Netsuke - La Galliavola
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Netsuke - La Galliavola
Arte Orientale n. 22 - Marzo 2012 Netsuke La Galliavola Arte Orientale Via Borgogna, 9 - 20122 Milano tel. +39 0276007706 - fax. +39 0276007708 www.lagalliavola.com [email protected] Cari amici, il prossimo numero del Bollettino sarà un’edizione speciale, interamente dedicata al catalogo di netsuke provenienti da importanti collezioni milanesi, conosciute e non, formate negli anni ’70’80 e acquisite di recente dalla nostra galleria. In quegli anni i primi ad affacciarsi ad un collezionismo esotico, molto di nicchia, si affidavano per i loro acquisti alle Gallerie di arte orientale per antonomasia, quella di Vittorio Eskenazi a Milano, quella di Moss a Londra o quelle americane di Hurtig e Bushell, e naturalmente alle aste di Sotheby’s e Christie’s. Queste prestigiose provenienze hanno garantito un’alta qualità dei pezzi e hanno contribuito a formare collezioni omogenee e comparabili a quelle di livello internazionale. L’opportunità, ormai rara, di riunire e proporre un discreto numero di netsuke di alta qualità, ci ha indotto a pubblicare un numero speciale del Bollettino per fornire un supporto all’esposizione e vendita che si terrà durante la manifestazione Chinese & Japanese Collections, allestita in Galleria dal 17 al 26 Maggio, all’interno della ormai consueta manifestazione Milano&Asian Art, giunta alla terza edizione. Questa speciale pubblicazione del Bollettino/catalogo sarà inviata solo a richiesta e messa a disposizione dei visitatori in Galleria. E’ per contenere il sempre maggior numero di notizie che ci pervengono e conferire il dovuto spazio agli articoli dei nostri collaboratori, sempre più importanti e qualificati, che abbiamo ritenuto, da questo numero, di aumentare le pagine del Bollettino di ulteriori quattro, salendo quindi a ventotto. Max Rutherston, uno dei maggiori esperti internazionali di arte giapponese, apre questo numero con un approfondito e interessante articolo sulle maschere del teatro Noh, ricco di informazioni indispensabili per apprezzare e riconoscere il fascino degli omote netsuke. L’articolo viene riportato anche con il testo originale in lingua inglese, essendo l’argomento di interesse internazionale. Ringraziamo Max per averci dedicato il suo prezioso e limitato tempo, in un momento in cui lo sappiamo in fase di preparazione della mostra di maggio della Rutherston&Bandini a Londra. Una piacevole serata a casa di amici ci ha dato invece l’opportunità di arricchire la nostra esperienza visionando una bella collezione di un centinaio di netsuke e di ricordare alcune leggende non troppo note ma di grande fascino: il tutto inserito in un contesto gradevole e sereno. Per lo spazio riservato a Dite la Vostra abbiamo scelto la lettera di un nostro affezionato lettore e collezionista, che ha scoperto alcune curiosità sull’ormai noto libro Un’eredità di avorio e ambra di Edmund de Waal, molto letto e apprezzato nell’ultimo anno sia da chi già conosceva i netsuke sia dai profani. Concludiamo con il preannunciato resoconto dell’asta, ormai passata alla storia, della collezione Harriet Szechenyi, allestita dalla Bonhams a Londra l’8 Novembre 2011 il cui successo è stato commentato con euforia da tutti i giornali specializzati e da tutto il mondo dei collezionisti. Non avendo elementi sufficienti che ci possano indicare nuove e significative prospettive a breve termine riguardo al mondo del netsuke, ci limiteremo a ricordare la manzoniana citazione “Ai posteri l’ardua sentenza”. Roberto Gaggianesi Hanno collaborato a questo numero: CARLA GAGGIANESI - ROBERTO GAGGIANESI - ILARIA LOMBARDI ANNA ROSSI GUZZETTI - MAX RUTHERSTON Fotolito e stampa: Grafiche San Patrignano - Ospedaletto di Coriano - Rimini In copertina e ultima di copertina: Maschera del teatro Noh raffigurante Waka-Onna. Marchio con sigillo di Genri Mitsuyoshi (Kogenri). Periodo Edo, XVII secolo. Maschere giapponesi del teatro Noh di Max Rutherston Non sono del tutto sicuro del perché Roberto Gaggianesi abbia pensato di affidare un articolo sulle maschere Noh proprio a me fra tutti, se non perchè sa che sto organizzando una mostra sul tema che si svolgerà presso la Galleria Rutherston & Bandini a Londra nel Maggio 2012. Io di certo non pretendo di essere un esperto in materia. La mia unica qualifica è quella di esserne stato affascinato per quasi vent’anni, senza però essere mai riuscito a studiarle più profondamente, almeno fino ad ora. Il mio primo vero contatto con le maschere Noh è stato durante i primi tempi al Dipartimento Giapponese di Sotheby’s dove mi si presentò l’occasione di catalogarne qualcuna. All’epoca la biblioFig. 1 - Maschera raffigurante Shikami. Non firmata. teca non era ancora ben forniPeriodo Edo, XVII secolo. ta su tale argomento, comprendendo solo una serie di piccoli volumi, e ricordo di essermi affannato nel tentativo di capire quali fossero i caratteri impersonati dalle maschere, impresa la maggior parte delle volte molto difficile visto che le differenze tra un soggetto e l’altro sono spesso così sottili da risultare quasi inafferrabili, se non si sta particolarmente attenti. Se dopo tutto questo tempo ho cominciato a capirne qualcosa di più, è in particolare grazie a un uomo, la cui conoscenza è prodigiosa, che a mio avviso è il miglior ponte per la comprensione tra il Giappone e l’Occidente. Ma a lui ritornerò più tardi… 3 Cenni storici Iniziamo con un po’ di storia. In realtà questa è a tratti ancora oscura, dunque spero mi si perdoneranno alcune generalizzazioni: prego quindi di non aspettarsi troppo da me, soprattutto date esatte. Ciò che deve essere compreso, per iniziare, è che abbiamo a che fare con un processo di distillazione avvenuto attraverso secoli, se non millenni. Produrre maschere è, per diversi motivi, un impulso primitivo comune a molte culture, anche nel caso in cui siano esse geograficamente molto distanti le une dalle altre. In Giappone, in particolare, sono state rintracciate prove archeologiche di maschere fatte con conchiglie di ostrica e argilla antecedenti il periodo Jomon, più di 5.000 Fig. 1a - Maschera raffigurante Shikami. anni fa. La funzione di queste prime Non firmata. Periodo Edo, XVII secolo (verso). maschere era quasi certamente da ricondursi all’uso di esse da parte degli sciamani, collegata ai rituali per placare l’ira degli dei ed evocare fertilità e buoni raccolti. Con questo non voglio far intendere che esista uno sviluppo in linea diretta dalla preistoria ai nostri tempi. Qualunque sia stato il metodo originale di produzione di maschere, ed è probabilmente giusto presumere che ne fosse sopravvissuto uno, gli sviluppi successivi di una certa importanza, che interessano le maschere qui presentate, arrivarono in Giappone sulla scia dell’introduzione del buddismo dalla Cina. Nel VI secolo gli spettacoli Gigaku, pregni della dottrina buddista, arrivarono in Giappone dalla Cina, ma furono rapidamente soppiantati da quelli Bugaku nel periodo Nara (metà del secolo VIII). Le maschere Bugaku erano abbastanza grandi da coprire gran parte della testa, come un casco, la maggior parte fatte in legno, alcune in lacca. Entrambe queste tradizioni, Bugaku e Gigaku, influenzarono poi le maschere Gyōdō, di dimensioni nettamente più piccole. Queste maschere coesistevano con quelle probabilmente più primitive, quelle della tradizione Tsuina, di derivazione scintoista, il cui repertorio consisteva soprattutto in demoni e in dei timorosi e dei benevoli. Le maschere di tutte queste tradizioni si collocano nell’XI fino al XII secolo, lasciando poi un lungo divario temporale prima dell’apparizione delle maschere Noh, che avvenne agli inizi del XIV secolo. Nei due secoli di intermezzo, gli spettacoli utilizzarono maschere per il divertimento 4 popolare: Ennen Fury, Dengaku e Sarugaku. Quest’ultima in particolare è da considerarsi il principale precursore Noh: le origini del teatro Noh erano sia popolari che comiche, ma già nel XIII secolo esso subì una trasformazione curiosa, sbarazzandosi di tutti gli aspetti farseschi, che si tramutarono nel teatro Kyōgen, tradizione comica che è sopravvissuta fino ad oggi, e che, all’epoca, serviva da interludio durante le rappresentazioni Noh, nettamente più serie. Durante questo periodo di evoluzione, la tradizione Noh era poco più che un miscuglio di rituali diversi, religiosi e folcloristici. Finché questo processo continuò, gli incisori di maschere godettero della massima libertà riguardo alle loro creazioni. In generale, la trasformazione delle Fig. 2, 2a - Maschera raffigurante Waka-Onna. Marchio con sigillo di Genri Mitsuyoshi (Kogenri). Periodo Edo, XVII secolo (recto e verso). maschere da folk a Noh iniziò nell’ultima metà del XIII secolo, mentre l’ultima grande fioritura nel processo creativo ebbe luogo nel XV e XVI secolo. Così, come spesso accade nella cultura giapponese, la loro codifica ebbe luogo all’inizio dell’egemonia dei Tokugawa agli inizi del XVII secolo, quando la tradizione Noh fu tolta al dominio popolare e divenne area riservata della corte imperiale e del regime militare. Dobbiamo ricordare che, agli inizi della tradizione Noh, gli attori provenivano da ceti sociali molto inferiori a quelli dei loro spettatori cosicché fu trovato un modo per ovviare a questo divario 5 socio-culturale. Il ruolo della maschera Noh era quindi quello di consentire a semplici mortali di mascherarsi da dei, eroi e cortigiani, così come di permettere ad attori anziani di interpretare il ruolo di giovani donne. A tale riguardo, è importante notare che, nelle sue memorie Sarugaki Dangi, il grande attore e drammaturgo del XV secolo Zeami, mentre faceva riferimento alle maschere di tipo mortale, di uomini e donne, in maniera puramente descrittiva (e non con i nomi dei precisi soggetti), al contrario rinviava già alle maschere di tipo divino (kashin) con il loro nome specifico: Beshimi, Okina e Tobide. E’ importante, infine, ricordarsi che il teatro Noh fu una forma artistica ufficialmente Fig. 3 - Maschera raffigurante Yase-Otoko. sovvenzionata dallo Shogunato Marchio con sigillo Deme Mitsunao, XIX secolo (recto). e che tale supporto potrebbe aver contribuito a far cessare ogni forma d’innovazione all’interno dello stesso teatro. Come si fa una maschera? La maggior parte delle maschere Noh sono intagliate nel legno di cipresso giapponese (hinoki) e sono essenzialmente copie di archetipi riveriti (honmen) che sopravvivono oggigiorno nelle collezioni delle compagnie di attori. Alcune sono copie molto precise, altre invece sono delle approssimazioni, adornate da elementi di creatività propri dell’incisore. La maschera, una volta che il viso è stato scolpito, viene coperta da strati di gofun (spesso descritto come gesso nonostante sia in realtà polvere di conchiglia di ostrica frantumata), mescolato con una colla organica. Gli ultimi strati sono miscelati con i pigmenti che daranno alla maschera la finitura richiesta. Barba e baffi vengono quindi dipinti con pennellate delicate alla fine del processo. Alcune maschere rappresentanti vecchi uomini possono inoltre essere abbellite con 6 degli impianti di crine di cavallo, mentre gli occhi di certi esseri soprannaturali possono essere ricoperti con inserti di rame dorato, in sostituzione del bianco dell’occhio. Collezionare maschere E’ importante capire che le maschere divine (honmen) qui sopra menzionate non si incontrano quasi mai sul mercato. Sono considerate tesori nazionali, a cui non si rinuncia facilmente. Di conseguenza la maggior parte delle maschere in vendita sono quelle che in passato appartenevano alle collezioni delle famiglie daimy, successivamente decadute. Questo non significa che non ci siano delle belle maschere sul mercato, ma è importante capirne l’origine. È anche molto importante considerare la loro condizione. Veramente pochi esemplari honmen sono sopravvissuti senza essere stati ridipinti, il che però non ne diminuisce l’importanza. Si potrebbe addirittura dire che la metà dell’interesse (e del valore) di una maschera è riposto nel suo intaglio mentre l’altra metà nella sua pittura. Più una maschera è antica e più si deve essere preparati ad accettare il fatto che potrebbe essere stata ridipinta e anche a perdonare i problemi dovuti alla sua condizione. La maggior parte delle volte, la superficie di una maschera si sfalda intorno al naso e sotto il mento. In casi estremi la superficie si squama un po’ ovunque e nello scenario peggiore l’ultimo strato di carta finisce con il separarsi dal legno della maschera, mettendo così a rischio l’intera superficie. In ugual misura, è anche possibile trovare delle scheggiature o delle spaccature nel legno, che spesso corrono dalla cima al fondo della maschera. Quando si compra una maschera, si dovrebbe fare l’inventario di tutti questi problemi di conservazione e valutare se essi possano essere accettabili e se sia possibile un consolidamento. Tutte queste imperfezioni, infatti, possono avere un peso e influenzare per certi versi il valore della maschera. In questo articolo non sono ancora in grado di mostrare delle illustrazioni tratte dalla nostra prossima mostra. A parte la maschera rossa del demone Shikami (fig. 1, 1a), le altre tre qui illustrate provengono da una collezione privata Fig. 3a - Maschera raffigurante Yase-Otoko. giapponese e quasi certamente in passato Marchio con sigillo Deme Mitsunao, erano parte di una collezione daimy. XIX secolo (verso). 7 Waka-Onna (la giovane donna) appartiene alla classe di maschere più umili, che rappresentano uomini e donne viventi (fig. 2, 2a). Tradizionalmente, le caratteristiche facciali sono astratte e la fronte è esageratamente alta. La maschera è quasi completamente inespressiva, in modo da consentire all’attore di far scaturire le emozioni solamente grazie alla sua interpretazione. Sebbene si sappia che anche i marchi a volte potevano essere stati copiati, questa maschera è marchiata con il sigillo di Genri Mitsuyoshi (Kogenri), morto nel 1705. La sua datazione e provenienza, quindi, la rendono una maschera assolutamente desiderabile, nonostante sia stata quasi certamente ridipinta (bene). Fig. 4, 4a - Maschera raffigurante Heita. Marchiata con il monogramma di Deme Mitsunaga (Kogenkyu). Inizi periodo Edo, circa 1600. (recto e verso) I marchi del cesello sono distintivi di questo incisore e sono chiaramente visibili sul retro dell’oggetto e costituiscono un ulteriore elemento identificativo dell’autore. La maschera di Yase-Otoko (uomo emaciato) è anch’essa marchiata, questa volta con il sigillo di un incisore del XIX secolo, Demo Mitsunao (fig. 3, 3a). La maschera ha in sé delle belle qualità scultorie e si può facilmente immaginare come avrebbe potuto essere straordinariamente efficace alla luce soffusa del teatro. Paragonando il suo retro 8 con quello della maschera precedente, si può notare come quest’ultima sia indubbiamente più recente, il che spiegherebbe anche la sua condizione globale, sicuramente migliore dell’altra. L’etichetta di carta con il nome dell’artista e il soggetto rappresentato sarà stata probabilmente affissa dal suo proprietario ed è probabile supporre che nel mon di lacca rossa si possano rintracciare degli indizi sulla sua provenienza. La maschera di Heita (fig. 4, 4a) è la più antica fra tutte queste. Quest’ultima è marchiata con il kao (monogramma) di Deme Mitsunaga (Kogenkyu): esistevano tre famiglie di incisori di maschere Noh che portavano il nome Deme, e nonostante tale nome suoni familiare a voi lettori, non è tuttora chiaro da quale di queste tre derivino gli intagliatori di netsuke. Ho alluso all’inizio al mio mentore. Quasi tutte le informazioni qui contenute sono state raccolte da un collezionista americano, Stephen Marvin. Se qualcuno volesse approfondire il tema delle maschere, non posso che raccomandare la sua opera in due volumi con custodia, Heaven has a Face; so does Hell, pubblicata solo l’anno scorso. Per chiunque fosse interessato, il testo Heaven has a Face; so does Hell è disponibile a euro 270 compresa la spedizione in Italia, presso la Rutherston & Bandini, unica distributrice per l’Europa. Rutherston&Bandini, 5 Georgian House, 10 Bury Street, London SW1Y 6AA +44 (0)20 7930 0395 [email protected] 9 JAPANESE NOH MASKS I am not quite sure why Roberto Gaggianesi has thought to commission an article on the subject of Noh masks from me of all people, unless perhaps that he knows that I am organising an exhibition on the subject to take place at Rutherston & Bandini in London in May. I certainly do not lay claim to be an expert on the subject. My only tenuous qualification is to have been fascinated by them for close on twenty years, without having taken the trouble till now to enquire more deeply. My first real contact with them was in my early days in the Japanese Department of Sotheby’s where a few came my way to catalogue. At the time, the library was not well stocked with books on the subject, and I remember struggling through a host of slim volumes trying to work out what the subjects were, difficult at the best of times because the differences between them are often so subtle, elusive unless one is particularly attentive. If after all this time I begin to know something about them, it is thanks to one man in particular, whose knowledge is prodigious, and who in my view is the best bridge between Japanese and Western understanding of the subject. I will return to him later. History Let us begin with a little history. This is indeed somewhat obscure, so please forgive some sweeping generalisations and do not expect too much of me by way of exact dates. What has to be understood first of all is that we are dealing with a distillation process over centuries, millennia even. Making masks is, for whatever reason, a primitive urge common to many geographically separated culture. In Japan there is archaeological evidence of masks made from both oyster shells and clay from before the Jomon period, over 5,000 years ago. The function of these earliest masks was almost certainly shamanistic, connected with rituals to appease the gods, and to conjure fertility and good harvests. This is not to say that there is a straight line of development from prehistory to our times. Whatever native mask making survived, and it is probably fair to assume that it did in some form, the next significant developments towards the masks that interest us here, come in the wake of the introduction of Buddhism from China. In the 6th century Gigaku performances, redolent with Buddhist significance, arrived in Japan from China, but were quickly supplanted by Bugaku in the Nara period (mid 8th century). The masks of both traditions survived as Gyōdō masks, which were really quite large, covering most of the head in the manner of a helmet, most made of wood, some of dry lacquer. These coexisted with more primitive seeming Tsuina masks of Shinto derivation which also depicted demons and fearful benevolent gods Masks from all these traditions survive from the 11th to 12th centuries, but then there is a long gap before Noh masks proper appear in the early 14th period. In the intervening two centuries or so a variety of performing arts made use of masks for popular entertainment: Ennen Furyū, Dengaku and Sarugaku. This last was a main 10 forerunner of Noh; its origins were both popular and comedic, yet in the 13th century it underwent a curious transformation, shedding all comic aspects. These transmuted to Kyōgen, which survives to this day, providing light relief in the interludes of the decidedly more serious Noh performance. During this period of refinement Noh was no more than a hotch-potch of different rituals, religious and folk. Undoubtedly, as long as this process continued, there was the greatest room for creativity on the part of the mask carvers. Broadly speaking the transformation of folk into Noh masks began in the latter half of the 13th century, and the last great flowering of the creative process took place in the 15th and 16th centuries. And like so much else in Japanese culture, codification took place at the beginning of Tokugawa hegemony in the early 17th century, at which point Noh was removed from the popular domain and became the preserve of the imperial court and the military regime. What must be remembered is that in the early days of Noh, the actors were of humble origin, and would certainly have been considered greatly inferior to their patrons. The role of the mask in Noh was to allow such mere mortals to masquerade as gods, heroes and courtiers, old men to play young women. It is telling to note that in his memoir the Sarugaki Dangi the great 15th century actor and playwright Zeami refers to the more obviously mortal masks of men and women descriptively (ie not with names of characters) while he already refers to the kashin (godlike) masks by name: Beshimi, Okina and Tobide. The implication is that by 1430 already the kashin masks were part of a recognisable repertoire, while the more human masks were an afterthought, or relative newcomer. Noh was indeed an officially sponsored art form of the Shogunate. It was that governing body which was responsible for driving out innovation, not least by creating the carving guilds, of which there were 5 by the mid 17th century. How a mask is made Most Noh masks are carved from Japanese cypress (hinoki) wood and are essentially copies of revered archetypes (honmen) which survive in the actor troupes. Some are measured copies, but a skilled carver is eventually able to carve from memory. Once the mask has been carved its face is often covered with paper which is then covered in layers of gofun (often described as gesso, though it is in fact powdered crushed oyster shell), mixed with an organic glue. The later layers are mixed with the pigments which will give the mask its required finish. Facial hair is painted with fine brushes at the end of the process. Certain masks of old men are further embellished with implanted horse-hair, while the eyes of certain supernatural beings are encrusted with gilt copper inserts where the whites would be. Collecting masks What must be understood is that the honmen mentioned above are almost never encountered in the market. Their status is of national treasures, and they would not be given up lightly. Accordingly most of the masks which are available on the market are ones that were formerly 11 in the collections of daimyō families whose fortunes have been reversed. This does not mean that there are not fine masks on the market, but it is important to understand something of the background. It is also important to consider condition. Very few of the honmen have survived without being repainted, which does not diminish their importance. One could say that half of the interest (and value) of a mask is in its carving and half in its painting. The older a mask, the more prepared one must be to accept that it may have been repainted, or to forgive condition problems. More often than not the surface of a mask will flake around the nose and beneath the chin. In more extreme cases the surface will begin to flake all over, and in the worst scenario the paper covering of the mask separates from the wood putting the whole surface at risk. Equally one finds chips and splits to the wood, the latter quite often running through the mask from top to bottom. When buying a mask, one needs to take stock of these condition problems and assess whether they are acceptable or not, and whether consolidation is possible. All defects will impact to some extent on the value of the mask. At the time of writing I am not able to show illustrations from our forthcoming exhibition. Apart from the red Shikami mask of a demon (fig. 1, 1a), the three other masks shown are from a private collection in Japan, almost certainly from a former daimyō collection. The Waka-Onna (young woman) belongs to the class of fairly shallow masks which depict living men and women (fig. 2, 2a). By tradition the features are abstracted and the forehead is exaggeratedly high. The mask is expressionless, allowing the actor to supply the emotions from his performance. Although it is not unknown for brands to be copied, this mask is impressed with the branded seal of Genri Mitsuyoshi (Kogenri), who died in 1705. That makes it a mask of some desirable age and provenance, though it has almost certainly been (well) repainted. The carver’s distinctive chisel marks are clearly visible on the reverse of the mask, and are as much a signature as the brand. The Yase-Otoko (emaciated man) mask is also branded, this time with the seal of a 19th century carver Deme Mitsunao (fig. 3, 3a). The mask itself has f ine sculptural qualities, and one can imagine how dramatically successful it might be in subdued raking light. One can judge from a comparison of its reverse with that of the previous mask that it is of younger origin, which explains its good overall condition. The paper label with the names of the artist and character will have been affixed by an owner, and there are probably clues to provenance in the red lacquer mon. The mask of Heita is the best and earliest of all here (fig. 4, 4a). It is branded with the kao (cipher) of Deme Mitsunaga (Kogenkyu). These two artists of the Deme house are from the same line of carvers which produced the mask netsuke familiar no doubt to readers of this article. I alluded at the beginning to a mentor. Nearly all the information in this article is gleaned from an American collector, Stephen Marvin. If anyone wants to go into the subject of masks in detail, I cannot recommend more highly his two-volume book in slip-case, Heaven has a Face; so does Hell, published only last year. Rutherston & Bandini are the sole European distributors of the book and can sell copies at €270 (including delivery to Italy). 12 Una collezione milanese ... da leggenda Hankwai Si tratta di un personaggio storico-leggendario dagli aspetti molto controversi e curiosi, tipici della tradizione cinese, che vennero in seguito sovente ripresi dai carvers giapponesi di netsuke. E’ generalmente rappresentato in un atteggiamento feroce, vestito come un guerriero o un dignitario nell’atto di affrontare un nemico, mentre con la mano destra brandisce minacciosamente una spada e con l’altra tiene sulle spalle una porta. La storia ci riporta che Hankwai, vissuto in Cina intorno al 200 d.C., apparteneva ad una delle classi cinesi più basse, quella dei macellai di cani. Lo troviamo, Netsuke in avorio, Hankwai però, rappresentato in sfarzosi abiti perché innalzato al che con passo fiero entra nelle rango di ministro dall’imperatore Kao Tsu, della dinastanze dell’Imperatore con la stia Han, per essere stato uno dei primi suoi sostenitoporta sotto braccio, firmato ri. Non ci è dato di sapere in quale circostanza e in che Seiichi. Metà XIX secolo. modo ma, evidentemente, qui comincia la leggenda. La curiosità del personaggio nasce dalle consuete due versioni dei fatti. La prima narra che Hankwai, venuto a conoscenza che nel Palazzo si stava tramando per uccidere il suo imperatore, si sia precipitato nella sala dove, a porte chiuse, i traditori stavano banchettando con il sovrano, aspettando il momento propizio per ucciderlo, una volta fattolo ubriacare. Hankwai, dopo aver bussato inutilmente, con una spallata sradicò la porta dai cardini e precipitatosi nel salone, avvertì il sovrano del complotto dandogli modo di fuggire. La seconda, molto più piccante, racconta invece che all’imperatore Kao Tsu piacevano molto il vino e le donne e che spesso si rinchiudeva nei suoi appartaVerso della figura precedente. menti e si lasciava andare alle orge più sfrenate. 13 Hankwai, volendo salvaguardare la dignità o redimere il suo sovrano, scardinò a spallate la porta dell’appartamento regale e, con questa sottobraccio, si catapultò nella camera da letto. Quale fu il suo stupore quando si trovò di fronte all’imperatore che, ubriaco fradicio, dormiva profondamente usando come cuscino il ventre di un eunuco. Non ci sono permessi commenti ironici o allusioni di sorta… Watanabe Questa leggenda è più conosciuta come “il braccio di Rashomon” e non con il nome del protagonista, Watanabe. L’episodio è comunque rappresentato a volte solo con il braccio mozzato dell’Oni, più spesso con un piccolo Oni seduto vicino all’arto mutilato che medita sulla sfortuna del demone più grande. Netsuke in legno di bosso, un piccolo e depresso oni, medita sulla disgrazia accaduta all’oni più grande. La leggenda è richiamata dal piccolo ma intrigante particolare di una piccola mano mozzata sulla spalla del demone. Non firmato, inizi del XIX secolo. La leggenda, anche lei con diverse ma non sostanziali varianti, racconta che l’eroe Watanabe, decise di liberare la porta Rashomon di Kyoto da un enorme demone che impediva ai viandanti di attraversarla di notte. Si recò quindi a cavallo alla porta ed ecco che, verso le due del mattino, sentì alle spalle una mano che lo minacciava. Prontamente sfoderò la sua spada e con un colpo secco tagliò di netto l’enorme braccio dell’Oni che si allontanò urlando. Watanabe raccolse il braccio mozzato e lo conservò in una scatola di ferro rifiutandosi di mostrarlo a chiunque. Dopo qualche tempo gli si presentò una donna qualificandosi come una sua vecchia balia che, dopo qualche chiacchiera, spostò il discorso sul trofeo dell’eroe e, insistendo, se lo fece mostrare. Appena aperta la scatola la vecchia si trasformò in un demone con le sembianze di Hannya, si impossessò del trofeo e sparì. 14 Netsuke in legno e avorio, raffinata rappresentazione del Sansukumi. Su un ombrello in bosso, un serpente minaccia una rana, che a sua volta segue una lumaca. Firmato Ju, metà del XIX secolo. Sansukumi Deriva da una leggenda ma è più conosciuta come credenza popolare, il sansukumi è l’insieme di tre animali che si temono reciprocamente: un serpente, una rana e una lumaca. Si dice infatti che il serpente può mangiare la rana, che a sua volta può ingoiare la lumaca, la cui bava potrebbe però essere fatale al serpente. Il corpo della lumaca, senza conchiglia, ne sottolinea la vulnerabilità, che però viene ad essere contrastata dalla dimensione inusuale dell’animale: simbolo di una forza per la sopravvivenza più grande di quanto il piccolo animale possa mostrare. Okame (Uzume) Secondo lo shintoismo, Okame è la dea della gioia e della follia. E’ rappresentata con gote piene, due macchie sulla fronte e con un sorriso sulle labbra; la sua origine è prettamente giapponese ed è originata dalla sua danza davanti alla divinità del Sole, oggetto di uno dei più antichi miti connessi alla costruzione della Casa Imperiale. La leggenda narra che il dio del sole Amaterasu, scontento della rozza condotta di Susanao, la divinità dell’acqua, si ritirò in una caverna immergendo il cielo e la terra nell’oscurità e nella tristezza. Si ricorse ad Okame, la bella dea, che con una folle danza suscitò le risa di tutte le creature dell’universo. Il dio, udendo quelle risa, ne fu incuriosito. Uscì così dalla grotta, che venne però prontamente richiusa alle sue spalle. Da allora i cieli e la terra ebbero ancora la luce e Okame iniziò ad essere considerata come Netsuke in porcellana, la divinità dell’abbondanza, della fertilità e della proveniente dai forni di Hirado. gioia e fu rappresentata dai carvers come una donna Okame sorridente e avvolta allegra, paffuta, dagli occhi socchiusi, dalle sopracciin una ricca veste. glia rasate e con due protuberanze sulla fronte. Metà del XIX secolo. 15 Futen e Raiden Il dio dei venti e quello del tuono, diventarono nel corso del tempo divinità popolari, rappresentate dai carvers giapponesi come demoni (oni). Futen con un grande sacco, nel quale trattiene i venti e le tempeste, mentre Raiden con un grande tamburo sulle spalle, dal quale fa scaturire il rombo dei tuoni. Abbiamo voluto “raccontarvi” questi cinque netsuke scelti e scoperti nell’ambito di una piacevole serata a casa di collezionisti che, come spesso accade, si scoprono amici, attratti oltre che da lontane convergenze di DNA, come pare attestino recenti studi, dall’affinità nell’amare le stesse cose. Piacevole serata, e addirittura sorprendente quando abbiamo avuto la possibilità di tenere tra le mani un centinaio di netsuke: questa denominazione dovrebbe essere sufficiente, dal momento che, il più delle volte, i ninnoli che vengono mostrati all’ammirazione di ignari ospiti, netsuke non sono. Partiamo quindi da questo fondamentale presupposto: una bella collezione di netsuke, autentici, antichi, di bella qualità, di avorio e legno (i prediletti da parte della signora) senza escludere altri materiali come la porcellana, il corallo e il corno. Alla fine della serata, commentandoli con i proNetsuke in avorio e inserti prietari, abbiamo concordato sulla piacevolezza in corno nero. di alcuni, sulla curiosità di altri ma soprattutto Futen che corre tra i venti che fuoriescono dal suo sacco. sulle motivazioni o sui contesti che hanno portato al loro acquisto. Firmato Keimin, Come dimenticare il negozietto gestito da un metà del XIX secolo. esule polacco vicino al British Museum? O quelli acquistati sulla bancarella dei Navigli (quando ancora si trovava qualche cosa di antico), oppure come non ridere dei primi incauti acquisti? Da parte nostra diventa un’esperienza acquisita e un motivo in più per amare questo “mondo di piccole cose”. Grazie della piacevole serata e soprattutto della vostra amicizia. 16 dite la vostra ..... I misteri della lepre dagli occhi d’ambra È da agosto che avevo in lista d’attesa la lettura di questo best seller Un’eredità di avorio ed ambra (titolo originale The Hare with Amber Eyes: a hidden inheritance) che tra le sue tante particolarità ha quella di toccare il tema dei netsuke, oggetto della mia passione. In realtà ne avevo già sentito parlare alla fine del 2010 in una recensione dell’International Netsuke Society Journal e da quel commento sapevo più o meno cosa aspettarmi. I netsuke sono solo un pretesto che l’autore Edmund de Waal ha usato per raccontare la drammatica saga di una famiglia di banchieri ebrei, da cui egli stesso discende, attraverso tre generazioni dal 1870 ai giorni nostri. Appena comprato il libro era stata Paola, mia moglie, a lanciarsi nella lettura e ad accompagnare le mie serate con i suoi commenti di interesse precorritori dei miei. Eppure c’era qualcosa nel fondo della mia mente che si muoveva ogni volta che sentivo citare il nome degli Ephrussi, la famiglia protagonista della vicenda, qualcosa che mi diceva “déjà vu”. È poi arrivato il mio turno: ho trovato il libro bello, ben scritto con tanti spunti storici interessanti, capace anche di arricchire in qualche modo le conoscenze di un appassionato di netsuke come me quando narra della nascita della moda del giapponesismo a Parigi tra gli anni 1870 e 1880. Ma anche deludente per la poca profondità con cui questo scrittore-artista, curatore del Victoria and Albert Museum, descrive oggetti d’arte così ricchi di storia e specificità, trattandoli alla stregua di curiosità per le quali l’appellativo più appropriato è ninnoli (baubles in inglese). Ma ecco aprirsi un cassettino della mente: una ricerca febbrile tra i miei vecchi libri sui netsuke mi fa ritrovare nel Volume 19, n. 3, del 1999 della rivista International Netsuke Society Journal, l’articolo Beauty of netsuke rooted in my heart scritto da Ignace Ephrussi, prozio di Edmund de Waal, nel 1970 con oggetto la storia della sua collezione. In origine l’articolo, scritto in giapponese, era stato pubblicato sul Nihon Keizai Shibun (fatto citato dallo stesso de Waal a pagina 352). La traduzione del 1999 in inglese era stata autorizzata da Jiro Sugiyama, figlio adottivo ed erede della collezione di netsuke di Ignace Ephrussi. Ed è da qui che tanti misteri si aprono in quanto i ricordi di Ignace viaggiano su binari divergenti da quanto racconta de Waal. Secondo l’articolo di Ignace: la collezione tramandata in famiglia ammonta a circa 500 pezzi e chi l’ha originariamente acquisita a Parigi è stato il suo omonimo nonno Ignace Ephrussi, non l’affascinante zio filantropo Charles Topo su corda arrotolata, avorio. la collezione, effettivamente tratta in salvo dalla Non firmato. Lunghezza cm 6,2. 17 dite la vostra ..... cameriera della madre, pervenne alla sorella dopo la fine della guerra e questa la spedì al fratello quando era già in Giappone; la collezione è stata arricchita da molti pezzi acquistati direttamente da Ignace Ephrussi nel corso dei suoi 47 anni di vita trascorsi in Topo su baccelli di fagiolo, avorio. Giappone. Nel 1970 ne aveva raccolti almeno 60 Non firmato Soko. Lunghezza cm 6,8. e tutti di valore. Chissà quanti altri si sono poi aggiunti. Nel 1993, quando de Waal trascorre il suo anno di stage in Giappone, incontra per la prima volta il prozio per il quale è praticamente uno sconosciuto. Subito dopo il rientro in Inghilterra nel 1994 Ignace muore e lascia la collezione a Jiro che sicuramente la possiede nel 1999. Mi domando allora: come sono stati acquisiti i 264 netsuke in possesso di de Waal? Glieli ha regalati Jiro e quando? Perché, a fronte della dichiarata volontà di ricostruire con fedeltà la storia della famiglia, fatti ben documentati vengono travisati? Perché non spiegare che il prozio era un appassionato collezionista di netsuke che batteva il Giappone in lungo ed in largo per trovare pezzi di valore? Shishi, avorio. Perché non dire che i netsuke erano stati acquistati Non firmato. Lunghezza cm 5,2. dall’antenato Ignace von Ephrussi? Forse in questo caso la storia sarebbe stata più banale e non avrebbe permesso di ripercorrere le affascinanti vicende parigine di Charles, creando collegamenti tra i rami francese e austriaco della famiglia. L’articolo del 1999 però un mistero lo risolve: adesso capisco da dove viene il “ninnolo” a forma di fascina di legna con cui avrebbero giocato i figli di Victor, realizzato da Soko Morita, nato nel 1879 e morto nel 1943 e che certamente non poteva essere parte della collezione originale di Ignace von Ephrussi. Giovanni Rimondi La ringraziamo per le numerose e curiose notizie che pensiamo indurranno coloro che non hanno ancora letto il libro a leggerlo già perdonando l’autore Edmund de Waal per le veniali licenze poetiche. 18 Fascio di tronchi, legno. Firmato Soko. Lunghezza cm 5,6. Londra: Bonhams, 8 novembre 2011 Un’asta d’altri tempi, da ricordare Ritorniamo a parlare della “storica” vendita della Collezione di netsuke di Harriet Szechenyi avvenuta a Londra presso la casa d’aste Bonhams, l’8 novembre dello scorso anno. Erano anni che non veniva presentata una collezione così completa e importante. L’attesa ha premiato i collezionisti che hanno risposto con grande entusiasmo, ammirando e valutando i 247 lotti in vendita e lasciandone invenduti solo 23 pari a circa il 9%, acquistando tutti gli altri e rilanciando colpo su colpo, raggiungendo molte aggiudicazioni da record. Mai come in questa occasione ci è d’obbligo anticipare che la scelta dei lotti pubblicati è dovuta ad una scelta personale e che, per rispetto alla grande qualità del catalogo, abbiamo ritenuto i commenti presuntuosi e quindi abbiamo optato per le semplici descrizioni, con la sola aggiunta di qualche nostra ricerca personale sulle firme o sulle provenienze. Lotto 44 - Netsuke in avorio, baku seduto, non firmato, Kyoto XVIII secolo, altezza mm 69, stimato 8.000/9.000 sterline, viene aggiudicato a 20.000. Seduto sulle quattro zampe, la testa rialzata come se stesse latrando, il singolo corno premuto contro la pronunciata proboscide e le zampe intagliate a dare un senso di compattezza. L’avorio è leggermente consunto, la patina è bella e le pupille sono intarsiate. Lotto 47 - Netsuke in legno di bosso, baku, non firmato, inizio del XIX secolo, altezza mm 42, 7.500/8.000 pound la stima iniziale, 33.650 l’aggiudicazione. Seduto con il corpo ruotato, ha la testa rivolta in basso a Lotto 44 sinistra e la zampa destra intagliata contro quella posteriore a formare l’himotoshi naturale, creando una composizione compatta. Legno di bosso leggermente consumaLotto 47 to e di bel colore. 19 Lotto 50 - Netsuke in legno, kirin sdraiato, firmato Ikkan, Nagoya, (1817-1893), altezza mm 38, viene messo in vendita a 10.000/15.000 sterline e se ne aggiudica 16.250. Il kirin giace a riposo, con la testa rivolta a sinistra, le corna e le zampe intagliate e impreziosite ai lati da fiamme. Una zampa forma l’himotoshi naturale, il legno è leggermente consunto e di bel colore. Firmato entro riserva ovale. Lotto 50 Lotto 51 - Netsuke in avorio, kirin, firmato Yoshimasa, Kyoto, inizi del XIX secolo, altezza mm 100, parte con una stima iniziale di 50.000/60.000 pound e viene aggiudicato a 73.250. Seduto nella sua consueta postura, la testa rialzata, in una posizione simile a quella del latrare. Il corpo squamoso è fiancheggiato da fiamme. L’avorio è leggermente consumato e le pupille sono intarsiate in corno nero. Lotto 57 - Netsuke in legno, kappa sopra una tartaruga, firmato Toyoyo (Toyoyasu ovvero Hidari Toyomasa), Tamba, (1811-1883), altezza mm 45, messo in vendita con una stima di 10.000/15.000 sterline ne ottiene 17.500. Un Kappa, animale fantastico dalla testa scimmiesca e con un carapace sul dorso, seduto su di una larga tartaruga, si guarda attorno, rivolto sulla sinistra, con un’espressione di allerta. Il legno è leggermente consunto e possiede una bella patina, firmato entro riserva rettangolare. (Toyoyo è il nome d’arte del Lotto 51 figlio di Naito Toyomasa I. Come risulta nell’articolo Naito Toyomasa Part II, di K. Ichimichi, nell’INSJ, vol. 21, n. 1, la pronuncia del nome Toyoyasu non veniva usata in quanto offensiva nei confronti di Aoyama Tadayasu, signore di Sasayama, presso la corte del quale il padre Toyomasa era scultore ufficiale. La pronuncia corretta è Toyoyo.) Lotto 57 20 Lotto 61 - Netsuke in legno, nue, firmato Umetada, XIX secolo, lunghezza mm 41, parte con una base d’asta di 1.500/2.000 sterline ma viene aggiudicato a ben 8.750. Creatura mitica, composta da testa di una scimmia, corpo di tigre, coda di serpente. L’animale è adagiato al suolo, con il corpo leggermente rivoltato e la testa abbassata. Firmato Lotto 61 entro riserva rettangolare. (La firma Umetada è probabilmente da collegarsi a Umetada Motoshige attivo dopo la metà del XIX secolo, più conosciuto come produttore di netsuke in metallo). Lotto 73 - Netsuke in avorio colorato, kitsune, non firmato, tardo XVIII-inizio XIX secolo, altezza mm 102, la stima di 10.000/15.000 sterline viene largamente superata da un’aggiudicazione a 55.250. La volpe, kitsune, rappresentata con le sembianze umane, è in piedi, vestita da prete, guardando verso il basso a destra. Le sue mani umane sono appoggiate su di una canna di bambù e i piedi, anch’essi umani, sono stati probabilmente intagliati separatamente. La volpesacerdote Hakuzozo è un motivo popolare nella mitologia giapponese e da origine al soggetto Tsurigitsune, nel teatro Kyogen. Lotto 98 - Netsuke in avorio, Olandese con un cinghiale sulle Lotto 73 spalle, non firmato, Kyoto, tardo XVIII secolo, altezza mm 95, buona la stima di 20.000/25.000 sterline e altrettanto buona l’aggiudicazione a 49.250. L’olandese è in piedi, il corpo leggermente rivolto a sinistra, nell’atto di trasportare sulla schiena il cinghiale catturato. Indossa un lungo cappotto diviso in maniera asimmetrica, decorato da immagini di onde e impreziosito da due bottoni intarsiati, un cappello dall’ampio bordo e scarpe con la fibbia. Le pupille sono intarsiate in corno. Lotto 98 21 Lotto 119 - Netsuke in avorio, bue sdraiato, firmato Masanao, Kyoto, tardo XVIII secolo, lunghezza mm 57, stima di partenza 18.000/22.000 per una aggiudicazione a 32.450 sterline. Il bue giace a terra con la testa rivolta in basso a destra, le zampe sono intagliate a dare Lotto 119 una sensazione di compattezza, una corda gli gira attorno al muso circondando la cavezza, per arrivare fino alla fine del corpo. Pupille intarsiate in corno. Lotto 126 - Netsuke in avorio, tigre con piccolo, firmato Tomotada, Kyoto, tardo XVIII secolo, altezza mm 38, una valutazione iniziale di 20.000/25.000 sterline, viene confermata con l’aggiudicazione a 27.500. La madre seduta, rivolta a destra, si lava la zampa anteriore, leggermente sollevata, mentre il cucciolo siede con soddisfazione ai suoi piedi. Occhi intarLotto 126 siati e firma in riserva rettangolare. Lotto 130 - Netsuke in avorio, una tigre con due piccoli, firmato Okatori, Kyoto, inizio del XIX secolo, altezza mm 45, stessa valutazione della precedente a 20.000/25.000 e medesima conferma a 25.000 sterline. La madre è seduta, la testa abbassata come se stesse giocando con un cucciolo, mentre un altro le siede a fianco, intento a grattarsi la guancia con la zampa posteriore. Lotto 130 L’himotoshi naturale sfrutta una zampa sotto il corpo della tigre. Pupille intarsiate in corno nero, firma in riserva rettangolare. Lotto 145 - Netsuke in legno, cavallo, firmato Izumiya Tomotada, Kyoto, XVIII secolo, altezza mm 54, messo in vendita con una stima di 20.000/25.000 sterline se ne aggiudica 30.000. L’animale è in piedi, la testa abbassata e rivolta a destra, gli zoccoli uniti insieme. La coda si stende lungo il fianco destro. Lotto 145 22 Lotto 150 - Netsuke in avorio, cavallo al pascolo, non firmato, Kyoto, primi del XIX secolo, altezza mm 82, stima di 15.000/20.000 sterline, prezzo di aggiudicazione 73.250. Il cavallo è rappresentato in una posizione classica, la testa abbassata a sinistra e gli zoccoli uniti, la coda si raccoglie sul retro del corpo e forma l’himotoshi naturale fornendo così al netsuke una sensazione di compattezza. Lotto 155 - Netsuke in legno, tre scimmie, firmato Naito Toyomasa, Tamba (1773-1856) circa 1837, lunghezza mm 47, messo in vendita con una stima di 18.000/20.000, raggiunge la bella aggiudicazione di 85.250 sterline. Tutte sedute, mentre lottano per contendersi una pesca, una mentre mangia il frutto che le altre tentano di sottrarle, formando una composiLotto 150 Lotto 155 zione compatta. Gli occhi sono in corno pallido e traslucido, firma in una lunga e arrotondata riserva rettangolare. L’iscrizione sul netsuke stabilisce che fu fatto da Toyomasa all’età di 65 anni. Lotto 157 - Netsuke in avorio, cane con una palla, firmato Okatomo, Kyoto, inizi del XIX secolo, altezza mm 51, parte con una stima di 15.000/20.000 sterline e viene venduto a 46.850. Seduto, la testa abbassata e rivolta a sinistra, mentre la zampa anteriore blocca una kemari (palla cucita). Pupille intarsiate in corno nero, firma entro riserva rettangolare. Lotto 185 - Netsuke in avorio, cinghiale tra le foglie, firmato Lotto 157 Tomotada, Kyoto, XVIII secolo, lunghezza mm 57, stimato 15.000/20.000 pound viene confermato a 23.750. Classico soggetto, il cinghiale, caduto addormentato su di un letto di foglie e felci, le zampe anteriori piegate sotto il corpo. Curiosa la realizzazione della spessa coltre di foglie e rami che, sul fondo del nostro netsuke, prevale sul consueto intaglio delle zampe dell’animale. In mezzo ai rami, la firma, peculiare di Tomotada, dentro una riserva rettangolare. Lotto 185 23 Lotto 194 - Netsuke in avorio, cervo sdraiato, firmato Okatomo, Kyoto, tardo XVIII - inizi del XIX secolo, lunghezza mm 45, parte con una stima molto prudente di 8.000/10.000 sterline e si attesta invece a 55.250. Il cervo è sdraiato con la testa rivolta verso l’alto e rigirata indietro a sinistra. Le sue corna premono lungo il collo e le zampe sono intagliate a dare un senso di comLotto 194 pattezza. Pupille intarsiate e firma in riserva rettangolare. Sebbene l’oggetto sia attribuito con sicurezza a Okatomo e si tratti di un buon esempio del suo stile, la firma è un pochino esitante: probabilmente per la consunzione era poi stata re-incisa in epoca più tarda. Interessante e curiosa supposizione evidentemente accettata. Lotto 196 - Netsuke in avorio, cervo seduto, firmato Okatomo, Kyoto, tardo XVIII-inizi XIX secolo, altezza mm 63, già stimato 50.000/60.000 sterline, svetta a 193.250. Seduto, la testa rivolta verso l’alto, quasi nell’atto di bramire al cielo. Le corna ramificate rivolte in basso, seguendo il lungo collo, a dare un senso di compattezza. Pupille intarsiate in corno nero e riserva rettangolare. Lotto 208 - Netsuke in avorio tinto, tanuki a forma di teiera, firmato Ohara Mitsuhiro, Osaka (1810-1875), lunghezza mm Lotto 196 42, stimato 6.000/7.000 sterline viene aggiudicato a 13.750. Il basso e largo vaso trasformato in un tasso, la coppa contiene testa, zampe e coda, il coperchio è rimovibile e forma l’attacco per la corda. L’avorio è colorato, le pupille sono intarsiate mentre l’intera superficie della teiera è fatta in ishime. Il modello si riferisce alla nota leggenda della teiera che si trasforma miracolosamente in un tasso, consentendo al monaco Bunbuku Chagama di girare le fiere ed i mercati raccogliendo il denaro per sopravvivere. L’aggiudicazione è stata di tutto rispetto, nonostante Neil Davey avesse dichiarato con stile tutto inglese: si suggerisce che il coperchio in avorio possa essere tardo. E’ solo una curiosità ma, lo stesso Davey non aveva fatto altrettanto la volta precedente il 20 febbraio 1986, Sotheby’s Londra, lotto 19, vendita anonima di un collezionista europeo, quando lo stesso netsuke venne messo in vendita con una stima di 1.800/2.500 sterline e fu venduto per ben 7.700! Lotto 208 Di allora. 24 Lotto 227 - Netsuke in legno, lumaca, firmata da Naito Toyomasa, Tamba (1773-1856), datato 1834, larghezza mm 45, messa in vendita con una stima di 15.000/20.000 sterline, raggiunge la bella cifra di 34.850. Fuoriuscente dalla sua conchiglia, si piega sopra di essa, le sue antenne si estendono e l’himotoshi scaturisce dal suo corpo carnoso. Dettagli intagliati in ukibori. Firma entro riserva rettangolare. L’iscrizione recita: fatto da Toyomasa in un giorno fausto nel quinto anno del Tempo (1834), all’età di 62 anni, Lotto 227 mentre viveva a Sasayama nella provincia di Tanshu (Tamba). Si registrano molte lumache di Toyomasa, ognuna con una data differente, ma tutte fatte durante gli anni ’30 del 1800. Lotto 228 - Netsuke in avorio tinto, ceppo d’albero, firmato Ohara Mitsuhiro, Osaka (1810-1875) datato 1839, lunghezza mm 42, la stima prudente è di 5.000/6.000 pound, l’aggiudicazione sorprendente di 46.850. Di forma irregolare, i lati punteggiati per dare un effetto “legno” e il sopra e la base incisi con gli anelli dell’età, un ramo di foglie d’acero sul top e un’altra foglia intagliata in rilievo su di un lato. L’iscrizione stabilisce Lotto 228 che il netsuke fu fatto nel mese di Settembre, nell’anno del cinghiale (1839). All’angolo della firma sul retro è inscritto uno dei dieci segni del calendario, un segno dello zodiaco e il nome del mese. Abbiamo trovato una prima volta il netsuke nell’asta di Sotheby’s a Londra, del 24 ottobre 1984, lotto 6, per la vendita della Martin Collection: allora fu messo in asta con una stima di 1.200/1.500 sterline. Non sappiamo, purtroppo, a quanto fu venduto. Lotto 234 - Netsuke in avorio, il Palazzo al mare del re, firmato Kagetoshi, XIX secolo, altezza mm 41, viene messo in vendita con una stima di 1.200/1.500 sterline e viene venduto a 2.750. Della stessa tipologia del netsuke “tra le nuvole” commentato nel nostro Bollettino n. 21 del Dicembre scorso, mostra numerose persone che camminano attorno ad un grande numero di stanze aperte in un palazzo dall’architettura elaborata. Un grande dragone da un lato, all’inseguimento di Otohime, che nuota rapidamente via, tenendosi stretto il gioiello del re che controlla le maree. Firma entro riserva rettangolare. Lotto 234 25 Boy sul sacco di Hotei. Avorio, non firmato, inizi XIX secolo. Lunghezza mm 41, altezza mm 33. La Galliavola Arte Orientale Via Borgogna, 9 - 20122 Milano tel. +39 0276007706 - fax. +39 0276007708 www.lagalliavola.com [email protected]