55 Gli amori degli dei

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55 Gli amori degli dei
danstampe
2012 - 2013
2012 - 2013
DANSTAMPE
Daniele Bertoldo • Via Ca’ Castelle 23 • 36010 Zanè (Vicenza)
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L’acqua del lago vista da vicino sembrava ancora più scura ma a tratti si poteva scorgere
comunque il fondo vellutato dal colore verdastro. Lei era lì seduta sul ciglio dell’acqua e ascoltava in uno stato di agitazione controllata le tante voci che riecheggiavano nella sua testa.
Erano voci che nel corso degli anni avevano risposto alla sua stessa voce. Voci di abili o
impacciati venditori, voci di esperti storici dell’arte irraggiungibili, voci di clienti da persuadere, voci di insolventi che avevano stentato a pagare il conto, voci di colleghi invidiosi, voci
di restauratori incapaci o abilissimi, voci...voci...voci...che adesso si confondevano insieme
e che a volte l’avevano anche ferita con la loro dolorosa impazienza ma l’avevano spesso
piacevolmente riempita di soddisfazione e di terrena serenità. Del resto lei era stata una che
scalda e che accende, una persona che considerava l’orgoglio più prezioso della vita stessa.
Con molta calma adesso cercava di rivisitare il suo passato e di soppesare l’avvenire. Le voci
nella sua testa si stavano affievolendo fino a diventare un’unica voce bassa che lei ascoltava
come fosse quella di un comandante. Poi tutto tacque. Fu allora che le passarono davanti le
immagini sublimi di un chiaroscuro del Beccafumi che a suo tempo l’avevano lasciata abbastanza indifferente abituata come era stata alla menzogna. La Discesa al limbo del Mantegna l’aveva bramata senza mai possederla ma adesso la vedeva trasfigurata e privata della
sua materialità tanto da sentirla veramente sua senza possederla. Piano piano intanto si lasciava scivolare nell’acqua sentendosi mordere dal freddo pungente. Di Dürer ne aveva avuti
tanti e forse troppi: quei fogli del norimberghese l’avevano spesso armata di un’insolenza
inaudita e di cieca vanità. Poi c’erano state le prove rare dei maestri del cinquecento italiano
e francese che l’avevano riempita di collera a malapena repressa quando non era riuscita a
comprarli per un pelo. Già...quei momenti quando si sentiva come una belva accerchiata...
momenti di cui adesso non le importava più nulla. Angolo del Moro, Parmigianino, tutte
quelle stampe dal Rosso, dal Salviati, dal Primaticcio ora erano per lei, a quel grado di abbandono di se stessa, null’altro che pura bellezza che subiva finalmente con una dolce gioia
indicibile. Intorno intanto il silenzio si era fatto immenso e sembrava il silenzio di una platea
che aspettava di vedere il finale di un pericoloso esercizio ginnico. C’era stato il maledetto
Seicento con tutti quei maestri che lei non aveva mai preso veramente sul serio. Castiglione,
Cantarini o Carracci non avevano mai fatto salire nei suoi occhi non so quale lucore. Adesso
però era diverso: li sentiva vicini e la sua mente passava al vaglio i dettagli misteriosi di tutti
quei fogli che un tempo aveva considerato miseri e dilettanteschi. Tentò di sorridere, anzi
sorrise al ricordo di quella sua imperdonabile goffaggine quando aveva provato a spiegare
la materna poesia di certe acqueforti del Tiepolo, del Canaletto, del Brustolon...di quel benedetto Settecento veneto che tanto bene si vendeva e che le aveva fornito spacconate, grossolane furberie e vanterie stupide. Poi era arrivato il Moderno ma almeno lì poteva dire a
se stessa che il Moderno di fatto non le diceva niente neppure adesso...quasi nulla neanche
adesso che quel cammino arido e fatale l’avevano allontanata per sempre dalla menzogna
del venditore. Le sembrava infatti che una mano invisibile avesse aperto una breccia in
un muro invisibile. L’acqua diventava sempre più fredda e profonda. Rovesciando la testa
con una dolcezza più spaventosa di qualunque dolcezza e fissando un punto nell’azzurro
del cielo le parve quasi di vedere le luminose figure umane delle stampe notturne di Rembrandt, tutte desiderose di uscire da quelle ore buie in cui succede ai saggi di diventare folli ma in cui i folli non diventano mai saggi. Adesso l’acqua insidiosa le stava riempendo gli occhi e gli orecchi con un rumore lieve e prolungato.
Adesso la vita stava lentamente scivolando via da lei mentre, come nel Compianto sul
Cristo morto dello Scolari, le pareva di sentire l’acre odore del sepolcro invaderle le narici.
Stavolta come prolusione a questo catalogo ci siamo divertititi a immaginare, con piglio
tutto bernanosiano, il suicidio per annegamento di un mercante di stampe qui impersonato da una donna. L’intento metaforico è quello di smaterializzare l’arte e di evidenziare/
condannare tutta una serie di comportamenti che vengono adottati nell’ambito del mercato dell’arte. Non siamo così ingenui da credere che l’arte possa essere effettivamente
smaterializzata né tantomeno siamo così severi da pretendere che il mercato venga sgomberato definitivamente dalla frenesia della bugia e dalla sua perpetua attuazione, dalle
invidie, dalle gelosie e dagli interessi personali e condannato ad una sonnolenza buonista. Forse inconsciamente abbiamo voluto solo ritrarre la fine gloriosa e ingloriosa di una
generazione di protagonisti di questo mercato e niente di più. Va da sé che ogni riferimento a persone esistenti/esistite o fatti realmente accaduti è puramente casuale. O quasi.
D. B.
Le fotografie sono state eseguite con Nikon D300 e non sono state sottoposte ad alcun procedimento di fotoritocco.
Daniel HOPFER
Kaufbeuren ca. 1470 - Augusta 1536
1 Venere e Amore
Acquaforte mm 221x154. Secondo stato su due, successivo all’aggiunta del numero “102”
in basso a sinistra. Verso il centro, in basso, il monogramma dell’artista “D H”. Bellissimo
esemplare stampato con toni argentei, in ottimo stato di conservazione e completo alla battuta
della lastra con filomargine visibile a tratti.
Bartsch, vol. VIII, pag. 485, n. 46 | Hollstein (Zijlma), vol. XV, 1986, pag. 83, n. 54
“The print presents an alarming and at first glance hopelessly enigmatic interpretation of the classical goddess and
her playful son. Not only does it offer an iconographic puzzle, but it also serves to illustrate the duality and tension
so characteristic of much German art at the time of the Reformation: a renewed interest in sensuous classical
figure types (transmitted north largely through Italian engravings) juxtaposed with a fervent, at times fanatical,
and thoroughly medieval moralizing intention. For Hopfer’s Venus is not the benevolent goddess of love who
creates paradise on earth for her subjects. Rather, she is an evil goddess of lust who leads man into a wilderness
of sin and death. The notion of an evil Venus has little to do with classical mythology but derives from medieval
personifications of Luxuria, the deadly sin of lust. Similarly, although Hopfer’s figures of Venus and Cupid most
likely were based on Italian prototypes and reflect a classicizing intent, the goddess’s most striking attribute, her
wings, comes from an entirely different source. The classical Venus had no wings, and even in the Middle Ages
the image of a winged Venus was extremely rare. The personification of carnal love, Luxuria or the Mala Muller
described in Proverbs 7:10-27, was occasionally, however, shown with wings in order to identify her as an evil
genius” (Charles Scribner, 1976, Daniel Hopfer’s “Venus and Amor”: Some Iconographic Observations, Record of
the Art Museum, Princeton University, Vol. 35, n. 1 , III, pag. 14)
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Albrecht DÜRER
Norimberga 1471 - ivi 1528
2 L’adorazione dell’Agnello - L’inno dei Prescelti
Xilografia mm 394x280 (blocco), 406x298 (foglio). Dalla serie dell’Apocalisse nell’edizione
del 1511 con il testo latino al verso. In basso al centro il monogramma dell’artista. Magnifico
esemplare stampato in modo omogeneo su carta senza filigrana, come indicato da Meder
per l’edizione del 1511, in perfetto stato di conservazione con margini che variano da 3 a 10
millimetri attorno alla linea di inquadramento. Provenienza: al verso timbro di collezione non
identificato.
Meder, 1932, n. 176 | Strauss, 1980, pagg. 162-164, n. 42 | Fara, 2007, pagg. 276-278, n. 95p
“Like Leonardo’s Last Supper. Dürer’s Apocalypse belongs among what may be called the inescapable works
of art. Summarizing yet surpassing an age-old tradition, these works command an authority which no later artist
could or can ignore except perhaps by way of a deliberate opposition which in itself is another form of dependence.
Dürer’s compositions were copied not only in Germany but also in Italy, in France and in Russia, and not only in
woodcuts and engravings but also in paintings, reliefs, tapestry and enamels. Although inspired by a long tradition
of Apocalypse illustration, Dürer’s images nonetheless represented a vision of the end unlike any seen before.
Having traveled to Italy as a journeyman, Dürer chose to express medieval subject matter and iconography in
a new monumental figure style derived from Italian art. The result was unprecedented in scale, complexity and
ambition. Yet the Apocalypse was produced not as a monumental work of painting or sculpture, but in a newer
format: that of an illustrated, printed book.” (C. A. Hall, Before the Apocalypse: German Prints and Illustrated
Books, 1450-1500, The Harvard University Art Museums Bulletin. 1996, pag. 9)
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Albrecht DÜRER
Norimberga 1471 - ivi 1528
3 La Donna apocalittica
Xilografia mm 390x276. Dalla serie dell’Apocalisse nell’edizione del 1511 con il testo latino
al verso. In basso al centro il monogramma dell’artista. Magnifico esemplare stampato in
modo omogeneo su carta con filigrana “fiore con triangolo”, Meder n. 127, come indicato
dallo studioso per questa edizione (fil. n. 1). In eccellente stato di conservazione con la linea di
inquadramento completamente visibile su tre lati e con sottile margine oltre la stessa a destra.
Meder, 1932, n. 173 | Strauss, 1980, pagg. 177-178, n. 47 | Fara, 2007, pagg. 270-273, n. 95m
In 1498 Dürer published his Apocalypse (15 woodcuts) at Nuremberg, in a German and a Latin edition. In 1511
he republished it with an additional woodcut […] The Apocalypse was published when Dürer was twenty-five or
twenty-six years old and contains his earliest signed illustrations. There are a few signed single-sheet woodcuts
by him that must have been made while he was working at the Apocalypse, but not enough of them to explain
either his activity up to that time or the fully formed technique shown in them” (Ivins, Jr, illustrations by Dürer, The
Metropolitan Museum of Art Bulletin, 1934, pag. 138)
The Apocalypse was Dürer’s first ambitious graphic project for the devotional market. Historians often stress that
the Apocalypse is not only the first example of a book designed and executed by an artist, but also the first for which
the artist served as publisher. Dürer probably had a broad market in mind when he originally conceived the project,
since he issued it simultaneously in 1498 in German and Latin editions. Before Dürer, woodcut illustrations of the Book
of Revelation are found in printed German-language Bibles, but not in printed Latin Bibles from Germany. Thus the
illustrated Bible, most probably, was intended for lay or cloistered devotional use. While illustration connects Dürer’s
project to lay Bibles, it is important to note that he eventually decided, it seems, that Latin was the best language
for such a project, as he reissued only the Latin version in 1511. (Price, Albrecht Dürer’s Representations of Faith:
The Church, Lay Devotion and Veneration in the “Apocalypse”, Zeitschrift für Kunstgeschichte, 1994, pag. 689)
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Marcantonio RAIMONDI
S. Andrea in Argine (Bologna) ca. 1480 - Roma 1534
4 Il supplizio di Santa Cecilia
Bulino mm 236x402. Stato unico. Sul piedestallo della statua di Giove la scritta “RA-VR-IN”,
cioè il nome di Raffaello, inventore del soggetto e, subito sotto, il monogramma di Marcantonio
“MR”. Magnifica impressione di questa rara incisione, considerata dal Vasari come una delle
più belle che Marcantonio abbia prodotto, stampata con intensi effetti tonali su carta coeva
priva di filigrana. Completa alla linea di inquadramento che appare su tutti i quattro lati e con
filo di margine visibile a tratti; piega centrale verticale abbastanza comune in fogli di queste
dimensioni e corto strappo al margine inferiore perfettamente restaurato, per il resto in ottime
condizioni di conservazione.
Bartsch, vol. XIV, pag. 104, n. 117 | Delaborde, 1888, pagg. 140-143, n. 91 | Shoemaker-Broun,
1981, pagg. 170-171, n. 55 | Bernini Pezzini-Massari-Prosperi Valenti Rodinò, 1985, pag. 158,
n. VIII-1 | Oberhuber-Gnann, 1999, pag. 76, n. 13 | Borea, 2009, vol. I, pag. 71 e vol. II, cap.
V, n. 6
“Vasari’s comments on the details of Marcantonio’s collaboration with Raphael are amongst his vaguest, and
they can be interpreted in a number of ways. One common view assumes that Mancantonio served as Raphael’s
amanuensis in print, engraving designs that had been relinquished by the painter. Much less attention has been
paid to the possibility that Raphael himself was drawn to the medium of print because of his own attitudes as a
draughtsman, or that he may even have incorporated the technology of printing into his practice of drawing. A
close examination of some of Raphael’s drawings indicates that this creative use of the techniques of printing did
sometimes occur in his drawings.” (Pon, Marcantonio and Raphael, Print Quarterly, 1999, vol. XVI, n. 2, pag. 368)
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Agostino MUSI detto Agostino Veneziano
Venezia (?) ca. 1490 - Roma post 1536
5 La raccolta della manna
Bulino mm 295x439. Raro secondo stato su cinque. In basso al centro il monogramma del
Veneziano “∙ A ∙ V ∙”. Il primo stato, antecedente al monogramma dell’incisore, è descritto dal
Passavant, ma di esso a tutt’oggi non c’è alcun riscontro. L’incisione è tratta da un disegno
perduto di Raffaello per un affresco dell’ottava arcata delle Logge Vaticane. Bellissima e nitida
impressione stampata su carta con filigrana “ancora nel cerchio sormontato da una stella”, ø
50 mm, simile a Woodward n. 158, riferibile a carta veneta della metà del ‘500 (fil. n. 2). Una
piega di stampa verticale al centro per il resto in ottimo stato di conservazione. Completa di
piccolo margine attorno alla linea di inquadramento. Provenienza: collezione Paul Delaroff
(1852-1913), al verso timbro in nero, Lugt n. 663.
Bartsch, vol. XIV, pag. 10, n. 8 | Massari, 1985, pag. 77, n. 29 | Oberhuber-Gnann, 1999, pag.
166, n. 104
“Raphael’s drawings show what labor went to the perfection of the finished work. He restudied from nature the
poses, drapery arrangements, and facial expressions which others copied from predecessors. To secure ease of
stance, he frequently drew in entirety figures which would appear only in part in the finished work; and he was even
known to sketch a sacred composition in the nude so that the movement of the figures might be minutely plotted.
Drawing after drawing, and study after study mark every stage from preliminary sketch to finished fresco; but they
result in a painting so unlabored that, perfectly fulfilling the description of Castiglione, ‘it seems as if the hand moves
unbidden to its aim according to the painter’s wish, without being guided by care or any skill’. Grace is translated
into conduct by a sense of appropriateness that fits each act to the occasion which calls it forth.” (Williamson,
The Concept of Grace in the Work of Raphael and Castiglione, Italica, 1947, Vol. 24, n. 4, pagg. 320-321)
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Agostino MUSI detto Agostino Veneziano
Venezia (?) ca. 1490 - Roma post 1536
6 Cleopatra
Bulino mm 220x131. Secondo stato su due, unico conosciuto da Bartsch. Rarissima incisione
tratta da un cartone di Baccio Bendinelli. In alto a sinistra l’anno “1515”; sul vaso al centro il
monogramma del Veneziano “∙ A ∙ V ∙” e più in basso sullo zoccolo “BACIO - FI / ORENTI /
NO / ∙ I ∙ / VENTO / R ∙”. Del primo stato, antecedente all’iscrizione sullo zoccolo con il nome
del Bandinelli, è conosciuta un’unica prova conservata al British Museum di Londra (inv. n.
1863,1114.750). Heineken ipotizza l’esistenza anche di uno stato successivo (terzo) nel quale
l’anno 1515 è stato sostituito in 1518. Bellissima prova stampata con tono su carta vergellata
sottile al cui verso traspare il disegno, con tracce di filigrana non leggibile. In ottimo stato di
conservazione e completa alla linea di inquadramento.
Bartsch, vol. XIV, pag. 158, n. 193 | Oberhuber-Gnann, 1999, pag. 92, n. 31 | Borea, 2009,
vol. I, pag. 52 e vol. III, cap. III, n. 33
“In their descriptions of Rome, both verbal and visual, Raphael and his contemporaries expressed the hope that,
by committing themselves to the study and preservation of its ruins, they could help to eternalize a contemporary
vision of the ancient city. Since its parts could never, however, be fully reassembled, it was necessary that the
antiquarian use his ingegno to describe the antique as it once was. Study, imagination and the application of pen
and ink were vital ingredients in this reconstructed Rome. In this project Marcantonio Raimondi and his followers,
Marco Dente and Agostino Veneziano, played a crucial role. Though the association of these printmakers with
Raphael is well known, their efforts to duplicate Raphael’s thoughts on the antique in prints have never been
examined. Indeed, despite their mutual interests in the ruins of Rome, and despite the workshop’s use of drawings
from Raphael’s studio to create prints of their own, the engravings of Raimondi and his two followers have never
been systematically studied as evidence of Raphael’s ideas about the art of antiquity” (Viljoen, Raphael and the
Restorative Power of Prints, Print Quarterly, 2001, vol. XVIII, n. 4, pag. 379)
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Ludwig KRUG detto Maestro della Brocca
Norimberga ca. 1490 - ivi 1532
7 Due donne nude con un cranio e una clessidra
Bulino mm 128x82. Stato unico. In basso a destra il monogramma di Krug “L K” con la
brocca tra le due lettere. Di questa rarissima incisione è conosciuta una copia in controparte già
attribuita a Domenico Campagnola ed attualmente inserita tra le stampe di dubbia attribuzione
o rigettate di questo incisore (cfr Giséle Lambert, 1999, Les premières gravures italiennes, pag.
383, n. 709). Bellissima e nitida prova in ottime condizioni di conservazione a parte alcuni
assottigliamenti della carta e con sottili margini oltre la linea di inquadramento.
Bartsch, vol. VII, pag. 541, n. 11 | Le Blanc, 1854-1888, tomo II, pag. 477, n. 12 | Hébert, 1983,
vol. II, pag. 173, n. 2594
“At the beginning of the sixteenth century Ludwig Krug was one of the very few artists of Nuremberg besides Dürer
who practised engraving. Dürer influenced his style to a considerable extent; Schongauer and Lucas van Leyden,
somewhat less. Hans Krug, the father, master of the mint and a Nuremberg goldsmith, doubtless grounded both
his elder son, Hans, and the younger, Ludwig, in the rudiments and practice of the goldsmith’s art. Ludwig became
a master in his guild in 1523 and from Neudorfer’s chronicle it appears that he dabbled in several other allied
mediums and earned a considerable reputation for many-sided virtuosity. The year 1516 on two copper plates
probably marks the end of his printmaking phase, during which time he produced two woodcuts and sixteen
engravings. (H. P. R., Nine Early German Prints, Museum of Fine Arts Bulletin [Boston], 1951, vol. 49, n. 276, pag. 31)
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Alaert CLAESZ
Utrecht o Leida ca. 1498 - ivi post 1555
8 Combattimento di cinque guerrieri romani
Bulino mm 203x161. Stato unico, privo di monogramma. Magnifica prova di questa rara
incisione in ottimo stato di conservazione a parte alcune macchie di colla e residui di antichi
supporti al verso, completa all’impronta del rame.
Passavant, 1860-1864, vol. III, pag. 43, n. 117 | Hollstein, vol. IV, 1949, pag. 144, n. 152 |
Hébert, 1983, vol. II, pag. 322, n. 3456
“Claesz is a puzzling figure, whose life and oeuvre have yet to be sorted out. He is credited with some two hundred
engravings, many of which, like this one, show highly unusual subjects. and many others of which are copies of
prints; in this combination of factors his work is reminiscent of that of the earlier engraver Israhel van Meckenem”
(Boorsch-Orenstein, The Print in the North: The Age of Albrecht Dürer and Lucas van Leyden,The Metropolitan
Museum of Art Bulletin, 1997, vol. 54, n. 4, pag. 44)
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Georg PENCZ
(?) ca. 1500 - Königsberg o Lipsia 1550
9 Sofonisba
Bulino mm 188x126. Stato unico. In basso, verso il centro su una pietra quadrata, il
monogramma dell’incisore “GP” con le lettere sovrapposte; sullo zoccolo del pilastro a sinistra
il titolo del soggetto inciso “SOPHO / NIS / BA”. Bellissima e fresca prova stampata su carta
coeva; al verso residui di antichi supporti in corrispondenza degli angoli, per il resto in perfette
condizioni di conservazione. Completa all’impronta della lastra.
Bartsch, vol. VIII, pag. 343, n. 82 | Landau, 1978, pag. 125, n. 90
“Despite the lack of positive proof of his having visited Italy, the stylistic trends of his art would seem to
indicate that he was there at least once and probably on several occasions. At any rate, the influence
of Raphael and Michelangelo in particular is noticeable in his work.” (Prasse, Engravings by Georg
Pencz in the Museum Collection, The Bulletin of the Cleveland Museum of Art, 1936, vol. 23, n. 4, pag. 50)
“Pencz was one of the few German artists imbued with the spirit of the Italian Renaissance whose art
did not lose its vitality from the association. With all the Italianate qualities in his art, Pencz was able to
retain the basic characteristics of German art, its simplicity, strength, and naïveté. His work, rather than
losing in vigor, gained in grace, refinement, and taste. Through this union of the ideals of German and
Italian art he succeeded in evolving a style as individual as it is effective.” (Prasse, Engravings by Georg
Pencz in the Museum Collection,The Bulletin of the Cleveland Museum of Art, 1936, vol. 23, n. 4, pag. 53)
“Georg Pencz was a close companion of the brothers [Beham], and like them had a zealous interest in what 1936 was
being done on the other side of the Alps. His work shows far more the influence of his Italian contemporaries
than that of his own master, Albrecht Dürer, with whom he served an apprenticeship, later marrying his maid. His
prints are very carefully done, quiet and pleasing, with evidences of great ability.” (H. R. S., The “Little Masters”
in the Exhibition of Early German Prints, Museum of Fine Arts Bulletin [Boston], 1913, vol. 11, n. 64, pag. 43)
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Giacomo CARAGLIO
Verona o Parma ca. 1500 - Parma 1570
10 Ercole uccide l’Idra di Lerna
Bulino mm 222x177. Primo stato su tre, antecedente all’indirizzo del Salamanca “Ant. Sal. Excu.” che compare a
destra nel bordo bianco inferiore nel secondo stato. Magnifica prova, nitida e brillante stampata su carta priva di
filigrana al cui verso traspare il disegno. In perfetto stato di conservazione e completa alla linea di inquadramento
su tre lati e del bordo bianco inferiore di 9 mm.
Bartsch, vol. XV, pagg. 85-86, n. 46 | Carrol, 1987, pag. 80, n. 11 | TIB Commentary (Archer), 1995, vol. 28, pag.
170, n. .046 | Oberhuber-Gnann, 1999, pag. 350, n. 260
11 Ercole lotta contro i Centauri
Bulino mm 222x178. Probabile terzo stato su tre, successivo all’abrasione dell’indirizzo del Salamanca. Bella
prova stampata su carta vergellata priva di filigrana, in ottimo stato di conservazione e completa di piccolo margine oltre la linea di inquadramento su tre lati e oltre il bordo bianco inferiore di 10 mm.
Bartsch, vol. XV, pag. 86, n. 47 | Carrol, 1987, pag. 82, n. 12 | TIB Commentary (Archer), 1995, vol. 28, pag. 172,
n. .047 | Oberhuber-Gnann, 1999, pag. 351, n. 261
12 Ercole e Acheloo
Bulino mm 224x179. Terzo stato su tre: l’indirizzo del Salamanca è stato abraso sulla lastra, ma di esso persistono
ancora alcune tracce nel bordo bianco inferiore a destra. Bellissima e nitida prova in ottimo stato di conservazione
a parte alcuni piccolissimi reintegri lungo i bordi e resti di colla al verso. Piccoli margini oltre la linea di inquadramento su tre lati e filomargine oltre la battuta del rame al lato inferiore.
Bartsch, vol. XV, pag. 86, n. 48 | Carrol, 1987, pag. 84, n. 13 | TIB Commentary (Archer), 1995, vol. 28, pag. 174,
n. .048 | Oberhuber-Gnann, 1999, pag. 351, n. 262
13 Ercole e Caco
Bulino mm 223x173. Terzo stato su tre: l’indirizzo del Salamanca è stato abraso sulla lastra, ma di esso persistono
ancora alcune tracce nel bordo bianco inferiore a destra chiaramente visibili nella nostra prova come in quella conservata alla Bibliotèque Nationale di Parigi. Bellissima e brillante prova stampata su carta, al cui verso traspare
il disegno, con filigrana “balestra nel cerchio sormontato da giglio” ø 50x48 mm, Woodward n. 216, riferibile a
carta europea del 1542 (fil. n. 3). In ottimo stato di conservazione a parte alcune macchie di colla al verso e piccolo reintegro della carta nel bordo bianco inferiore. Piccoli margini oltre la linea di inquadramento su tre lati e
con bordo bianco inferiore di 11 mm.
Bartsch, vol. XV, pag. 86, n. 49 | Carrol, 1987, pag. 86, n. 14 | TIB Commentary (Archer), 1995, vol. 28, pag. 176,
n. .049 | Oberhuber-Gnann, 1999, pag. 351, n. 263
Le incisioni appartengono a una serie di sei lastre incise su disegni di Rosso Fiorentino, intitolata da Bartsch Le Fatiche di Ercole anche se soltanto due, Ercole uccide Cerbero ed Ercole uccide l’Idra di Lerna, appartengono alle celebri
dodici fatiche dell’eroe, mentre non è stata a tutt’oggi rintracciata alcuna fonte letteraria specifica per le altre quattro.
“Caraglio and Rosso had worked closely together before the Sack of Rome, producing the mythological series
Gods in Niches and Labours of Hercules, ‘a group of prints of remarkable originality’, as Eugene Carroll remarks,
‘the likes of which may well be unmatched in the sixteenth century’.” (Turner, Caraglio’s “Loves of the Gods”, Print
Quarterly, 2007, Vol. XXIV, n. 4, pag. 363)
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Giacomo CARAGLIO
Verona o Parma ca. 1500 - Parma 1570
14 Gli dei dell’Olimpo
Bulini mm 211-215x110-112. Edizione Salamanca, secondo stato su tre. Rara serie completa di 20 lastre realizzate
dal Caraglio nel 1526 su disegni di Rosso Fiorentino. Nel margine inferiore ciascuna lastra reca un titolo in latino e
la numerazione progressiva da 1 a 20. Nel Saturno, che funge da frontespizio della serie, su una tavoletta, il nome
dell’incisore e la data “IACOBUS CARALIUS VERONENSIS FECIT ∙ 1526 ∙ ”. Magnifici e freschi esemplari
perfettamente inchiostrati e stampati in maniera omogenea su carta coeva priva di filigrana, identica in tutti
i fogli. Tutti in ottimo stato di conservazione e completi alla battuta del rame con filo di margine quasi sempre
presente su tutti i lati. Tutt’altro che chiara risulta la definizione degli stati di questi bulini, complicata dal numero
delle lastre che compongono la serie che raramente si riscontra completa, dall’esistenza della serie incompleta
costituita da 12 lastre descritta da Bartsch come “ripetizione” e da ben 11 copie tra cui la più nota e fedele è
quella incisa da Jacob Binck nello stesso senso. Bartsch, che non conosce l’edizione del Salamanca, identifica
due stati; nel secondo stato le lastre sarebbero state ritoccate da Francesco Villamena (1564-1624): esse sarebbero
facilmente riconoscibili in quanto i riquadri attorno alle nicchie, completamente bianchi nel primo stato, sono ora
ombreggiati con tratteggi. Stefania Massari (cfr Tra Mito e Allegoria, 1989, pag. 119) rimarca che “l’attribuzione
al Villamena dei rifacimenti risulterebbe erronea data la discordanza cronologica per la quale il Villamena non
avrebbe potuto ritoccare i rami se non dopo l’edizione del Salamanca”. Il secondo stato, con l’ombreggiatura
delle nicchie, sarebbe quindi da attribuire al Salamanca piuttosto che al Villamena. Massari segnala inoltre che
le matrici sono state successivamente acquistate da Carlo Losi, ipotizzando l’esistenza di un ulteriore stato
settecentesco recante l’indirizzo di questo editore. Eugene A. Carrol (cfr Rosso Fiorentino - Drawings, Prints
and Decorative Arts, 1987, pag. 124) sembra conciliare le due precedenti posizioni identificando quattro stati: nel
primo stato i riquadri attorno alle nicchie sono bianchi. Nel secondo stato, edizione del Salamanca, i riquadri sono
ancora bianchi, ma nella prima lastra, Saturno, è aggiunto l’excudit dell’editore “Ant.sal.exc.” (tale prova non è
stata riprodotta!). Nel terzo stato, edizione del Villamena, le lastre sono state completamente rilavorate e i riquadri
attorno alle nicchie sono ora ombreggiati. Nel quarto stato, edizione del Losi, l’exudit del Salamanca è stato abraso
e compare ora quello del Losi “In Rome 1771 ∙ a Spese di Carlo Losi ∙”. M. Cirillo Archer (cfr TIB Commentary,
vol. 28, 1995, pagg. 117) ripropone sostanzialmente quanto già indicato da Carrol. Presso il British Museum
esiste una prova del Saturno antecedente sia all’excudit del Salamanca che al numero, ma con l’ombreggiatura
della nicchia già presente (la scritta inferiore sembra invece essere stata riportata da altra incisione ed incollata al
bordo bianco). L’esistenza di tale prova, aggiunta ad altre considerazioni circa le varie contraddizioni più sopra
esplicitate, getta nuova luce sulla questione e sembra confutare le catalogazioni precedenti, portando a pensare, in
accordo con quanto affermato dal curatore del British Museum, che siano state incise tre serie autografe, diverse
e separate, di questi soggetti mitologici:
1.Serie di 20 bulini con i bordi delle nicchie bianchi, descritte da Bartsch come 1° stato di due.
2.Serie di 20 bulini con i bordi delle nicchie ombreggiati. La prima lastra, Saturno, riporta su una tavoletta il
nome di Caraglio e la data. Di tale serie esistono tre stati:
a.Antecedente all’excudit del Salamanca;
b.Con il nome di Salamanca nel bordo bianco inferiore (solo nella prima lastra);
c.L’excudit del Salamanca è ora sostituito da quello del Losi.
3.Serie, apparentemente antecedente alle prime due, di sole 12 lastre, descritta da Bartsch come “Répétitions”.
Bartsch, vol. XV, pagg. 77-80, nn. 24-43 | Carrol, 1987, pagg. 100-126, nn. 21-40 | Massari, 1989, pagg. 119-140,
nn. 36-55 | TIB Commentary (Cirillo Archer), vol. 28, 1995, pagg. 116-165, nn. .024-.043 | Oberhuber-Gnann,
1999, pagg. 390- 393, nn. 295-299
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Giovanni Battista SCULTORI
Mantova 1503 - ivi 1575
15 Il fiume Po
Bulino mm 111x135. Primo stato su due, antecedente i vari ritocchi. Sul sasso in basso a
sinistra il monogramma dell’artista “I BA M” con le lettere B e A sovrapposte e subito sotto
la data “1538”. Adam Bartsch ipotizza un’interpretazione autonoma di questo raro bulino da
parte dello stesso Scultori mentre Stefania Massari, dopo alterne attribuzioni dell’invenzione
effettuate dalla critica nel corso del tempo a vari autori tra cui Luca Penni e Giulio Romano, in
accordo con Catelli, ne identifica definitivamente il modello con un disegno di Michelangelo.
Magnifica precoce prova, nitida e ricca di tono, in perfetto stato di conservazione e completa
di piccolo margine tutt’attorno alla battuta del rame. Provenienza: collezione Emanuel Levy
(New York), al verso timbro in blu, Lugt n. 876.
Bartsch, vol. XV, pag. 383, n. 19 | Le Blanc, 1856-1888, vol. II, pag. 293, n. 14 | Rotili, 1964,
pag. 76, n. 58 | Ferrara-D’Amico, 1977, n. 269 | Massari, 1980, pagg. 21-22, n. 5
“Since privileges were granted by a governmental authority, they were valid only within that government’s
jurisdiction. Those petitioning for privileges asked that others be barred from printing, from having others print, and
from importing the protected item within the domain of the granting authority. Some canny petitioners attempted
to expand the geographic range of protection by applying for privileges from multiple governments. In 1516, for
example, Ariosto obtained privileges for his epic Orlando Furioso from Pope Leo X, the king of France, the Republic
of Venice and from other potentates. The validity of a privilege also depended on the granting government’s
continued reign: astute holders of French royal privileges reapplied at the death of a king, as it was not certain that
their privileges would remain valid under his successor.” (Pon, Prints and Privileges: Regulating the Image in 16thCentury Italy, Harvard University Art Museums Bulletin,1998, vol. 6, n. 2, pag. 43)
“Inventum or invenit seems to indicate the borrowing only of individual figures. But throughout the sixteenth century,
entire compositions, unprotected by privileges, were at times also replicated in prints. As we have already seen,
many prints repeated images from Dürer’s oeuvre even in the late fifteenth century years before Dürer obtained
imperial privileges for the book editions of The Apocalypse and The Life of the Virgin. (Pon, Prints and Privileges:
Regulating the Image in 16th-Century Italy, Harvard University Art Museums Bulletin,1998, vol. 6, n. 2, pag. 52)
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Domenico DEL BARBIERE detto Domenico Fiorentino
Firenze ca. 1506 - (?) 1575
16 Il banchetto di Alessandro il Grande
Bulino mm 243x360. Stato unico. Herbet segnala che “les épreuves de premier état ne portent
pas ces dernier mots «R.D. 1862»”, ma l’esistenza di prove ante litteram non è mai stata
altrimenti riscontrata. In basso a sinistra su una tavoletta il nome dell’incisore “DOMENICO
FIORENTINO” e, verso destra, sullo scalino la scritta “A. FONTANA. BELO BOL.” con la
quale “Domenico a scrupuleusement indiqué sa source” (cfr Zerner, 1969, pag. XXXVIII),
rappresentata da un affresco realizzato dal Primaticcio nella camera di Mme d’Etampe a
Fontainebleau. Bell’esemplare omogeneamente stampato su carta con filigrana “corona inscritta
in uno stemma” non completamente leggibile (fil. n. 4); in ottime condizioni di conservazione
e completo alla linea di inquadramento. Al verso in inchiostro ed antica grafia la scritta “Cav.
Domenico Rosso Fiorentino fu Poeta filosofo Musico Architetto e Pittore Morto in Francia di
(...) nel 1591”.
Bartsch, vol. XVI, pag. 359, n. 6 | Herbet, 1969, pag. 98, n. 6 | Zerner, 1969, n. 7 | Borea, 2009,
vol. I, pag. 108 e vol. II, cap. IX, n. 45
“My concern is with the Italians who decorated Fontainebleau, for it is their work which was the cause of its
immediate and lasting renown. The decoration of Fontainebleau was the first of two major episodes in the history
of French art in which a politically ambitious monarchy, alive equally to the pleasures as well as to the ostentatious
value of the arts, and aware too of the insufficiencies of the native tradition, looked to Italy for the fulfilment of their
purposes.” (Miles, The Italians at Fontainebleau, Journal of the Royal Society of Arts, 1971, vol. 119, n. 5184)
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Niccolò DELLA CASA
Lorraine-Roma attivo prima metà XVI secolo
17 I Reprobi - La barca di Caronte
Bulino mm 427x676. Rarissimo primo stato su quattro (?), con l’excudit del Salamanca e la data 1543. Una prova
di primo stato con la data 1543 - priva della parte destra e sinistra - è conservata alla Bibliotèque Nationale di
Parigi ed un’altra, secondo Passavant, si trova all’Albertina di Vienna. Nel secondo stato la data è stata cambiata
in 1548; il terzo stato porta l’indirizzo di Vaccaro in sostituzione di quello del Salamanca, conservando la stessa
data “Andreas Vaccarius formis 1548” ed il quarto l’indirizzo del Losi con la data 1773 “Romæ apud Carolum
Losi 1771”, come già indicato dal Dumesnil. Steinmann, riferendosi all’insieme del Giudizio Universale, di cui
la lastra fa parte, cita inoltre una edizione del Vaccaro con la data 1618 (da leggersi 1610 in base all’esemplare
noto della Biblioteca Vaticana) e un’edizione di Giacomo Lauro, antecedente a quella del Losi (cfr Alida Moltedo,
La Sistina Riprodotta - gli affrechi di Michelangelo dalle stampe del cinquecento alle campagne fotografiche
di Anderson, 1991, pag. 51). Al di sotto della barca di Caronte che porta i reprobi, su tre righe, le iniziali di
Michelangelo inventore del soggetto, l’excudit di Antonio Salamanca, la data e la firma dell’incisore “∙ ROMAE
IN VATICANO ∙ M ∙ BO ∙ BO∙ PINXEBAT∙ / ∙ ANT∙ SALAMANCA ∙ EXC ∙ 1543 / N ∙ D ∙ LA CASA ∙ FECIT∙ ”.
La Barca di Caronte rappresenta l’ultima lastra di una incisione multipla che, costituita da 12 fogli congiunti,
raggiunge dimensioni molto ragguardevoli (1545x1320 mm) e rappresenta il Giudizio Universale affrescato dal
Buonarroti nella Cappella Sistina tra il 1536 e il 1541. Solo questa lastra porta la firma di Della Casa e la data 1543
e costituisce la lastra più antica: nel loro primo stato, solo altre due lastre, Gli angeli che suonano la tromba e Gesù
Giudice, recano in chiaro l’excudit del Salamanca, ma sono prive del nome dell’incisore e portano la data 1545.
Ciò ha portato Bury (cfr Michael Bury, Niccolò Della Casa’s Last Judgement Dissected, Print Quaterly, XXVII,
2010, 1, pagg. 3-4) a ritenere che queste tre incisioni, assieme ad una quarta, La resurrezione dalla morte, edita
dal Salamanca nel 1548, venissero stampate per essere vendute come fogli singoli e, secondo Alida Moltedo, non
si conoscerebbero esemplari completi e montati antecedenti alla data 1548. E’ da segnalare, infine, che la prova
presentata è propabilmente costituita da due parti riunite tra loro: il secondo foglio, molto più piccolo, rappresenta
circa l’ottava parte dell’intera stampa e si trova nel lato destro; la giunzione è rilevabile al verso e soprattutto in
controluce, anche se praticamente invisibile al recto. Potrebbe trattarsi di un difetto abilmente restaurato, ma è
ragionevole pensare, tenuto conto dell’aspetto del margine di congiunzione che appare a bordi netti e rettilinei
presentando, verso il centro, un cambio di direzione a “esse” perfettamente delineato e della natura della carta,
identica nelle due parti per colore, spessore e struttura con distanza tra i filoni di 35 mm, che l’incisione possa
derivare da due lastre distinte; ciò sembrerebbe in accordo con quanto sostenuto da vari studiosi e cioè che l’intero
Giudizio sia costituita da più di 12 lastre: Losi parla di 13 pezzi, Passavant, Dever e Passarini addirittura di 15
(cfr Moltedo, op. citata). Magnifica prova, nitida e brillante, omogeneamente inchiostrata stampata su carta con
filigrana “ancora inscritta in un cerchio sormontato da stella”, ø 50x47, riferibile a carta italiana della prima metà
del ‘500 (fil. n. 5). Alcuni strappi abilmente riparati lungo i margini, un tassello di reintegro di 10x60 mm ca. al
centro del bordo superiore, due patch al bordo inferiore, scritta a matita al verso ed alcuni difetti minori; nonostante
ciò, considerate la rarità e le dimensioni del foglio, le condizioni di conservazione sono da considerarsi ottime.
Robert-Dumesnil, 1835-1871, tome IX, pag. 181, n.1 | Le Blanc, 1856-1888, tome I, pag. 610, n. 1 | Passavant,
1860-1864, tome VI, pag.124, n.1 | Moltedo, 1991, pagg. 50-52, n. 6 | Bellini, 1998, pag. 219, n. 51/1 | Michael
Bury, Print Quaterly, XXVII, 2010, 1, pagg. 3-10
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Giulio BONASONE
Bologna ca. 1510 - ivi 1576
18 Nettuno sul carro prende possesso del mare
Bulino mm 196x266. Stato unico. A sinistra sulla roccia il monogramma del maestro “I BO”
scritto al rovescio. Bellissima impressione stampata con plate tone e che al verso lascia trasparire
il disegno, caratteristica delle migliori prove coeve. In perfette condizioni di conservazione e
completa alla linea di inquadramento con filo di margine ed impronta della lastra visibile a tratti.
Provenienza: collezione Pierre Mariette (1634-1716), al verso, in inchiostro al gallotannato di
ferro, la firma P. Mariette 1670, Lugt n. 1789.
Bartsch, vol. XV, pag. 137, n. 96 | Massari, 1983, vol. I, pag. 91, n. 113 | Massari, 1993, pagg.
69-70, n. 58 | T.I.B. Commentary (Archer), 1995, vol. 28, pag. 300, n. 096 | Borea, 2009, vol.
I, pag. 142 e vol.II, cap. XIII, n. 1
“Bonasone was given to experimentation of various types during his printmaking career, particularly in an attempt
to find ways of achieving tonal and painterly effects. His first dated print, an engraved copy of Raphael’s St Cecilia
(B. 74) was done in the 1530s. By the 1540s Bonasone’s engraving technique was producing what Madeline
Cirillo Archer describes as a ‘painterly, non-linear effect of great strength’. His prints of the late 1550s began
to exhibit ‘the atmospheric potential of the burin’, according to Archer, ‘as if Bonasone forsook the lighting and
sculptural form of Roman painting for the more atmospheric qualities of the Venetian’. During the 1560s Bonasone
combined etching and engraving in many of his plates, not merely to speed the printmaking process by etching in
the outlines of figures and then engraving the details, but to take advantage of the aesthetic difference between the
two processes.” (Bergquist, An Unusual Print by Giulio Bonasone, Print Quarterly, 2003, vol. XX, n. 3, pag. 245)
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Giulio BONASONE
Bologna ca. 1510 - ivi 1576
19 Ulisse e Calipso
Bulino mm 298x215. Secondo stato su due dopo il completamento dell’incisione con
l’aggiunta del gruppo di alberi sulla destra e della parte inferiore del tratteggio del cielo. Sulla
roccia al centro in basso, il nome dell’incisore “IULIO BONASONE INVENTOR” su tre righe.
Questa incisione, d’invenzione dello stesso Bonasone che si ispira a prototipi tizianeschi,
secondo Bartsch “est une des plus rares de son oeuvre”. Una prova in primo stato, non finita e
propabilmente da considerarsi come prova di stampa conosciuta in unico esemplare, recante
nell’angolo in basso a sinistra il timbro Petrazzani, si trova nel Gabinetto Nazionale delle Stampe
di Roma nel quale è confluita con il blocco di stampe di Bonasone cedute da Giovanni Antonio
Armano (Venezia 1751 - post 1823), collezionista e mercante, membro della Regia Accademia
di Firenze scelto dal Duca Leopoldo e dal Duca Alberto di Sassonia a fondare e ordinare i loro
gabinetti di stampe, al medico bolognese Giovan Battista Petrazzani e da quest’ultimo messe
successivamente in vendita con un dettagliato catalogo del 1820 la cui stesura risulta opera
dello stesso Armano (cfr G. Tormen, 2009, L’epistolario Giovanni Antonio Armano - Giovanni
Maria Sasso, pagg. 103-104). Bellissima e brillante impressione stampata su carta con parte di
filigrana “balestra inscritta in un cerchio”, ø mm 46, simile a Woodward n. 204, riferibile a carta
italiana della metà del ‘500 (fil. n. 6). In ottime condizioni di conservazione con presenza di
una macchia di colla visibile solo al verso e completa alla linea di inquadramento. Provenienza:
collezione Paul Davidsohn (nato nel 1839), al verso, in inchiostro in parte scolorito, la firma
P. Davidsohn, Lugt n. 654.
Bartsch, vol. XV, pag. 154, n. 171 | Armano, 1820, pag. 48, n. 249 | Massari, 1983, vol. I, pagg.
124-125, n. 222
“In conclusion, one would have liked to hear of Bonasone not so much as the inventor of a philosophical-artistic culture,
but as a highly-talented interpreter of the great artistic trends which were then spreading through Italy. In subjects like
Saturn and Filira, The Triumph of Cupid and Psyche or Ulysses and Callypso , the artist attains an eloquence rare in
the graphic history of sixteenth-century Italy. For these works alone Bonasone merits the Latin epigram inscribed on a
Brueghel etching, Arti a ingenio stat sine morte decus” (Schab, Bonasone, Print Quarterly, 1985, vol. II, n. 1, pag. 60)
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Giovanni Battista FRANCO detto Il Semoleo
Udine (?) 1510 - Venezia 1561 o 1580
20 Gesù cade sotto la Croce
Acquaforte mm 345x260. Raro primo stato su due, con il monogramma del Franco “B ∙ F ∙
V ∙ F ∙ ” in basso verso sinistra, ma prima dell’excudit di Giacomo Franco “Franco forma”
inciso in basso a destra nel secondo stato. L’esemplare, analogamente a quello conservato
nel Gabinetto delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, è antecedente ai tratteggi
obliqui tracciati a contorno dell’estremità destra della veste di Veronica che porge al Cristo un
lembo di stoffa e che tendono a coprire la scritta abrasa, ma ancora in parte visibile, presente
sotto la suddetta estremità della veste; tali tratteggi sono presenti in tutti gli altri esemplari di
primo stato esaminati (cfr p. es. esemplare di Londra) ed ancora presenti nel secondo stato,
assieme alle tracce della scritta abrasa. Ciò fa pensare che la nostra prova rappresenti uno
stato più precoce. Bellissimo e fresco esemplare stampato su carta con filigrana “balestra in un
cerchio”, ø 45 mm, riferibile a carta veneta della metà del ‘500 (fil. n. 7), completo di margini
di 2-4 mm tutt’intorno alla battuta del rame. Piega centrale verticale visibile soprattutto al
verso, strappo obliquo riparato all’angolo inferiore destro con piccolo restauro al margine
inferiore; qualche macchia ed alcuni difetti minori, tuttavia nel complesso in ottime condizioni
di conservazione.
Bartsch, vol. XVI, pag. 123, n. 11 | D’Amico, 1980, pag. 47, n. 181
“Certaines estampes reflètent incontestablement des compositions ayant déjà servi dans des fresques ou des
tableaux. Le Portement de croix en est l’exemple le plus patent. Deux représentations dessinées, l’une plus
schématique, l’autre pratiquement achevée sont toutes deux arrondies dans leur partie supérieure, d’où l’on peut
déduire qu’à l’origine Le Portement de croix était presque certainement destiné à décorer une lunette. Au moment
où Franco (ré)utilise les dessins préparatoires de son estampe, il adapte le format - l’estampe est rectangulaire - et
fait une unique « concession ». Les figures de gauche sont malheureusement coupées, et l’homme cruel qui oblige
le Christ à poursuivre son chemin en le frappant d’un bâton tient son instrument de la main gauche. Comme cela
arrive souvent, l’artiste n’a pas pris la peine de remédier au problème bien connu de l’inversement (puisqu’une
estampe est l’image réfléchie du dessin figurant sur la plaque de cuivre.” (Gert Jan van der Sman, Le Siècle de
Titien - Gravures venitiennes de la Renaissensce, 2003, pagg. 139)
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Giovanni Battista FRANCO detto Il Semoleo
Udine (?) 1510 - Venezia 1561 o 1580
21 L’Annunciazione
Acquaforte e bulino mm 345x260. Stato unico. In basso a sinistra il monogramma del Franco
“B ∙ F ∙ V ∙ F ∙ ”. Magnifica impressione con velatura di fondo stampata su carta con filigrana
“leone”, Woodward n. 38 e Briquet n. 10530, riferibile a carta veneta del 1538 (fil. n. 8).
Completa all’impronta del rame con filo di margine al lato superiore e visibile a tratti negli altri
lati. Foglio in ottime condizioni di conservazione per il quale sono da segnalare solo alcuni
difetti minori.
Bartsch, vol. XVI, pag. 121, n. 7 | D’Amico, 1980, pag. 47, n. 177 | Pallucchini (Dillon), 1981,
pag. 316, n. 149
“Occasionally a note of perplexed irritation breaks into Giorgio Vasari’s account of the life and work of his
contemporary, Giovanni Battista Franco, for Franco ‘would not for a time set himself to do any other thing but draw’
and so ‘wasted time beyond all reason over the minutiae of muscles and over drawing with too great diligence, while
paying no attention to the other fields of art’. From the viewpoint of another age we can see clearly that Franco’s
talent was just that of the draftsman - the flowing calligraphic line, the sensitive accent, the refined interplay of lines.
His art is essentially two-dimensional; and when his lifelong admiration for the work of Michelangelo led him, like
many another, to attempt full-scale paintings in imitation of his idol the results were disastrous. When, however, he
remained within the limits of his special art, he created drawings of great charm and beauty.” (Richards, Drawings
by Battista Franco,The Bulletin of the Cleveland Museum of Art, 1965, vol. 52, n. 8, pag. 107)
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Giovanni Battista FRANCO detto Il Semoleo
Udine (?) 1510 - Venezia 1561 o 1580
22 Gli Israeliti raccolgono la manna
Controprova acquaforte e bulino mm 379x584. Eccezionale stampa in controprova di un
primo stato già considerato da Bartsch “très rare”. Bartsch descrive infatti di questa incisione
un primo stato rarissimo (cfr prova conservata all’Albertina di Vienna) in cui, sulla sinistra
in avanti, è presente un gruppo di tre giovani uomini completamente nudi colti nell’atto di
raccogliere la manna; nel secondo stato queste tre figure sono state censurate e rimpiazzate
da altre, parzialmente vestite, tra cui anche una donna. Rispetto al primo stato, la controprova
prosentata risulta antecedente al monogramma “B.F.V.F.” nell’angolo inferiore destro.
Magnifica prova stampata con toni vellutati e contorni sfumati su carta coeva con filigrana
non completamente leggibile “ancora inscritta in un cerchio sormontato da una croce” ø 45 mm
(fil. n. 9). Piega verticale centrale visibile nella parte inferiore piega verticale tra il terzo medio
ed il terzo destro del foglio; qualche piccolo strappo perfettamente riparato e alcuni modesti
difetti minori, per il resto in ottime condizioni di conservazione.
Bartsch, vol. XXI, pagg. 119-120, n. 4 | T.I.B., vol 32, pag. 159, Ill. 4-I (119) | D’Amico, 1980,
pag. 46, n. 174
“Descriptions of the practice of counterproofing prints are found in numerous books across the centuries, such as
Giorgio Vasari’s sixteenth-century Vite, or the lengthy definition in Robert Dossie’s eighteenth-century guide, The
Handmaid to the Arts. We thus learn that a print counterproof is an impression pulled from a freshly printed work
onto another sheet of paper. No copper plate is involved in the process, and as a consequence the counterproof
bears no platemark (although sometimes a false one has been added). Because of the double reversal, the subject
of the counterproof is in the same direction as on the plate. The counterproof is paler than the print, often lacks its
contrast, and the lines resemble those of a chalk drawing. It can only be obtained from a freshly printed impression,
but this does not necessarily mean that it was done by the printmaker himself or even during his lifetime. In contrast
to their usage in drawings, the function of counterproofs in printmaking seems to have played a singular role, due
to the reversal of the subject intrinsic to the art of making a print. Counterproofs have been created by printmakers
throughout the centuries. Although it is not quite clear if they were already in use to produce woodblocks for the
late fifteenth-century hlockbooks, it appears that the technique was well established by the early sixteenth century.
Counterproofs of prints by or after many Old Masters are recorded, presenting a large variety of techniques, styles
and subjects.” (Seigneur, On Counterproofs, Print Quarterly, 2004, vol. XXI , n. 2, pag. 115)
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Giovanni Battista FRANCO detto Il Semoleo
Udine (?) 1510 - Venezia 1561 o 1580
23 Mosè batte la rupe
Controprova acquaforte e bulino mm 372x510. Rarissimo esemplare in controprova, antecedente
al monogramma “B.F.V.F.” che compare ai piedi di Mosè nell’atto di battere la rupe nelle prove
in primo stato. Magnifica prova, nitida, contrastata e con inchiostratura omogenea stampata
su carta con filigrana “ancora inscritta in un cerchio sormontato da una stella a sei punte”, ø
40 mm, simile a Woodward n. 171, riferibile a carta veneta del 1538 (fil. n. 10). Due pieghe
verticali, una centrale ed una verso la sinistra del foglio, visibili per lo più al verso; alcuni
piccoli strappi marginali perfettamente restaurati ed alcuni difetti minori, per il resto in ottime
condizioni di conservazione.
Bartsch, vol. XVI, pagg. 118-119, n. 2 | T.I.B., vol. n. 32, pag. 157, n. 2-I (118) | D’Amico, 1980,
pag. 46, n. 173 | Pallucchini (Dillon), 1981, pag. 316, n. 151
“Abstemious though he was, Vasari must have been tempted to urge Franco to drink a bit more wine, as
Heemskerck’s friends did to put themselves in the mood when they were working with Franco and other Italian
artists on the apparato for Charles V’s entry into Rome in 1536, and ‘non mettere tanto studio in finire i disegni, ma
a colorire alcuna volta’. In comparison with Bronzino, Franco clearly struck Vasari as cold. (Goguel, Drawings by
Battista Franco in the Louvre, The Burlington Magazine, 1985, vol. 127, n. 992, pag. 780)
“Nella storiografia del Cinquecento veneziano gli anni cinquanta formano una sorta di soglia tra la supremazia
dei grandi pittori nella prima parte del secolo (di Tiziano in particolare) e l’affermarsi di Tintoretto e Veronese
nella seconda parte. In questo momento di grande tensione e apertura a nuove esperienze artistiche si affaccia
una generazione di pittori che propone a Venezia gli esiti degli ultimi esperimenti stilistici messi in atto a Firenze
e a Roma. Tra di loro anche un pittore veneziano, Battista Franco, che dopo anni trascorsi vagando per il centro
Italia ritorna a Venezia intorno at 1552.” (Myssok, Battista Franco tra Biblioteca marciana e Cappella Grimani,
Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 2010, 54. Bd., H. 1, pag. 115)
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Frans FLORIS detto Frans De Vriendt
Anversa 1516 - ivi 1570
24 Vittoria attorniata da prigionieri - Allegoria della vittoria della
Casa degli Asburgo sui Turchi
Acquaforte con ritocchi a bulino mm 311x438. Primo stato su tre, prima delle modifiche
apportate al nome dell’incisore e dell’editore sulla tavoletta in basso a sinistra. Nel terzo stato
il nome dell’editore Cock è stato sostituito con quello di Carel Collaert “Car Coll excudebat”.
In alto al centro in caratteri minuti il titolo “victoria”; a sinistra in basso sulla tavoletta il
nome dell’incisore e dell’editore su due righe “frãcs floris fecit / Cock excudebat”; in basso,
subito sopra la linea di contorno inferiore, verso sinistra, la data “1552”; nel bordo bianco
inferiore un testo in latino su tre colonne di due righe ciascuna. L’incisione è in rapporto con
un monumentale dipinto di Frans Floris del 1549 - eseguito dopo la sua permanenza in Italia
dal 1541 al 1547 e che riflette l’influsso, soprattutto nella figura della Vittoria, dei suoi studi
dall’antico, di Michelangelo e in particolare di Giulio Romano - destinato a decorare l’Arca del
Genovese per le festività che celebravano l’entrata trionfale ad Antwerp dell’Imperatore Carlo
V e di suo figlio. Magnifica prova stampata in modo nitido con velatura di fondo intensamente
grigia su carta vergellata coeva leggera; in ottime condizioni di conservazione, a parte alcune
tracce di antichi supporti al verso e un minimo strappo riparato al bordo destro; con filo di
margine oltre la linea di inquadramento sui quattro lati.
Le Blanc, 1854-1888, tomo II, pag. 241, n. 3 | Davis, 1988, pagg. 250-251, n. 109 | The
New Hollstein (E.H.Woouk), Frans Floris, part II, 2011, pagg. 184-185, n. 156 | Van GriekenLuijten-Van der Stock, 2013, pag. 314, n. 86
“This tour de force etching, Frans Floris’s only known autograph print, shows Victoria, the personification of
Habsburg victory, emerging triumphant from battle against the Ottoman Turks, her hands still dripping blood, as a
dozen enchained prisoners of war cower in fear or lie unconscious at her feet. The image relates to a lost painting
that was displayed prominently on the triumphal arch of the Genoese Nation, a monumental structure decorated
by Floris for the entry of Charles V and the future Philip II into Antwerp in 1549.[...] Floris used this imposing print to
proclaim his authority as an interpreter of Italian art, both ancient and modern: the antique trophies are reminiscent
of his drawings of the base of Trajan’s Column, the figure of Victoria derives from a Greco-Roman statue of Minerva
from the Palazzo della Valle-Capranica sculpture court in Rome, and many of the struggling prisoners imitate the
famous Sibyls and Ignudi of Michelangelo’s Sistine Chapel”. (Van Grieken-Luijten-Van der Stock, Hieronymus
Cock - The Renaissance in print, 2013, pag. 314)
48
49
René BOYVIN
Angers ca. 1525 - Roma ca. 1598
25 L’Ignoranza vinta - Francesco I entra nel tempio dell’immortalità
Bulino mm 278x423. Stato unico. Nell’angolo inferiore sinistro il nome di Rosso Fiorentino,
inventore del soggetto e, subito sotto, quello dell’incisore “Rous Floren. Inuen. / Renatus
fecit.”; di fianco alla porta del tempio, detta Porta di Giove, a sinistra la scritta “MALI”, a
destra “BONI” e, sopra in un ovale, “OSTIV / IOVIS”. L’ncisione è tratta da un disegno del
Rosso datato 1535-1536 e conosciuto in tre copie conservate rispettivamente a Darmstadt,
New York e Rennes; essa è inoltre in relazione con l’affresco dipinto dal Rosso nella galleria
di Francesco I nel castello di Fontainebleau. La stessa composizione è stata trattata da Antonio
Fantuzzi in una incisione nella quale però la luce che fluisce dalla porta di Giove nell’incisione
di Boyvin e nell’affresco del Rosso è stata ombreggiata; la prova del Fantuzzi è inoltre priva
di ogni scritta. Superba prova, nitida e ricca di tono, stampata su carta con filigrana “Giglio
sormontato da quadrifoglio e sottostante cartiglio con una scritta” riferibile a carta francese
della metà del 1500 (cfr Briquet, nn. 7079-7090) (fil. n. 11). Foglio completo alla linea di
contorno, un breve strappo riparato al margine inferiore ed angoli superiore ed inferiore di
sinistra rinforzati al verso, piega centrale verticale visibile soprattutto al verso, per il resto in
ottime condizioni di conservazione.
Robert-Dumesnil, 1835-1871, tome VIII, pagg. 24-25, n. 16 | Le Blanc, 1854-1888, tomo 1,
pag. 507, n. 185 | Herbet, 1969, pag. 123, n. 16 | Carrol, 1987, pagg. 286-287, n. 91 | Borea,
2009, vol. I, pag. 102 e vol. II, cap. IX, n. 12
“Vasari mentionne cette estampe dans ses Vies: «...après la mort de Rosso, on a vu arriver de France toutes
les gravures de ses oeuvres qu’on a pu retrouver: [...] le Roi François entrant seul dans le temple de Jupiter,
laissant derrière lui l’Ignorance et autres vices. Ces planches furent exécutées par le graveur sur cuivre René,
du vivant de Rosso.» Cette dernière assertion est inexacte, l’estampe étant postérieure à la mort de Rosso en
1540. Boyvin semble avoir gravé sa composition d’après un dessin perdu de Rosso vers 1535-1536, plutôt que
d’après la fresque peinte dans le galerie François Ier à Fontainebleau, dont elle diffère par quelques détails (pieds
nus du roi, figure féminine nue près du temple...). La galerie François Ier (1534-1537), le chef-d’oeuvre de Rosso
à Fontainebleau, offre une décoration peinte et sculptée, d’une extréme richesse ornementale, et déploie un
programme iconographique complexe à la gioire du roi de France et de son règne en douze tableaux. Le premier,
L’ignorance vaincue, représente le roi, couronné de lauriers, tel un César, portant une épée et un livre, entrant
dans le temple de Jupiter, séjour des arts et des lettres, identifié par les inscriptions latines. Il laisse derrière lui
des hommes et des femmes prostrés, aux yeux bandés, symbolisant l’Ignorance et les vices qui en découlent
(Désespoir, Luxure...). Il s’agit là d’une glorification du roi mécène et humaniste, dont l’intérêt pour les arts et les
lettres prit diverses formes: protection d’artistes et d’écrivains, construction de châteaux, collection d’art, création
de l’imprimerie royale, etc. Joachim du Bellay dans sa Louange du feu Roy François et du Treschrestien Roy
Henry, note sur François Ier : «C’est luy, qui a de ce beau siecle ici / Comme un soleil, tout obscur eclairci, / Ostant
aux yeulz des bons espritz de France / Le noir bandeau de l’aveugle ignorance». L’absence du monogramme
au-dessus de la porte du temple, présent dans la fresque, laisserait supposer que l’estampe a été réalisée après
la mort de François Ier (1547).” (Bénédicte De Donker in De Dürer à Mantegna-Gravures Renaissance de la
collection Leber, 2010, pag. 166)
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Nicolas BEATRIZET detto Beatricetto
Lunéville ca. 1525 - Roma ca. 1580
26 Morte di Meleagro
Bulino mm 297x419. Primo stato su cinque. Nel bordo inferiore alcuni versi in italiano
disposti su due righe; sotto i versi, circa al centro, l’excudit del Salamanca seguito dalla
data “EXCUDEBAT . ANT . S . 1543”. Bellissima prova stampata su carta con filigrana
non completamente leggibile “grappolo d’uva” (fil. n. 12), in ottimo stato di conservazione;
al verso presenza di tracce di antichi supporti ai 4 angoli e, al recto, tracce di abrasioni in
corrispondenza del numero 4 della data. Foglio completo di margini di circa 2 mm oltre la linea
di inquadramento.
Bartsch, vol. XV, pag. 260, n. 41 | Robert-Dumesnil, 1835-1871, tome IX, pag. 152, n. 32 |
Davis, 1988, pag. 49, n. 6b | Massari-Valenti Prosperi Viganò, 1989, pagg. 268-269, n. 103 |
Bianchi in Grafica d’Arte n. 55, 2003, pag. 7, n. 38 | Borea, 2009, vol. I, pag. 126, n. 26 e vol.
II, capitolo XI, n. 26
“In between, in terms of numbers, is Girolamo Fagiuoli, the Bolognese engraver in whose hands, according to
Vasari, Salviati left ‘alcuni disegni molti begli, perchè gl’intagliasse in rame e gli facesse stampare’ (some very
beautiful drawings, so that he might engrave them on copper and have them printed). I have recently proposed
that these prints by Fagiuoli are The Cruafixition (B.XV.18.8), The Death of the Children of Niobee (B.XV.42.13),
and The Death of Meleager (B.XV.260.41, as Beatrizet), all three published by Salamanca, the first two in 1541
- thus Fagiuoli would be the engraver of the earliest dated prints after Salviati - and the third in 1543. I also am
persuaded that Voss’s suggestion of three other prints as by Fagiuoli after compositions by Salviati is mistaken in
both respects.” (Boorsch, “The Massacre of the Innocents” after Francesco Salviati, Print Quarterly, 1999, vol. XVI,
n. 3, pag. 270
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Nicolas BEATRIZET detto Beatricetto
Lunéville ca. 1525 - Roma ca. 1580
27 L’Ascensione
Bulino mm 277x314. Secondo stato su due, dopo l’aggiunta del nome dello stampatore Lafrery
in basso a sinistra “Ant. Lafrery” subito sotto il nome di Raffaello, inventore del soggetto, “RA
- VR - INVENT” e il monogramma del Beatricetto “NB F.” con le lettere N e B sovrapposte. A
destra in basso, l’excudit di Tomaso Barlachi “TOMASUS. BARLACHIS. EXCVDEBAT” seguito
dalla data “1541”. Bellissima prova, nitida e contrastata, stampata su carta coeva; completa
alla linea di inquadramento su tre lati, irregolarmente rifilata in parte appena all’interno della
stessa al lato inferiore; piccolo strappo riparato al lato inferiore, per il resto in ottimo stato di
conservazione. Provenienza: al verso timbro di collezione in nero, non repertoriato da Lugt.
Bartsch, vol. XV, pag. 250, n. 21 | Robert-Dumesnil, 1835-1871, tome IX, pag. 144, n. 14 |
Massari, 1985, pag. 142, cap. IX, n. 1 | Bianchi in Grafica d’Arte n. 54, 2003, pag. 9, n. 13
“The idea that a large part of the print production of sixteenth-century Italy can be dismissed on the grounds that
it was ‘reproductive’, and motivated by simple commercial considerations, continues to pervade studies in the
field. In recent years there have been important signs of change. There have been attempts to show that the term
‘reproductive’ has been used much too loosely and that prints that assimilate the inventions of other artists can, and
in some cases should, be regarded as independent works of art. As a corollary, it has been argued that the term
‘reproductive’ should be used to describe an intention, the intention in question the representation, in a repeatable
form, of another work of art. However, such prints still attract undiscriminating aesthetic disapproval. In this article
some examples of this type of print will be analysed to bring out the complexity of the processes involved and
to focus attention on how varied the results could be. It is hoped that this will demonstrate how prints that were
intended to be ‘reproductive’ could involve the highest levels of thought and skill, and could be objects of beauty
in themselves.” (Bury, Beatrizet and the reproduction of antique relief sculpture, Print Quarterly, 1996, vol. XIII, n.
2, pag. 111)
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Michele GRECHI detto Michele Lucchese
Roma 1529 - ivi (?) 1604
28 Mosè batte la rupe
Acquaforte e bulino mm 272x417. Rarissimo primo stato su quattro ante litteram, antecedente
al monogramma dell’autore “ML cum privilegio” che compare in basso al centro nel secondo
stato, all’excudit del Lafrery “Ant Lafrery”, inciso in basso verso destra nel terzo stato e
all’indirizzo dell’Orlandi “Ioannes Orlandi formis rome. 1602” sul sasso in basso a sinistra
che configura il quarto stato. Il soggetto di questa rara incisione deriva da un disegno di
Polidoro da Caravaggio conservato alla Pierpont Morgan Library di New York. Straordinaria
precoce prova, brillante e ricca di tono, stampata su carta coeva, al cui verso traspare il disegno
perfettamente leggibile, caratteristica delle prove migliori con filigrana “scala con tre pioli in
uno scudo ” simile a Woodward nn. 244 e 245, riferibili a carte della metà del XVI° secolo (fil.
n. 13); in perfetto stato di conservazione con filo di margine oltre la battuta del rame.
Passavant, 1864, vol. VI, pag. 166, n. 2 | Nagler, 1858-1879, pag. 623, n. 1977-1 | Bellini,
1999, pagg. 64-65, n. 21
“La stampa riproduce in controparte un disegno conservato alla Pierpont Morgan Library di New York (Frommel
1967-1968, p. 108, n. 67, tav. XLI1a), attribuito a Baldassarre Peruzzi (Pouncey 1912, IV, tav. 19), ma in passato
assegnato a Polidoro da Caravaggio. L’invenzione è riconducibile, secondo Frommel, alla decorazione del palazzo
della Cancelleria Vaticana a Roma, dove in un analogo episodio, La raccolta della manna, ritornano lo schema
compositivo e alcune figure simili al modello della presente incisione. Tale disegno, ipotizza Frommel, potrebbe essere
stato eseguito per un chiaroscuro somigliante alle grisailles delle stanze di Raffaello o piuttosto per un’incisione alla
maniera di Ugo da Carpi, considerati i toni scuri dell’insieme e le nette luci bianche aggiunte a biacca.[...] Alla zona
sinistra della scena l’incisore ha dato un maggior respiro rispetto al disegno, dove la roccia e i due patriarchi sono defilati
rispetto all’azione. Mosè e Aronne sono sovrastati dalla grande roccia custode della sorgente, sulla quale si staglia la
figura di un cane che scende equilibrandosi su un tronco schiantato a terra: è possibile che quest’animale, collocato
in posizione così evidente, sia riconducibile al contenuto dell’episodio illustrato, ossia alla fedeltà del popolo ebraico,
simboleggiata dal cane, che nei momenti di difficoltà vacilla, proprio come l’animale in bilico sul tronco.” (Giovanna
Gallina in Stampe di Maestri - Cento capolavori della Raccolta Bertarelli da Mantegna a Morandi, 1999, pag. 64)
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Adamo SCULTORI
Mantova ca. 1530 - Roma 1587
29 Cattura di grandi pesci
Bulino mm 208x312. Secondo stato su due dopo i ritocchi ed il danno alla lastra nell’angolo
inferiore sinistro dove è posto il monogramma dell’incisore. Bellissima e fresca prova stampata
su carta con filigrana non completamente leggibile “figura in un cerchio” ø 45x40 mm (fil.
n.14). In ottime condizioni di conservazione con piega centrale verticale visibile soprattutto
al verso dove sono presenti anche alcune abrasioni superficiali e tracce di antichi supporti;
completa alla linea di inquadramento.
Bartsch, vol. XV, pag. 429, n. 106 | Ferrara-D’Amico, 1977, n. 243 | Massari, 1980, pagg. 3032, n. 14 | Bellini, 1991, pagg. 109-111, n. 97 | Massari, 1993, pagg. 130-133, n. 133
“On the other hand, during his Mantuan period there were many printmakers and print publishers, as far away
as Rome and Fontainebleau, who were eager to use his designs. At present we cannot know whether he had
any direct responsibility, or played any sort of active role in encouraging this. It is evident that, as was often the
case in the sixteenth century, the majority of prints were made after drawings recording preparatory stages for
compositions intended for execution in other media, and did not reproduce finished work. Therefore the question
does arise, in any individual case, as to how, and in what form, the drawing got into the hands of the printmaker.
Did Giulio make use of assistants to prepare models for printmakers, in the way Raphael had made use of him? Did
Giulio’s drawings sometimes get into the hands of printmakers without his knowledge? […] The question of Giulio’s
involvement with printmaking needs further careful research, without prejudging the case.” (Bury, Giulio Romano
and Prints, Print Quarterly, 1994, vol. XI, n. 1, pag. 65)
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Adamo SCULTORI
Mantova ca. 1530 - Roma 1587
30 Due amorini guidano un carro tirato da cinque cavalli
Bulino mm 130x200 (lastra ovale). Primo stato su tre con ancora ben visibili le linee guida
della scritta, caratteristica del primo stato secondo Bellini. A destra, sul retro del carro, il
monogramma dell’artista “AS” con le lettere sovrapposte; in basso la scritta “ANIMI IMPERIO
SENSUUM OBSEQUIO”. Il modello originario dell’incisione è stato identificato in un disegno
della maturità di Giulio Romano conservato nella Biblioteca Reale di Torino. Magnifica prova
fresca e brillante stampata su carta vergellata coeva di media pesantezza, in ottimo stato di
conservazione e completa alla linea di inquadramento del soggetto.
Bartsch, vol. XV, pag. 421, n. 12 | Ferrara-D’Amico, 1977, n. 163 | Massari, 1980, pagg. 4647, n. 53 | Bellini, 1991, pagg. 48-49, n. 10 | Massari, 1993, pag. 124, n. 126
“A.10 Two Patti in a Chariot (Bartsch, XXXI, p. 164, no. 12). The passage in Plato’s Phaedrus that is cited in this
entry does not account for various details shown in this print: the presence of four good horses (it is so in Ficino’s
Theologia Platonica where, however, there are two bad horses, not one), two winged charioteers, and the fact that
the chariot is not flying through the air; further, in Plato’s allegory of the charioteer (see 1981 and 1984 Allen), it
is the unruly horse that has to be firmly reined in, not (obviously) the obedient one. Therefore, this image is likely
to have been produced under other influences, as is also suggested by the fact that a detail in another print by
Adamo - the device of the Academy of Eterei in the frontispiece to their Rime (A.99) - fully corresponds instead to
the image in Plato’s Phaedrus (the chariot is winged and flies through the air and, of the two horses, one is white
and obedient, the other black and unruly) and, from coeval sources, is known to have been inspired by it (see 1927
Maylender, p. 321).” (Pagani, Adamo Scultori and Diana Mantovana, Print Quarterly, 1992, vol. IX, n. 1, pag. 170)
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MAESTRO DEL DADO
Attivo ca. 1530 - 1535
31 Trionfo d’Amore con sedici putti
Bulino mm 106x404. Secondo stato su due, dopo l’aggiunta dell’excudit dello stampatore
nel margine banco inferiore a destra “ANT. LAFRERI”. In basso a destra, nella parte figurata,
il dado con inscritta la lettera “B”. Bellissima prova, nitida, ben contrastata e ricca di tono.
Foglio completo di piccoli margini oltre la linea di inquadramento su tre lati; lungo il bordo
inferiore il margine bianco è irregolarmente tagliato; una macchia gialla visibile per lo più in
trasparenza all’angolo superiore destro, per il resto in ottime condizioni di conservazione.
Bartsch, vol. XV, pag. 250, n. 21 | Massari, 1985, pag. 260, cap. XI, n. 9
“Recent researches have revealed many ancient marble statues and reliefs known to artists in the Renaissance
but have only begun to deal with other types of antiquities. While specific engraved gems have been singled out
as sources of theme and style, other reliefs of the so-called ‘minor arts’, such as Campana revetment plaques and
Arretine vases, have slipped through the net in discussions of classical influence. Small in size, modest in material,
uneven in quality and poorly documented, these mass-produced relief works of antiquity are generally over looked.
Yet precisely because gems and fictile reliefs were portable and numerous they were more accessible to artists
and so became more important in disseminating motifs of lost classical paintings and sculptures. Substantial
borrowings, formal and motival, made from moulded and glyptic reliefs can be discovered in specific paintings,
stuccoes and sculpture designed by Giulio Romano, Giovanni da Udine and Raphael.” (Yuen, Giulio Romano,
Giovanni da Udine and Raphael: Some Influences from the Minor Arts of Antiquity, Journal of the Warburg and
Courtauld Institutes, 1979, vol. 42, pag. 263
“The purchasing of prints for their subject-matter is implicit in many aspects of their production in the fifteenth and
sixteenth centuries. One can assume this with certain categories such as portraits, maps and views and topical
images recording particular events or notable things. Perhaps the clearest evidence is provided by the activity of
the Roman print publishers and especially Antonio Lafreri. A large number of the items advertised in his stocklist,
compiled about 1572, are identified only by subject.” (Bury, The taste for prints in Italy to c. 1600, Print Quarterly,
1985, vol. II, n. 1, pag. 13)
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MAESTRO DEL DADO
Attivo ca. 1530 - 1535
32 Storia di Apollo e Dafne
Serie completa di quattro incisioni in primo stato su due, antecedente ai ritocchi apportati da Philippe Thomassin
(1562-1622) e alla cancellazione dei numeri arabi (a Apollo uccide il serpente Fitone nello stato definitivo). Adam
Bartsch e Le Blanc attribuiscono a Giulio Romano l’invenzione dei soggetti, mentre la critica più recente ne riporta
l’ideazione a Baldassarre Peruzzi. Nel margine bianco inferiore otto versi in italiano disposti su due colonne - libere
traduzioni del mito narrato da Ovidio nelle Metamorfosi - ed, in alto a destra, la numerazione progressiva in numeri arabi. Una ulteriore numerazione è data dai puntini, in numero progressivo nelle varie lastre, posti sulla faccia
anteriore del dado che compare in basso a destra nella parte figurata delle incisioni. Giovanna Gallina (cfr Bellini,
1999, Stampe di Maestri, pag. 72, n. 24), a cui sembra insolita questa doppia numerazione, ipotizza che i numeri
arabi siano stati aggiunti in un secondo momento: ciò presupporrebbe pertanto l’esistenza di uno stato antecedente,
mai peraltro riscontrato, privo dei numeri arabi posti nel margine inferiore, ma con la sola numerazione sui dadi.
a. Apollo uccide il serpente Fitone
Bulino mm 245x184. Stato definitivo, dopo la cancellazione del numero “1” e i ritocchi. Bella prova in ottimo
stato di conservazione con sottili margini oltre la linea di inquadramento.
a bis. Apollo uccide il serpente Fitone
Bulino mm 215x178. Primo stato su due, con la parte inferiore della feretra di Apollo ancora bianca: essa viene
invece completamente ombreggiata mediante tratteggi nel secondo stato. Il foglio è privo del bordo bianco inferiore. Superbo esemplare stampato con tono di fondo in perfetto stato di conservazione e completo alla linea
di inquadramento della parte figurata. Provenienza: collezione Pierre Mariette (1634-1716), al verso la firma “P.
Mariette” seguita dalla data “1669” in inchiostro al gallotannato di ferro, Lugt n. 1789. La freschezza eccezionale
della prova fa pensare che si possa trattare di un stato sconosciuto ante litteram, antecedente non solo alla numerazione in numeri arabi, come ipotizzato da Giovanna Gallina, ma anche ai versi nel bordo bianco inferiore che
proprio per questo sarebbe stato reciso.
b. Dafne abbraccia il padre Peneo
Bulino mm 253x183. Primo stato su due, antecedente all’ombreggiatura tra le gambe delle tre ninfe che indicano Peneo
con la mano destra e con il numero “2” inciso in alto a destra nel bordo bianco inferiore. Magnifica prova stampata con
tono di fondo, in perfetto stato di conservazione con filo di margine attorno all’impronta del rame su tutti i quattro lati.
c. Apollo insegue Dafne
Bulino mm 238x182. Primo stato su due, con la mammella destra del fiume Peneo completamente ombreggiata,
mentre la stessa risulta bianca nelle prove ritoccate del secondo stato e con il numero “3” inciso in alto a destra nel
bordo bianco inferiore. Magnifica prova stampata con tono di fondo, in perfetto stato di conservazione con filo di
margine attorno all’impronta del rame su tutti i quattro lati.
d. I Fiumi consolano Peneo per la perdita della figlia Dafne
Bulino mm 248x180. Primo stato su due, antecedente alle modifiche apportate sul naso del fiume che porta l’urna
sulla spalla e con il numero “4” in alto a destra nel bordo bianco inferiore. Magnifica prova stampata con tono di
fondo, in perfetto stato di conservazione con filo di margine visibile a tratti attorno all’impronta del rame.
Bartsch, vol. XV, pagg. 197-198, nn. 19-22 | Le Blanc, 1854-1888, vol. II, pag. 80, nn. 20-23 | D’Amico, 1980,
pag. 39, nn. 118 -121 | Bellini, 1999, pag. 72, n. 24
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Cornelis CORT
Hoorn 1533 - Roma 1578
33 Sacra Famiglia con un gatto - Madonna del gatto
Bulino mm 334x240. Secondo stato su due, dopo l’aggiunta del nome dell’inventore del soggetto
“Federicus Barotius Urbinensis inventor.” nel margine bianco inferiore e del privilegio di 10
anni “Di.Greg.PP.xiij ex Priuil. P.an. x.” in basso al centro della parte incisa (cfr Bury, 2001,
The Print in Italy 1550-1620, pag. 21). In basso a destra la firma e la data “Cornelis. Cort
fec. 1577” e, in alto a destra sulla banderuola, “ECCE ANNUS DEI ECCE”. Nel margine
bianco inferiore dei versi in latino. Questa rara incisione è tratta da un disegno, conservato
al British Museum, che reca una quadrettatura del foglio funzionale al trasferimento della
composizione sulla lastra (cfr Turner, 2000, Federico Barocci, pagg. 140-141); incisione e
disegno sono in relazione con il dipinto conservato alla National Gallery di Londra. Magnifica
prova nitida e brillante con vellutato tono di fondo e con ben visibili le linee di allineamento
delle scritte, stampata su carta coeva con filigrana solo in parte decifrabile “giglio sopra uno
stemma e sottostanti lettere WR” (fil. n. 15). Sottili margini oltre la linea di inquadramento su
tre lati e margine bianco di ca. 20 mm al lato inferiore. Una piega orizzontale e uno strappo
orizzontale professionalmente restaurato, per il resto in ottime condizioni di conservazione.
Bierens de Haan, 1948, pagg. 64-65, n. 44 | Pillsbury-Richards, 1978, pag. 107, n. 77 | Turner,
2000, pagg. 140-141, fig. 127 | The New Hollstein (Seelink), 2000, Cort, part II, pagg. 44-50,
n. 83 | Bury, 2001, pag. 21-22, n. 5 | Borea, 2009, vol. II, cap. XV, n. 58 | Marini in Federico
Barocci 1535-1612, 2009, pagg. 387-388, n. 113 | Mann-Bohn, 2012, pag. 155, n. Cat. 7.7
“It is not known how or even whether the two came into direct contact. Cort was active in Venire (1565-66 and
probably 1571-72), where he stayed in Titian’s house and produced a dozen engravings after his paintings.
Otherwise, from 1567 until his death, Cort lived mainly in Rome, where he worked with - among others Barocci’s friends the Zuccaro brothers and Girolamo Muziano. Although Cort may have traveled through Urbino,
it is more likely that Barocci sent this drawing, and perhaps a comparable one for the Rest, to Cort in Rome,
where the two engravings were published. Despite being such a fine printmaker, Cort is known to have relied
on others to provide him with drawings of the paintings he engraved - he was allegedly incapable of copying
from the originals himself - and Barocci’s drawing falls exactly into this category.” (Judith W. Mann and Babette
Bohn (Carol Plazzotta), Federico Barocci - Renaissance Master of Color and Line, 2012, pagg. 155-156)
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Cornelis CORT
Hoorn 1533 - Roma 1578
34 Il martirio di San Lorenzo
Bulino mm 500x349. Stato unico. Sul bordo della graticola il nome di Tiziano, inventore del
soggetto “TITIANUS . INVENT . AEQUES . CAES .”; sul piedestallo della statua la dedica a
Filippo II, re di Spagna “Invictis Philippo Hispaniarum Regi D.”; al margine inferiore, verso
sinistra, il privilegio e la data “Cun preuel . 1571” e, verso destra, la firma “Cornelio cort fe.”.
Magnifica prova stampata con intensi effetti chiaroscurali su carta pesante con filigrana, non
completamente leggibile, “lettera M sotto una stella in uno scudo” simile a Woodward nn.
324, 325, 326 e riferibile a carta italiana della seconda metà del XVI° secolo (fil. n. 16). Foglio
completo alla linea di inquadramento sui due lati verticali e all’impronta del rame al lato inferiore
e superiore dove è presente anche un filo di margine. Piega centrale verticale visibile per lo più al
verso; piega centrale orizzontale visibile solo al verso dove sono presenti anche residui di antico
supporto, per il resto in ottime condizioni di conservazione, considerate anche le dimenzioni
della stampa. Sempre al verso, all’inchiostro al gallotannato di ferro, la scritta “TIZIANO”.
Bierens de Haan, 1948, pagg.144-147, nn. 139-140 | The New Hollstein (Seelink), 2000, vol.II, pag.
177, n. 127 | Bury, 2001, pag. 92, n. 56 | Puppi, 2007, pag. 317, n. 107 | Borea, 2009, vol. II, cap. XV, n. 39
“L’incisione trova infatti un sicuro terminus ante quem nella lettera inviata da Tiziano a Filippo II del 1 agosto
1571 (Mancini, 1998, p. 366, n. 246), in cui, dopo aver pregato il sovrano di compensarlo per le opere compiute
nei diciotto anni trascorsi al suo servizio, per le quali dichiara di non aver ricevuto neppure ‘un quatrino’, il pittore
scrive: ‘... et stando sicuro che la sua infinita clementia sia per mostrar di haver grata la servitù d’un servitor di età
di novantacinque anni con qualche testimonio della infinita sua munificentia et liberalità mandandole due stampe
del disegno della pittura del beato Lorenzo, humilissimamente mi raccomando in sua buona gratia.’ Il 2 agosto una
seconda lettera, questa volta inviata a Filippo II da Diego Guzmán de Silva (Mancini, 1998, p. 367, n. 247), contiene
altre annotazioni interessanti. L’ambasciatore spagnolo dice di aver ricevuto una stampa - una sola - del Martirio di
san Lorenzo: ‘Después [Tiziano] me ha dado una estampa de las que ha hecho en nombre de Vuestra Magestad de
San Lorenzo, y la embio con una carta suya’. Sul dorso della lettera vi sono poi due annotazioni di pugno di Filippo
Il: ‘... la estampa es la que dice que venía agora y lo sabreis...’ e, ancora, ‘La estampa es la misma que aquí dicen
que es sacada del Sant Lorenzo que embió y está en el retablo del altar mayor de allí’. Una di queste stampe, su
seta, è conservata ancor oggi nell’appartamento di Filippo II all’Escorial (Nepi Scirè, 1999), ma non vi è prova che
si tratti di quella menzionata nella lettera.” (Maria Agnese Chiari Moretto Wiel in Tiziano.Ultimo atto, 2007, pag. 415)
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Monogrammista F G (Girolamo FACCIOLI ?)
Italia attivo 1540 - 1550
35 Giove e gli dei guardano Callisto tra le nuvole
Bulino mm 435x278 (misure massime; lastra pentagonale). Secondo stato su due. Suzanne
Boorsh e Michal Lewis & R. E. Lewis citano l’esistenza di un primo stato ante litteram.
Nell’angolo inferiore di sinistra il nome del Primaticcio, inventore del soggetto “A Fontana Bleo
Bol inventor”, dove Bol è l’abbreviazione di Bologna, soprannome di Francesco Primaticcio,
mentre Fontana Bleo sta ad indicare che l’incisione è tratta da un disegno del Primaticcio
collegato con un affresco nel Castello di Fontainebleau; la scena incisa rappresenta infatti il
punto culminante della storia di Giove e Callisto, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, dipinta
nella terza sala partendo dall’estremità est dell’Appartement des Bains a Fontainebleau.
Chantal Eschenfelder ritiene che la forma di pentagono irregolare dell’incisione, come pure di
un disegno rappresentante in controparte lo stesso soggetto e conservato al Louvre, costituisca
la metà di un esagono regolare (cfr AA.VV., 1995, La Gravure Française à la Renaissance,
pag. 338). Bellissima prova stampata su carta coeva con filigrana “figura geometrica in un
cerchio” (fil. n. 17). Foglio completo alla linea di inquadramento ai due lati destro e sinistro,
con sottile margine oltre la stessa al lato superiore, dove è visibile a tratti l’impronta del rame
e ai due lati inferiori. Piega centrale verticale visibile per lo più al verso dove sono presenti
alcune aree di abrasione, per il resto in buone condizioni di conservazione.
Bartsch, vol XV, pagg. 406-407, n. 59 (come Ghisi) | Herbet, 1896-1902 (1969), pagg. 117-118,
n. 2 | Massari, 1980, pag. 157, n. 229 (come Ghisi) ) | Lewis-Lewis, 1985, pag. 212, n. R 7
| Bellini, 1998, pagg. 304-305, n. F 24 | Borea, 2009, vol. I, pag. 105 e vol. II, cap. IX, n. 30
“Herbet fut le premier à attribuer cette gravure au Maître FG; Stefania Massari maintint l’attribution à Ghisi, croyant
apparemment qu’il existait une seconde estampe qui serait de “FG”. Michal, R. E. Lewis et moi-méme avons rejeté
l’attribution à Ghisi, estimant que l’estampe pourrait être l’oeuvre du graveur de Pénélope (?) et ses femmes faisant
de la toile. La similitude de son style et celui des estampes du graveur ici identifié comme Fagiuoli semblerait
assurer à cette estampe une place dans son oeuvre. Le Primatice séjourna en Italie à plusieurs reprises entre 1541
et 1546; il se peut qu’il ait apporté ces dessins et qu’il ait été en rapport avec Fagiuoli soit à Bologne, sa ville natale,
ou à Rome. Le filigrane, un objet inscrit dans un cercle, est presque certainement italien; Massari a répertorié un
filigrane de la lettre M surmontée d’une étoile dans un écu (cf. Briquet 8392)”. (Susanne Boorsch in La Gravure
Française à la Renaissance à la Bibliotèque nationale de France, 1995, pag. 339).
“L’interesse di Primaticcio nella riproduzione a stampa delle sue invenzioni è indicato inoltre dalla stretta
collaborazione con l’incisore noto come Maestro FG, che non lavora a Fontainebleau ma in Italia. Non è questa
la sede per considerare la sua produzione, ma l’accostamento delle sue incisioni con i disegni di Primaticcio ne
rivela la stretta dipendenza compositiva e stilistica, suggerendo che anch’egli ebbe accesso ai fogli originali di
Primaticcio. Le stampe del Maestro FG testimoniano che Primaticcio, consapevole delle importanti innovazioni che
andava elaborando a Fontainebleau, desiderava che le sue opere avessero più ampia circolazione. Le stampe
dell’incisore italiano, molto rifinite, fornivano il veicolo ideale a questo scopo: indicano con chiarezza l’autore delle
composizioni e la loro ubicazione, le replicano fedelmente e ne mantengono il verso. Le incisioni sono in forte
contrasto con le acqueforti più libere prodotte a Fontainebleau e raggiungono una precisione e un’abbondanza
di dettagli che è impossibile ottenere con l’acquaforte. Ciò può spiegare il motivo per cui Primaticcio portò i propri
disegni in Italia per farli riprodurre da un incisore professionista”. (Catherine Jenkins in Primaticcio un bolognese
alla corte di Francia, 2005, pagg. 42-43)
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Jan SADELER I
Brussels 1550 - Venezia 1600
36 Banchetto notturno con una “masquerade” - Una casa di
malaffare
Bulino mm 372x453. Stato unico. Al centro in basso, verso sinistra, il nome del pittore Joos van
Winghe, inventore del soggetto, seguito dalla data “Jodoc: a Wing: / figurauit. 1588”, verso destra
la firma di Sadeler calcografo del Duca di Bavaria “Joan Sadeler. Serenissimi / Bauariæ Ducis
chalcograph9 fe:”; In alto a ciascun lato della nicchia con la statua due tavolette con quattro righe
in latino: a sinistra “VENITE ET FRVAMVR BO- / NIS QUAE SVT, ET VTAMVR / CREATVRA
TANQUAM IN / IVVENTATE CELERITER” (Venite e godiamoci le cose buone che sono presenti
e serviamoci velocemente delle creature come in gioventù) e, a destra “NEMO VESTRV EXORS
SIT LVX / VRIAE NOSTRAE VBIQUE RELIN / QVAM9 SIGNA LETITIAE QVO- / NIA HAEC
EST SORS NOSTRA” (Nessuno sia lasciato senza la propria voluttà, lasciamo ovunque i segni
del nostro piacere poichè questa è la nostra sorte); nel margine bianco inferiore la citazione dal
Siracide: “VINVM ET MVLIERES APOSTATARE FACIVNT SAPIENTES ET OVI SE IVNGIT
FORNICATORIIS ERIT NEOVAM Sirach 19” (Il vino e le donne fanno ripudiare la fede anche
agli uomini sapienti e colui che si congiunge alle prostitute diverrà dissoluto). Magnifica prova
ricca di contrasto stampata su carta medio leggera con tracce di filigrana non leggibile. Foglio
completo alla linea di inquadramento a destra e sinistra; reintegro di circa 1 mm al bordo
superiore e di circa 2-3 mm a quello inferiore, due pieghe centrali verticali visibili al verso.
Le Blanc, 1854-1888, tomo III, pag. 400, n. 167 | Hollstein (Scheffer), vol. XXI, 1980, pag.
175, n. 559 | de Jongh-Luijten, 1997, pagg. 67-70, n. 6
“Joos van Winghe painted relatively few pictures, according to Karel van Mander ‘because he enjoyed company,
though he was no drunkard, taking pleasure in passing the time chatting over a jug of wine’. He therefore fleshes
out his biography by mentioning a number of ‘ingenious prints’ after drawings by the master, ‘in which his manner of
designing and his flowing spirit can be seen in the subtlety of the figures’. Van Mander calls one of them a ‘nocturnal
banquet with a masquerade’, which is undoubtedly this engraving by Johannes Sadeler. In its combination of
compositional ingenuity and originality of subject matter it fully bears out Van Mander’s opinion. It is a nice irony
that Van Winghe, himself not averse to a well-filled glass, should have seen fit to issue this warning against
dipsomania and the lusts of the flesh. For that is how the print must be viewed, given the inscription with its
quotation from the Wisdom of Jesus the Son of Sirach, the apocryphal book of the Bible that is better known today
as Ecclesiasticus. It comes from a passage on self-control, which begins with the admonition: ‘Go not after thy
lusts, but refrain thyself from thine appetites’ (Ecclesiasticus 18:30). The inscription is from a longer passage: Wine
and women will make men of understanding to fall away: and he that cleaveth to harlots will become impudent.
Moths and worms shall have him to heritage, and a bold man shall be taken away’ (Ecclesiasticus I9:2-3)”. (Eddy
de Jongh & Ger Luijten, Mirror of everyday life - Genreprints in the Netherlands 1550-1700, 1997, pagg. 67-68)
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Jan SADELER I
Brusseles 1550 - Venezia 1600
37 Le quattro stagioni
Bulini mm 175x225. Stato unico. Rara serie completa di quattro incisioni tratte da invenzioni
di Dirck Barendsz, pittore nato ad Amsterdam nel 1534 e conosciuto anche con i nomi di
Theodore Bernards e Theodorus Bernardus Amsterodamus, nome che compare nelle lastre
di questa suite; nel 1555 venne in Italia, a Roma e Venezia, dove ha lavorato nell’atelier di
Tiziano del quale, tra l’altro, ha dipinto un ritratto. Ciascuna incisione reca in alto verso il
centro il titolo e, nel bordo bianco inferiore, una quartina in latino disposta su due righe.
Magnifiche ed omogenee prove stampate con morbido tono di fondo su carta vergellata sottile
al cui verso è completamente leggibile il disegno, caratteristica delle prove precoci. Tutte
in perfetto stato di conservazione, a parte due minime macchie di ruggine nel bordo bianco
inferiore della seconda lastra (Aetas) e con margini di circa 50 mm attorno alla battuta del rame.
a. Primavera. In alto verso il centro il titolo “VER .”; in basso al centro il nome
dell’inventore del soggetto “T. Bernard A. Inuet.”.
b. Estate. In alto verso il centro il titolo “AESTAS .”; in basso al centro il nome dell’inventore
del soggetto “T. Ber. Iuet.”.
c. Autunno. In alto al centro il titolo “AVTVMNVS .”; in basso, a sinistra, il nome
dell’incisore “I. Sadeler scalps.” e verso il centro il nome dell’inventore “Theodor.
Bernard: inuet .” La lastra presenta gli angoli inferiore arrotondati.
d. Inverno. In alto verso destra il titolo “HYEMS .”; in basso verso destra il nome
dell’inventore del soggetto seguito dalla firma e dall’excudit dell’incisore e stampatore
Jan Sadeler “Theodor: Bern: Amst: inuet: I. Sadeler scalps . et exc:”. La lastra presenta
gli angoli inferiori arrotondati.
Le Blanc, 1854-1888, tomo III, pag. 400, n. 179 | Hollstein (Scheffer), vol. XXI, 1980, pag.
165, nn. 499-502
“On the rare occasions in the middle ages when the four seasons are depicted as personifications they are generally
presented as quasi-classical half figures. Spring, Summer and Autumn have retained the traditional attributes of
lowers, ears of corn and grapes, while Winter is represented by wind or snow, or is shown as a man sitting by
a fire, the form in which the months of December and January were depicted from the ninth century onwards.
Fire as the characteristic attribute of Winter can be found as far back as Ovid’s Remedia amoris (II: 187-188),
together with flowers for Spring, the harvest for Summer, and fruit for Autumn. […] The theme of four personified
seasons also seems to have appealed to other sixteenth-century Netherlandish print designers. In order to make a
proper assessment of the iconography of Heemskerck’s prints and of GoItzius’s related versions it is necessary to
compare them briefly with other, more or less contemporary depictions of the theme.” (Veldman, Seasons, Planets
and Temperaments in the Work of Maarten van Heemskerck Cosmo-Astrological Allegory in Sixteenth-Century
Netherlandish Prints, Simiolus: Netherlands Quarterly for the History of Art, 1980, vol. 11, n. 3/4, pag. 152 e pag. 156)
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Cherubino ALBERTI
Borgo San Sepolcro 1553 - Roma 1615
38 Sacra Famiglia in un paesaggio con San Giovannino e
Santa Elisabetta
Acquaforte mm 212x152. Stato unico. Rara incisione priva di monogramma come riportato da
Bartsch, tratta da un’invenzione di Girolamo Muziano. Magnifica e fresca impressione stampata
su carta coeva con vellutato tono di fondo, in perfetto stato di conservazione, completa del
bordo bianco inferiore di 18 mm e con margini di circa un centimetro attorno alla battuta del
rame sui quattro lati.
Bartsch, vol. XVII, pag. 60, n. 29 | TIB, vol. 34 (Buffa), 1982, pag. 147, ill. 29 | Manescalchi,
2007, pag. 61, n. 029.
“Although Alberti worked chiefly as a reproductive engraver, most of the artists whose work he engraved were no
longer living by the time he began his career and so he cannot have been employed by them as an engraver. In
the few instances where the artist is his contemporary, the plate usually remained in Alberti’s hands, indicating that
it had not been commissioned. If one of the goals of an engraver was to gain commissions, then Alberti’s career
was not marked by much success: income generated through commissions from publishers or artists or through
the sale of plates to publishers must have been negligible. If so few of Alberti’s plates were commissioned, who
determined what he should engrave, and how may he have earned a living as an engraver? The fact that so
many of his plates remained in his possession suggests that he exercised considerable independence in his work,
and that much of what he engraved was of his own choice. No doubt popular taste and print dealers, especially
those with whom he did business, influenced his selection of what to engrave, but it would appear that he was
more or less free to select whatever he wished. His income under these circumstances must have been derived
not from the selling of his plates or his services as an engraver, but from the sale of prints. Presumably, most of
the plates he engraved were taken to a printer and the resulting prints then sold through a dealer. Very probably,
once the plate was engraved, the market determined which prints would be printed, how many, and when.” (Ewart
Witcombe, Cherubino Alberti and the Ownership of Engraved Plates, Print Quarterly, 1989, vol. VI, n. 2, pag. 166)
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Francesco VILLAMENA
Assisi ca. 1555 - Roma 1702
39 Geminiano caldarostaro
Bulino mm 320x210. Stato unico. In basso a destra nell’immagine il monogramma
dell’Incisore “FV” a lettere sovrapposte. Nel margine inferiore due versi di quattro righe
ciascuno che descrivono il soggetto inciso; tra i versi, la dedica a Giovanni Orlando e,
sotto, la firma di Villamena “F. Villamena F.” Ai lati il privilegio. Magnifico esemplare
nitido e brillante con ben evidenti le linee guida della scrittura, caratteristica delle prove
precoci. Sottili margini oltre la battuta del rame ed in ottimo stato di conservazione.
Kühn-Hattenhauer, 1979, pag. 126 | Bury, 2001, pagg. 167-168, n. 116
Alrhough some of these figures appear to be real individuals, familiar to Villamena and to those to whom he
dedicated the prints, the tradition from which they come is that of representations of trades. There are Flemish
engravings that could have had an influence, for example the interesting series of Four Elements of 1597,
which figured trades, by Claesz Jansz. But there were already prints of subjects very close to Villamena’s
circulating in Rome in the 1580s, as is suggested by the roast-chestnut seller (‘il Caldarostaro’) and the chimney
sweep (‘il spazzo Camino’) listed among the prints of Pietro de’ Nobili in 1584. As McTighe pointed out, this
figure of Geminiano demonstrates a very different attitude from that adopted in Carracci’s Arti di Bologna.
Villamena makes the figure grotesque. In the doggerel verse in the margin it is said that his shout is so loud
that it would make Hell shake. It is clear that this is meant to be humorous and Villamena follows a tradition
that goes back to Dürer’s Peasant at Market. (Michael Bury, The print in Italy 1550-1620, 2001, pag. 168)
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Lodovico CARRACCI
Bologna 1555 - ivi 1619
40 Madonna col Bambino e angeli
Acquaforte e bulino mm 162x115. Primo stato su tre. In basso a sinistra la sigla di Lodovico
seguita dall’excudit dello stampatore Stefanoni “Lo. C. Petri Stephanony Exc.”. Bellissima
impressione in perfette condizioni di conservazione, con l’impronta del rame visibile a tratti.
Bartsch, vol. XVIII, pagg. 24-25, n. 2 | Bertelà-Ferrara, 1973, n. 338 | De Grazia,1984,
pag. 254, n.3 | T.I.B. Commentary, vol. 39 (Bohn), part. 2, 1996, pagg. 133-138, n. .004 |
Cristofori, 2005, pagg. 357-359, n. 4
“Ludovico Carracci is generally considered the mannerist of the Carracci family. Although he collaborated with
Annibale and Agostino in founding the Carracci Academy, both his activity as a teacher and his commitment to life
drawing have been disparaged or ignored by every writer except Malvasia, whose reliability is usually discounted
for its Bolognese campanilismo. Particularly since Bodmer’s work on the Carracci in the 1930s, writers have
contrasted Ludovico the mannerist with Annibale the classicist, a distinction that has been applied with particular
emphasis to the drawings. Annibale’s characteristic drawings are vibrant figure studies in black or red chalk, drawn
from life and made in preparation for paintings. Modern scholarship has contrasted Annibale’s preference for
chalk with Ludovico’s predilection for pen and ink. For Ludovico, the calligraphic potential of the pen promoted
a linear elegance and expressiveness that ultimately superseded its functional role in pictorial design. Most of
Ludovico’s drawings are thought to be polished virtuoso performances, more like finished works of art than working
drawings.” (Bohn, The Chalk Drawings of Ludovico Carracci, Master Drawings, 1984, vol. 22, n. 4, pag. 405)
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Lodovico CARRACCI
Bologna 1555 - ivi 1619
41 Sacra Famiglia sotto un arco
Bulino mm 265x327. Quarto stato su quattro, dopo la cancellatura dell’indirizzo dello
stampatore Orlandi nel bordo in basso a sinistra, dove residuano alcune tracce. Sulla
balaustra, a sinistra, la firma di Lodovico “Lodouicus Carraccys in. fe.”. Bellissimo
esemplare stampato con tono su carta coeva con filigrana “ancora inscritta in un cerchio”
ø 45 mm, solo parzialmente leggibile (fil. n. 18). Al verso residui di antichi supporti in
corrispondenza degli angoli e due aree di abrasione inferiormente verso il centro, per il resto
in ottime condizioni di conservazione. Completo all’impronta del rame con filo di margine
visibile a tratti su tre lati, al lato inferiore filo di margine oltre la linea di inquadramento.
Bartsch, vol. XVIII, pag. 26, n. 4 | Bertelà-Ferrara, 1973, n. 343 | De Grazia,1984, pagg.
252-253, n. 1 | T.I.B. Commentary, vol. 39 (Bohn), part. 2, 1996, pagg. 117-120, n. .001 | Bury,
2011, pagg. 87-88, n. 51 | Cristofori, 2005, pag. 355, n. 1
“Ma c’e un altro aspetto che mette in evidenza come nel laboratorio artistico dei Carracci si fosse sviluppata una
certa considerazionc per le ambiguità visive [...]. Secondo il Malvasia, nell’officina bolognese dei Carracci, Agostino
aveva elaborato certi ‘enimmi’ o ‘divinarelli pittorici’ che con pochissime e semplici linee ‘gran cosa racchiudevano’.
Si tratta cioé di diversi indovinelli visivi la cui soluzione è basata proprio sulla possibilità di un’interpretazione arguta
di certi segni grafici: in sostanza si presuppone che anche alcuni elementari tratti apparentemente insignificanti
possano alludere a figure precise, cosi come alcune conformazioni naturali possano essere interpretate in senso
antropomorfo. Ad esempio - precisa il Malvasia - in uno dei fogli carracceschi appariva una linea verticale con un
semicerchio nella parte superiore sinistra ed una linea obliqua in quella inferiore: il disegno andava interpretato
come ‘un Cieco’ del quale si intravede però solamente il ‘bossolo [il semicerchio]’ per l’elemosina e il ‘bastone
[la linea obliqua]’ per il cammino, dal momento che la ‘cantonata di un muro [la linea verticale]’ occulta l’intera
figura del cieco che deve essere completata mentalmente dall’osservatore. Questa interpretazione ‘autentica’ ci
fa sorridere, ma bisogna riconoscere che, una volta svelata, ha una sua precisa logica. Tutte le immagini casuali
in fondo non sono altro che ‘divinarelli pittorici’, cioé forme ambigue che hanno suscitato negli artisti una ricerca
formale e che risvegliano anche nell’osservatore il gusto per il disvelamemto dell’ambiguità (pur con tutto il rischio
di una iperinterpretazione).” (Berra, Immagini casuali, figure nascoste e natura antropomorfa nell’immaginario
artistico rinascimentale, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 1999, 43. Bd., H. 2/3, pag.402)
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Agostino CARRACCI
Bologna 1557 - Parma 1602
42 Le tentazioni di Sant’Antonio Abate
Bulino, mm 501x329. Primo stato su due con l’indirizzo di Luca Bertelli e la data 1582
“Luca Bertelli For. / Anno -M-D-L-xxxıı”, in basso a destra nel margine bianco. A sinistra il
nome del Tintoretto, inventore del soggetto, “Iacobo Tintoreti pictoris Veneti prestantissimi
inuentum.” su tre righe. Al centro, su due righe, la descrizione del tema in latino “Antonius,
cum Demones uario sub aspectu ipsum infestantes perpetua patientia superasset, uiso
Domino confortantur.”. Magnifica prova, brillante e con intenso effetto plastico e con
ancora ben evidenti le linee di allineamento delle scritte stampata su carta con filigrana
“ancora a linea singola inscritta in un cerchio sormontato da un quadrifoglio” ø 40x35
mm, simile a Woodward n. 179 e n. 180, riferibile a carta veneta del 1566 (fil. n. 19); in
ottime condizioni di conservazione con piega centrale orizzontale visibile solo al verso, di
norma usuale in fogli di queste dimensioni e tracce di antichi supporti al verso nel margine
superiore a sinistra. Completa alla linea di inquadramento e in maniera discontinua con
filo di margine e impronta del rame visibile a tratti. Provenienza: collezione K.F.F. Nagler
(1770-1846), al verso timbro in blu, Lugt n. 2529; collezione C. Mienzil (1855-1916), al
verso timbro in nero, Lugt n. 599; collezione Kupferstichkabinett der Staatlichen Museen di
Berlino, al verso timbro in nero, Lugt n. 1606 e timbro di cessione in bruno, Lugt n. 2482.
Bartsch, vol. XVIII, pag. 69, n. 63 | Bertelà-Ferrara, 1973, n. 178 | De Grazia, pagg. 124-125,
n. 101 | Chiari Moretto Wiel, 1994, pagg. 19-20, n. 1 | T.I.B. Commentary, vol. 39 (Bohn), part
1, 1995, pag. 119 n. .096 | Cristofori, 2005, pagg. 141-142, n. 71
“Agostino’s early fame rested primarily on his abilities as a reproductive engraver, an activity the possibilities of which
he utterly transformed. It is remarkable how frequently, and often radically he altered his models, changing poses,
spatial relationships, and proportions at will, but more significant are his formidable analytic powers. Agostino’s
purpose was never simply to reproduce his model, but to rationalize it, to furnish the viewer with an image of a famous
painting together with the means for interpreting and understanding it. […] It is notable that Agostino invariably
renders the figures of Veronese, Titian or Barocci with much greater anatomical definition than ever they did, even
while giving the illusion of remaining absolutely faithful to the essential nature of their styles. And indeed he is faithful
to a critically articulated idea of the perfection of their individual styles - anyone with the slightest familiarity with their
works cannot fail to identify correctly the author of a painting reproduced by Agostino - but at the same time he is
critically responsive to a perceived notion of their imperfections, which he does not hesitate to correct even at the cost
of substantial variations from the model. Agostino’s reproductive engravings are not only descriptive, in other words,
but also prescriptive, exemplary.” (Dempsey, Le stampe dei Carracci, Print Quarterly, 1985, vol. II, n. 1, pag. 65)
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Hendrick GOLTZIUS
Mühlbracht 1558 - Haarlem 1617
43 Le nove muse
Bulini mm 248-249x168-169. Suite completa di nove incisioni. Ciascun foglio porta nel margine inferiore quattro
versi in latino di Franco Estius, disposti su due righe. Tutte magnifiche e nitide impressioni stampate in modo
omogeneo su carta coeva con filigrane varie. Fogli perfetti completi di margini di ca. 3-5 mm per il numero 1 e
di ca. 35-45 mm per tutti gli altri.
1.Calliope. Terzo stato su cinque dopo la correzione apportata alla parola “Chlcographo” in “Chalcographo”
con l’aggiunta della “a” soprascritta. Calliope, musa che presiede alla poesia epica o narrativa e all’eloquenza,
costituisce la prima lastra della serie. In basso a sinistra la data “Ao 1592.” e, a destra, la firma dell’incisore
“HGoltzius Inuent. et Sculpor.” (H e G sovrapposte). Al centro, in un cartiglio seguito dal numero “I .”, la dedica
di Goltzius all’amico Jan Sadeler, incisore di corte del duca di Bavaria a Monaco “Ioanni Sadelero Serenis.
mi Ducis Bauariae Chalcographo, amico unice dilecto, Nouem hasce Musas HGoltzius amicitiae ergo D.D” .
Filigrana: “giullare” (fil. n. 20).
2.Talia. Secondo stato su tre. Musa che presiede alla commedia. In basso verso il centro il numero “2” e a destra
il monogramma dell’incisore “HG. Fecit” (HG sovrapposti). Filigrana: “stemma coronato con sottostante lettera
B” (fil. n. 21).
3.Melpomene. Secondo stato su tre. Musa della tragedia. In basso verso il centro il numero “3” e a destra il
monogramma dell’incisore “HG. Fecit.” (HG sovrapposti). Filigrana: “stemma coronato con sottostante lettera
B” (fil. n. 21).
4.Clio. Primo stato su due. Musa della storia. In basso verso sinistra il numero “4” e a destra il monogramma
dell’incisore “HG. Fecit.” (HG sovrapposti). Filigrana: “stemma coronato con sottostante lettera B” (fil. n. 21).
5.Tersicore. Secondo stato su tre. Musa protettrice della danza e della musica corale. In basso verso destra il
numero “5” seguito dal monogramma dell’incisore “HG Fe” (HG sovrapposti). Filigrana: assente.
6.Euterpe. Primo stato su due. Musa della musica. In basso verso sinistra il numero “6” e a destra il monogramma
dell’incisore “HG. Fecit.” (HG sovrapposti). Filigrana: “stemma coronato con sottostante lettera B” (fil. n. 21).
7.Erato. Secondo stato su tre. Musa del canto corale e della poesia amorosa. E’ generalmente raffigurata in una
veste ondeggiante, con in mano una lira o la cetra, ma Goltzius la rappresenta con gli attributi della matematica,
cioè con un compasso e una sfera in mano, un’asta e una squadra posate per terra. In basso verso sinistra il
monogramma dell’incisore “HG. Fecit.” (HG sovrapposti) e, al centro, il numero “. 7 .”. Filigrana: “stemma
coronato con sottostante lettera B” (fil. n. 21).
8.Polimnia. Secondo stato su tre. Polimnia presiede al canto sacro ed è talvolta associata anche alla retorica.
In basso verso sinistra il numero “8” e a destra il monogramma dell’incisore “HG Inuent” (HG sovrapposti).
Filigrana: “stemma coronato con bande e sottostanti lettere FB” (fil. n. 22).
9.Urania. Secondo stato su tre. Musa dell’astronomia. In basso a sinistra il numero “9” e a destra il nome
dell’incisore “HGoltzius Inuent. et sculpt. ” (HG sovrapposti). Filigrana: non leggibile.
Bartsch, vol. III, pagg. 45-46, n. 146-154 | Strauss, 1977, vol. 2, pagg. 536-553, nn. 299-307 | T.I.B.Commentary
(Strauss), vol. 3, 1982, pagg. 129-145, nn. .146 -.154 | The New Hollstein (Leesberg), Goltzius, part I, 2012, pagg.
193-215, nn. 129-137
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Orazio FARINATI
Verona 1559 - ivi 1616
44 Deposizione dalla Croce
Acquaforte mm358x557. Quarto stato (unico conosciuto da Bartsch) su cinque. Nell’angolo
inferiore sinistro il monogramma del Farinati “HO.F.V.F” seguito dalla data “1593”; a destra, in
basso, sul lato del sarcofago, il nome di Paolo Farinati, inventore del soggetto “paulus farinatus
inuentor”; sempre in basso, verso il centro, l’excudit di Dall’Oglio “Gasparo dal olio exc.”, editore
attivo nella seconta metà del XVI° secolo; sotto il giglio ai piedi della croce, la conchiglia a forma
di chiocciola con la quale Orazio, seguendo l’esempio del padre Paolo, contrassegna le proprie
opere. Bella prova stampata su carta con filigrana “tre mezze lune” simile a Woodward n. 144,
riferibile a carta veneta della seconda metà del XVI° secolo (fil. n. 23); ottimo stato di conservazione
dell’esemplare completo alla linea di inquadramento con filo di margine visibile a tratti.
Bartsch, vol. XVI, pag. 169, n. 2 | Le Blanc, vol. II, pag. 218, n. 4 | D’Amico, 1980, pagg. 5859, n. 270 | Marini-Primerano-Pesci, 1998, pagg. 84-85, n. 29 | Marini-Marini-Rossi, 2005,
pag.219, n. 206 | Borea, 2009, vol. I, pag. 191 e vol. II, cap. XVII, n. 18
“La stampa riproduce in controparte la pala in forma di trittico dipinta nel 1573 per la distrutta chiesa veronese
dei cappuccini, da dove è stato rimosso in seguito alle soppressioni napoleoniche e smembrato tra il museo
di Grenoble e la parrocchiale di Arona. La parte centrale della composizione è stata fissata graficamente da
Farinati in un bel disegno dai densi colori bruciati (cat. 159), foglio che fu il tramite per un’ulteriore versione del
dipinto, datata al 1589, oggi nella chiesa dei francescani di Trento. Forse sotto l’influsso delle xilografie di grande
formato derivate da opere di Tiziano, anche qui Orazio impagina la scena con grande respiro, sebbene sempre
condizionato dall’approccio traduttivo dei dipinti paterni.” (Giorgio Marini in Paolo Farinati 1524-1606 – Dipinti,
incisioni e disegni per l’architettura, 2006, pag. 219)
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Jan Pietersz SAENREDAM
Zaandam 1565 - Assendelft 1607
45 Marco Furio Camillo arriva a Roma per negoziare con i Galli
Bulino mm 358x565. Primo stato su tre, antecedente l’excudit del Visscher che viene aggiunto
a destra della firma dell’incisore nel secondo stato, unico stato conosciuto da Adam Bartsch. In
basso verso sinistra la firma di Saenredam “I. Saenredam sculp” e nel bordo bianco inferiore
una scritta in latino su due righe. L’incisione deriva da un disegno eseguito da Goltzius durante
il suo soggiorno a Roma nel 1592 tratto, a sua volta, da un fregio di Polidoro da Caravaggio.
Magnifico esemplare, brillante e contrastato, stampato su carta di media pesantezza con
filigrana “frecce” simile a Briquet n. 6283, riferibile a carta del 1578 (fil. n. 24). In ottimo
stato di conservazione e completo di sottile margine attorno alla linea di inquadramento.
Bartsch, vol. III, pag. 230, n. 32 | Le Blanc, 1854-1888, tomo III, pag. 405, n. 85 | The New
Hollstein (Leesberg), Goltzius, part IV, 2012, pag. 12, n. 630
“Because, like sculptures and works in grisaille, engravings were considered monocromati, and because both
media depended on the caelum (the Latin term for the sculptor’s chisel as well as for the engraver’s burin), prints
were a particularly useful way to celebrate modern inventions as ancient sculptures. Such a conceit motivates the
eulogy of a book by Quintus Aemilianus printed in Venice in 1483: He who first formed Latin letters in copper and
taught [us] to engrave sacred books in copper: / Don’t you think he has outdone the said Myron’s caelum, Phidias’s
Venuses and Parrhasias’s Joves? / I believe he has even surpassed the labors of Daedalus and has possessed
the hand of Pallas Athena.” (Viljoen, Prints and False Antiquities in the Age of Raphael, Print Quarterly, 2004, vol.
XXI, n. 3, pag. 244)
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Jan Pietersz SAENREDAM
Zaandam 1565 - Assendelft 1607
46 Carità
Bulino mm 302x207. Secondo stato su tre, antecedente all’excudit del Visscher posto a destra
della firma dell’incisore e del numero 2 in basso a destra, caratteristiche del terzo stato. Il
primo stato, ante litteram e prima della riduzione della lastra, è conosciuto in un’ unica “proofimpression” conservata ad Amsterdam. In basso, verso il centro, il monogramma del Goltzius,
inventore del soggetto, seguito dalla firma di Saenredam “HGoltzius Inuent . I. Sanredam
Scupt.”. Nel margine bianco inferiore due versi in latino su un’unica riga. L’incisione fa
parte di una serie di tre lastre rappresentanti le Virtù Cardinali: Fede, Speranza e Carità.
Magnifico esemplare nitido e brillante stampato su carta con filigrana “aquila”, simile a
Briquet n. 124, riferibile a carta fiamminga dell’ultimo quarto del 1500 (fil. n. 25). Foglio
completo di sottili margini attorno alla battuta della lastra; piega centrale orizzontale visibile
al verso, uno strappo riparato al bordo sinistro, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Bartsch, vol. III, pag. 246, n. 83 | Le Blanc, 1854-1888, tomo III, pag. 405, n. 75 | Hollstein
(Keyes), vol. XXIII, 1980, pag. 37, n. 43 | The New Hollstein (Leesberg), Goltzius, part III,
2012, pag. 186, n. 514
“By far the most talented and imaginative Dutch draughtsman of the late-sixteenth century was the printmaker and
painter Hendrick Goltzius (1558-1617), active for most of his career at Haarlem and much influenced by the High
Mannerism of his near-contemporary Bartholomeus Spranger (1546 - after 1627). In no other medium than in his
drawings can this virtuosity be more readily seen, a virtuosity that lives on into the prints for which so many are
preparatory.” (Turner, Two new drawings by Goltzius related to prints, Print Quarterly, 1984, vol. I, n. 4, pag. 267)
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Aegidius II SADELER
Anversa 1570 - Praga 1629
47 Ritratto allegorico di Bartholomeus Spranger e Christina Muller
- Barholomeus Spranger e la moglie separati dalla morte
Bulino mm 294x415. Raro primo stato su due, antecedente all’excudit di Marco Sadeler “Marco Sadeler excudit” nel bordo bianco inferiore verso destra. Nel margine la dedica in latino, su
due righe, di Aegidius a Spranger. La parte destra della composizione è dedicata all’elogio funebre della sposa di Spranger, Christina ed allude all’invincibilità della morte; la parte sinistra
è riservata a Bartholomeus e alla celebrazione del suo valore artistico che riesce a superare la
morte stessa. Magnifico esemplare, contrastato e con vellutati toni di fondo, stampato su carta
con filigrana “pigna in uno stemma” simile a Briquet n. 2122, Praga 1572-1581 (fil. n. 26).
Piccolo strappo riparato al bordo inferiore, alcune macchie visibili al verso ed un’abrasione
ritoccata, per il resto in ottimo stato di conservazione.
B. Linnig, 1911, pag. 157 | Hollstein (Scheffer), vol. XXI, 1980, pag. 72, n. 332 | AvagninaCecchinato-Villa (Pontarin), 2004, pag. 37, n. 15 | Volrábová - Kubíková, 2012, pag. 48 e pag.
158, n. II 12
“This superb print is the fruit of the friendship and creative collaboration between the engraver Aegidius Sadeler
and the painter Bartholomeus Spranger. As is noted in his Latin dedication, through this sheet Sadeler ‘made public’ Spranger’s grief over the loss of his beloved wife Christina (‘Aegidius Sadeler, who admires the art and requited
love of the loving / Spranger /, made public the private tears of Bartholomeus Spranger and out of mutual affection
dedicated / this engraving / to him.’). The wording of this dedication implies that Sadeler’s creative input need not
have consisted only of the graphic reproduction of Spranger’s design, but that he may have contributed to the allegorical scene in greater measure.[...] This elegy abounding in meaning is justifiably one of the most renowned
engravings of Rudolfine Mannerism. Owing to its superb artistic treatment, emotional charge, devised iconography
and highly topical message, this masterpiece is a timeless expression of reflections on human mortality and the
significance of devoted love and artistic creativity in life.” (Alena Volrábová - Blanka Kubíková, Rudolf II and Masters of Printmaking, 2012, pag. 158)
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Aegidius II SADELER
Anversa 1570 - Praga 1629
48 Le tre Marie ritornano dalla tomba di Cristo
Bulino mm 517x366. Secondo stato su due, dopo l’aggiunta dell’excudit di Marco Sadeler “Marco
Sadeler excudit” nel margine a destra. In basso a sinistra, nell’inciso, il privilegio “Cῡ. Priuil. Sui
Pontif. et Sac. Cæ. M.tis” e, a destra, il nome di Bartolomeo Spranger autore del dipinto del 1598
attualmente a Vienna ma che era parte di un retable commissionato per la chiesa di Tutti i Santi
nel Castello di Praga, dal quale è tratta l’incisione “Bart. Spragers Jnuentor”. Nel bordo inferiore
tre versetti di due linee ciascuno seguiti dalla dedica “SERENISS.æ MARIÆ ARCHIDUCISÆ
AUSTRIÆ, ETC. DUCISÆ BAVARIÆ, ETC: VIDVÆ PIETATI, / Egidius Sadeler Sac. C.eæ
M.tis Sculptor obtulit humiliter anni 1600 initio”. Magnifico e brillante esemplare stampato su
carta vergellata pesante coeva in perfetto stato di conservazione e completo alla battuta del rame.
Le Blanc, 1888, vol. 3, pag. 395, n. 28 | Hollstein (Scheffer), vol. XXI, 1980, pag. 21, n. 60 |
Volrábová-Kubíková, 2012, pagg. 94 e 179, n. IV 6
“The print was created after a painting by Bartholomeus Spranger from 1598 (Kunsthistorisches Museum,
Vienna) that had been part of an altarpiece commissioned for the All Saints’ Church at Prague Castle.[...]
Sadeler’s masterful use of the burin to reproduce in engraving the painter’s distinctive brushwork with the subtle
gradations of shading was widely acknowledged. Employing delicate lines, the engraver achieved a rich gamut of
lights and darks in this print, ranging from the luminous background to the women’s chiaroscuro clothing - a feature
already characteristic of the painting on which it was based. In certain details, Sadeler’s creative idiom closely reflects
the style of the Dutch engravers Jan Harmensz Muller and Hendrick Goltzius. The women’s facial features and hands
in particular are done with a sense of volume that the artist achieved by employing dramatically thinning lines.[...]
Sadeler’s engraving became a source of inspiration for an etching by Jacques Bellange, a French Mannerist
printmaker, who adopted the composition of the central group.” (Alena Volrábová - Blanka Kubíková, Rudolf II and
Masters of Printmaking, 2012, pag. 179)
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Aegidius II SADELER
Anversa 1570 - Praga 1629
49 Ercole e Onfale
Bulino mm 440x320. Stato unico. Nell’angolo inferiore sinistro il privilegio “Cu. Privil.
Sac. Cæ. M.tis” ed in quello destro il nome di Bartolomeo Spranger, autore del dipinto, ora
perduto, dal quale è tratta l’incisione, seguito dalla firma del Sadeler “Bart. Sprangers Inventor
/ Eg. Sadeler ”. Nel margine inferiore tre colonne di testo su due righe. Bellissimo esemplare
stampato con tono su carta vergellata pesante coeva con filigrana solo parzialmente leggibile
(fil. n. 27), in ottimo stato di conservazione con filo di margine oltre l’impronta della lastra.
Hollstein (Scheffer), vol. XXI, 1980, pag. 30, n. 106 | Volrábová-Kubíková, 2012, pagg. 70 e
168, n. III 8
“This engraving was modelled after a now-lost painting by Spranger. Apollodorus gives an account of Hercules being
sent as a slave to Omphale, Queen of Lydia, for a period of three years after having killed his friend Iphitus in a fit
of rage. The queen made Hercules her lover and let him live among her maids. He wore female garb and women’s
adornments, and learned to use the distaff and spindle. Conversely, Omphale adopted his attributes: the lion’s skin
and club, thereby exchanging their roles. A favourite subject of sixteenth-century artists, this was yet another visual
motif demonstrating female power (Weibermacht) or folly as a consequence of love (Lieberstorheiten). These
tales turned for inspiration to the Bible (Samson and Delilah, Judith and Holofernes, Herod and Salome) or to
medieval legends (Aristotle and Phyllis). Both these texts and the ensuing imagery bore the moral lesson that even
a wise man can behave like a fool, if he succumbs to the alluring charms of a woman.” (Alena Volrábová - Blanka
Kubíková, Rudolf II and Masters of Printmaking, 2012, pag. 168)
100
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Jacob MATHAM
Haarlem 1571 - ivi 1631
50 I quattro elementi
Bulino mm 297x210. Raro primo stato su tre antecedente all’excudit del Visscher e alla
doppia numerazione. Prima lastra di una serie di otto incisioni rappresentanti soggetti
allegorici e di mitologia. In basso a sinistra il numero “1” e, a destra, il nome di Goltzius
inventore del soggetto e la data “HGoltzius jnue. / et excud. Ao 1588”. Nel bordo inferiore
quattro linee di versi in latino in due colonne. Superbo esemplare contrastato e stampato
con plate tone su carta con filigrana “aquila coronata con lettera B” simile a Briquet nn.
184 e 185 riferibile a carta del 1589-1591 (fil. n. 28). Residui di antichi supporti al verso
in corrispondenza degli angoli superiore destro ed inferiore sinistro, per il resto in perfetto
stato di conservazione. Piccoli margini oltre l’impronta della lastra su tutti e quattro i lati.
Bartsch, vol. III, pag. 200, n. 278 (1) | Davis, 1988, pag. 286, n. 130 | The New Hollstein
(Widerkehr), Matham, part III, 2008, pag. 101, n. 348 | The New Hollstein (Leesberg), Goltzius,
part IV, 2012, pag. 31, n. 641
102
103
Jacob MATHAM
Haarlem 1571 - ivi 1631
51 I cinque sensi
Bulino mm 299x210. Raro primo stato su due, antecedente alla seconda numerazione aggiunta nel
bordo inferiore. Seconda lastra di una serie di otto incisioni rappresentanti soggetti allegorici e di
mitologia. In basso a sinistra il numero “2” e, verso destra, il monogramma di Goltzius inventore
del soggetto “HG. Jnuent ∙”. Nel bordo inferiore quattro linee di versi in latino in due colonne.
Superbo esemplare stampato con plate tone su carta con filigrana “aquila coronata con lettera B”
simile a Briquet nn. 184 e 185 riferibile a carta del 1589-1591 (fil. n.28). In perfette condizioni di
conservazione e completo di piccoli margini oltre l’impronta della lastra su tutti e quattro i lati.
Bartsch, vol. III, pag. 200, n. 279 (2) | The New Hollstein (Widerkehr), Matham, part III,
2008, pag. 101, n. 349 | The New Hollstein (Leesberg), Goltzius, part IV, 2012, pag. 31, n. 642
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Jacob MATHAM
Haarlem 1571 - ivi 1631
52 L’alleanza di Venere con Bacco e Cerere
Bulino mm 299x209. Raro primo stato su due, antecedente alla seconda numerazione
aggiunta nel bordo inferiore. Terza lastra di una serie di otto incisioni rappresentanti soggetti
allegorici e di mitologia. In basso a sinistra il numero “3” e, al centro, il monogramma di
Goltzius inventore del soggetto “HG. Jnuent.”. Superbo esemplare stampato con plate
tone su carta con filigrana “aquila coronata con lettera B” simile a Briquet nn. 184 e
185 riferibile a carta del 1589-1591 (fil. n. 28). In perfette condizioni di conservazione
e completo di piccoli margini oltre l’impronta della lastra su tutti e quattro i lati.
Bartsch, vol. III, pag. 200, n. 280 (3) | Davis, 1988, pag. 287, n. 131 | The New Hollstein
(Widerkehr), Matham, part III, 2008, pagg. 101-102, n. 350 | The New Hollstein (Leesberg),
Goltzius, part IV, 2012, pag. 32, n. 643
“The Alliance of Venus, Bacchus and Ceres in the Ashmolean [Museum] is executed in pen and black ink, with
wash in grey body-colour; the outlines are indented for transfer. The composition is that of the third in a set of eight
prints of mythological and allegorical subjects engraved in 1588 after Goltzius’s designs by his stepson, Jacob
Matham (1571-1631); the Oxford drawing is a study in reverse for the print, corresponding in size with the engraved
image. The drawing is in poor condition, as is so often the case with those used by engravers for the transfer of a
design to the plate, and this may explain Parker’s dismissiveness in cataloguing it. Included in a section headed
‘Copies after Hendrick Goltzius’, Parker states that the ‘quality of the penwork seems hardly good enough to be
by Goltzius himself, and it is probable, moreover, that the original was in the opposite direction (i.e. right-handed)’,
adding that the drawing is ‘presumably therefore ... a reversed copy by Matham, indented for transfer to the
copper plate’. Leaving aside for the moment Parker’s objections as to the drawing’s quality, it is useful at this point
to consider the three other surviving drawings by Goltzius for this same series of prints, all of three of which are
discussed by Reznicek (who, however, seems to have overlooked the Oxford drawing) in his fundamental study
of Goltzius as a draughtsman published in 1961. They are The Alliance of Athena and Mercury in the collection
of R. Landolt at Chur for the fourth in the series (Reznicek no. 134, pl. 80); The Seven Virtues in the Graphische
Sammlung in Munich for the fifth (Reznicek no. 81, p.78); and The Three Graces in the Kupferstichkabinett in
Berlin for the eighth (Reznicek no. 133, pl. 79). It is possible that none of the three related drawings was known to
Parker at the time he catalogued the Oxford drawing more than fifty years ago: only the Berlin sheet had previously
been included in the literature, having been mentioned briefly, but not reproduced, in Hirschmann’s 1919 study of
Goltzius’s prints. Both the Landolt and Berlin drawings are in red chalk and, according to Reznicek’s description
of their technique, have not been gone over with the stylus. On the other hand, the Munich drawing, to which that
in Oxford is stylistically very close and which is drawn in the similar technique of pen and wash (but with brown
body-colour), has been indented for transfer. All three drawings are in reverse to the prints with which they are
connected. If we assume, therefore, that all of Goltzius’s finished preliminary drawings for this set of prints were
drawn in reverse, Parker’s hypothesis that the Oxford drawing is a ‘reversed copy’ by the engraver is weakened,
on the simple, practical ground that such a copy would have been redundant, since the design with which Matham
would have been furnished would, in all probability, have already been in reverse. (Turner, Two New Drawings by
Goltzius related to Prints, Print Quarterly, 1984, vol. I, n. 4, pag. 268-270)
106
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Jacob MATHAM
Haarlem 1571 - ivi 1631
53 Le sette Virtù
Bulino mm 299x210. Raro primo stato su due, antecedente alla modifica del numero 7 in 5
e alla doppia numerazione aggiunta nel bordo bianco inferiore. Quinta lastra di una serie di
otto incisioni rappresentanti soggetti allegorici e di mitologia. In basso a sinistra il numero
“5” e, verso il centro, il monogramma di Goltzius inventore del soggetto “HG. Jnuent.”. Nel
bordo inferiore quattro linee di versi in latino in due colonne. Superbo esemplare stampato
con plate tone su carta con filigrana “Giglio in uno scudo con lettere WR” simile a Briquet
n. 7165 riferibile a carta datata 1587 (fil. n. 29). In perfette condizioni di conservazione a
parte una piega centrale orizzontale visibile solo al verso. Foglio completo di piccoli
margini oltre l’impronta della lastra su tutti e quattro i lati. Provenienza: collezione W.
Coningham (1815-1884), al recto timbro a secco con il monogramma “C”, Lugt n. 476.
Bartsch, vol. III, pag. 200, n. 282 (5) | The New Hollstein (Widerkehr), Matham, part III,
2008, pag. 102, n. 352 | The New Hollstein (Leesberg), Goltzius, part IV, 2012, pag. 33, n. 645
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Jacob MATHAM
Haarlem 1571 - ivi 1631
54 Le tre Parche
Bulino mm 299x210. Raro primo stato su due, antecedente alla seconda numerazione aggiunta
nel bordo inferiore. Settima lastra di una serie di otto incisioni rappresentanti soggetti allegorici
e di mitologia. In basso a sinistra il numero “7.” e un po’ dopo, il monogramma di Goltzius
inventore del soggetto “HG. Jnuent ∙”. Nel bordo inferiore quattro linee di versi in latino
in due colonne. Superbo esemplare stampato con plate tone su carta con filigrana “aquila
coronata con lettera B” simile a Briquet nn. 184 e 185 riferibile a carta del 1589-1591 (fil.
n. 28). In perfette condizioni di conservazione a parte alcuni residui di colla al verso. Foglio
completo all’impronta del rame su tre lati e con filo di margine oltre la battuta al lato inferiore.
Bartsch, vol. III, pag. 200, n. 284 (7) | The New Hollstein (Widerkehr), Matham, part III, 2008,
pag. 103, n. 354 | The New Hollstein (Leesberg), Goltzius, part IV, 2012, pagg. 33-34, n. 647
110
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Jacob MATHAM
Haarlem 1571 - ivi 1631
55 Gli amori degli dei
Suite completa di quattro stampe in secondo stato su due, dopo l’aggiunta dell’excudit del
Visscher nella prima lastra e della doppia numerazione in tutte le lastre. Bellissime prove
stampate con tono in maniera omogenea su carta con filigrana non completamente leggibile
“stemma coronato con leoni rampanti”(?) riferibile a carta fiamminga della prima metà del
’600 (fil. n. 30). Tutte in perfetto stato di conservazione con margini di ca. 5-6 mm attorno alla
battura del rame sui quattro lati.
a. Giove ed Europa
Bulino mm 278x193. In basso verso sinistra il nome di Goltzius inventore del soggetto “H
Goltzius Inue.” e, subito sotto, il nome dell’incisore “I. Matham sculp.”. Nell’angolo in basso a
sinistra l’excudit di Claes (diminutivo di Nicolaes) Jansz Visscher “CIVisscher excudit” (lettere
CIV sovrapposte). Il numero “I.”, presente nel primo stato, è stato trasformato nella lettera I
delle iniziali di Visscher. Nel margine inferiore due righe in latino su due colonne e le iniziali
di Franco Estius “F.E.”, autore dei versi e, a destra, il numero “1” della seconda numerazione
caratteristica del secondo stato.
b. Apollo e Leucotoe
Bulino mm 279x194. Nell’angolo inferiore sinistro il monogramma del Goltzius “H G. Inuent”
e subito dopo il numero “2”. Nel margine inferiore due righe in latino su due colonne e, a
destra, il numero “2” della seconda numerazione caratteristica del secondo stato.
“Jacob Matham, engraver, draftsman and print publisher, was born in Haarlem on 15 October 1571. He was the
stepson and pupil of Goltzius, and father of Adriaen, Jan and Theodor Matham, all of whom followed their father
and became engravers. Matham and the painter Frans Badens traveled to Italy together, arriving at Venice in the
spring of 1593. In 1595 he was staying in Rome, and he was back in Haarlem in 1599.” (Fuhring, Jacob Matham’s
‘Verscheijden cierage’: An Early Seventeenth-Century Model Book of Etchings after the Antique, Simiolus:
Netherlands Quarterly for the History of Art, 1992, vol. 21, n. 1/2, pag. 64)
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Jacob MATHAM
Haarlem 1571 - ivi 1631
55 Gli amori degli dei
c. Marte e Venere
Bulino mm 279x194. In basso verso sinistra il numero “3” e, dopo, il monogramma del Goltzius
“H G. Inuent”. Nel margine inferiore due righe in latino su due colonne e, a destra, il numero
“3” della seconda numerazione caratteristica del secondo stato.
d. Ercole e Deianira
Bulino mm 279x194. Nell’angolo inferiore sinistro il numero “4” e più a destra il monogramma
del Goltzius “H G. Inuent”. Nel margine inferiore due righe in latino su due colonne e, a destra,
il numero “4” della seconda numerazione caratteristica del secondo stato.
Bartsch, vol. III, pagg. 168-169, nn. 156-159 | The New Hollstein (Widerkehr), Matham, part
II, 2007, pagg. 60-69, nn. 171-174 | The New Hollstein (Leesberg), Goltzius, part III, 2012,
pagg. 288-295, nn. 592-595
“Gian Giacomo Caraglio’s Loves of the Gods stimulated a great demand and exerted a strong influence.
André Chastel placed them among ‘the most exquisite collections of engravings ever made’, praising their
‘reciprocal embraces whose erotic play is admirably served by Mannerist complexity’. More recently Achim
Gnann declared them ‘the most brilliant works of Caraglio’s Roman period, and in absolute terms masterpieces
of engraving’. Illustrations are readily available in catalogues and reference works. Extant scholarship,
however, draws only on partial, local knowledge and sometimes confuses Caraglio’s engravings with contemporary copies.” (Turner, Caraglio’s “Loves of the Gods, Print Quarterly, 2007, vol. XXIV, n. 4, pag. 359)
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Pietro Paolo BONZI detto Il Gobbo dei Carracci
Cortona ca. 1576 - Roma 1636
56 Madonna col Bambino con Sant’Antonio e Santa Caterina
Acquaforte mm 253x190. Stato unico. Rara incisione schedata da Bartsch sotto il nome di G.
Cavedone. In basso, verso destra, sul piedestallo il monogramma dell’Artista “PBC”, vale a dire
Paolo Bonzi Cortonensis, con le lettere sovrapposte. Bellissima e fresca prova stampata su carta
con filigrana “ancora inscritta in un cerchio sormontato da una stella” ø 45 mm, simile a Woodward
n. 158, riferibile a carta italiana della seconda metà del ‘500 (fil. n. 31). Foglio completo alla linea
di inquadramento su due lati e rifilato all’interno della stessa al lato superiore e a destra. Leggera
piega orizzontale centrale e resti di antichi supporti al verso ai quattro angoli, per il resto in ottime
condizioni di conservazione. Da segnalare che la prova conservata all’Albertina di Vienna risulta
incompleta al lato inferiore. Provenienza: collezione Agassis (probabilmente Joseph-Marius
Agassis 1811-1889), al verso timbro in violetto con le iniziali AB sovrapposte, Lugt n. 69.
Bartsch, vol. XVIII, pag. 333, n. 2 (come G. Cavedone) | Le Blanc, 1854-1888, tomo I, pag.
464, n. 2 | T.I.B., vol. 40 (Birke), 1982, pag. 249, n. 2 (come G. Cavedone)
“A una dinamica e provocatoria divulgazione nel campo della natura morta, si volge, peraltro, precocemente (quasi
in parallelo con Tommaso Salini, ma con ben altro livello tecnico-concettuale), Giovanni Battista Crescenzi, allievo
del Pomarancio, pittore di Casa Crescenzi (dalle sedute pittorico-naturallstiche dell’accademia, istituita da Giovanni
Battista nel proprio palazzo nobiliare esce uno specialista come Pietro Paolo Bonzi, detto ‘Gobbo dei frutti’ o per
la sua facoltà d’imitare i paesaggi carracceschi ‘Gobbo del Carracci’ e anche ‘Gobbo de’ Crescenzi‘). (Marini, Gli
esordi del Caravaggio e il concetto di “natura” nei primi decenni del Seicento a Roma. Equivoci del caravaggismo,
Artibus et Historiae, 1981, vol. 2, n. 4, pag. 77)
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Christoffel VAN SICHEM I
Basel 1577 - Amsterdam 1658
57 Giuditta con la testa di Oloferne
Chiaroscuro in due blocchi in tonalità verde-ocra mm 136x103. La stampa derivante dalla
impressione del solo blocco dei contorni in nero viene considerata come primo stato. Raro
chiaroscuro definito da Nagler come “una magnifica incisione basata su un disegno di Goltzius
nello stile di Luca di Leyda”. In basso a sinistra il nome dell’incisore “C V Sichem scal ∙” e
verso il centro il monogramma di Goltzius. Bellissima prova perfettamente inchiostrata, in
ottime condizioni di conservazione a parte residui di colla e di vecchi supporti al verso, con filo
di margine oltre la linea di inquadramento.
Bartsch, vol. III, pag. 126, n. 1 | Le Blanc, 1854-1888, vol. III, pag. 502, n. 12 | Strauss, 1973,
pag. 322, n. 154 | The New Hollstein (Leesberg), Goltzius, part III, 2012, pag. 32, n. 395
“Nagler called this ‘a beautiful print, based on a drawing by Goltzius in the style of Lucas van Leyden.’ It can be
dated in close proximity to five other woodcuts by van Sichem after Goltzius. Two of these, ‘Adoration of the Magi’
and ‘Circumcision of Christ,’ are dated in the block 1629. This chiaroscuro print also served as the model for the
woodcut illustration in Bibels Tresoor (p. 647) of 1646, but for this purpose it was copied onto a new block. The
signature was moved to the bottom center for this edition. Twenty-six biblical woodcuts by van Sichem, printed on
blue paper, are contained in an Armenian edition, entitled: Zamakardouthioun hasarakaj alotic, Amsterdam, 1705.”
(Walter L. Strauss, Chiaroscuro - The Clair-Obscur Woodcuts by the German and Netherlandish of the XVIth and
XVIIth Centuries, 1973, pag. 322)
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Ottavio LEONI
Roma ca. 1578 - ivi 1630
58 Tre teste d’uomo - Ritratti di Camillo Graffico, Ercole
Pedemonte e Antonio Carone
Acquaforte mm 90x172. Stato unico. Questa lastra e la successiva con lo studio di quattro
teste sono le sole opere incise da Leoni alla pura acquaforte. Una prova di questa incisione
conservata al British Museum di Londra riporta, scritti a penna da mano coeva, i nomi dei
personaggi ritratti da sinistra a destra “Camillo Graffico, Ercole Pedemonte, Antonio Carone”,
confermando l’identificazione già riferita da Mariette. L’incisore Camillo Graffico (attivo ca.
1578-1614) appare anche nello studio di quattro teste: in entrambi i casi il ritratto deriva da un
disegno di Leoni risalente al 1614 e conservato al Louvre. Il miniaturista Ercole Pedemonte
(1579-1618) compare in un disegno eseguito anch’esso nel 1614 e conservato al Musée Magnin
di Digione. Antonio Carone (1559-1634) fu architetto che ebbe come patron, tra gli altri, il
Duca di Bracciano; è ritratto di profilo in uno dei disegni di Leoni non datati, ma risalenti
allo stesso periodo, conservato al Louvre. Bellissima prova stampata con tono di fondo, in
perfetto stato di conservazione con margini di ca. 20 mm attorno alla battuta della lastra.
Bartsch, vol. XVII, pagg. 250-251, n. 12 | Sani, 2005, pag. 162, fig. 103
“Le due incisioni raffigurano personaggi appartenenti al mondo delle arti e delle lettere, rievocando i ritratti multipli
in cui Rubens rappresenta se stesso insieme al fratello e ad alcuni esponenti del mondo intellettuale internazionale
che gravitava intorno alle città italiane tra Padova, Mantova e Roma. Il Leoni non mira ad allusioni filosofiche e
scientifiche, che invece nel Rubens si evidenziano nel passaggio dall’«Autoritratto con gli amici a Mantova», in
cui si ha certezza della presenza sua, del fratello e di Giusto Lipsio (ma non si riconoscono gli altri), a «I quattro
filosofi» in cui Pieter Paul e il fratello Philip sono rappresentati insieme a Giusto Lipsio e Jan Woverius sotto il
busto di Seneca che simboleggia la filosofia neostoica. Ottavio Leoni nei ritratti multipli segue un impegno di
documentazione accademica che nel suo lavoro specialistico prende il sopravvento. L’incisione con tre personaggi,
più che un ritratto multiplo sembrerebbe una prova in cui tre disegni diversi, due di faccia e il terzo, al centro, di
profilo, sono riuniti nella stessa lastra, palesando una forte volontà di riprodurre in maniera quasi impietosa il volto
di uomini anziani presente anche nel ritratto contrassegnato dall’iscrizione «Lodovico Bertuccio» (Roma, Istituto
Nazionale per la Grafica), e ancora in alcuni disegni quali il «Ritratto d’uomo anziano» (Genova, Galleria di Palazzo
Rosso) datato 1622, il «Ritratto d’uomo» (Lille, Palais des Beaux Arts), e il «Ritratto d’uomo anziano» (Vienna,
Albertina).” (Bernardina Sani, Ottavio Leoni - La fatica virtuosa, 2005, pag. 162)
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Ottavio LEONI
Roma ca. 1578 - ivi 1630
59 Quattro teste d’uomo - Cosimo Orsini, Camillo Graffico,
Sigismund Laire e Ottavio Leoni
Acquaforte mm 89x176. Stato unico. Questa lastra e la precedente con lo studio di tre teste sono
le sole opere incise da Leoni alla pura acquaforte. Una prova di questa incisione conservata al
Metropolitan Museum of Art di New York riporta scritti a penna i nomi dei personaggi ritratti
“D. Cosmo Orsino che si diletto di Pittura, Cesare Bartolotti Ingegniere, Sigismondo Leier
Pittore” e sulla destra “Ottavio Leone Autore” (cfr Richard Wallace, 1989, Italian Etchers of
the Renaissance and Baroque, pagg. 159-160, n. 77). Secondo Mariette invece i personaggi
rappresentati sarebbero da sinistra a destra: D. Cosimo Orsini, Camillo Graffico, incisore di
Forlì, Sigismondo Laire, pittore di miniature bavarese e Luigi Leoni, padre di Ottavio. La critica
più recente identifica i personaggi secondo le indicazioni di Mariette corrette solo per quanto
riguarda l’ultimo ritratto che viene riferito allo stesso autore e non al padre. Cosimo Orsini è
probabilmente da identificare con il Cosimo Orsini (1578-1638) nobile romano, imparentato
alla lontana con il Duca di Bracciano. Il miniaturista bavarese Sigismund Laire (1553-1639) fu
attivo a Roma dal 1575. Camillo Graffico, incisore, compare anche nello studio di tre teste (cfr
Evelyn Lincoln, The studio Inventory of Camillo Graffico, Engraver and Fountaineer, Print
Quaterly, 2012, XXIX, 3, pagg. 259-280). Sulla destra Ottavio Leoni ritrae se stesso di profilo in
età più giovanile rispetto ai suoi successivi autoritratti. Bellissima prova stampata con tono di
fondo, in perfetto stato di conservazione con margini di ca. 20 mm attorno alla battuta della lastra.
Bartsch, vol. XVII, pag. 251, n. 13 | Reed-Wallace, 1989, pagg. 159-160, n. 77 | Sani, 2005,
pag. 162, fig. 104
“Leggibile come una digressione compositiva episodica, laterale, rispetto a un percorso coerente a se stesso
senza scarto alcuno, quell’immagine è tuttavia intrinsecamente legata all’elaborazione di un programma
iconografico concettualmente articolato che in ambito incisorio, rispetto a personaggi in diretto contatto con
l’artista, da un lato privilegia l’appartenza dei soggetti ritratti alle più alte sfere della curia e dell’aristocrazia,
dall’altro tende a una selezione talora soggettivamente meritocratica dei modelli all’interno di determinate
categorie professionali. Selezione che, nel confronto paritetico implicitamente indotto con scienziati, poeti, letterati,
riconosce agli artisti e dichiara uno status sociale legittimato in larga, prevalente misura, dai contenuti intellettuali
dei loro lavoro.” (Piera Giovanna Tordella, Ottavio Leoni e la ritrattistica a disegno protobarocca, 2011, pag.17)
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Jacques CALLOT
Nancy 1592 - ivi 1635
60 La Carrière de Nancy
Acquaforte mm 165x508. Primo stato su due, antecedente all’excudit di Israel Silvestre
e al privilegio nel margine inferiore. In basso a sinistra il nome dell’incisore “Iac.
Callot In. et fecit”. Al centro, nel cielo, lo stemma di Lorena ed il titolo dell’opera in una
banderuola sorretta da due angeli. Bellissima prova, brillante e nitida, con i particolari
dello sfondo completamente delineati, caratteristica delle prove precoci. Filo di margine
oltre la linea di inquadramento su tre lati e con margine bianco inferiore di circa 10
mm. Una piega verticale visibile al verso, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Lieure, 1924-1927 (1989), vol. I , tomo II, pagg. 79-80, n. 589 | Lieure, 1924-1927 (1989), vol.
II, Ill. n. 589 | Choné-Ternois, 1992, pagg. 330-331, n. 457
“Callot left his birthplace in Lorraine when he was about fifteen years old to explore Rome for some three years and
Florence for ten more. When he was about twenty-eight he came home to Nancy, where he remained except for
extended visits to Flanders and Paris. He died in 1635, aged about forty-three, of what may have been an intestinal
cancer. In this brief time he made over fourteen hundred etchings and engravings that were instantly popular all
across Europe and have remained so ever since. The Louvre in recent times has sold many impressions from
original Callot copperplates. The first and deepest influence on Callot was his native Lorraine, a struggling duchy
about as big as Vermont, with a little capital, Nancy, of aggressive elegance. Callot recorded the close-packed
ornament of its small palace garden in an enchanting etching where the cavaliers of the ducal court of Lorraine
strut, and flash their rapiers and point with the deadly delicacy of a mosquito probing for a bite. Callot, as the son of
the duke’s master of ceremonies, learned an observance of decorum and a devotion to the laws of God. The father
was also a herald, which means that he probably taught his young son to draw as exactly as one must do for coats
of arms.” (The Mayor-Baskin, Etchings of Jacques Callot, The Massachusetts Review, 1961, vol. 3, n. 1, pag. 122)
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Giovanni Benedetto CASTIGLIONE detto il Grechetto
Genova 1609 - Mantova 1665
61 La resurrezione di Lazzaro
Acquaforte mm 226x310. Terzo stato su quattro secondo Bellini. In basso verso destra
la firma del Grechetto “GB CASTIGLIONE GENOVESE - P”. Bellissima, brillante
prova stampata con vellutato tono di fondo e segni di pulitura della lastra; in ottimo stato
di conservazione e completa all’impronta del rame con filo di margine visibile a tratti.
Bartsch vol. XXI, pagg. 12-13, n. 6 | Bellini, 1982, pag. 156, n. 59 | Dillon-Gavazza, 1990, pag. 228, n. 88
“By the early 1650s, many of Castiglione’s prints are technically flawless. The brilliance of such prints as The
Discovery of the Bodies of Saints Peter and Paul (Bellini 57), Tobit Burying the Dead (Bellini 58), the Resurrection
of Lazarus (Bellini 59), and the Circe (Bellini 60) is heightened by Castiglione’s nervous energy expressed through
multiple strokes of the needle. Much in the manner of Barocci, but far outdistancing him in the complexity of the
handling, Castiglione varies the strength of his fines through endless loops, delicate cross hatching, fields of stipple
and dots, thus achieving volume through his use of chiaroscuro. That Castiglione did not rework the compositions
of his prints extensively - strengthened contours, burnished corrections, and accidents of mis-placed lines are
exceptions - not only indicates the level of technical competence that he had reached, but also shows that he could
express his virtuosity as an artist as much in his prints as in his drawings or paintings: there is little doubt that these
prints played an intimate part in Castiglione’s studio activity and that he and other members of his studio frequently
made stylistic and iconographic use of them. It is clear that other members of Castiglione’s studio, especially
Francesco Castiglione (1641-1710), borrowed frequently from his father’s prints and incorporated some motif into
his own compositions.” (Standring, Giovanni Benedetto Castiglione, Print Quarterly, 1987, vol. IV, n. 1, pag. 67)
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Giovanni Benedetto CASTIGLIONE detto il Grechetto
Genova 1609 - Mantova 1665
62 Uomo con grandi baffi di profilo verso sinistra
Acquaforte mm 180x142. Secondo stato su due dopo la divisione della lastra. In alto a sinistra
il nome del Grechetto “CASTILIONUS / GENOVESE”. L’incisione appartiene alla serie Les
grandes têtes d’hommes coëffées à l’orientale, costituita da cinque lastre. Bellissima e nitida
prova in perfette condizioni di conservazione con sottile margine oltre la battuta del rame.
Bartsch, vol. XXI, pag. 33, n. 49 | Bellini, 1982, pagg. 134-136, n. 42 | T.I.B. Commentary,
vol. 46 (Bellini), part 1, 1985, pagg. 58-59, n. 049 | Dillon-Gavazza, 1990, pag. 212, n. 69
“At first sight Castiglione would not seem a likely artist to have been affected by contact with Poussin. His whole training
was of a kind to prevent such an influence from ‘taking’. Castiglione was brought up in the naturalistic tradition of
Genoese painting, and was confirmed in tendencies thus formed by the influence of Flemish naturalists such as Roos.
Apart from these sources the most important influence on his development was that of Rembrandt, which came into
operation through the master’s early etchings, probably in the 30’s. In the field of pure technique it seems likely that
the sketches of Rubens and Van Dyck were not without their effect on the artist, whose rapid brush drawings in thin
oil paint on paper recall the methods of the Flemish artists.” (Blunt, A Poussin-Castiglione Problem: Classicism and
the Picturesque in 17th Century Rome, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 1939, vol. 3, n. 1/2, pag. 142)
128
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Simone CANTARINI detto Il Pesarese
Pesaro 1612 - Verona 1648
63 Venere e Adone
Acquaforte mm 116x173. Primo stato su due, antecedente alla scritta con il nome di Guido
Reni. Magnifica impressione, nitida e luminosa stampata con leggero tono di fondo, in perfetto
stato di conservazione con margini di circa 15 mm attorno alla battuta della lastra su tutti i lati.
Bartsch, vol. XIX, pag. 142, n. 33 | Bertelà-Ferrara, 1973, n. 130 | Bellini, 1980, pag. 71, n. 12
| Emiliani (Ambrosini Massari), 1997, pag. 356, n. III.37
“One might also have wished for the author’s thoughts as to why Guido used etching as a means of self-expression
and what part the prints played in his posturing as a ‘great master’ working within the exclusive Emilian tradition. The
etchings might also have been discussed in comparison with the woodcuts by Bartolomeo Coriolano made towards
the end of the artist’s life. Birke rightly draws attention to the small number of etchings by Reni, indicating that the
technique took ‘second realm in his artistic activity’. One does indeed wonder why Reni’s use of the technique
was so sporadic, and why he turned late in his career to woodcuts by Coriolano to reproduce his compositions.
Cantarini’s proficiency in the etching technique is just one possible explanation for Reni’s seeming abandonment of
it.” (Turner, Italian Masters of the Sixteenth and Seventeenth Centuries, Print Quarterly, 1988, vol. V, n. 2, pag. 187
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Simone CANTARINI detto Il Pesarese
Pesaro 1612 - Verona 1648
64 Mercurio e Argo
Acquaforte mm 258x302. Primo stato su due, antecedente all’indirizzo dell’editore De Rossi.
Bellissima impressione, fresca e brillante, di questa incisione che Bartsch considera “une des
principales de l’oeuvre du Pésarèse”. Esemplare in perfetto stato di conservazione, completo
alla battuta della lastra, con filo di margine al lato superiore. Provenienza: al verso timbro di
collezione “US” in inchiostro blu, non nel Lugt.
Bartsch, vol. XIX, pag. 142, n. 31 | Bertelà-Ferrara, 1973, n. 126 | Bellini, 1980, pagg. 148149, n. 37 | Massari, 1989, pagg. 386-387, n. 144 | Emiliani (Ambrosini Massari), 1997, pag.
345, n. III.26
“Nearly all these masters were fine draughtsmen. We can only touch upon a few more prints, for example the
‘Adam and Eve’ and ‘Mercury and Argos’ of Simone Cantarini (1612-1648). How perfectly foreshortened is the
reclining Adam! How freely exhibited the figures of the ‘Mercury’, and if we are accused of too much admiration for
skilful technique we are justified by Cantarini’s poetry.” (Bye, An Exhibition of Early Italian Engravings, Bulletin of
the Pennsylvania Museum, 1927, vol. 22, n. 110, pag. 317)
132
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Lorenzo LOLI
Bologna 1612 - ivi 1691
65 Vergine col Bambino con Sant’Anna e San Giovannino
Acquaforte mm 207x147. Stato unico. In basso a sinistra il nome di Andrea Sirani “Sirano
i.”, inventore del soggetto e, a destra, la firma del Loli “lorenz. loli f.” . Bartsch segnala
l’esistenza di varianti precoci nelle quali subito al di sopra del nome di Sirani traspare la
stessa iscrizione incisa a puntasecca. Bellissimo e fresco esemplare stampato su carta del
‘600 priva di filigrana, in perfetto stato di conservazione e completo alla battuta della lastra.
Bartsch, vol. XIX, pag. 168, n. 6 | Le Blanc, 1865-1888, tomo II, pag.562, n. 7 | BertelàFerrara, 1973, n. 748
“II Sirani, a sua volta è presentato nella Felsina come il principale alunno e collaboratore di Guido Reni, tanto che la
posizione di preminenza che gli veniva riconosciuta in quella scuola poté suscitare, ad esempio, I’astio invidioso di
Simone Cantarini [...] Giovanni Andrea Sirani appare infatti, nelle pagine degli Appunti, in sicuro possesso di abitudini
disegnative così strettamente aderenti alla tipologia figurative del maestro, da consentirgli di riprodurre a memoria, con
naturale facilità, disegni del Reni anche fuggevolmente osservati, per di più aggiungendovi di fantasia integrazioni ed
arricchimenti che persino l’occhio esercitato di artisti estimatori e familiari del Reni poteva facilmente scambiare per
opera del caposcuola.” (Casu, Vite di pittori bolognesi-appunti inediti, Vita e Pensiero, 1963, anno 37, Fasc. 1/2, pag. 199)
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Pietro TESTA detto Il Lucchesino
Lucca 1612 - Roma 1650
66 Il sacrificio di Abramo
Acquaforte mm 291x237. Stato unico. Bellissima impressione, ricca di tono,
stampata su carta con filigrana non identificabile “figura in un cerchio” ø 42 mm,
in ottime condizioni di conservazione con filo di margine oltre la battuta del rame.
Bartsch, vol. XX, pag. 215, n. 2 | Bellini, 1976, pag. 57, n. 26 | D’Amico-Bellini, 1978, n.26 |
Cropper, 1988, pagg. 145-149, n. 71 | TIB Commentary, vol. 45 (Bellini-Wallace), 1990, pag.
138, n. 002 | Bellini (Orlandini), 1992, pag. 124, n. 61 | Marini-Primerano-Pesci, 1998, pag.
126, n. 56
“Tipico del suo stile è l’allungamento delle figure e i panneggi fluttuanti che ritroviamo anche nella stampa in
esame, resa semmai più peculiare per la delicata trattazione del paesaggio sullo sfondo, mentre eventuali
precedenti iconografici cui Testa può aver guardato sono stati identificati nel rilievo in terracotta di Alessandro
Algardi, databile verso la fine degli anni Trenta e ora conservato al Seattle Art Museum, di cui conserva un
probabile ricordo nella tipologia della testa di Abramo, e nel dipinto del Domenichino presso il Museo del Prado
di Madrid, che reca simili particolari iconografici a sottolineare la persistenza della lezione del grande bolognese
sugli esiti figurativi del Testa. Direttamente collegati all’incisione sono invece i due disegni preparatori entrambi
in controparte rispetto alla stampa: il primo, più accurato nella definizione dei particolari, conservato al Teylers
Museum di Haarlem (inv. D 29), il secondo al Kupferstichkabinett della Kunsthalle di Brema (inv. 1959 / 32).”
(Flavia Pesci in Impressioni ritrovate - Antiche stampe su rame e legno della collezione vescovile, 1998, pag. 126)
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Pietro TESTA detto Il Lucchesino
Lucca 1612 - Roma 1650
67 Il martirio di Sant’Erasmo
Acquaforte mm 273x190. Secondo stato su quattro, antecedente all’indirizzo dello stampatore
G. De Rossi che compare nel terzo stato. In basso a destra il monogramma del Testa e nel
margine inferiore il titolo “S. ERASME ORA PRO NOBIS.” e subito sotto, su due righe, la
dedica a Stefano Garbese “Allo spirito nobile del mio Benefattore il Sig.r Stefano Garbesi
/ suo servo Pietro Testa Dona et Dedica”. Il primo stato ante litteram è noto solo in due
esemplari conservati rispettivamente a Parma e Vienna. Nel primo stato dell’Albertina
di Vienna il Testa ha tracciato a penna ed inchiostro alcune modifiche alla composizione
ed ha inoltre aggiunto nel margine bianco inferiore non ancora inciso, sempre a penna, la
dedica al Monsignore Stefano Garbesi; come annotato da Elisabeth Cropper, questa prova
così modificata è probabilmente stata sottoposta al clero lucchese per la sua approvazione.
Bellissima e brillante impressione con ancora ben visibili le linee di allineamneto delle
scritte; in ottimo stato di conservazione con alcune piccole abrasioni della carta al verso, il
foglio è completo di piccolo margine oltre alla linea di inquadramento su tutti e quattro i lati.
Bartsch, vol. XX, pag. 218, n. 14 | Bellini, 1976, pag. 41, n. 7 | D’Amico-Bellini, 1978, n. 35 | Cropper,
1988, pagg. 9-13, n. 6 | TIB Commentary, vol. 45 (Bellini-Wallace), 1990, pagg. 144-145, n. 014
“Passeri long ago observed that because of his lack of success as a painter Testa turned to printmaking,
treating his prints as if they were substitute paintings and devoting to them as much careful attention as if they
had been paintings. […] Testa’s grandiose attitude towards his prints had its drawbacks. By being constrained
to work in a medium which in other circumstances he might well have neglected, he was making what he
could of a bad job and was opting for second best. To this extent they can be regarded as the products of a
disappointed man, one who would have been, ‘happier’ following his ‘natural bent as a painterly painter’. To
the purist looking for ‘truth to materials’, a painter manqué might well be thought an unsuitable printmaker. A
diligent and competent technician though he was, it was not the process of etching that absorbed him so
much as the design that he had arrived at so painstakingly. This lack of interest in the technical potentialities
of the medium seems to he indicated by the few and only quite minor changes of state through which
the majority of his prints evolved (Turner, The Ideal of Painting, Print Quarterly, 1993, vol. X, n. 4, pag. 407)
“It is entirely characteristic of Mola’s humour to take Testa’s tragic types and turn them into figures of amusement.
Although the friendship of the two artists is touched on incidentally by Cropper (p. 68, under no. 36, and p. 220,
under no. 100), much remains to be done to clarify their rapport. The two artists seem to have collaborated on
one etching (Bartsch, XIX, p. 207, no. 7), with Testa providing the design and Mola apparently etching the plate. It
seems perfectly natural that Mola should have wished to learn etching from his friend, just as it is also characteristic
of him not to have taken his lessons very seriously. Mola evidently found the medium uncongenial, and his few
attempts at printmaking are unremarkable.” (Turner, Pietro Testa, Print Quarterly, 1990, vol. VII, n. 3, pag. 322)
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Pietro TESTA detto Il Lucchesino
Lucca 1612 - Roma 1650
68 Teti immerge Achille nell’acqua dello Stige
Acquaforte mm 285x420. Primo stato su quattro, unico conosciuto da Adam Bartsch, prima
dell’indirizzo di Arnoldo Van Westerhout che compare nel secondo stato nel margine bianco
inferiore in basso a sinistra. Nell’inciso in basso nell’angolo di destra la firma dell’autore
“P.Testa fecit”. Bellissima prova impressa su carta con filigranza “giglio inscritto in un cerchio”
ø 45 mm, riferibile a carta italiana della prima metà del XVII° secolo (fil. n. 32). In ottimo
stato di conservazione con sottili margini tutt’attorno all’impronta del rame sui quattro lati.
Bartsch, vol. XX, pag. 220, n. 21 | Bellini, 1976, pag. 65, n. 36 | D’Amico-Bellini, 1978, nn. 40,
40a, 40b | Cropper, 1988, pagg. 257-258, n. 118 | TIB Commentary, vol. 45 (Bellini-Wallace),
1990, pag. 148, n. .021
“Many seventeenth-century painters tried their hand at etching, which allowed them to reproduce their drawing
style and give free rein to their inventive capabilities. While some produced only a few prints, others, such as Pietro
Testa, mastered the technique. Unable to obtain the public commissions he desired, Testa displayed his talent and
learning in etchings that drew on classical literature and the allegorical language of mythology” (Thompson, Poets
Lovers and Heroes in Italian Mythological Prints, The Metropolitan Museum of Art Bulletin, 2004, vol. 61, n. 3, pag.
7)
“Pietro Testa threw himself into the Tiber river in 1650 at the age of thirty-eight. He left behind him, after some
twenty-two years of artistic activity in Rome and his native Lucca, a surprisingly small body of paintings. The
handful of altarpieces and the less than a dozen easel pictures that comprise his entire painted oeuvre reveal the
artist to be a competent, but hardly an extraordinary painter. Nevertheless, any account of Italian art in the midseventeenth century that excludes him would be incomplete, for Testa brilliantly distinguished himself through his
prints. Testa, as a printmaker, created a repertory of original images that established his reputation as a peintrephilosophe, and that continues to fascinate us today.” (Puglisi, The Ideal of Painting: Pietro Testa’s Düsseldorf
Notebook, Renaissance Quarterly, 1986, vol. 39, n. 2, pag. 309)
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141
Carlo MARATTI
Camerano 1625 - Roma 1713
69 La Visitazione
Acquaforte mm 216x148. Secondo stato su due, unico stato conosciuto da Adam Bartsch, con
il nome dell’incisore in basso a sinistra “Carolus Maratus in. et fecit Romae”. Bellissimo
esemplare stampato su carta del XVII° secolo priva di filigrana; in ottime condizioni di
conservazione con resti di antichi supporti ed alcune macchie di colla al verso e completo
alla battuta del rame. Provenienza: collezione Agassis (probabilmente Joseph-Marius
Agassis 1811-1889), al verso timbro in violetto con le iniziali “AB” sovrapposte, Lugt n. 69.
Bartsch, vol. XXI, pag. 90, n. 3 | Bellini, 1977, pag. 52, n. 7 | D’Amico, 1978, n. 3 | Bellini
(Orlandini), 1992, pagg. 136-137, n. 76
“After Poussin’s death in 1665, however, the classical tradition survived in Rome only in the sadly diluted form
of Carlo Maratti, who was the pupil of Sacchi. At the close of the seventeenth century Maratti was the most
respected artist in Rome, and the most successful. He seriously believed that he was in the tradition of Raphael,
and, to that extent, he kept alive the traditions of classicism. The truth is, however, as the Cavaliere de’ Rossi
shrewdly says ‘He continually talked of Raphael with enthusiasm and urged the study of him, but he never imitated
him himself.’ As a specimen of just what Antiquity meant to Maratti, we may consider the colossal Virgin and
Child now in the Vatican Gallery. It reminds one of nothing so much as the colossal foot which stands opposite
the Collegio Romano, or the even more colossal finger which beckons on the staircase of the Palazzo Altieri.
The inner vitality of Poussin has given place in Maratti, as the same quality did in Roman art of the third and
fourth centuries, to a sort of queenly vacancy, which represented the ideal of Court religious art in Europe
until it was succeeded in the next generation by the sugared domesticities of Trevisani” (Waterhouse, Italian
Baroque Painting: Lecture II, Journal of the Royal Society of Arts, 1937, vol. 85, n. 4428, pagg.1005-1006)
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Mauro ODDI
Parma 1639 - ivi 1702
70 Adorazione dei pastori
Acquaforte mm 195x258. Secondo stato su due. Il primo stato, antecedente alla data, è stato
segnalato da Zani, ma la sua reale esistenza è solo supposta. L’opera riprende in speculare con
maggior definizione di dettaglio e più intenso effetto chiaroscurale una analoga incisione a bulino
di Jacopo Caraglio tradotta da un elaborato disegno a penna e acquerello di Francesco Mazzola
conservato nella Graphische Sammlung di Weimar. Sullo zoccolo della colonna a sinistra, in
alto, il nome del Parmigianino, inventore del soggetto “Franc. Parm. Inue.” e, alla base, il
nome dell’incisore “Mauro Oddi Sculp”; sul gradino la data “V. 8. 1664”. Bellissima prova
stampata su carta coeva con filigrana “stemma” leggibile solo nella parte superiore (fil. n. 33)
in ottimo stato di conservazione con filomargine attorno all’impronta del rame sui quattro lati.
Bartsch, vol. XXI, pagg. 212-213, n. 1 | TIB Commentary (Bellini), vol. n. 47, pag. 239, n.
.001 | Mussini - De Rubeis, 2003, pagg. 64-65, n. 74
“The monumental composition is constructed of two distinct areas. In the front plane, shepherds approach Mary
from the left, each bowing lower than the next until they reach the gently seated Mother and Child. In the background
to the right, the traditional ruins, among which the oblivious Joseph tends his cattle, symbolize the overthrow of
the Old Testament by the New. Balancing the design in the top left corner is the sun, with its penetrating rays
appearing over the horizon, perhaps foreshadowing Jesus’s proclamation, ‘I am the light of the world’ (John 8:12).
[…] Despite these varying aims, both exhibitions have clearly highlighted how the seemingly effortless beauty of
Parmigianino’s hand and his fertile creativity can not only be appreciated in grand, monumental works, but also in
the fine details of portable drawings and prints that for centuries succeeded in spreading news of his genius from
one country to another. (Koutny, Parmigianino’s Printmaking, Print Quarterly, 2005, vol. XXII, n.2, pag. 210 e 213)
“Writers on Parmigianino generally feel obliged to point out his weaknesses, balancing his virtues against
his faults: his work is original, full of invention, but lacking in profundity; his style is brilliant, graceful,
elegant, but empty of content; sentiment takes the place of emotion and movement serves for action. A
psychiatrist could no doubt find in his biography the source of these weaknesses.” (Burroughs, A Drawing by
Francesco Mazzola, Il Parmigianino, The Metropolitan Museum of Art Bulletin, 1948, vol. 7, n. 4, pag. 106)
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Pietro AQUILA
Marsala/Palermo 1640 - Alcamo/Trapani 1692
71 Il sacrificio di Polissena
Acquaforte mm 436x620. Primo stato su due.* In basso al centro lo stemma del Cardinal Decio
Azzolino e nel margine bianco, ai lati dello stemma, la dedica allo stesso cardinale; più sotto,
a sinistra, il nome di Pietro da Cortona, inventore del soggetto “Petrus Berentinus Cortonensis
pinxit ab aedibus Dominorum de Sacchettis”;** subito dopo, la firma di Pietro Aquila “Pet.
Aq.a del. et f.”. A destra, verso il centro, il nome dell’editore Giacomo De Rossi “Humillimus
ac Deuinctiss. Seruus Io. Iacobus de Rubeis”; più a destra l’excudit e l’indirizzo del De Rossi
seguito dal privilegio “Io. Iacobi de Rubeis formis Romae ad Templum s. Mariae de Pace cum
Priu. S. Pont.”. Bellissima prova, omogeneamente inchiostrata, stampata su carta vergellata
spessa con filigrana “agnello pasquale inscritto in un doppio cerchio con lettere AN” simile
a Heawood n. 2838 e Massari, 1980, n. 25, riferibile a carta dell’Italia centrale della metà
del XVII° secolo (fil. n. 34). Completa alla linea di inquadramento con filo di margine. Piega
centrale verticale visibile per lo più al verso; residui di antichi supporti e alcuni difetti minori;
nel complesso in ottime condizioni di conservazione considerate le dimensioni del foglio.
Nagler, 1835-1852, pag. 146 | Le Blanc, 1854-1888, vol. I, pagg. 53-54, n. 79 | Borea, 2009,
vol. I, pag. 330, n. 8 e vol. III, cap. XXIX, n. 8
“The original of the ‘Rape of the Sabines’ is today in the Capitoline Museum, along with Cortona’s ‘Triumph of
Bacchus’ and his ‘Sacrifice of Polyxena.’ All three of these paintings fall, generally speaking, within Cortona’s work
of the second half of the twenties. Throughout these years Cortona was employed by his first Roman patrons of
consequence: the Sacchetti, who had come to prominence with the accession of Urban VIII in 1623. It was for
the Sacchetti that Cortona made the ‘Bacchus’ and the `Polyxena,’ and Mancini, Urban’s physician, saw both in
the Palazzo Sacchetti as early as 1625 or 1626, as he noted in the manuscript of his treatise. In Mancini’s note of
1627-8 there is still no mention of the `Sabines,’ but the `Sabines’ had probably not yet been made in 1628, and
Mancini died in 1630, without having added to his manuscript on this subject. There is no further word then until
Passeri, who saw the Sacchetti collection between the middle and latter part of the century. He described all three
of the paintings as being there, the `Bacchus,’ Polyxena,’ and `Sabines,’ and attributed to all the same origin: made
by Cortona for the Sacchetti.” All three then remained in the same family and palace until Benedict XIV (1740-58)
bought them and transferred them to the Capitol, where they remain.” (Costello, The Twelve Pictures “Ordered
by Velasquez” and the Trial of Valguarnera, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 1950, vol. 13, n. 3/4,
pag. 244)
“La stampa è in controparte rispetto all’originale dipinto e presenta anche la figura alla sinistra di Neottolemo, molto
consunta nel dipinto, al punto che si pensava ad un pentimento dell’artista e in sede di restauro solo il confronto
con la stampa di Pietro Aquila convinse gli operatori a riprendere questo soldato in armatura.” (Brambilla-Scorsetti,
www.lombardiabeniculturali.it, 2003, codice della scheda 3y010-00883, Fonti: Alborghetti, La Pinacoteca Repossi
di Chiari. Catalogo dei dipinti, delle sculture e delle incisioni, 1991 | Cardinali-De Ruggieri-Falcucci-Masin, Pietro
da Cortona, il meccanismo della forma, 1997)
*Presso l’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma è conservato un esemplare, sicuramente successivo, nel quale sono stati eliminati lo stemma
e la dedica al Cardinal Decio Azzolino. Nel margine inferiore, ora bianco, è aggiunto il titolo dell’opera “SACRIFICIO DI POLISSENA” (cfr
Borea, 2009, vol.III, cap.XXIX, n. 8).
**Pietro da Cortona dipinse intorno al 1630 o poco dopo la tela raffigurante il sacrificio di Polissena per la famiglia Sacchetti; attualmente il
quadro è conservato nella pinacoteca Capitolina.
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Giovanni Battista TIEPOLO
Venezia 1696 - Madrid 1770
72 La famiglia del satiro con l’obelisco
Acquaforte mm 225x176. Primo stato su due, prima dell’aggiunta del numero 11 nell’angolo in
alto a destra. A tal proposito è da segnalare che si è constatata l’esistenza di prove con il numero
abilmente abraso, tali da simulare dei primi stati. La firma di Tiepolo compare, al rovescio, a
sinistra in basso. La stampa fa parte della serie Scherzi di Fantasia costituita da 22 incisioni più
il frontespizio. Magnifico e brillante esemplare in perfetto stato di conservazione con margini
di circa 10 mm tutt’intorno alla battuta della lastra che appare ben in rilievo ed inchiostrata.
De Vesme, 1906, pag. 388, n. 23 | Rizzi, 1971, pag. 54, n. 14 | Succi, 1983, pag. 126, n. 54 |
Donazzolo Cristante-Gransinigh, 2010, pag. 70, n. 34
“The manner in which Tiepolo indicates shadows in the Scherzi is strikingly different from the way this is done in the
Capicci and may provide a clue for dating. In the earlier series this is almost exclusively done by traditional parallelhatching and occasional cross-hatching, in the manner of Salvator Rosa and Marco Ricci. In contrast, the darker
areas in the Scherzi consist in many cases of almost decorative patterns of very small angular strokes that we also
recognize in the prints of Castiglione. Compare, for example, the shading of the vase in a sheet from the Capricci,
Standing Woman with her Hands on a Vase and Two Men, with an Obelisk (DV 6, fig. 128), with that in a sheet
from the Scherzi, A Youth and an Old Man with a Monkey on a Leash (DV 30, fig. 129). It is this way of achieving
chiaroscuro effects that is also found in the etchings of Giambattista Tiepolo’s son Giandomenico, especially in the
Flight into Egypt series, which was probably almost finished before the family left for Würzburg by the end of 1750.
Examples of this kind of shading can, for instance, be found in the left foreground, the tree trunk and the back of the
mule in Giandomenico’s print of Joseph and Three Angels Adore the Child (DV 19, fig. 130). And the resemblance
between Giambattista’s Scherzi and Giandomenico’s Flight into Egypt goes even further than just the similarity in
the way the shadows were created.” (Rutgers, The Dating of Tiepolo’s Capricci and Scherzi, Print Quarterly, 2006,
vol. XXIII, n.3, pagg. 260-261)
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Giovanni Battista TIEPOLO
Venezia 1696 - Madrid 1770
73 Sei persone guardano un serpente
Acquaforte mm 224x176. Primo stato su due, prima dell’aggiunta del numero 12 nell’angolo in
alto a destra. A tal proposito è da segnalare che si è constatata l’esistenza di prove con il numero
abilmente abraso, tali da simulare dei primi stati. La firma di Tiepolo compare due volte, al
rovescio, a sinistra in basso. La stampa fa parte della serie Scherzi di Fantasia costituita da
22 incisioni più il frontespizio. Magnifica impressione nitida e brillante in perfetto stato di
conservazione con margini di circa 10 mm tutt’intorno alla battuta della lastra che appare ben
in rilievo ed inchiostrata.
De Vesme, 1906, pag. 388, n. 24 | Rizzi, 1971, pag. 56, n. 15 | Succi, 1983, pag. 136, n. 59 |
Donazzolo Cristante-Gransinigh, 2010, pag. 72, n. 35
“La scena, condotta con un segno fluente, rappresenta un misterioso rito magico che ha per protagonista un
serpente osservato da tutte le figure. L’erma di un fauno, ripresa da una stampa di Giovanni Benedetto Castiglione,
sembra osservare la scena e ridere beffarda, mentre di lato vigila un immancabile gufo. Un orientate con barba
guida il gruppo fissando lo sguardo sul rettile che si contorce nelle sue spire, e contemporaneamente poggia la
mano su un rilievo classico stabilendo una sorta di relazione invertita tra la scena reale e quella passata. II rame
ha il suo fuoco, dove il segno si fa più fitto per catturare maggiore inchiostro, nella testa del mago che si trova
esattamente al centro della diagonale compresa tra la testa dell’erma e il serpente. La firma scritta sulla lastra
in basso a destra non è incisa in controparte e risulta rovescia nella stampa. Si tratta forse di un altro elemento
enigmatico che si aggiunge ai trofei, ai ruderi con bassorilievo, al vaso con una testa bestiale disseminati nella
scena. Uno schizzo preparatorio della composizione è conservato a Trieste al Museo Civico (inv. 2030 a-b). Il rame
è stato esposto nel 1986 alla mostra Giambattista Tiepolo Il segno e l’enigma e nel 2004-2005 all’esposizione
veneziana di Ca’ Rezzonico dedicata all’intero nucleo di matrici tiepolesche I Tiepolo Rami dalle collezioni del
Museo Correr, poi in Giambattista Tiepolo tra scherzo e capriccio a Udine nel 2010” (Cristante in Tiepolo nero.
Opera grafica e matrici incise, 2012, pag. 169)
150
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Jean-François JANINET
Parigi 1752 - ivi 1814
74 La congiura di Catilina
Acquaforte, acquatinta e bulino mm 257x526. Incisione tratta da un disegno perduto di Jean
Guillaume Moitte (1746-1810). Il soggetto deriva dalla vita di Cicerone redatta da Plutarco
nelle Vite Parallele. In basso a sinistra l’iscrizione “Moitte sculpteur del” e a destra “Janinet
sculp 1792”. Bellissima prova impressa su carta vergellata pesante con ampi margini oltre
la linea di inquadramento e con sottile margine oltre l’impronta del rame sia a destra che a
sinistra, mentre sul bordo superiore l’impronta è visibile a tratti. La conservazione è ottima a
parte qualche lieve difetto sui bordi.
Inventaire du Fonds Français graveurs du XVIIIe siècle, 1973, Tome XII, pag. 64, n. 155 |
Carlson-Ittmann-Becker, 1984, pag. 302, n.109 | Gramaccini, 1993, II, pag. 73, n. 172 |
“This is certainly the ‘Gravure d’après M. Moitte, frise à l’antique,’ exhibited at the Paris Salon of the same year.
His most characteristic drawings in this genre were executed in a large scale in sepia or Chinese ink and wash
with figures theatrically highlighted against a dark ground. The format was inspired both by Etruscan vases
and by the Fourth Style of Pompeian mural painting. […] Moitte illustrates the midnight meeting at the home of
Cicero. At the left, Crassus reads aloud the anonymous letter informing him of the impending massacre. A veiled
matron, probably Terentia, the ambitious wife of Cicero, ieans over his shoulder eager to read the text. The pair
is flanked by a statue of Mars, the threatening god of war. Cicero appears in the center of the composition; he is
recognizable from his famous portrait bust, now at Apsley House, London. Cicero gravely contemplates the words
of Crassus and stoically anticipates the condemnation of the conspirators. Marcellus and Metellus appear in the
central background, their eves riveted upon Cicero’s stern countenance. At the far right of the composition, two of
Terentia’s attendants witness and discuss the extraordinary event.” (Carlson-Ittmann-Becker, Regency to empire:
French printmaking, 1715-1814, 1984, pag. 302)
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Giandomenico TIEPOLO
Venezia 1726 - ivi 1804
75 Vecchio con grande turbante
Acquaforte e bulino mm 153x115. Raro primo stato su tre, sconosciuto al Rizzi, prima della
riduzione della lastra a mm 138x108 e del numero 24 in alto a destra. Ventiquattresima lastra del
primo libro della suite in due parti Teste di carattere costituita complessivamente da 60 incisioni
ripartite in due tomi con 30 stampe ciascuno, numerate dall’uno al trenta in alto a destra nella
prima serie e in basso a sinistra nella seconda, oltre alla dedica al Cavaliere Alvise Tiepolo,
ambasciatore della Serenissima presso il Pontefice Clemente XIV e ai due frontespizi che portano
rispettivamente l’indicazione di Libro Primo e Libro Secondo. Superba prova su carta con
parte di filigrana “tre mezzelune” (fil. n. 35) in perfetto stato di conservazione e ampi margini.
De Vesme, 1906, pag. 434, n. 140 | Rizzi, 1971, pag. 368, n. 184 | Succi, 1988, pag. 214, n. 119
“La tipologia figurativa e la conduzione luministica rimandano a una tradizione che trova in Rembrandt e in Giovanni
Benedetto Castiglione i precedenti più illustri. D’altro canto è ampiamente risaputa la passione con cui le opere
di questi due maestri furono collezionate a Venezia nel corso del Settecento: Zaccaria Sagredo, solo per citare i
casi più clamorosi, ne aveva raccolto i disegni in numero copiosissimo, poi acquistati da Joseph Smith e finiti nelle
collezioni reali inglesi; il maresciallo von der Schulenburg era entrato in possesso di molti quadri del Grechetto
attraverso la dispersione delle raccolte del duca di Mantova; per non parlare di Anton Maria Zanetti che ad
Amsterdam riuscì ad acquisire centinaia di incisioni rembrandtiane (cfr. Haskell, 1966, pp. 407-409, 472, 479, 483,
519, 522). L’impatto di tale materiale sulla civiltà figurativa veneziana fu determinante, condizionando l’attività di
artisti specializzatisi in teste di genere, come Bartolomeo Nazzari o Giuseppe Nogari. Già un raffinato connaisseur
del calibro di Zanetti aveva acutamente riconosciuto la matrice culturale delle Teste incise da Giandomenico,
scrivendo a Mariette il 29 dicembre 1757: Vi confesso il vero, che a mio certo intendere, ve ne sono alcune,
quali, se potesse uscire dal sepolcro il Rembrandt et Gio. Benedetto Castiglione, baccierebbe chi le ha fatte (cfr.
Frerichs, 1971, p. 242).” (www.palazzothiene.it, Pinacoteca Palazzo Thiene a Vicenza, scheda inventario n. 26257)
154
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Francis Seymour HADEN
Londra 1818 - Alresford 1910
76 The Inn, Purfleet
Acquaforte e puntasecca su lastra di zinco mm 180x250. Secondo stato su tre per Harrington
dopo la rimozione del titolo, la modifica con spostamento a sinitra del nome Seymour Haden e
la completa alterazione delle due figure in basso a destra ma prima della signifcativa riduzione
della lastra in altezza (da 180 mm a 94 mm) e di ulteriori cambiamenti apportati. Decimo stato
su undici per Schneiderman. La firma incisa di Haden è visibile in basso a sinistra. Bellissima
prova, in ottime condizioni, impressa su carta vergellata paglierina di media pesantezza con
margini di circa venti millimetri tutt’intorno all’impronta della lastra.
Drake, 1880, n. 122 | Schneiderman, 1983, pagg. 260-261, n.127
“A Boston audience has had the honor of being the first to listen to the lectures on etching by Mr. Francis Seymour
Haden in this country. He set forth very clearly the two methods of etching - that generally in use, and the new and
continuous process. In the former he explained, there are three stages - the executive, or drawing of the subject on
the plate; the engraving by chemical action, called biting, and the printing on paper. In the first the etcher with soft,
fleecy, gray clouds; cobalt should be used for the sky and pearly-gray shading for the clouds; this forms the prettiest
background imaginable. Commence by laying in a wash of a desired color require it, and you can better determine
what is to be their finished tint. The expression must be your particular care at this portion of your work; you will
have to attend to the shadows at the corners of the mouth, chooses his subject, and decides upon the treatment he
will give it. He considers the subject as a whole and with but slight reference to its details. Whatever capability or
genius the artist may have and its peculiar bent will appear in this. He must work with rapidity, thinking only of what
he sees and the impression it makes upon him, with his attention not in the least drawn off from the mechanical
conditions. He must take nature on the wing, catching each effect as it passes. Having finished the drawing upon
the varnish coat of the metal plate the latter is placed in the mordant bath, which bites iii the lines of the drawing,
leaving the remainder of the plate protected by its varnish coat untouched. From the plate after the biting in process
is finished, the picture is printed. In drawing the lines they must be of equal thickness and produced by equal
pressure. The process of stopping out, by which the drawing is gone over and corrected, and those lines painted
out that should not remain, is a most important one, and one upon which too much time cannot be spent. In the new
or continuous process the prepared plate is placed in the mordant and the drawing there executed upon it, so that
the biting goes on continuously with the drawing, as the lines that are first drawn are bitten most and those least
that are made later. It is as if the lines were upon a series of planes, and the effect is to preserve much better the
relative positions and values of the objects and the aerial perspective. Mr. Haden explained that he himself always
uses this process, and thinks it much superior to the other. As the mordant may be of any degree of strength, the
etcher may accommodate it to his manner of working. He draws first the most prominent and important objects,
giving them the largest, firmest treatment possible, the others following in the sequence of their planes. Of the two
methods the first is intolerably weak and the last extremely difficult. He would not recommend or dis courage either
one, for everything depends upon the etcher, who must choose e that method best suited to his temperament.
Better than either is to modify the last one by taking the plate out of the mordant occasionally and inspecting the
general effect of the drawing.” (Seymour Haden on Etching, in The Art Amateur, vol. 8, n. 2, 1883, pagg. 32-34)
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Norbert GOENEUTTE
Parigi 1854 - Auvers-sur-Oise 1894
77 La toilette avec le chat
Acquaforte e puntasecca con angoli bisellati mm 115x168. Rarissima incisione, molto
probabilmente tirata a pochi esemplari e non repertoriata da Christophe Duvivier nel suo ottimo
catalogo del 1994 riguardante l’opera grafica di Goeuneutte dove sono presenti 212 incisioni.
La firma dell’autore incisa in alto a destra. A matita in basso a sinistra sul margine bianco la
dedica all’amico Henri Guérard e la firma dell’autore. Bellissima prova impressa su sottile
carta vergellata paglierina con buoni margini tutt’intorno alla lastra. Provenienza: timbro di
collezione non identificato. Nel bordo inferiore a matita l’iscrizione 145/27.
“Donc, pour vous répondre, mon catalogue de 1994 ne reproduit pas votre gravure qui est probablement assez
tôt (avant 1874 ?). Si la plaque fait 158 x 118 mm, il pourrait s’agir d’une gravure connue à quelques très rares
exemplaires (3 ?), sous le titre La Toilette. Confirmez-moi les dimensions exactes, je pourrai alors affiner cette
hypothèse. Dans tous les cas, les épreuves de la collection Guérard (votre épreuve est dédicacée à Henri Guérard)
sont des épreuves d’artiste rares et recherchées. Elles sont apparues dans le commerce en 1971 à la galerie
Lumley Gazalet (Londres) puis à la galerie Berès (Paris) mais celle-ci ne m’était pas connue.” (stralcio di una
email di Christophe Duvivier in data mercoledì 13 novembre 2013 ore 10.21)
“Cette gravure ne correspond finalement pas à la gravure que j’évoquais (La Toilette). Elle ne m’était pas connue
quand j’ai fait le catalogue de mon exposition (ni depuis). Elle est donc probablèment encore plus rare que je
ne le pensais (de 1 à 3 seul exemplaires?).” (stralcio di una email di Christophe Duvivier in data mercoledì 13
novembre 2013 ore 14.39)
“Le peintre Norbert Goeneutte fait-il partie de ces artistes un peu oubliés de l’histoire de l’Art, comme le pensent
certains? Cela n’est vrai qu’en partie. Car si on le connaît peu en France, il est fort apprécié en Angleterre, en
Allemagne, en Suisse et dans d’autres pays étrangers. Parisien de naissance, il vivra dans la capitale jusqu’au
moment où, sa santé s’affaiblissant, il viendra se fixer à Auvers-sur-Oise (à Chaponval plus précisement) sur le
conseil du Docteur Gachet. Il y demeurera jusqu’à sa mort survenue très tôt, à l’âge de quarante ans. Il repose
dans le cimetière de ce petit village, non loin de la tombe de Vincent van Gogh. L’on connaît la maison où il vécut. Il
fut l’ami intime de Manet qui l’appréciait beaucoup de Renoir, de Monet et bien sûr de Pissarro. S’il s’apparenta un
moment, d’après certains, au groupe impressionniste, et pratiqua parfois une technique semblable, il s’en détacha
assez vite pour suivre une voie personnelle. Il aima surtout peindre les scènes de la vie parisienne, des portraits de
famille et de ses amis, des scènes de genre, des élégantes et de nombreux paysages de Normandie, du Bordelais,
de la région parisienne et plus précisement des vues d’Auvers et de Pontoise. Il s’intéressa aussi à la gravure,
pratiqua l’eau-forte et la pointe sèche avec son ami Marcellin Desboutins. Il grava plus de deux cents planches
et devint membre fondateur de l’Association des Graveurs de la Bibliothèque Nationale, fréquenta les musiciens
Cabaner, Debussy et Eric Satie. Il participa à la rédaction de La Renaissance Littéraire et Artistique et de la revue
Paris à l’eau-forte avec Buhot, Guérard, le docteur Gachet, Charles Cros, Guillaumin, Lesclide et Catulle Mendès.”
(Edda Maillet in Musée Pissarro de Pontoise, exposition Norbert Goeneutte du 15 mai au 30 septembre 1982).
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Louis ICART
Tolosa 1888 - ivi 1950
78 Coursing II
a. Coursing II
Acquaforte, acquatinta e puntasecca a colori con ritocchi eseguiti a mano mm 445x640. A
matita in basso a destra la firma dell’autore. In alto a sinistra è visibile il Copyright con la data
1929 mentre in basso a sinistra è presente il timbro a secco di Icart. Bellissima prova stampata
su carta wove con buoni margini tutt’intorno alla lastra. In basso a destra sul margine uno
strappo riparato non riguardante l’inciso.
La stampa viene qui presentata in due diverse versioni che differiscono per alcuni sensibili
dettagli. Pur conservando infatti le stesse dimensioni della lastra rilevabili dall’impronta, la
composizione in questa prima versione appare ridotta sia in altezza che in larghezza di alcuni
millimetri. Sono presenti inoltre delle sottili variazioni cromatiche e delle ombreggiature non
riscontrabili nella seconda versione. La presenza del Copyright e del timbro dell’artista nonché
il passaggio sul mercato di alcuni esemplari, anche numerati, in questa versione ha fatto
pressochè cadere l’ipotesi che questa potesse essere una prova di lavoro precedente ai ritocchi
definitivi. E’ pertanto prudentemente ipotizzabile che la lastra sia stata tirata prima in questa
versione e poi in una ulteriore versione eseguita in seguito alle modifiche finali.
b. Coursing II
Acquaforte, acquatinta e puntasecca a colori con ritocchi eseguiti a mano mm 445x640. A
matita in basso a destra la firma dell’autore. In alto a sinistra è visibile il Copyright con la data
1929 mentre in basso a sinistra è presente il timbro a secco di Icart e l’iscrizione a matita A235.
Bellissima prova stampata su carta wove con ampi margini tutt’intorno alla lastra. Ottimo stato
di conservazione. Si tratta probabilmente della versione finale la cui tiratura venne eseguita in
seguito ad alcune lievi modifiche della lastra.
Schnessel-Karmel, 1982, pagg. 40-41 e pag. 167, n. 38 | Holland-Catania-Isen, 2002, pag.
174, n. 371
“After developing an idea for a subject in his mind, the artist made several rough sketches in pencil or crayon. From
these he selected the best one for etching and made refinements in the drawing which emphasized the outlines
and shadings of the picture. The drawing was then transferred to his polished copperplate with sanguine chalk,
a reddish drawing material that adheres easily to a slick surface. Writing of his use of both dry point and aquatint
in his creations. Icart related his techniques to those of another important etcher. [He wrote] Rembrandt gives an
example of these two processes combined. But he only made use of dry point as a means of retouching and putting
the finishing touch to his marvelous compositions. In this instance, dry point was but a complement. In my etchings
on the contrary, it is the principal means of expression and aqua fortis (aquatint) is broughtin only as a means of
support” (Schnessel in The etchings of Louis Icart, 1982, pagg. 19-20)
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Artista italiano del XVI° secolo
79 Figura seduta con a fianco un servitore
Matita rossa su sottile carta bianca vergellata leggermente scurita mm 150x106. Il foglio
si presenta in buone condizioni. Provenienza: collezione Conte Grégoire Serguiéievitch
Strogonoff, al recto in basso a sinistra timbro ovale in nero, Lugt. n. 550.
La composizione, pur di ottima qualità, risulta essere abbastanza confusa e il soggetto è di
difficile decifrazione. La figura seduta che sembra intenta a leggere potrebbe essere identificata
con quella di un Padre della Chiesa. Il supporto di cartoncino sul quale era incollato il disegno
portava alcune iscrizioni a matita che rimandavano alla chiesa di Santa Maria di Campagna
di Piacenza dove sono conservate alcune decorazioni pittoriche di notevole valore artistico
eseguite da Giovanni Antonio Sacchi detto il Pordenone. Non è stato possibile tuttavia rilevare
alcun legame diretto e consistente con questo importante ciclo di affreschi.
Artista italiano del XVII° secolo
80 Endemione e Selene
Matita nera e acquerello bruno, quadrettato a matita, su sottile carta bianca vergellata mm
105x90. Provenienza: collezione C. H. Marcellis, al recto in basso a destra timbro rotondo in
blu, Lugt n. 609 e Lugt Supplément n. 609; collezione E. R. Lamponi-Leopardi, al verso timbro in blu, Lugt n. 1760. La conservazione del foglio è ottima.
Il celebre mito che riguarda Selene è quello che la lega al giovane e bellissimo Endimione di
cui si innamorò vedendolo addormentato in una grotta del monte Latmos. Ogni notte la dea
tornava ad ammirarlo, accarezzarlo e baciarlo, ma senza mai volerlo svegliare. Accortosi di
questo amore Zeus propose al ragazzo di scegliere tra una vita normale, oppure un sonno eterno, che tuttavia lo avrebbe reso immortale e giovane per sempre. Endimione scelse la seconda
possibilità, così da godere in eterno dell’amore della dea.
Il disegno, di ottima fattura, è riconducibile con buona probabilità alla seconda metà del XVII
secolo ed è molto prudentemente ascrivibile alla scuola napoletana di quel periodo.
Fisher-Meyer, 2006, Neapolitan Drawings | Loisel, 2006, Splendeurs baroques de Naples
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Artista toscano del XVII° secolo
81 Figura maschile con bastone ritratta di spalle
Matita rossa su carta bianca lievemente scurita mm 356x231 con filigrana “giglio inscritto in
un cerchio sormontato da un’aquila” (fil. n. 36). Al verso, a matita, studio di figure. A parte
qualche lieve piccola piega, lo stato di conservazione del foglio è ottimo.
Il disegno presenta una grande finezza di esecuzione e certamente alcune tangenze con l’opera
grafica di diversi autori toscani della fine del cinquecento e della prima metà del seicento. Il
soggetto e anche il ductus possono infatti essere messi in relazione con alcuni caratteri tipici
della grafia di certi artisti fiorentini come Matteo Rosselli (1578-1650), Fabrizio Boschi (15721642), Francesco Curradi (1570-1661) e Nicodemo Ferrucci (1574-1650).
Monbeig Goguel, 2005, Dessins toscans XVIe-XVIIIe siècles, Tomo 2 | Loisel, 2006, Le
Rayonnement de Florence sous les derniers Médicis
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Artista italiano del XVIII° secolo
82 Testa di giovane uomo
Matita rossa su carta vergellata bianca di medio spessore lievemente ingiallita mm 340x210.
Provenienza: collezione Nicos Dhikeos, al recto in basso a sinistra timbro di collezione inserito
nel sito del Lugt nel mese di maggio del 2010.
Timbro rotonto in violetto con civetta ed iniziali in lettere
greche N e Δ, Lugt n. 3529
Siamo in presenza di uno studio accademico di un modello maschile o di una statua in cui
la testa e il collo ritratti appaiono sproporzionati nella loro composizione piuttosto rigida.
Nell’insieme tuttavia il disegno riesce a trasmettere all’osservatore l’obliqua malinconia di un
volto bello e luminoso dallo sguardo intenso e per nulla attraversato da rigidezze formali che
spesso si possono riscontrare nei soggetti di impronta neoclassica.
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Émile LÉVY
Parigi 1826 - Passy 1890
83 Coppia danzante - Dafni e Cloe
Sanguigna, traccia di disegno preparatorio a matita nera su carta bruna pesante non vergellata
mm 330x215. In basso a destra la firma in sanguigna “Emile Lévy”. Un giovane, in primo piano
e visto di fianco, coperto di un vello di foggia arcadica che lascia nude le gambe e la parte
sinistra del torso, danza con una fanciulla adorna di una leggiadra tunica alla greca; la giovane,
vista di fronte e posta su un piano appena posteriore, con sguardo fiero fissa negli occhi il suo
compagno che con la mano destra tiene in alto sopra le teste, nell’atto della danza, la mamo
sinistra della fanciulla. L’opera probabilmente è da identificare con il “delicato disegno di
Dafni e Cloe” menzionato da José-Maria de Heredia, amico dell’artista, nella prefazione del
catalogo di vendita dell’atelier di Émile Lévy avvenuta a Parigi nel 1890. Sfortunatamente il
catalogo non dà una descrizione dettagliata dei disegni, per cui questa identificazione non può
essere affermata con certezza. Provenienza: vendita Émile Lévy, Hôtel Drouot, Parigi, 15-16
dicembre 1890.
“M. Émile Lévy, dans ses idylles peintes, les Lilas et l’Arc-en-ciel, a revêtu ses couples adolescents d’un costume
imité des bâs-reliefs grecs, tout en cherchant a faire revivre dans un milieu agreste et peint au naturel des épisodes
de la vie pastorale et primitive. C’est une réalité qui vient, on le voit, de ce rêve dans lequel flottent les apparitions
radieuses des beaux marbres antiques et qui ferait à peine pressentir l’observateur attentif et passionné des
spectacles de la nature que doit devenir le peintre, quand il aspire à rendre des scènes vivantes et possibles. Ce
n’est point que l’invention heureuse ni la justesse de pantomime fassent défaut à M. Lévy, mais un choix plus châtié
de formes et une couleur mieux combinée donneraient à ses élégantes compositions beaucoup plus d’accent et de
relief. Ce n’est rien que de trouver par échantillons pour ses draperies et ses chairs des nuances vives et fraîches:
elles restent crues et discordantes, si l’on ne sait les distribuer et surtout en régler l’accord sur le premier jet de
la composition, que la coloration doit développer au lieu de l’alourdir. Somme toute, les préoccupations de M.
Émile Lévy sont loin d’être vulgaires, et nous nous rappelons encore une certaine tête de jeune fille mystérieuse
et attachante, qui nous fait espérer de lui des œuvres profondément senties.” (J. Grangedor, Le salon de 1868,
Gazette des Beaux-Arts, giugno 1868, pag. 516)
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REPERTORIO DELLE FILIGRANE
Al numero progressivo segue il numero della scheda del catalogo nella quale è contenuta la
descrizione della filigrana.
fil. n. 1 - cat. n. 3
A. Dürer: La donna apocalittica
fil. n. 2 - cat. n. 5
A. Veneziano: La raccolta della
manna
fil. n. 3 - cat. n. 13
G. Caraglio: Ercole e Caco
fil. n. 4 - cat. n. 16
D. Del Barbiere: Il banchetto di
Alessandro il Grande
fil. n. 5 - cat. n. 17
N. Della Casa: I Reprobi - La
barca di Caronte
fil. n. 6 - cat. n. 19
G. Bonasone: Ulisse e Calipso
170
fil. n. 7 - cat. n. 20
G. B. Franco: Gesù cade sotto la
Croce
fil. n. 8 - cat. n. 21
G.B. Franco: L’Annunciazione
fil. n. 9 - cat. n. 22
G.B. Franco: Gli Israeliti raccolgono la manna
fil. n. 10 - cat. n. 23
G.B. Franco: Mosè batte la rupe
fil. n. 11 - cat. n. 25
R. Boyvin: L’ignoranza vinta
fil. n. 12 - cat. n. 26
N. Beatrizet: Morte di Meleagro
fil. n. 13 - cat. n. 28
M. Grechi: Mosè batte la rupe
fil. n. 14 - cat. n. 29
A. Scultori: Cattura di grandi
pesci
fil. n. 15 - cat. n. 33
C. Cort: Sacra Famiglia con un
gatto
171
fil. n. 16 - cat. n. 34
C. Cort: Il martirio di S. Lorenzo
fil. n. 17 - cat. n. 35
Monogrammista FG: Giove e gli
dei guardano Callisto tra le nuvole
fil. n. 18 - cat. n. 41
L. Carracci: Sacra Famiglia sotto
un arco
fil. n. 19 - cat. n. 42
Ag. Carracci: Le tentazioni di
Sant’Antonio Abate
fil. n. 20 - cat. n. 43/1
H. Goltzius: Calliope
fil. n. 21 - cat. n. 43/2-3-4-6-7
H. Goltzius: Talia, Melpemone,
Clio, Euterpe, Erato
fil. n. 22 - cat. n. 43/8
H. Goltzius: Polimnia
fil. n. 23 - cat. n. 44
O. Farinati: Deposizione dalla
Croce
fil. n. 24 - cat. n. 45
J.P. Saenredam: Marco Furio
Camillo arriva a Roma per negoziare con i Galli
172
fil. n. 25 - cat. n. 46
J.P. Saenredam: Carità
fil. n. 26 - cat. n. 47
Aeg. II Sadeler: Ritratto allegorico
di B. Spranger e C. Muller
fil. n. 27 - cat. n. 49
Aeg.II Sadeler: Ercole e Onfale
fil. n. 28 - cat. nn. 50-51-52-54
J. Matham: I 4 elementi, Le 3
Parche, I 5 sensi, L’alleanza di
Bacco con Venere e Cerere
fil. n. 29 - cat. n. 53
J. Matham: Le 7 Virtù
fil. n. 30 - cat. n. 55
J. Matham: Gli amori degli dei
fil. n. 31 - cat. n. 56
P.P. Bonzi: Madonna col Bambino,
Sant’Antonio e Santa Caterina
fil. n. 32 - cat. n. 68
P. Testa: Teti immerge Achille nelle
acque dello Stige
fil. n. 33 - cat. n. 70
M. Oddi: Adorazione dei pastori
173
fil. n. 34 - cat. n. 71
P. Aquila: Il sacrificio di Polissena
fil. n. 35 - cat. n. 75
GD. Tiepolo: Vecchio con grande
turbante
fil. n. 36- cat. n. 81
Artista toscano del XVII secolo:
Figura maschile con bastone
ritratta di spalle
ERRATA CORRIGE
CATALOGO n. 1 - 2009
n. 9 Antonio Salamanca - Aronne
Il primo stato, antecedente alla riduzione della lastra, venne riprodotto nel catalogo della mostra Mannerist Print
al Los Angeles Country Museum, 28 July - 9 Oct. 1988 (cfr. Bruce Davis, Mannerist Prints-International Style in
the Sixteenth Century, 1988, pag. 46, n. 8)
CATALOGO n. 2 - 2010
n. 17 Nicolas Beatrizet - Mater Dolorosa
Esemplare in secondo stato di tre con l’excudit dello stampatore Antonio Lafrery (1512-1577). Il primo stato è
antecedente al nome del Lafrery; al British Museum è conservata una prova in primo stato impressa in inchiostro
rosso. Nel terzo stato, sconosciuto al Dumesnil, compare l’excudit di Giovanni Orlandi e la data 1602.
Robert-Dumesnil, 1835-1871, tome IX, pag. 145, n.17 | Bianchi in Grafica d’Arte n. 54, 2003, pag. 10, n. 17
CATALOGO n. 3 - 2011
n. 29 Jacopo Negretti - La Vergine con il bambino Gesù, San Gerolamo e San Francesco
Esemplare in primo stato su due; nel secondo stato compare il numero “E.8” nell’angolo in basso a sinistra.
n. 31 Antonio Tempesta - Scene di caccia
Esemplari nel secondo stato di tre. Al Metropolitan Museum di New York è conservato un set di dieci lastre in
primo stato, non descritto dalla bibliografia, antecedente alla numerazione in numeri romani e pubblicato da
Nicolaus Van Aelst (1527-1613) il cui nome compare sulla prima lastra, che funge da frontespizio, in basso verso
il centro; nel secondo stato l’excudit del Van Aelst viene sostituito da quello di Callisto Ferrante e viene apposta
la numerazione romana su tutte le lastre.
n. 59 Francis Seymour Haden - Horsley’s house at Willesley e n. 60 James Abbott Mc Neill
Whistler - The “Adam and Eve” Old Chelsea
Le lastre non vennero distrutte bensì biffate.
174
INDICE
ALBERTI Cherubino
AQUILA Pietro
BEATRIZET Nicola
BONASONE Giulio
BONZI Pietro Paolo
BOYVEN René
CALLOT Jacques
CANTARINI Simone
CARAGLIO Giacomo
CARRACCI Agostino
CARRACCI Lodovico
CASTIGLIONE Giovanni Benedetto
CLAENZ Alaert
CORT Cornelis
DEL BARBIERE Domenico
DELLA CASA Niccolò
DÜRER Albrecht
FARINATI Orazio
FLORIS Frans
FRANCO Giovanni Battista
GOENUETTE Norbert
GOLTZIUS Hendrick
GRECHI Michele
HADEN Francis Seymour
HOPFER Daniel
ICART Louis
JANINET Jean-François
KRUG Ludwik
LEONI Ottavio
LOLI Lorenzo
MAESTRO DEL DADO
MARATTI Carlo
MATHAM Jacob
MONOGRAMMISTA FG
MUSI Agostino
ODDI Mauro
PENCZ Georg
RAIMONDI Marcantonio
SADELER Aegidius
SADELER Jan
SAENREDAM Jan Pieterz
SCULTORI Adamo
SCULTORI Giovanni Battista
TESTA Pietro
TIEPOLO Giovanni Battista
TIEPOLO Giandomenico
VAN SICHEM Cristoffel
VILLAMENA Francesco
76-77
146-147
52-55
36-39
116-117
50-51
124-125
130-133
22-29
84-85
80-83
126-129
18-19
66-69
32-33
34-35
6-9
90-91
48-49
40-47
158-159
86-89
56-57
156-157
4-5
160-161
152-153
16-17
120-123
134-135
62-65
142-143
102-115
70-71
12-15
144-145
20-21
10-11
96-101
72-75
92-95
58-61
30-31
136-141
148-151
154-155
118-119
78-79
Finito di stampare presso GRAFICHE FABRIS dicembe 2013
Daniele Bertoldo • Via Ca’ Castelle 23 • 36010 Zané (Vicenza)
• Tel. 00.39.34.65.92.22.39 •
• [email protected] • www.danstampe.com •
2012 - 2013