi esiti del cambiamento”; e questo si deve principalmente alle assunzioni sulle qualità degli agenti economici, che non sono caratterizzati da comportamenti definiti da parametri, ma al contrario da irreversibilità, inivisibilità, razionalità limitata e conoscenza imperfetta. È così che l’esito dei modelli pathdependent risulta di particolare rilievo: piccoli eventi casuali possono condurre a situazioni di equlibri multipli, oppure di equilibrio inefficiente.(David 1985; Arthur 1988). Queste conclusioni tratte dai due economisti sono in notevole contrasto con l’idea tradizionale che le forze del mercato raggiungano spontaneamente una posizione di equlibrio unica ed efficiente. LA CONTESTAZIONE DI LIEBOWITS E MARGOLIS Paul David è comunque cauto rispetto alle sue premesse e afferma che la storia di QWERTY non rappresenta una prova empirica, ma solamente un caso illustrativo di path-dependence: In sé e per sé, questa mia storia sarà semplicemente illustrativa e non stabilisce quanta parte del mondo funzioni in questo modo. Questa è una questione empirica aperta, ed io sarei presuntuoso se pretendessi di averla risolta, o di fornire indicazioni su come affrontarla. Speriamo soltanto che il racconto possa garbatamente provocare un divertito interesse in coloro che si aspettano spiegazioni sul se e il perché lo studio della storia economica rappresenti una necessità per gli economisti (David 1985). Stan Liebowitz e Stephen Margolis, due economisti della North Carolina State University, cercano infatti di dimostrare in “The Fable of the Keys”, in Journal of Law and Economics" (1990) che non è vero che QWERTY sia notevolmente inferiore a Dvorak o ad altri sistemi alter- nativi e di conseguenza che non sia vero che il sistema è rimasto “bloccato” su uno standard palesemente inefficiente, determinato dagli “accidenti della storia”. Liebowitz e Margolis individuano con estrema chiarezza i seguenti punti critici nell’analisi svolta da David: Primo, l'affermazione che la tastiera Dvorak sarebbe migliore è supportata soltanto da evidenza empirica che è non solo scarsa, ma anche sospetta. Secondo, gli studi nella letteratura ergonomica non rilevano nessun vantaggio significativo per la Dvorak che possa essee considerato scientificamente affidabile. Terzo, la competizione tra i produttori di tastiere, da cui emerse lo standard, fu di gran lunga più intensa di quanto comunemente riportato. Quarto, ci furono molte più gare pubbliche di velocità tra dattilografi. […] Queste gare pubbliche diedero ampia opportunità di dimostrare la superiorità di configurazioni di tastiera alternative (Liebowitz e Margolis 1990:8). E ne traggono le seguenti conclusioni: Il fatto che QWERTY è sopravvissuta a sfide significative alle origine della storia della dattilografia dimostra che essa è almeno tra le più adatte, se non la più adatta che si possa immaginare (Liebowitz e Margolis 1990:8). Di conseguenza non risulta essere del tutto veritiera nemmeno l’affermazione che “la storia conta” in economia, o perlomeno non conta così tanto, quanto ritengono Arthur e David. Liebowitz e Margolis, a supporto delle loro considerazioni, affermano infatti che: L'adesione ad uno standard inferiore in presenza di uno superiore rappresenta comunque qualche genere di perdita, che implica una opportunità di profitto per chiunque riesca ad escogitare un modo di internalizzare l'esternalità e appropriarsi di una parte del valore generato dal passaggio allo standard superiore (Liebowitz e Margolis 1990:4). Maggiore è il gap nella performance tra i due standard, maggiori sono queste opportunità di profitto, e più probabile che si verifichi uno spostamento verso il nuovo standard. Di conseguenza, un chiaro esempio di eccesso di inerzia è presumibilmente molto difficile da trovare. Casi osservabili nei quali prevale uno standard nettamente inferiore hanno probabilmente vita breve, o sono imposti di autorità, o sono storie romanzate (Liebowitz e Margolis 1990:4). Queste le conclusioni sulla loro posizione: La nostra posizione è che i buoni prodotti vincono. La posizione opposta di alcuni modelli economici è che i buoni prodotti potrebbero non vincere. Al contrario, cattivi prodotti, prezzi elevati, politiche di vendita a svantaggio dei consumatori potrebbero venire "protette" dai network effects e da altri effetti. C'è un mondo di evidenza a supporto della nostra versione. Non c'è nemmeno un solo esempio chiaramente documentato a supporto della versione opposta. (Liebowitz e Margolis 1999:243). alcune dichiarazioni fatte dalla Marina statunitense e in seguito dalla Apple, che dichiaravano un risparmio di tempo dal 20 al 40 % nell’uso della tastiera “Dvorak Simplified Keyboard (DSK)” rispetto alla QWERTY e che David aveva portato come supporto alla sua presentazione. LA POSIZIONE DI WILLIAMSON Anche Oliver Eaton Williamson, economista statunitense, critica in parte il concetto di path-dependence, ridimensionandone l’importanza e affermando che in realtà la logica prevalente per l’affermazione delle innovazioni resta quella del “cost economizing”, su cui è basata l’economia dei costi di transazione. La storia dello standard QWERTY contro quello Dvorak è viziata e incompleta... La conclamata superiorità della tastiera Dvorak è sospetta. Gli annunci più clamorosi si devono allo stesso Dvorak e gli esperimenti meglio documentati, così come studi recenti di ergonomia, suggeriscono che la tastiera Dvorak goda di un vantaggio nullo o modestissimo (Liebowitz e Margolis 1990:21). Pur ritenendo la storia molto importante egli afferma che tuttavia essa non può bastare come unica determinante per la scelta degli attori, che deve essere principalmente guidata dall’intenzione e dall’attitudine a minimizzare i costi. Anche Williamson ritorna sull’esempio cardine della tastiera QWERTY e della sua affermazione; egli prende di mira Williamson osserva che, come sostengono Liebowitz e Margolis, queste dichiarazioni non sono affidabili, in quanto non posso garantire l’effettiva veridicità dei risultati conclamati. E pertanto trae le seguenti conclusioni: David sostiene e io ne sono persuaso che «ci sono molti altri casi QWERTY nel mondo là fuori» (David 1986:37). Una configurazione di tastiera immutata nel tempo non mi colpisce comunque come l'attributo più importante nello sviluppo della scrittura meccanizzata dal 1870 al presente. Che dire dei miglioramenti nella meccanica delle tastiere? Che cosa delle macchine da scrivere elettriche? E i personal computer e le stampanti laser? Perché sono prevalsi sui vecchi sistemi a dispetto della pathdependence? Ci sono davvero state altre tecnologie "strutturalmente superiori" che sono state ignorate? Se, con ritardi e imperfezioni, le tecnologie più efficienti hanno regolarmente soppiantato quelle meno efficienti, perché questo non dovrebbe essere esplicitamente considerato? Forse la risposta è che "tutti sanno" che la minimizzazione dei costi è il fenomeno dominante, del quale la dipendenza dal percorso, la monopolizzazione, l'assunzione di rischi ecc. sono soltanto delle qualificazion particolari (Williamson 1995:239). Il dibattito sulla path-dependence si inserisce quindi in un contesto più ampio che riguarda il superamento o meno di alcune delle limitaioni dell’economia neoclassica, attraverso il tentativo di creare una nuova forma della conoscenza economica. Da una parte abbiamo le teorie guidate dai pensieri di Arthur e David, che fondano l’idea della path-dependence su una nuova formalizzazione economico-matematica di tipo dinamico, più evoluta dei modelli statici neoclassici; dall’altra quelle di Liebowitz e Margolis, che, appoggiati dagli esponenti della cosiddetta Austrian Economics, sostengono che i modelli matematici, anche se sofisticati, non possono costituire una nuova conoscenza economica finché non trovano un adeguato riscontro empirico. AMBITO ISTITUZIONALE NORTH Per quanto concerne l’accezione di path-dependence in ambito istituzionale è interessante prendere in considerazione gli studi elaborati da Douglass C. North, che nel suo libro “ Institutions, Institutional Change and Economic Performance” (1990) cerca di costruire una teoria sistematica delle istituzioni e del mutamento dei sistemi economicosociali. In questa trattazione si possono individuare alcuni aspetti e meccanismi che caratterizzano la path-dependence: 1- La scelta individuale Le istituzioni infatti secondo North contribuiscono a determinare le opportunità disponibili per l’iniziativa individuale ed organizzativa. Allo stesso tempo esiste tra istituzioni e organizzazioni un rapporto di reciproco interesse, che porta a far sì che si tendano a mantenere le istituzioni esistenti. Con questo meccanismo può quindi accadere che permangano e si rafforzino anche istituzioni efficienti”.(analogia all’esempio tastiera QWERTY). “non della cruciale per alcune affermate teorie economiche come “la teoria dei giochi” e “la teoria delle aspettative razionali”. 2- Il sistema politico Dal momento che le istituzioni sono definite all’interno del sistema politico, può accadere che si verifichino forme di lobby che limitino l’entità delle riforme e che mirino a mantenere la continuità istituzionale. Secondo Salvatore Rizzello, professore straoridinario di Economia Politica e di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell´Università del Piemonte Orientale, è interessante notare come nella teoria della conoscenza di Hayek, il processo di formazione della conoscenza stessa sia fortemente un processo pathdependent. Egli afferma che: la pathdependence nel processo di acquisizione della conoscenza è evidente. Essa è condizionata dalla storia, dalle caratteristiche genetiche e soprattutto sull’esperienza, cosciente e metacosciente che ogni individuo ha acquisito e continua ad acquisire. Ogni singola percezione dei dati esterni dipende dalle caratteristiche soggettive, che derivano a loro volta da originali percorsi di interpretazione. 3- I meccanismi dell’apprendimento Le istituzioni non si limitano a valutare le migliori attività possibili per il momento,ma lo fanno anche per il futuro e in questo modo influiscono sui sentieri del mutamento istituzionale stesso. 4- L’importanza dei vincoli informali, dei quadri cognitivi e della cultura Sono tutti fattori che per North i ntroducono un’altra possibile spiegazione all’inerzia del mutamento istituzionale. AMBITO CONOSCENZA HAYEK La teoria della conoscenza di Hayek è l’esempio di uno di quei concetti che l’economia moderna prende in prestito da altre discipline e cerca di far proprio per elaborare nuove strade e nuovi metodi. In questo particolare caso si tratta del tema dell’apprendimento, che è un tema Per questo se il concetto di pathdependence fosse introdotto in modo esplicito nella teoria economica si potrebbe rileggere la teoria hayekiana in un modo più esteso, sempre in coerenza con le teorie cognitiviste sulla pecezione e l’apprendimento, e conseguire risultati diversi da quelli fin qui ottenuti dai modelli economici standard. RICHIAMI BIBLIOGRAFICI ARTHUR, W.B. (1983), On Competing Technologies and Historical Small Events: The Dynamics of Choice under Increasing Returns, IIASA. IIASA working papers. SHAPIRO, C., VARIAN, H. R. (1998), Information Rules - A strategic Guide to the Network Economy, Boston (MA) (Harvard Business School Press - (ed. it. ETAS 1999)). ARTHUR, W. B. (1990), Positive Feedbacks in the Economy, in "Scientific American" WILLIAMSON, O. E. (1995), Transaction Cost Economics and Organization Theory, in O. E. WILLIAMSON (a cura di), Organization Theory: From Chester Barnard to the Present and Beyond, Oxford University Press, New York ARTHUR, W. B. (1994), Increasing returns and path dependence in the economy, University of Michigan Press, Ann Arbor. DAVID, P. A. (1985), Clio and the Economics of QWERTY, in "The American Economic Review" DAVID, P. A. (1986), Understanding the Economics of QWERTY: The Necessity of History, in W. N. PARKER (a cura di), Economic History and the Modern Economist, Basil Blackwell LIEBOWITZ, S. J., MARGOLIS, S. E. (1990), The Fable of the Keys, in "Journal of Law and Economics" LIEBOWITZ, S. J., MARGOLIS, S. (1999), Winners, losers & Microsoft Competition and antitrust in high technology, Independent Institute, Oaklan STRUMENTI DI RICERCA LEZ2_tecno&innovazione h t t p : / / w w w. i n n o v a t i o n . c c / p e e r reviewed/eberlein6final2draft.pdf http://www.ea2000.it_paper_mellaint_cs t_int2b http://EH.Net Encyclopedia_ Path Dependence (ECONOMIA e AUTORI) http://eh.net/Clio/Publications/pathdepe nd http://infohost.nmt.edu/%7Eshipman/er go/parkinson http://Hayek%20la%20conoscenza%20 come%20processo%20path TEMA CONOSCENZA http://www.dif.unige.itepiaisc06abstract 305_patalano.pdf http://www.unibs.it/online/dss/Home/Inevidenza/PaperdelDip artimento/ documento1204.html http://www.woa2008.sistemacongressi.c om.pdf CONTIENE LA STORIA DELLA TASTIERA QWERTY PATH DEPENDENCE PAROLE CHIAVE POSITIVE FEEDBACKS PE INCREASING RETURNS R C O R SO TEMPO EQUILIBRI MULTIPLI PATH DEPENDENCE QWERTY QWERTYnomics COSTI DI SWITCHING LOCK-IN ECONOMY ARTEFATTO/OGGETTO TECNICO/ INDIVIDUO TECNICO Il percorso per ricostruire con chiarezza le definizioni di artefatto, oggetto tecnico e individuo tecnico si presenta lungo e talvolta tortuoso, dal momento che molte sono le teorie e le accezioni che si esprimono su questo elemento centrale della socio-tecnicità. In primo luogo è interessante inquadrare il termine artefatto in relazione allo sviluppo di quella che è la storia e l’affermazione del settore del Design. A tale scopo si possono individuare tre fasi: 1- Fase Predisciplinare: connotata da una doppia matrice storiografica secondo le differenti visioni di Nikolaus Pevsner, che accentuava gli aspetti creativi e artistici delle individualità, e di Siegfried Giedion, che invece concentrò la sua indagine sulla meccanicizzazione degli oggetti di uso comune, indagando l’evoluzione e la forma degli artefatti (visione sistemico-evolutiva della produzione e dell’artefatto). 2- Fondazione Disciplinare: ovvero la fase dell’affermarsi della produzione di massa dopo la seconda guerra mondiale, con l’apparizione delle prime tematiche di interesse internazionale e le prime sintesi teoriche di autori come Tomàs Maldonado, Gillo Dorfles, Vittorio Gregotti, Renato De Fusco. 3- Consolidamento Disciplinare: la fase attuale, in cui il design e il suo “oggetto di studio” assumono nuovi significati. Ci troviamo quindi oggi nel pieno della terza fase, detta di “consolidamento disciplinare”. Il disigner è ormai riconosciuto come uno degli attori di rilievo del sistema sociotecnico e la progettazione e lo studio degli artefatti sono immersi appieno in questo tipo di sistema dove gli aspetti tecnici e gli aspetti umani e sociali sono collegati e interconnessi tra di loro. Tomàs Maldonado, in “Disegno Industriale: un riesame”, si sofferma sin dal principio su quella che è la definizione di disegno industriale; egli riscontra alcune incongruenze nell’accezione di “oggetto industriale”, specie in relazione ai nuovi paradigmi introdotti nella produzione in serie. Si sofferma dunque sulla definizione di disegno industriale adottata dall’Icsid (International council of societies of industrial design) nel 1961. La principale novità di questa definizione sta nel fatto che il disegno industriale non viene più descritto come una disciplina che guarda solo ad un’idea sul valore estetico della forma, ma come un’attività progettuale le cui motivazioni vanno oltre la ricerca della forma stessa. Si propone quindi un disegno industriale che svolge il suo compito all’interno di un processo più ampio e la cui finalità è la “concretizzazione di un individuo tecnico”. Maldonado afferma dunque che, secondo tale definizione, progettare la forma significa coordinare, integrare e articolare tutti quei fattori che, in un modo o nell’altro, partecipano al processo costitutivo della forma stessa. Più precisamente si allude tanto ai fattori relativi all’uso, alla fruizione e al consumo individuale (o sociale) del prodotto, quanto a quelli relativi alla sua produzione (fattori tecnico-economici, tecnico-costruttivi, tecnico-sistemici, tecnico-produttivi e tecnico-distributivi). É utile quindi, prima di proseguire, soffermarsi brevemente sul pensiero del filosofo francese Gilbert Simondon. Egli elabora una critica al principio di individuazione, mettendo in dubbio l’idea dell’ente individuale come termine definitivo di un atto di individuazione sganciato dal processo che lo ha prodotto. Propone al contrario di non risolvere l’essere nell’individuo, nè l’individuo nell’essere, ma di considerarli come elementi coesistivi, simboli l’uno dell’altro. La sua principale operazione teorica è quella di sganciare l’essere dall’individuo. L’essere diviene preindividuale e l’individuazione diventa quindi una fase di conservazione dell’essere attraverso il divenire. Successivamente Simondon pone l’attenzione sull’ oggetto tecnico: lo schema ilemorfico aristotelico, secondo cui l'individuo è il risultato dell'incontro di una forma e di una materia, risente secondo Simondon di una pesante ipoteca tecnica. Secondo il filosofo infatti, di tutti gli oggetti è proprio quello tecnico che, prima e in modo più evidente di ogni altro, nasce dall'incontro preordinato di una forma e di una materia. Egli inoltre afferma che si possa parlare di vera individuazione anche al di fuori del vivente (individuo tecnico), poichè l’individuo non è più l’esito di un insieme applicato di regole, ma la configurazione transitoria di un processo. Successivamente, presa coscienza della centralità dell’artefatto nella disciplina del Design e nei sistemi sociotecnici, si può indagare la relazione che intercorre tra gli artefatti e la cognizione umana. Alcuni recenti sviluppi nell’ambito delle scienze cognitive effettuati da Zhang e Norman hanno fornito evidenza empirica a sostegno della tesi che la cognizione umana è mediata da artefatti. Questi risultati hanno riportato in luce le posizioni teoriche di Lev Vygotskij, che a inizio secolo sostenne che “non è possibile indagare l’attività cognitiva umana senza considerare gli artefatti storicamente e culturalmente determinati che la mediano in ogni sua manifestazione.” Secondo queste posizioni teoriche l’attività umana e gli artefatti sono quindi i due lati inseparabili dello stesso fenomeno: la cognizione umana. A supporto di questa teoria Antonio Rizzo da un’importante definizione di artefatto: “Un artefatto è un oggetto progettato o foggiato da una specifica attività umana, che non esisteva prima di quella attività e che non può essere compreso indipendentemente dall’attività umana nella quale viene utilizzato e per la quale è stato, almeno parzialmente, concepito.”(Antonio Rizzo, “La natura degli Artefatti e la loro progettazione”, in Sistemi Intelligenti). Egli aggiunge inoltre che questa è solo una prima relazione tra attività umane e artefatti: una seconda riguarda gli effetti degli artefatti sull’attività umana nella quale vengono utilizzati. L’uso dell’artefatto infatti trasforma anche l’attività per cui è stato progettato, sia sul piano della riorganizzazione delle modalità percettivo-motorie di interazione con l’ambiente, sia per per le modalità di pianificazione delle azioni e delle relazioni sociali. A questo tipo di situazione si riferiva infatti Lev Vygotskij, che elaborò il cosidetto “metodo genetico”, in accordo con i principi assunti dalla scuola storico-culturale sovietica, che consisteva nello studio delle origini e nella storia di un fenomeno, focalizzandosi sui suoi passaggi e sulle interconnessioni con altri fenomeni. Lo stesso Wertsh nel 1985 affermò che “per comprendere quindi la natura degli artefatti dobbiamo comprendere la loro evoluzione storica e la pratica sociale che li resi parte dell’attività cognitiva umana.” “Diviene quindi chiaro che sia per gli artefatti cognitivi (ad es. rappresentazioni) che per gli artefatti in genere (ad es., macchine) l’attività è l’elemento fondamentale che ne determina la forma” e che “ in tutti i processi di creazione di artefatti vi è quindi un momento intermedio, quello in cui una particolare attività diviene l’oggetto da cristallizzare in artefatti” conclude Rizzo. Patrice Flichy inizia la sua trattazione presentando alcune “teorie standard sulla tecnica” elaborate sulla netta separazione tra tecnica e società, o che comunque le mettono in relazione solamente secondo un nesso costituito da un “rapporto deterministico”. Egli presenta il suo approccio all’innovazione e alla sua diffusione, cercando di capire come “ si organizza l’azione sociotecnologica dei diversi attori dell’innovazione, soprattutto progettisti e utenti, all’interno degli stessi quadri di riferimento” e introducendo il tempo come nuovo elemento da prendere in considerazione. Successivamente rivolge l’attenzione agli studi di A. Leroi-Gourhan, che appartiene a quel gruppo di studiosi che propongono un approccio socio-tecnico confermando la necessità di “pensare insieme il tecnico e il sociale” e quindi analizza il lavoro di alcuni grandi esponenti della nuova sociologia francese come Latour e Callon. Egli dà quindi la sua definizione di “oggetto tecnico”, considerandolo come la risultante di tre dinamiche: “l’azione degli attori, il caso e i vincoli sociotecnici”. Afferma inoltre che “l’oggetto tecnico” non è mai solo e riprendendo l’analisi di Simondon, insiste sul concetto che le macchine possiedono in qualche misura il “progetto del fruitore”, cioè esse non sono così aperte “da consentire all’utilizzatore di prolungare l’atto del costruttore attraverso la messa a punto, la regolazione, le riparazioni”. La sua definizione si conclude con un altro richiamo al pensiero simondoniano, affermando che la definizione dell’ ”oggetto tecnico” si comprende in termini di processo di concretizzazione, nel senso della “traduzione fisica di un sistema intellettuale”, che ci restituisce la complessità dell’ideazione. Così Flichy riassume poi il discorso Simondoniano: Un dispositivo tecnico diviene stabile soltanto quando il concatenamento delle parti trova una configurazione definitiva. Agli inizi di una innovazione ci sono principi, schemi e descrizioni astratte del processo. In seguito, si passerà agli abbozzi e ai prototipi, che permetteranno di verificare le intenzioni iniziali. Certo, l’artefatto sarà sicuramente differente dalla sua prima versione su carta: il confronto con la resistenza della materia e degli oggetti modifica le idee iniziali. Il primo oggetto secondo Simondon, non è altro che “la traduzione fisica di un sistema intellettuale”. In seguito, i diversi elementi convergeranno in un “oggetto tecnico” concreto e più compatto. Ogni elemento è ora integrato in un sistema che ha raggiunto una propria coerenza. L’oggetto diventa una “scatola nera” in grado di funzionare, per il profano quanto per l’ingegnere, senza che sia necessario rimembrare in continuazione l’articolazione dei diversi sottoinsiemi. Il quadro di funzionamento ha trovato la sua stabilità. IL SENSO DEGLI OGGETTI TECNICI Interessante è anche il percorso che propone Alvise Mattozzi, che ricostruisce, attraverso la raccolta di alcuni importanti articoli di svariati autori, il confronto con “il senso degli oggetti tecnici”. Egli inizialmente definisce gli STS (Social Studies of Science and Tecnology), un insieme di ricerche in ambito specifico che hanno sviluppato una duratura e approfondita riflessione sugli oggetti tecnici, che spesso si è interrogata sulla loro significazione, coinvolgendo l’ergonomia, ma soprattutto la semiotica. Quindi introduce l’ANT, che è uno specifico approccio agli STS, ad opera dei sociologhi francesi Micheal Callon, Bruno Latour e John Law, che cerca di rendere conto della emergenza, costituzione e stabilizzazione di oggetti teorici, naturali o tecnici in quanto attori reticolari, formati dalle relazioni tra elementi eterogenei che li costituiscono. Viene quindi definito il concetto che si possono trovare tre orientamenti alla significazione degli oggetti tecnici: - inerente agli oggetti tecnici; - trascendente gli oggetti tecnici e le pratiche a cui essi partecipano; - immanente agli oggetti tecnici e alle pratiche a cui essi partecipano. E vengono presentate le teorie di significazione degli oggetti tecnici di alcuni autori: Per Dejours il significato è attribuito più che all’ “oggetto tecnico”, all’esperienza che gli operatori ne fanno. Per Simondon, che si pone in una posizione intermedia tra un orientamento immanente e uno trascendente, l’umano è un mediatore che, per quanto riguarda gli oggetti tecnici, coglie l’informazione che emerge dalle forme degli oggetti tecnici stessi in quanto significazione; in questo modo è in grado di regolare tra loro gli oggetti tecnici che invece interagiscono sulla base di forme. Per l’ANT, che privilegia un orientamento immanente, la significazione si articola in modo congiunto con l’articolarsi delle reti di relazioni che costituiscono il mondo, o meglio il collettivo, inteso come l’insieme di associazioni tra attanti umani e non umani. All’interno dell’ANT è particolarmente importante il lavoro congiunto svolto da Madeleine Akrich e Bruno Latour. Madeline Akrich, secondo le considerazioni effettuate, dichiara che “la significazione di un “oggetto tecnico” dipende da come esso riorganizza differentemente la rete di relazioni all’interno della quale noi siamo posti e che ci definisce”; specifica inoltre che la significazione emerge proprio dalla messa in relazione tra oggetti tecnici e utenti. Bruno Latorur completa il pensiero dell’ANT soffermandosi anche con alcune considerazioni sulle “masse mancanti”. Egli presenta alcuni interessanti esempi al fine di dimostrare che anche in sociologia, come in fisica, si è alla ricerca di una “massa mancante” e che la risposta a questa ricerca altro non è che la presa in considerazione delle masse nonumane. Con esse si potrebbe infatti ad avere un concetto di società più completo ed equilibrato. “...ogni qual volta desideriate sapere cosa fa un non-umano, immaginate semplicemente che cosa altri umani o altri non-umani dovrebbero fare se questo attore non fosse presente. Questa sostituzione immaginaria fornisce esattamente l’idea del ruolo, o della funzione, di questo attore.” STRUMENTI DI RICERCA LEZ3_artefatto.pdf CONCETTO DI SOCIO-TECNICO SISTEMA ARTEFATTO http://Don't_eat_the_yellow_snow.pdf http://aperto, molteplice, continuo.doc http://unisi.it http://t.wikipedia.org/wiki/Artefatto h t t p : / / M a n t o v a n i Dalla_psicologia_culturale_alla_prospet tiva_interculturale http://mat_bagni.pdf http://www.nacci.altervista.org12.doc http://www.saul.unisi.it-ArtefattiRizzo.pdf OGGETTO TECNICO http://books.google.com/books?id=aZQj NOlRtsoC&dq=il+senso+degli+oggetti+t ecnici&printsec APPROFONDIMENTO SULLA STORIA DELLA SCRITTURA COMPLETO TRATTA DIVERSI AUTORI PROBLEMI DI CONSULTAZIONE (PAGINE SCARICABILI SOLO CON SCREENSHOT) STRUMENTI DI RICERCA INDIVIDUO TECNICO http://Multitudes Web - 2. Leggere Gilbert Simondon http://room50.blog » Storia del design, II_ storia per la teoria (o per le teorie) http://www.ergonomia.info/archivio/raba rdel http:// newMediaActivism.pp USER CENTERED DESIGN Lo User Centered Design è un approccio, una filosofia progettuale rivolta all’ideazione di prodotti e servizi che considera gli utenti come attori primari (centrali) all’interno del processo (considerandone i bisogni/interessi). L’obiettivo è di facilitare il progettista a comprendere al meglio l’utilizzo dei prodotti da parte degli utenti, proporre nuove modalità per migliorare le caratteristiche del prodotto, e al tempo stesso, migliorare l’efficienza del processo progettuale. Le caratteristiche corrette di un approccio “centrato sull’utente” predispongono che il processo di sviluppo di un nuovo prodotto sia in primo luogo caratterizzato dalla comprensione di tutte le attività che caratterizzano l’interazione tra utente e artefatto. Successivamente è imprescindibile il coinvolgimento costante degli utenti nel percorso progettuale, attraverso l’adozione di un processo iterativo(ciclico) che metta in constante confronto le soluzioni trovate con la verifica della loro usabiltà da parte degli utenti stessi. Questo tipo di approccio predilige dunque la formazione di team di lavoro multidisciplinari, composti anche da ricercatori ed esperti nel campo delle scienze sociali e cognitive, perchè essi possano garantire una corretta comunicazione tra progettisti e utenti finali. Possiamo quindi affermare che nel processo di User Centered Design (UCD) il progetto mira alla pianificazione, progetto e realizzazione di un artefatto (prodotto, comunicazione, servizio, interfaccia) coinvolgendo l’utente finale. USER CENTERED DESIGN CASO STUDIO “Eye Tracking: Analisi dell'interazione con il sito www.youtube.com OBIETTIVO: Sottolineare l’importanza di un corretto approccio attraverso lo User Centered Design, evidenziando le conseguenze negative che comporta un approccio non corretto per l’utente nel progesso di fruzione. NOTE: Ad oggi il sito di Youtube ha cambiato interfaccia e non presenta più l’errore sottolineato il questo caso studio. Premesso che l’immenso successo di Youtube è indicatore di un progetto sicuramente molto valido, trovo interessante riportare un recente studio ad opera di Silvia Gilotta e Rafaella Calligher che individua alcuni errori nella interfacce del sito che determinano delle difficoltà d’uso da parte degli utenti. Il World Wide Web, oggi, è un mondo senza troppi limiti, un mondo che fornisce grandi possibilità di espressione, permettendo di essere presenti online in svariati modi. È un mondo che sostiene la multimedialità, ovvero la forma di comunicazione che più ci appartiene e che grazie alle innovazioni tecnologiche può essere facilmente riprodotta attraverso i canali mediatici, come Internet, consentendo di esprimerci come ci è più consono. YouTube è il sito web che permette di manipolare gli audiovisivi: si possono cercare e fruire video di varia natura, ma si possono anche caricare i propri video, condividendoli e contribuendo così allo sviluppo di YouTube stesso. È il web 2.0, che consente di essere presenti in modo attivo, senza più essere solo spettatori passivi. Sembra tutto molto bello. Ma è davvero così? Oppure anche YouTube, come molti altri siti web, mostra dei problemi di usabilità? È infatti importante che, oltre a fornire le opportunità che promette, un sito web le renda visibili, facili da capire e da raggiungere. Tali opportunità devono essere a portata di utente, altrimenti è come se non ci fossero. L’interfaccia deve quindi fornire tutte le facilitazioni affinché l’azione dell’utente sia sostenuta e ottimizzata. Il vantaggio di Internet è infatti indubbio, ma non sempre concreto. Per verificare l’effettiva usabilità del sito YouTube, abbiamo effettuato un test con l’eye-tracking, lo strumento che rileva i movimenti oculari, mettendo così in pratica quella corrente di pensiero che, nell’analisi dell’usabilità, pone al centro l’utente, la sua esperienza, ascoltandone la voce ma, soprattutto, seguendone lo sguardo! Al di là delle verbalizzazioni, di altri strumenti come i questionari o il cognitive walkthrough, i quali possono risentire di alcuni bias, avere a disposizione i dati forniti dall’eye-tracking permette di indagare ciò che effettivamente viene guardato e catturato dalla nostra attenzione, quindi processato in modo consapevole. Il setting sperimentale, altamente ecologico, rende l’interazione naturale, lasciando gli utenti liberi di navigare e cercare come farebbero sul loro computer. Task 1: ricerca di canali Ai soggetti coinvolti nel test è stato chiesto di effettuare una ricerca, partendo dalla home page. In particolare, si è richiesto di cercare il canale della società sportiva A.C.Milan. Innanzitutto, si può analizzare l’impatto visivo della home page osservare la distribuzione delle fissazioni durante i primi 5 secondi. Si può notare come la maggior parte delle risorse attentive cada esattamente nell’area dei “Canali”, nella barra superiore, dove è presente anche la barra del search. Questo è sicuramente un aspetto positivo, in quanto significa che l’elemento da cercare è presente sulla home page ed è anche ben visibile. La stessa evidenza emerge dall’analisi di alcuni percorsi: pur effettuando navigazioni differenti, l’area della barra superiore è sempre osservata e vi si concentrano la maggior parte delle fissazioni effettuate nei primi 5 secondi. Le difficoltà si presentano successivamente, durante la vera e propria ricerca. Sulla home page ci sono due modi per cercare i canali: 1. Cliccare sulla barra il tasto “Canali” 2. Scrivere direttamente il nome da cercare e selezionare canali dal menù a tendina a destra del box di ricerca. Ma la differenza è solo apparente: pur cliccando il tasto “Canali” dalla barra menù (1), è indispensabile anche scegliere “Canali” dal menù a tendina poiché rimane selezionato automaticamente “Video”. Si effettua così un passaggio inutile oltre al fatto che l’operazione ti manda su una pagina di dubbia appartenenza dato che nessuna etichetta si evidenzia. In tutti i casi è necessario scrivere nel box e selezionare “Canali” dal menù a tendina. Durante il nostro test, il 60% dei soggetti ha cercato secondo la modalità 1, il 40 % secondo la modalità 2. Di questo 60%, la totalità ha commesso errori nella ricerca. Anche la metà del 40% ha sbagliato la ricerca. Dunque, solo il 20% del campione totale ha portato a termine la ricerca senza errori, scrivendo il nome e selezionando “Canali” dal menù a tendina. Oltre alla bassa percentuale di successo, anche i tempi e il numero delle pagine visitate durante la ricerca mostrano chiaramente quanto sia poco usabile questa funzione. In conclusione, la ricerca dei canali non è per niente facile ed intuitiva. Innanzitutto la maggior parte dei soggetti non sa esattamente cosa significhi cercare canali su YouTube. Fortunatamente il tasto “Canali” è ben visibile e questo aiuta nell’individuazione del primo step. Purtroppo, se da un lato l’impatto visivo del sito web è buona, dall’altro la ricerca vera e propria non è priva di ostacoli. Le quattro etichette poste sulla barra superiore, (Home page, Video, Canali, Community) non sono ben differenziate tra di loro, di conseguenza, durante la ricerca, non forniscono feedback sufficientemente efficaci che aiutino l’utente a capire dove si trova. Inoltre, il vero passaggio discriminante è la selezione di “Canali” dal menù a tendina a destra del box “cerca”, che rimane automaticamente selezionato su “Video”, facendo commettere molti errori e passaggi. Queste difficoltà sarebbero facilmente evitabili se si progettasse l’interfaccia in modo usabile, coinvolgendo i soggetti fin dalle prime stesure di prototipi. Perchè gli occhi degli utenti non sbagliano mai. USER DRIVEN INNOVATION È un approccio progettuale che fa uso di un processo di innovazione strutturato sulle relazioni dirette con gli utenti, con l’obiettivo di indagare e focalizzare l’attenzione su quelle che sono le loro vere esigenze e i loro veri bisogni. Gli utenti diventano quindi la più importante risorsa di informazione e di innovazione e il compito della User Driven Innovation è quello di cercare di sviluppare un modo più sistematico per coinvolgere essi all’interno del processo di ricerca e sviluppare così soluzioni che meglio rispondano alle necessità indicate dagli utenti stessi. Quel che distingue questo metodo di ricerca sull’innovazione da altri è: - a strategic focus on consumer pull (vs. technology push); produrre quel che si vende piuttosto che vedere quel che si è prodotto. - revenue-enhancing activities (vs. costcutting activities) by developing solutions that better meet consumer needs - use of multiple skills and perspectives in the innovation process; combinando non solo le abilità tecniche e economiche, ma coinvolgendo competenze di altre discipline. - more direct involvement of the user/consumer in the innovation process. - requirements for an open and collaborative business environment; con l’acquisizione delle grandi industrie di strutture più flessibili, orientate anche ad un maggiore utilizzo dell’ ”open source” e di metodi multi-disciplinari. Il PD è a sua volta un approccio mirato a validare, progettare e sviluppare sistemi e artefatti attraverso il coinvolgimento attivo di utenti nell’intero processo progettuale e decisionale. Esso prevede : - il coinvolgimento dell’utente finale in tutte le fasi del processo progettuale. - l’iterazione lungo tutto il processo delle soluzioni progettuali per cui le proposte vengono continuamente revisionate in base ai feedback ottenuti dall’interazione tra progettisti ed utenti. - una componente negoziale, poiché i differenti attori partecipano al processo con ruoli diversi in base alla varietà degli approcci. USER DRIVEN INNOVATION CASO STUDIO Intel - “Innovation Inside” - ClassmatePC OBIETTIVO: Fornire il profilo di una grossa compagnia che progetta e innova secondo la metodologia UDI. Seguire uno specifico percorso di sviluppo di un prodotto per vedere in quali step viene coinvolto l’utente. Tipo di Industria: Maggiore produttore al mondo di chip semiconduttori. Sede: Santa Clara, California, USA Capitale sociale: USD 35.4 billion (2006) Dipendenti: 94,100 (2006) Strategia: - L’obiettivo della compagnia è quello di rimanere il principale fornitore di chip e piattaforme per la soluzione del business digitale mondiale. - La strategia della compagnia si focalizza nel considerare i bisogni dei clienti nello sviluppo dei prodotti futuri e delle piattaforme che svilupperanno nuovi fattori e modelli d’uso per il business e i singoli consumatori. - Il successo della strategia dipenderà dalla capacità di Intel di selezionare e incorporare le necessità di valore per il consumatore e da una corretta distribuzione sul mercato delle piattaforme. Questo caso fornisce un esempio di una compagnia che svolge il proprio commercio a livello mondiale e che è guidata dalla tecnologia; che ha assunto con successo e in modo sistematico l’approccio centrato sull’utente per quanto riguarda i suoi processi di innovazione. 1-Company Background and “UserDriven” Innovation alla Intel Fondata nel 1968 da Robert Noyce e Gordon Moore, il successo della compagnia è dovuto principalmente all’intuizione che il numero di transistori su un chip si sarebbe raddoppiato una volta ogni due anni; questo ha portato Intel a essere oggi il principale produttore mondiale di chip semiconduttori. L’approccio ad un lavoro orientato all’utente si iniziò ad avere attorno al 1992-93, quando tre persone che possedevano un backgrund in “human factor”, entrarono in azienda. Nel 1995 venne introdotta la prima tecnica-etnografica. Nel 1996 il gruppo detto EUDC (End User Driven Concepts) era ormai formato. Dopo la riorganizzazione del 2001 questo gruppo di designer specialisti iniziò a lavorare per definire come l’etnografia si potesse connettere con le mappe della ricerca tecnologica “standard”. Questo lavoro portò allo sviluppo di tre modelli circolari (di Business value, di User value e di tecnologia), che aiutarono a incorporare in modo ancor più razionale il concetto di “valore dell’utente” all’interno dei processi di sviluppo. E inoltre a questo principio formulato dall’azienda per il proprio lavoro: Intel’s technology is only as valuable as the user perceives it. Therefore, the company should start by defining what they want to make possible (i.e. what values they wish to address or problems they wish to solve for their users) and then define what piece of the solution Intel can provide. Nel 2004 Intel si trasformò definitivamente da una compagnia produttrice di microprocessori ad una compagnia produttrice di piattaforme. Questo portò nel 2006 ad una nuova riorganizzazione che vide la nascita di unità operative basate su gruppi di utenti, guidate da un certo numero di esperti in User Centered design che avevano il compito incorporare l’approccio incentrato sull’utente in ciascuna unità. 2- Concept Innovation Gli obiettivi degli “esperti in user design” all’Intel sono tutti focalizzati nel catalizzare le nuove innovazioni. Il People and Practices Research Group (PAPR), che seguì all’EUDC group, si concentra nell’esplorazione di nuove domande e nell’identificazione di nuove potenziali opportunità (nuovi mercati e nuove aree di business) per la compagnia. Gli esperti che lavorano nelle unità si concentrano invece sulla trasformazione delle opportunità in nuovi valori attraverso la collaborazione con gli stessi esperti economici e tecnici, per definire non solo nuovi prodotti o configurazioni, ma anche nuovi schemi lavorativi e processi di innovazione. Questi esperti inoltre conducono talvolta ricerche di marketing, rivolte a definire scenari d’uso che aiutino a rilevare i fattori tecnici di sviluppo per alcuni prodotti. Il PAPR ha quindi elaborato un modello visivo del “The Three-Circle Model”(abbreviato poi in “BUT Model”). Il modello illustra l’importanza di incorporare tutti e tre gli elementi (user value, business value e technology) all’interno del processo di innovazione in maniera integrata. Inoltre rende chiara la natura induttiva dei processi, che si muovono da alti livelli di incertezza a livelli più bassi nel corso del tempo. Il processo è quindi in dipendenza di un cambiamento nel tempo: negli stadi iniziali l’obiettivo è identificare le ragioni che fanno sì che un’idea o un prodotto falliscano; al contrario, nei passi successivi si cerca di identificare le ragioni che ne determinano il successo. Come il processo si muove nel tempo, attraverso stati di esplorazione, pianificazione, sviluppo e implementazione dei mercati, i differenti elementi assumono diversi ruoli. Per esempio, nella parte di esplorazione, l’etnografia e il design hanno un ruolo principale nell’identificare i problemi e nel tradurli in possibili opportunità che la compagnia può analizzare. Più tardi, nella fase di sviluppo, le componenti tecnologiche e di business hanno un ruolo maggiormente dominante. 3- The Innovation Process and Business Outcome - The case of the ClassmatePC Per comprendere meglio come Intel lavori secondo i metodi UDI prendiamo in considerazione un loro esempio di innovazione portata avanti step by step. La descrizione sarà illustrata secondo gli otto passi dell’ “innovation wheel” descritta poc’anzi. Lo sviluppo del ClassmatePC iniziò nel 2000/2001, per arrivare al lancio sul mercato nel gennaio 2007. The “WHAT Phase” 1.1 Opportunity Identification Nel 2000/2001 il PAPR iniziò un progetto di ricerca attorno al “next billion users of computing”. Questo progetto durò circa 2/3 anni e fu condotto attraverso ricerche etnografiche, identificò nell’ambito scuola/educazione un dominio di possibile interesse per Intel. User involvement in Opportunity Identification? yes UDI Methods/Tools used in the process: Ethnografic research 1.2 Data Collection insieme agli utenti. L’ unità di business sviluppa ricerche etnografiche più mirate, che osservano i comportamenti degli utenti. User involvement in Consepts/Ideas? yes UDI Methods/Tools used in the process: Feed forward Informance dramas User involvement in Data Collection? yes UDI Methods/Tools used in the process: Ethnografic research Brainstorming with user groups 1.3 Pattern Recognition Si basa sul punto precedente e prosegue il percorso con brainstorming interni che coinvolgono sia gli etnografi che i designer. La questione chiave di questa sessione è capire le connessioni che ci possono essere tra il mondo dei bisogni dell’utente e quello dell’impresa. User involvement in Pattern Recognition? no UDI Methods/Tools used in the process: Brainstorming with ethnographers and designers 1.4 Consepts/Ideas I concetti emersi nella Pattern Recognition vengono discussi e rivisti The “HOW Phase” 1.5 Conceptualization Durante i primi quattro passi ci si è concentrati sull’affrontare le incertezze, ossia le ragioni di possibile fallimento di un prodotto. Il processo ha sì coinvolto elementi di business e tecnologici, ma si è concentrato primariamente nel trovare e testare i valori importanti per gli utenti. Una volta che un concetto è emerso ed è stato riconosciuto coerente con gli utenti, ci si può ora concentrare per testare questo concetto dal punto di vista del business e della tecnologia. Il risultato finale sarà una “specifica proposta di valore definita per il prodotto”. User involvement in Conceptualization? yes UDI Methods/Tools used in the process: Market and Business research 1.6 Prototype Il team Intel quindi sviluppò un numero di modelli da testare con varie categorie di utenti (studenti, genitori, insegnanti). Esso dovette fare anche un passo indietro al passo 3 (Pattern Recognition) e al passo 5 (Conceptualization) per elaborare alcune nuove interazioni con gli utenti e per assolvere alla richiesta di aggiungere una tastiera nel prodotto finale, per “renderlo più coerente alle altre cose che la compagnia produce”. User involvement in Prototype? no UDI Methods/Tools used in the process: Internally-developed prototypes 1.7 Test I test ebbero un’estensione abbastanza ridotta; furono principalmente focalizzati sulla tecnologia piuttosto che sull’usabilità. User involvement in Test? no UDI Methods/Tools used in the process: Internally-developed prototypes 1.8 Implementation Il ClassmatePC venne lanciato sul mercato nel Gennaio 2007; questo necessitò che Intel entrasse in un nuovo mercato e sviluppasse una nuova strategia per la vendita del prodotto. User involvement in Implementation? no UDI Methods/Tools used in the process: None Sin dal suo lancio il team di sviluppo del prodotto è tornato ai processi precedenti nel percorso di innovazione per incorporare nuove informazioni derivati dall’utilizzo del prodotto da parte degli utenti. In questa seconda fase di sviluppo gli utenti vengono coinvolti attraverso interviste e lavoro in gruppi specifici. User involvement in Test(2)I? yes UDI Methods/Tools used in the process Focus groups Interviews STRUMENTI DI RICERCA lez5_User centered design.pdf USER CENTERED DESIGN http://en.wikipedia.org/wiki/Usercentered_design http://Usabile.it_ Card sorting per lo User-Centered Design UCD-CASO STUDIO http://Analisi dell'interazione con il sito www.youtube.com | UserMatter(s).com USERMATTER.COM http://Eye Tracking_ campi applicativi | UserMatter(s).com USER DRIVEN INNOVATION http://hovedrapport_engelsk.pdf http://innovationzen.com/blog/2006/10/ 07/user-driven-innovation/ UDI-CASO STUDIO http://final_report_udi_context_and_cas es_in_the_nordic_region_web.pdf AMPIA PRESENTAZIONE DI CASI STUDIO METODOLOGIE PROGETTUALI CREATIVE CASO STUDIO Prendi a casa uno studente LUOGO: Milano, Italy PROMOTORE: MeglioMilano COME FUNZIONA MeglioMilano (che è un'associazione senza fini di lucro fondata nel 1988 allo scopo di predisporre progetti e sperimentazioni legati al miglioramento della "qualità della vita", sia nel contesto complessivo urbano, sia in aree specifiche) ha realizzato che le persone anziane potessero aiutare gli studenti con alcune sistemazioni a basso costo in cambio di un piccolo aiuto casalingo. Questa campagna generò una grande quantità di offerte da parte delle persone che avevano nelle proprie abitazioni una stanza libera e anche molti studenti risposero alle richieste. Uno psicologo ebbe il compito di visitare le case e per intervistare sia i giovani che gli anziani e fare i corretti accoppiamenti. MeglioMilano tiene ancor oggi tutti gli attori del processo impeganti nel fornire feedback settimanali e offre a entrambe le parti assistenza legale e di uno psicologo gratuita; inoltre organizza incontri mensili tra tutti i fruitori del servizio. CONTESTO Le grandi città europee come Milano hanno un enorme numero di richieste per le sistemazioni per studenti; nel 2003 all’incirca 20 000 posti furono richiesti in città. Un numero di persone anziane allo stesso tempo vive sola e cerca aiuto per svolgere le piccole faccende quotidiane. Inoltre i prezzi per l’affitto a Milano sono tra i più costosi d’Italia e questo costringe gli studenti a vivere in comuni vicini o ha cercare dei college. Dal momento che le università di Milano non offrono soluzioni a questi problemi, spesso gli studenti decidono di andare a studiare da altre parti e Milano subisce una perdita sia culturale che economica. RISCONTRI PER LA SOCIETÀ Mettendo in contatto le persone anziane con i giovani studenti in cerca di alloggio si cerca di risolvere i problemi di ambo le parti. Allo stesso tempo si hanno effetti positivi anche dal punto di vista della comunicazione tra generazioni diverse. Esitono invece due tipi di problemi principali: - talvolta gli anziani cercano di far svolgere agli studenti i compiti di un aiutante domestico; - le persone anziane cercano maggiormente studentesse che studenti. PER L’AMBIENTE La riduzione del numero di studenti pendolari può potenzialmente aiutare a ridurre il traffico e l’inquinamento. Inoltre il fatto che le case siano occupate da più persone fa sì che se ne faccia un uso più efficiente. ECONOMIA Ci sono dei chiari benefici economici per entrambi i fruitori del servizio. Gli anziani hanno un aiuto finanziario e pratico; gli studenti hanno accesso a alloggi a basso costo. METODOLOGIE PROGETTUALI CREATIVE CASO STUDIO Andiamo a scuola da soli Walking Bus LUOGO: Milano, Italy PROMOTORE: Gruppi di insegnanti e genitori COME FUNZIONA Il Walking Bus rende possibile ai bambini l’andare e il tornare da scuola camminando all’interno di un gruppo e quindi in sicurezza, sotto la supervisione di alcuni adulti. Sono stati creati dei “percorsi sicuri” che diventato percorsi divertenti che i bambini compiono ogni giorno. Essi hanno la possibilità di incontrare i loro amici, di parlare e giocare e di condividere esperienze anche fuori da scuola. Gradualmente questo contribuisce a formare dei ragazzi indipendenti e con personalità. Il cammino quotidiano è inoltre un buon esercizio. Il servizio inoltre contribuisce a lasciare tempo libero ai genitori, a mettere in contatto persone che abitano nello stesso quartiere, ma soprattutto ad aumentare la sicurezza delle strade per tutti i bambini. CONTESTO Walking Bus a Milano è un’iniziativa guidata da alcuni insegnanti di scuola, che pensarono di migliorare la salute e il benessere dei ragazzi. A Milano va sottolineato che una buona parte dell’alto livello di inquinamento è dovuta anche al movimento effettuato per portare e andare a prendere i bambini nelle scuole. STATO Il progetto pilota iniziò nel 2000 e si portò a termine nel 2004. Attualmente il progetto viene portato avanti da volontari come nonni, genitori, insegnanti. Il sistema è basato su un’idea originaria proposta negli Stati Uniti e in UK, che si trovarono e si trovano ad affrontare problemi simili a quelli di Milano oggi. Nel 2007 sono stati stimati milioni di bambini, genitori e comunità impegnati in 42 paesi per l’Iternational Walk to School Month. Lo scopo delle camminate varia da comunità a comunità; alcune camminate servono per rendere le strade più sicure, altre per promuovere attività salutari, altre ancora per conservare l’ambiente. RISCONTRI PER LA SOCIETÀ Camminare per andare a scuola significa che le persone non devono usare la macchina; questo riduce il traffico, gli incidenti e l’inquinamento e diminuisce la congestione sui mezzi di trasporto pubblici. Su un livello sociale il sistema contribuisce a ricreare il “senso di vicinato”, che nel tempo si è andato perdendo nelle grandi città. AMBIENTE Questo sistema riduce come già detto il traffico, l’inquinamento vicino alle scuole e rende le strade più piacevoli da vivere. ECONOMIA Il servizio lascia ai genitori dl tempo libero per svolgere altre attività e fa risparmiare soldi in benzina. Padova, ITALY Ottawa, CANADA Alexandria, USA Frisco, USA Alexandria, USA Madison, USA METODOLOGIE PROGETTUALI CREATIVE CASO STUDIO Cyclo-Pouce LUOGO: Paris, France PROMOTORE: Sedici appasionati di biciclette COME FUNZIONA Cyclo -Pouce consegna prodotti a domicilio mediante l’uso della bicicletta alle persone disabili, agli anziani e alle compagnie locali. Offre inoltre opportunità di Bike Recycling, di riparazione e di affitto di biciclette alle persone e alle associazioni locali. Il suo scopo principale è quello di migliorare il benessere di vita dei cittadini: “la vita è più della in bicicletta”. Inoltre, in collaborazione con Jet Handicap Evasion, sviluppa una nuova bicicletta per trasportare le persone disabili. CONTESTO Oggi Cyclo-Pouce ha base a Parigi, in un inutilizzato deposito ferroviario che venne dato all’associazione nel 2000. Al tempo non c’era nè luce nè acqua disponibile. CP propone l’uso di biciclette in città, vedendole come un modo di integrare le persone con l‘aspetto urbano. Essi “assumono” anche biciclette vecchie e inutilizzabili e le rimettono in uso. STATO CP venne sviluppato dieci anni fa da 16 persone che condividevano la passione per la bicicletta. Lo scopo fu quello di creare un servizio che potesse fare dell’uso delle biciclette un mezzo per aiutare le persone con problemi sociali e fisici. CP impiegò 4 anni a svilupparsi, studiando quali fossero le necessità di progetto e affrontando una serie di problemi burocratici; infine partì nel 2000. Nel futuro CP vorrebbe allargare i suoi servizi ad altre zone della Francia. Si aspetta inoltre di creare un legame ancor più forte con le associazioni per disabili, che aumenterebbe la conoscenza da parte degli utenti dei servizi svolti. Il numero di persone che fanno uso di CP è in crescita, anche grazie all’ampia quantità di servizi offerti, alle attitudini professionali e open-minded. Essa è ben organizzata con impiegati, schede di lavoro, orari ecc..ma vorrebbe crescere in modo ancor più rapido; per questo sarebbero necessari investimenti maggiori e una promozione su più larga scala. RISCONTRI PER LA SOCIETÀ CP ha sviluppato molte attività con le scuole e le associazioni sociali, promuovendo la bicicletta come un metodo complementare di trasporto urbano. Essa inoltre assume persone anche con difficili trascorsi. AMBIENTE CP ha ovviamente una stretta connessione con l’ambiente, proponendo e facilitando la diminuzione dell’inquinamento attraverso un metodo di mobilità alternativo. CP inoltre ricicla biciclette, le ripara e le mette a disposizione di chiunque, specialmente le scuole. ECONOMIA I soldi guadagnati da CP vengono principalmente impiegati per comprare nuovo materiale e biciclette e per pagare i costi di affitto e le spese. L’attività più redditizia è il noleggio, poi la riparazione e quindi la vendita di prodotti. I profitti permettono a CP di sviluppare anche nuovi prodotti per i disabili, che sono costosi in quanto prototipi. STRUMENTI DI RICERCA lez4_creatività.pdf CASO STUDIO Prendi a casa uno studente http://www.sustainableeveryday.net/main/?page_id=19. http://www.meglio.milano.it/pratiche_stu denti.htm CASO STUDIO Walking Bus http://www.sustainableeveryday.net/main/?page_id=19. http://www.falacosagiusta.org/milano/ho me.php http://fa-la-cosa-giusta-cartella stampa.doc http://www.iwalktoschool.org/ http://www.iwalktoschool.org/photos/ind ex.htm CASO STUDIO Cyclo-Pouce http://www.sustainableeveryday.net/main/?page_id=19. http://ateliercfd.org/projets/quaiLoire/Vie Quartier/CycloPouce.html DESIGN A SCALA TERRITOIALE/ DESIGN Nel momento in cui si parla di design a scala territoriale, è opportuno svolgere alcune riflessioni in primo luogo intorno a quello che è l’oggetto di progetto. In questo ambito l’attività del design infatti non si rivolge più ad un singolo attore (utente o impresa), ma bensì ad un contesto (territorio), cercando di valorizzarne l’insieme delle risorse che lo caratterizzano. Questo implica quindi che il progetto non sia più mirato esclusivamente alla produzione di artefatti fisici, ma anche a quella di artefatti di natura immateriale. Nella progettazione legata al territorio assumono di conseguenza grande importanza gli aspetti di natura umana e sociale, per il naturale coinvolgimento di individui, istituzioni e imprese. Per capire come l’azione di design possa essere efficace nelle trasformazioni del sistema di risorse del territorio, va introdotto il concetto di design community. DESIGN COMMUNITY “Con il termine design community ci si riferisce al gruppo di soggetti che, agendo sul territorio, condividono un dominio comune di interesse (la realizzazione del progetto), attività e obiettivi, e un repertorio di pratiche (linguaggi, strumenti, esperienze...). Riferendosi al modello di Wenger (1998), la design community è considerata come una comunità di pratica fondata sul progetto”. L’esistenza di una design community è quindi fondamentale per l’identificazione a livello locale di obiettivi strategici e per utilizzare strumenti specifici di design in modo da sviluppare e materializzare le soluzioni progettuali. Anche il design a suo modo si deve quindi adattare a questo contesto locale attraverso l’adozione di un metodo specifico: “il progettista deve in primo luogo rilevare, interpretare e tracciare le peculiarità territoriali per interpretarle attraverso una visione di progetto che proietti e integri il sistema di risorse rispetto ad una dimensione sistemica di azione”. DESIGN A SCALA TERRITORIALE/ DESIGN Nel momento in cui si parla di design a scala territoriale, è opportuno svolgere alcune riflessioni in primo luogo intorno a quello che è l’oggetto di progetto. In questo ambito l’attività del design infatti non si rivolge più ad un singolo attore (utente o impresa), ma bensì ad un contesto (territorio), cercando di valorizzarne l’insieme delle risorse che lo caratterizzano. Questo implica quindi che il progetto non sia più mirato esclusivamente alla produzione di artefatti fisici, ma anche a quella di artefatti di natura immateriale. Nella progettazione legata al territorio assumono di conseguenza grande importanza gli aspetti di natura umana e sociale, per il naturale coinvolgimento di individui, istituzioni e imprese. Per capire come l’azione di design possa essere efficace nelle trasformazioni del sistema di risorse del territorio, va introdotto il concetto di design community. DESIGN COMMUNITY “Con il termine design community ci si riferisce al gruppo di soggetti che, agendo sul territorio, condividono un dominio comune di interesse (la realizzazione del progetto), attività e obiettivi, e un repertorio di pratiche (linguaggi, strumenti, esperienze...). Riferendosi al modello di Wenger (1998), la design community è considerata come una comunità di pratica fondata sul progetto”. riferisce alle differenti scale di intervento possibili per il design. L’esistenza di una design community è quindi fondamentale per l’identificazione a livello locale di obiettivi strategici e per utilizzare strumenti specifici di design in modo da sviluppare e materializzare le soluzioni progettuali. 3 - la condizione di situatività, in relazione proprio al contesto in cui il design si trova ad operare. Anche il design a suo modo si deve quindi adattare a questo contesto locale attraverso l’adozione di un metodo specifico: “il progettista deve in primo luogo rilevare, interpretare e tracciare le peculiarità territoriali per interpretarle attraverso una visione di progetto che proietti e integri il sistema di risorse rispetto ad una dimensione sistemica di azione”. STRUMENTI Di conseguenza è necessario definire con chiarezza quelli che sono gli strumenti che permettono al designer di interpretare questo nuovo oggetto, che differisce dai classici artefatti idustriali. Sicuramente è possibile delineare alcune caratteristiche che il design per il territorio deve tener presente: 1 - la condizione multi-attore, che pone l’accento sulla pluralità delle entità coinvolte e sulla peculiarità delle loro competenze. 2 - la condizione multi-livello, che si 4 - la condizione path dependency, che mette in relazione la dipendenza dell’azione di design dalla storia del progetto. ME.DESIGN/LIVELLI All’inizio di ogni progetto a scala territoriale è quindi indispensabile l’abilitazione di una design community . Dall’interpretazione delle attività di ricerca ME.Design (un progetto di ricerca fondativa sui territori del Mediterraneo che ha coinvolto università e attori locali in progetti per il territorio) si sono riscontrati tre livelli possibili di attivazione: 1 - Costruzione del sistema (di competenze, di relazioni) In questo livello l’azione del designer si concentra sulla costruzione della rete di attori coinvolta nel processo di design, cercando di porre le basi per un linguaggio comune e per un sistema comunicativo e organizzativo che possa aumentare la fiducia e il consenso tra i soggetti coinvolti. 2 - Definizione della strategia di progetto In questo secondo livello il designer contribuisce a definire le linee guida del progetto che permettono di individuare le aree d’azione per le soluzioni progettuali concrete. 3 - Definizione del sistema-prodotto territoriale In quest’ultimo livello il designer opera per definire il progetto concreto per il territorio, facendo uso di metodi e strumenti appropriati. ME.DESIGN/BOTTOM UP Sempre dalla ricerca ME.Design emergono importanti caratteristiche sul tipo di approccio che il design deve avere; esso deve essere un approccio bottom-up che, a partire dal basso, necessita di coinvolgere differenti attori e competenze nel progetto.(come i ricercatori, i cittadini, le amministrazioni, le imprese ecc..). RICERCA-FORZA La ricerca in questo contesto si configura perciò come ricerca-azione (action research), termine coniato dallo psicologo Kurt Lewin per indicare un metodo sistematico di indagine rivolto a gruppi di persone coinvolti in modo diretto in un processo sociale di cambiamento. La caratteristica principale della ricerca-azione è quella di essere una metodologia di lavoro mirata a oltrepassare il distacco tra riflessione teorica e applicazione pratica; essa può essere rappresentata attraverso un processo ciclico contraddistinto dall’iterazione delle fasi riguardanti l’indagine, l’elaborazione dei dati e la verifica dei risultati ottenuti. Il processo,che assume la forma di una spirale, è caratterizzato da alcune macro-fasi: - identificazione del problema principale (delineare il campo di azione); - raccolta dei dati (informazioni utili alla ricerca); - analisi ed interpretazione dei dati (rielaborazione e sintesi dei dati); - azione (applicazione del piano d’azione); - valutazione (verifica e controllo del piano e degli strumenti). Esistono poi alcuni elementi significativi che posso descrivere l’approccio della ricerca-azione: - legame teoria-pratica: gli strumenti teorici sono verificati attraverso la pratica, ed è attraverso l’azione sul campo che emergono ulteriori riflessioni di carattere teorico. - collaborazione e partecipazione: il processo di ricerca-azione si caratterizza per la multidisciplinarietà e l’interdisciplinarietà delle azioni. In esso sono coinvolti differenti soggetti, portatori di interesse rispetto al problema in analisi e rappresentanti di categorie differenti. L’azione è dunque di natura co-operativa in cui le competenze esterne (dei ricercatori) si sommano e si confrontano con il punto di vista di chi ha specifiche conoscenze rispetto alla problematica in esame. - apprendimento riflessivo: il rapporto dialettico e continuo tra attività di ricerca e sperimentazione sul campo caratterizza l’intero processo. La dimensione riflessiva è infatti correlata alla natura ciclica del processo di ricerca-azione. In conclusione possiamo affermare che l’approccio della ricerca-azione applicato ai contesti territoriali permette di: - acquisire ed avere accesso alla conoscenza - coinvolgere differenti competenze - favorire un processo di sviluppo sostenibile - favorire il processo comunicativo e di apprendimento - permettere un monitoraggio continuo DESIGN A SCALA TERRITORIALE CASO STUDIO Design Nokia in Bangalore OBIETTIVO: Rendere tangibile la connessione che esiste tra l’innovazione territoriale (seppur di larga scala in questo caso) e il processo di innovazione globale. Sottolineare il ruolo di coordinazione del design in questo tipo di ricerca. Il nuovo studio di design della Nokia in Bangalore, India, implementerà approcci di co-creazione e di tipo etnografico per esplorare nuove idee di design per il mercato indiano della telefonia mobile del mercato indiano. Lo studio in India è uno dei quattro studi satellite che Nokia vuole avviare nei prossimi 12 mesi. Questi studi satellite collaboreranno con i designer locali e con le università per giungere ad una migliore comprensione delle sfumature culturali rilevanti per il design dei telefonini. Il prossimo centro ad essere inauguratosarà quello di Rio de Janeiro, Brasile. Il focus dello studio è la “co-creation,” o design collaborativo, che vedrà coinvolti i designer di Nokia, designer locali ed utenti di cellulari. Lo studio è situato presso la Srishti School of Art, Design and Technology in Bangalore, dove gli studenti dell’istituto, i designer di Nokia e designer esterni lavoreranno insieme. I designer dello studio non lavoreranno solo sulle aree del design industriale e delle interfacce utenti, ma condurranno anche ricerche etnografiche per comprendere maggiormente le persone e le loro esperienze, afferma Hannu Nieminen, capo dell’area insight ed innovazione della Nokia Design. Un team di top designer di Nokia coinvolgerà gli studenti della Srishti nello studio dell’utilizzo di internet sul telefono cellulare e le sue implicazioni per il design e le funzioni della prossima generazione di prodotti. Il comunicato segue una collaborazione tra Srishti e Nokia del 2006 su Only Planet, il programma internazionale di Nokia Design per studenti, che ha avuto inizio lo scorso anno in occasione della Doors 8 conference in Nuova Deli. “Il nostro intero processo di design è influenzato dal consumatore e il suo comportamento - come vogliono che appaia, funzioni e si adatti alla loro vita il loro cellulare. Noi adottiamo un approccio umano al design in un industria che tende a concentrarsi solo nello sfruttare la tecnologia. Stiamo creando prodotti di moda che funzionino proprio come vuole la gente. Su questa combinazione si centra il nostro lavoro di design e brand”, dice Jan Blom, Direttore del gruppo di Design Nokia presso Bangalore. Lo studio di Bangalore “riflette lo stato dell’India come una delle città più ferventi per il design”, secondo il Principale Designer della Nokia, Alastair Curtis. “Lo studio di Bangalore si centrerà su una gamma di temi e trend del design, tra cui: percezioni visuali: ricerca dei colori chiave e delle tendenze dei materiali in India ed il loro significato culturale; mobilità Internet: capire come la gente in India stia accedendo ad Iternet via cellulare, come e perchè stanno usando questo, il suo impatto sui comportamenti e la cultura, e come possiamo indentificare questi ed altri segnali che ci aiuteranno a creare dei dispositivi di rilievo e convincenti disegnati per utilizzare Internet e persino per le applicazioni sociali - come può essere utilizzato il design di cellulari per affrontare le problematichè delle aree più rurali dell’India, come per esempio l’accesso a materiale di educazione.” Le aree da tenere d’occhio, secondo l’artefice, sono le nuove forme, materiali e caratteristiche, creando nuove forme di interazione tra la gente ed il proprio dispositivo, rendere l’esperienza internet su cellulare competente, ed un’adozione più ampia dei contenuti multi-media. “Il design di cellulari è una area affascinante e dinamica. Il design sarà molto più basato sull’esperienza che la gente vuole dal proprio dispositivo - quello che loro vogliono che faccia e come deve partecipare alla loro vita quotidiana. Dato che non tutti mirano alla stessa esperienza, ci sarà un certo numero di trend diversi”, dice Blom. DESIGN A SCALA TERRITORIALE CASO STUDIO Net Map di Eva Schiffer Istituzione: International Food Policy Research Institute Anno: 2007 URL: http://netmap.wordpress.com/about/ OBIETTIVO: Evidenziare l’importanza della crazione di una design community per avere e raggiungere un obiettivo condiviso. Net-Map is an interview-based mapping tool that helps people understand, visualize, discuss, and improve situations in which many different actors influence outcomes. By creating Influence Network Maps, individuals and groups can clarify their own view of a situation, foster discussion, and develop a strategic approach to their networking activities. More specifically, Net-Map helps players to determine what actors are involved in a given network, how they are linked, how influential they are, and what their goals are. The tool is extremely low-tech and lowcost and can be used when working with rural community members with low formal education as well as with policy makers, or international development actors. To grasp the simplicity of the tool, here's the list of equipment needed: Large sheets of paper for the network map (one per interview), felt pens for drawing links (different colors according to different links), adhesive paper as actor cards, flat round stackable discs for building influence-towers (e.g. checker’s pieces, bicycle spare parts), and finally, actor figurines (different board game figures, optional but especially useful when working with illiterate interviewees). What's fascinating about this modest model is the awareness that Social Network Analysis (SNA) doesn't necessarily need to involve expensive hightech tools, that can be difficult to implement and use. Now the project is in action, for example, in Ghana and Chile. DESIGN A SCALA TERRITORIALE CASO STUDIO Disegnare le città/il caso Roma di Antonio Romano OBIETTIVO: illustrare un progetto multidisciplinare che riguarda un’area urbana Inarea, come network, ha firmato nell’ambito dell’identità territoriale diversi progetti. Inarea Francoforte ha realizzato nel 2000 un complesso intervento per l’identità del Land dell’Assia (Hessen). I nostri partner parigini di Seenk hanno invece operato il restyling dell’identità urbana di Le Havre. I nostri partner svedesi, Dolhem Design, hanno progettato il sistema di identità dell’ufficio per il turismo della Città di Stoccolma. Inarea Rio ha firmato un intervento di marketing territoriale per lo Stato di Rio de Janeiro. In Italia abbiamo realizzato, oltre agli interventi sulla città di Milano e di Roma, anche un progetto di marketing territoriale per la Provincia di Siena, che porta il nome di “Terre di Siena”. Milano e Roma, pur con molte differenze contenute nei rispettivi bandi di gara, sono state da noi affrontate con un analogo approccio concettuale. Quello per Milano era un appalto concorso, incentrato su un “Programma di immagine coordinata e d’uso dello stemma comunale”. Il bando stilato dal Comune di Roma prevedeva invece l’elaborazione di una “Proposta per un format comune alle campagne di comunicazione e per l’immagine coordinata Amministrazione Comunale”. dell’ La prospettiva adottata nei progetti di identità territoriale fa riferimento al seguente assunto: un territorio (sia esso città, regione, nazione) non è un semplice agglomerato di case, uffici, strade, industrie, semafori, automezzi ecc. È soprattutto un concetto “identitario”, uno spazio allo stesso tempo fisico e simbolico, in grado di generare senso di appartenenza nelle persone che ci vivono e attrazione per le altre. Un territorio, quindi, dovrà imparare a farsi scegliere investendo su di un chiaro connotato di identità, in grado di superare luoghi comuni e stereotipi, per comunicare la propria unicità, i propri valori, le proprie eccellenze e la propria idea di sviluppo. Questa logica trova nel progetto sviluppato per il Comune di Roma un caso paradigmatico, sia rispetto all’estensione dell’intervento, sia, soprattutto, per l’approccio messo in campo. Il percorso metodologico, elaborato attraverso fasi successive, tra loro strettamente collegate, ha visto il censimento, l’organizzazione e la definizione logica degli elementi di realtà, reputazione e aspirazione dell’universo Roma. Questi infatti costituiscono il background necessario per poter costruire una nuova “architettura narrativa”, espressa in termini di linguaggio visivo e non solo. Un tale approccio consente di configurare le direttrici strategiche da seguire e, di conseguenza, di ordinare secondo categorie logiche l’azione di design. Il concept strategico che ha poi guidato il progetto è stato quello di restituire visibilità a questo patrimonio straordinario, esaltando (ed arricchendo) il potere evocativo della semplice parola “Roma” rispetto ad un pubblico costituito, nei fatti, dal mondo intero. Dal concept al progetto Per tradurre questo indirizzo in termini di linguaggio visivo, è stato operato un lavoro di recupero filologico sulla simbologia araldica della città, rispettando le regole dello statuto e sottolineando al contempo la titolarità della parola “Roma”, anche attraverso una connotazione tipografica, con la creazione di un logotipo ad hoc. L’organizzazione spaziale dei due elementi base di identità (il logotipo Roma e lo stemma) è ottenuta attraverso la giustapposizione, secondo proporzioni definite: questa configurazione costituisce a tutti gli effetti il vero e proprio marchio della città e definisce la griglia organizzativa. In tutte le comunicazioni, logotipo e stemma sono inscritti in una bacchetta di colore rosso porpora, che può essere inserita e ordinata con differenti collocazioni spaziali, divenendo un forte elemento di caratterizzazione. Questo risponde efficacemente all’esigenza di proporre un modello costante e ricorrente di identità, trasformando la matrice culturale ed evocativa del brand in matrice organizzativa dello spazio. L’obiettivo è di rendere le comunicazioni del Comune “leggibili”, prima ancora dei contenuti di cui sono portatrici. Dal progetto-Roma al sistema-Roma In questo contesto, si inscrivono gli interventi sulle utilities urbane (Ama, per l’ambiente; Atac, Metro, Trambus per la mobilità) e sui servizi (l’agenzia del Comune per le entrate locali, Roma Entrate), mirati ad estendere il sistemaRoma a tutti gli ambiti di servizio/contatto con i cittadini e, più in generale, con le varie categorie di pubblico della Capitale, con l’obiettivo di favorire la riconoscibilità e, quindi, migliorare il dialogo. È da sottolineare il fatto che ogni intervento ha rappresentato un fattore di continuità, contribuendo a definire e “specificare” ulteriormente il sistemaRoma. Il modo di proporsi e di rappresentarsi, attraverso la leva dell’identità posta in essere nel 2004, diventa così testimonianza autentica di una rinnovata progettualità, di cui il brand è ambasciatore, e chiave di lettura di tutto il sistema-Roma. STRUMENTI DI RICERCA lez6_MetodiRicerca1.pdf http://it.wikipedia.org/wiki/Glocalizzazio ne http://www.nicomay.it/ita/territorio/territo rio http://www.designfocus.it/directory/ http://__ DESIGNfocus | Osservatorio sul Design _ MILANO __ http://http://www.mi.camcom.it/upload/fil e/330/165280/FILENAME/Maffei.pdf http://www.sistemadesignitalia.it/ Art.2.04. Sistema Design Italia Magazine N 02/2005 Risorse locali e comunità di progetto. Il designer come abilitatore di apprendimento per le azioni di sviluppo territoriale Di Stefano Maffei e Beatrice Villari Art.2.11.Sistema Design Italia Magazine N 02/2005 L’approccio di ricerca ME.Design. Una ricerca-azione del design per valorizzare i sistemi di risorse locali Di Beatrice Villari STRUMENTI DI RICERCA CASO STUDIO Design Nokia in Bangalore http://www.experientia.com/it/blog/il-mio cellulare- e-me http://http://www.experientia.com/it/blog/ http://www.experientia.com/it/blog/ilr u o l o - c e n t r a l e - d e l l a - co-creazione-e-delletnografia-al-nuovostudio-di-design-di-nokia-in-bangalore/ CASO STUDIO Net Map http://www.visualcomplexity.com/vc/ ATTRAVERSO DELICIOUS.COM http://www.visualcomplexity.com/vc/proj ect_details.cfm?id=644&index=644&do main= http://netmap.files.wordpress.com http://www.flickr.com/photos/19176170 @N03/ CASO STUDIO Disegnare le città/il caso Roma http://sdz.aiap.it/notizie/10390#top http://equa.it IMMAGINI