Netsuke - La Galliavola

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Netsuke - La Galliavola
Arte Orientale
n. 22 - Marzo 2012
Netsuke
La Galliavola Arte Orientale
Via Borgogna, 9 - 20122 Milano
tel. +39 0276007706 - fax. +39 0276007708
www.lagalliavola.com [email protected]
Cari amici,
il prossimo numero del Bollettino sarà un’edizione speciale, interamente dedicata al catalogo di
netsuke provenienti da importanti collezioni milanesi, conosciute e non, formate negli anni ’70’80 e acquisite di recente dalla nostra galleria.
In quegli anni i primi ad affacciarsi ad un collezionismo esotico, molto di nicchia, si affidavano per
i loro acquisti alle Gallerie di arte orientale per antonomasia, quella di Vittorio Eskenazi a Milano,
quella di Moss a Londra o quelle americane di Hurtig e Bushell, e naturalmente alle aste di Sotheby’s
e Christie’s. Queste prestigiose provenienze hanno garantito un’alta qualità dei pezzi e hanno contribuito a formare collezioni omogenee e comparabili a quelle di livello internazionale.
L’opportunità, ormai rara, di riunire e proporre un discreto numero di netsuke di alta qualità, ci
ha indotto a pubblicare un numero speciale del Bollettino per fornire un supporto all’esposizione e vendita che si terrà durante la manifestazione Chinese & Japanese Collections, allestita in
Galleria dal 17 al 26 Maggio, all’interno della ormai consueta manifestazione Milano&Asian Art,
giunta alla terza edizione.
Questa speciale pubblicazione del Bollettino/catalogo sarà inviata solo a richiesta e messa a
disposizione dei visitatori in Galleria.
E’ per contenere il sempre maggior numero di notizie che ci pervengono e conferire il dovuto
spazio agli articoli dei nostri collaboratori, sempre più importanti e qualificati, che abbiamo ritenuto, da questo numero, di aumentare le pagine del Bollettino di ulteriori quattro, salendo quindi a ventotto.
Max Rutherston, uno dei maggiori esperti internazionali di arte giapponese, apre questo numero con un approfondito e interessante articolo sulle maschere del teatro Noh, ricco di informazioni indispensabili per apprezzare e riconoscere il fascino degli omote netsuke. L’articolo viene
riportato anche con il testo originale in lingua inglese, essendo l’argomento di interesse internazionale. Ringraziamo Max per averci dedicato il suo prezioso e limitato tempo, in un momento
in cui lo sappiamo in fase di preparazione della mostra di maggio della Rutherston&Bandini a
Londra.
Una piacevole serata a casa di amici ci ha dato invece l’opportunità di arricchire la nostra esperienza visionando una bella collezione di un centinaio di netsuke e di ricordare alcune leggende
non troppo note ma di grande fascino: il tutto inserito in un contesto gradevole e sereno.
Per lo spazio riservato a Dite la Vostra abbiamo scelto la lettera di un nostro affezionato lettore e collezionista, che ha scoperto alcune curiosità sull’ormai noto libro Un’eredità di avorio e ambra di Edmund
de Waal, molto letto e apprezzato nell’ultimo anno sia da chi già conosceva i netsuke sia dai profani.
Concludiamo con il preannunciato resoconto dell’asta, ormai passata alla storia, della collezione
Harriet Szechenyi, allestita dalla Bonhams a Londra l’8 Novembre 2011 il cui successo è stato
commentato con euforia da tutti i giornali specializzati e da tutto il mondo dei collezionisti. Non
avendo elementi sufficienti che ci possano indicare nuove e significative prospettive a breve termine riguardo al mondo del netsuke, ci limiteremo a ricordare la manzoniana citazione “Ai posteri l’ardua sentenza”.
Roberto Gaggianesi
Hanno collaborato a questo numero: CARLA GAGGIANESI - ROBERTO GAGGIANESI - ILARIA LOMBARDI ANNA ROSSI GUZZETTI - MAX RUTHERSTON
Fotolito e stampa: Grafiche San Patrignano - Ospedaletto di Coriano - Rimini
In copertina e ultima di copertina: Maschera del teatro Noh raffigurante Waka-Onna. Marchio con sigillo di
Genri Mitsuyoshi (Kogenri). Periodo Edo, XVII secolo.
Maschere giapponesi del teatro Noh
di Max Rutherston
Non sono del tutto sicuro del
perché Roberto Gaggianesi
abbia pensato di affidare un
articolo sulle maschere Noh
proprio a me fra tutti, se non
perchè sa che sto organizzando
una mostra sul tema che si
svolgerà presso la Galleria
Rutherston & Bandini a
Londra nel Maggio 2012.
Io di certo non pretendo di essere un esperto in materia. La mia
unica qualifica è quella di esserne stato affascinato per quasi
vent’anni, senza però essere mai
riuscito a studiarle più profondamente, almeno fino ad ora.
Il mio primo vero contatto
con le maschere Noh è stato
durante i primi tempi al
Dipartimento Giapponese di
Sotheby’s dove mi si presentò
l’occasione di catalogarne
qualcuna. All’epoca la biblioFig. 1 - Maschera raffigurante Shikami. Non firmata.
teca non era ancora ben forniPeriodo Edo, XVII secolo.
ta su tale argomento, comprendendo solo una serie di piccoli volumi, e ricordo di essermi affannato nel tentativo di capire quali fossero i caratteri impersonati dalle maschere, impresa la maggior
parte delle volte molto difficile visto che le differenze tra un soggetto e l’altro sono
spesso così sottili da risultare quasi inafferrabili, se non si sta particolarmente attenti.
Se dopo tutto questo tempo ho cominciato a capirne qualcosa di più, è in particolare grazie a un uomo, la cui conoscenza è prodigiosa, che a mio avviso è il miglior
ponte per la comprensione tra il Giappone e l’Occidente.
Ma a lui ritornerò più tardi…
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Cenni storici
Iniziamo con un po’ di storia. In realtà questa è a tratti ancora oscura, dunque spero mi
si perdoneranno alcune generalizzazioni:
prego quindi di non aspettarsi troppo da me,
soprattutto date esatte.
Ciò che deve essere compreso, per iniziare, è che abbiamo a che fare con un processo di distillazione avvenuto attraverso
secoli, se non millenni.
Produrre maschere è, per diversi motivi, un
impulso primitivo comune a molte culture,
anche nel caso in cui siano esse geograficamente molto distanti le une dalle altre.
In Giappone, in particolare, sono state rintracciate prove archeologiche di maschere
fatte con conchiglie di ostrica e argilla antecedenti il periodo Jomon, più di 5.000
Fig. 1a - Maschera raffigurante Shikami.
anni fa. La funzione di queste prime
Non firmata. Periodo Edo, XVII secolo (verso).
maschere era quasi certamente da ricondursi all’uso di esse da parte degli sciamani,
collegata ai rituali per placare l’ira degli dei ed evocare fertilità e buoni raccolti.
Con questo non voglio far intendere che esista uno sviluppo in linea diretta dalla preistoria ai nostri tempi. Qualunque sia stato il metodo originale di produzione di
maschere, ed è probabilmente giusto presumere che ne fosse sopravvissuto uno, gli
sviluppi successivi di una certa importanza, che interessano le maschere qui presentate, arrivarono in Giappone sulla scia dell’introduzione del buddismo dalla Cina.
Nel VI secolo gli spettacoli Gigaku, pregni della dottrina buddista, arrivarono in
Giappone dalla Cina, ma furono rapidamente soppiantati da quelli Bugaku nel periodo Nara (metà del secolo VIII). Le maschere Bugaku erano abbastanza grandi da
coprire gran parte della testa, come un casco, la maggior parte fatte in legno, alcune
in lacca. Entrambe queste tradizioni, Bugaku e Gigaku, influenzarono poi le maschere Gyōdō, di dimensioni nettamente più piccole.
Queste maschere coesistevano con quelle probabilmente più primitive, quelle della
tradizione Tsuina, di derivazione scintoista, il cui repertorio consisteva soprattutto in
demoni e in dei timorosi e dei benevoli. Le maschere di tutte queste tradizioni si collocano nell’XI fino al XII secolo, lasciando poi un lungo divario temporale prima dell’apparizione delle maschere Noh, che avvenne agli inizi del XIV secolo.
Nei due secoli di intermezzo, gli spettacoli utilizzarono maschere per il divertimento
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popolare: Ennen Fury, Dengaku e
Sarugaku. Quest’ultima in particolare è
da considerarsi il principale precursore
Noh: le origini del teatro Noh erano sia
popolari che comiche, ma già nel XIII
secolo esso subì una trasformazione
curiosa, sbarazzandosi di tutti gli aspetti
farseschi, che si tramutarono nel teatro
Kyōgen, tradizione comica che è sopravvissuta fino ad oggi, e che, all’epoca, serviva da interludio durante le rappresentazioni Noh, nettamente più serie.
Durante questo periodo di evoluzione,
la tradizione Noh era poco più che un
miscuglio di rituali diversi, religiosi e
folcloristici. Finché questo processo
continuò, gli incisori di maschere
godettero della massima libertà
riguardo alle loro creazioni.
In generale, la trasformazione delle
Fig. 2, 2a - Maschera raffigurante Waka-Onna.
Marchio con sigillo di Genri Mitsuyoshi (Kogenri).
Periodo Edo, XVII secolo (recto e verso).
maschere da folk a Noh iniziò nell’ultima metà del
XIII secolo, mentre l’ultima grande fioritura nel
processo creativo ebbe luogo nel XV e XVI secolo.
Così, come spesso accade nella cultura giapponese, la loro codifica ebbe luogo all’inizio dell’egemonia dei Tokugawa agli inizi del XVII secolo,
quando la tradizione Noh fu tolta al dominio
popolare e divenne area riservata della corte
imperiale e del regime militare.
Dobbiamo ricordare che, agli inizi della tradizione Noh, gli attori provenivano da ceti sociali
molto inferiori a quelli dei loro spettatori cosicché
fu trovato un modo per ovviare a questo divario
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socio-culturale. Il ruolo della
maschera Noh era quindi quello
di consentire a semplici mortali
di mascherarsi da dei, eroi e cortigiani, così come di permettere
ad attori anziani di interpretare
il ruolo di giovani donne.
A tale riguardo, è importante
notare che, nelle sue memorie
Sarugaki Dangi, il grande attore
e drammaturgo del XV secolo
Zeami, mentre faceva riferimento alle maschere di tipo
mortale, di uomini e donne, in
maniera puramente descrittiva
(e non con i nomi dei precisi
soggetti), al contrario rinviava
già alle maschere di tipo divino
(kashin) con il loro nome specifico: Beshimi, Okina e Tobide.
E’ importante, infine, ricordarsi che il teatro Noh fu una
forma artistica ufficialmente
Fig. 3 - Maschera raffigurante Yase-Otoko.
sovvenzionata dallo Shogunato
Marchio con sigillo Deme Mitsunao, XIX secolo (recto).
e che tale supporto potrebbe
aver contribuito a far cessare ogni forma d’innovazione all’interno dello stesso teatro.
Come si fa una maschera?
La maggior parte delle maschere Noh sono intagliate nel legno di cipresso giapponese (hinoki) e sono essenzialmente copie di archetipi riveriti (honmen) che sopravvivono oggigiorno nelle collezioni delle compagnie di attori. Alcune sono copie molto
precise, altre invece sono delle approssimazioni, adornate da elementi di creatività
propri dell’incisore.
La maschera, una volta che il viso è stato scolpito, viene coperta da strati di gofun
(spesso descritto come gesso nonostante sia in realtà polvere di conchiglia di ostrica
frantumata), mescolato con una colla organica. Gli ultimi strati sono miscelati con i
pigmenti che daranno alla maschera la finitura richiesta.
Barba e baffi vengono quindi dipinti con pennellate delicate alla fine del processo.
Alcune maschere rappresentanti vecchi uomini possono inoltre essere abbellite con
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degli impianti di crine di cavallo, mentre gli occhi di certi esseri soprannaturali possono essere ricoperti con inserti di rame dorato, in sostituzione del bianco dell’occhio.
Collezionare maschere
E’ importante capire che le maschere divine (honmen) qui sopra menzionate non si incontrano quasi mai sul mercato. Sono considerate tesori nazionali, a cui non si rinuncia facilmente. Di conseguenza la maggior parte delle maschere in vendita sono quelle che in passato appartenevano alle collezioni delle famiglie daimy, successivamente decadute. Questo
non significa che non ci siano delle belle maschere sul mercato, ma è importante capirne
l’origine. È anche molto importante considerare la loro condizione. Veramente pochi
esemplari honmen sono sopravvissuti senza essere stati ridipinti, il che però non ne diminuisce l’importanza. Si potrebbe addirittura dire che la metà dell’interesse (e del valore) di
una maschera è riposto nel suo intaglio mentre l’altra metà nella sua pittura.
Più una maschera è antica e più si deve essere preparati ad accettare il fatto che potrebbe essere stata ridipinta e anche a perdonare i problemi dovuti alla sua condizione.
La maggior parte delle volte, la superficie di una maschera si sfalda intorno al naso e
sotto il mento. In casi estremi la superficie si squama un po’ ovunque e nello scenario
peggiore l’ultimo strato di carta finisce con il separarsi dal legno della maschera, mettendo così a rischio l’intera superficie. In
ugual misura, è anche possibile trovare
delle scheggiature o delle spaccature nel
legno, che spesso corrono dalla cima al
fondo della maschera.
Quando si compra una maschera, si
dovrebbe fare l’inventario di tutti questi
problemi di conservazione e valutare se
essi possano essere accettabili e se sia
possibile un consolidamento. Tutte queste imperfezioni, infatti, possono avere
un peso e influenzare per certi versi il
valore della maschera.
In questo articolo non sono ancora in
grado di mostrare delle illustrazioni tratte dalla nostra prossima mostra.
A parte la maschera rossa del demone
Shikami (fig. 1, 1a), le altre tre qui illustrate provengono da una collezione privata Fig. 3a - Maschera raffigurante Yase-Otoko.
giapponese e quasi certamente in passato
Marchio con sigillo Deme Mitsunao,
erano parte di una collezione daimy.
XIX secolo (verso).
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Waka-Onna (la giovane donna)
appartiene alla classe di maschere più
umili, che rappresentano uomini e
donne viventi (fig. 2, 2a).
Tradizionalmente, le caratteristiche
facciali sono astratte e la fronte è esageratamente alta. La maschera è quasi
completamente inespressiva, in modo
da consentire all’attore di far scaturire le emozioni solamente grazie
alla sua interpretazione.
Sebbene si sappia che anche i marchi
a volte potevano essere stati copiati,
questa maschera è marchiata con il
sigillo di Genri Mitsuyoshi (Kogenri),
morto nel 1705. La sua datazione e
provenienza, quindi, la rendono una
maschera assolutamente desiderabile, nonostante sia stata quasi certamente ridipinta (bene).
Fig. 4, 4a - Maschera raffigurante Heita.
Marchiata con il monogramma di Deme Mitsunaga
(Kogenkyu). Inizi periodo Edo, circa 1600.
(recto e verso)
I marchi del cesello sono distintivi di questo incisore e sono chiaramente visibili sul
retro dell’oggetto e costituiscono un ulteriore elemento identificativo dell’autore.
La maschera di Yase-Otoko (uomo emaciato) è
anch’essa marchiata, questa volta con il sigillo di un incisore del XIX secolo, Demo
Mitsunao (fig. 3, 3a). La maschera ha in sé
delle belle qualità scultorie e si può facilmente immaginare come avrebbe potuto
essere straordinariamente efficace alla luce
soffusa del teatro. Paragonando il suo retro
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con quello della maschera precedente, si può notare come quest’ultima sia indubbiamente più recente, il che spiegherebbe anche la sua condizione globale, sicuramente
migliore dell’altra.
L’etichetta di carta con il nome dell’artista e il soggetto rappresentato sarà stata probabilmente affissa dal suo proprietario ed è probabile supporre che nel mon di lacca
rossa si possano rintracciare degli indizi sulla sua provenienza.
La maschera di Heita (fig. 4, 4a) è la più antica fra tutte queste. Quest’ultima è marchiata con il kao (monogramma) di Deme Mitsunaga (Kogenkyu): esistevano tre famiglie di incisori di maschere Noh che portavano il nome Deme, e nonostante tale nome
suoni familiare a voi lettori, non è tuttora chiaro da quale di queste tre derivino gli
intagliatori di netsuke.
Ho alluso all’inizio al mio mentore. Quasi tutte le informazioni qui contenute sono
state raccolte da un collezionista americano, Stephen Marvin. Se qualcuno volesse
approfondire il tema delle maschere, non posso che raccomandare la sua opera in due
volumi con custodia, Heaven has a Face; so does Hell, pubblicata solo l’anno scorso.
Per chiunque fosse interessato, il testo Heaven has a Face; so does Hell è disponibile a euro 270
compresa la spedizione in Italia, presso la Rutherston & Bandini, unica distributrice per
l’Europa.
Rutherston&Bandini, 5 Georgian House, 10 Bury Street, London SW1Y 6AA
+44 (0)20 7930 0395
[email protected]
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JAPANESE NOH MASKS
I am not quite sure why Roberto Gaggianesi has thought to commission an
article on the subject of Noh masks from me of all people, unless perhaps
that he knows that I am organising an exhibition on the subject to take
place at Rutherston & Bandini in London in May. I certainly do not lay
claim to be an expert on the subject. My only tenuous qualification is to
have been fascinated by them for close on twenty years, without having
taken the trouble till now to enquire more deeply. My first real contact with them was in my
early days in the Japanese Department of Sotheby’s where a few came my way to catalogue. At
the time, the library was not well stocked with books on the subject, and I remember struggling
through a host of slim volumes trying to work out what the subjects were, difficult at the best of
times because the differences between them are often so subtle, elusive unless one is particularly
attentive. If after all this time I begin to know something about them, it is thanks to one man
in particular, whose knowledge is prodigious, and who in my view is the best bridge between
Japanese and Western understanding of the subject. I will return to him later.
History
Let us begin with a little history. This is indeed somewhat obscure, so please forgive some
sweeping generalisations and do not expect too much of me by way of exact dates. What has
to be understood first of all is that we are dealing with a distillation process over centuries,
millennia even. Making masks is, for whatever reason, a primitive urge common to many
geographically separated culture. In Japan there is archaeological evidence of masks made
from both oyster shells and clay from before the Jomon period, over 5,000 years ago. The
function of these earliest masks was almost certainly shamanistic, connected with rituals to
appease the gods, and to conjure fertility and good harvests.
This is not to say that there is a straight line of development from prehistory to our times.
Whatever native mask making survived, and it is probably fair to assume that it did in some
form, the next significant developments towards the masks that interest us here, come in the
wake of the introduction of Buddhism from China. In the 6th century Gigaku performances,
redolent with Buddhist significance, arrived in Japan from China, but were quickly
supplanted by Bugaku in the Nara period (mid 8th century). The masks of both traditions
survived as Gyōdō masks, which were really quite large, covering most of the head in the
manner of a helmet, most made of wood, some of dry lacquer. These coexisted with more
primitive seeming Tsuina masks of Shinto derivation which also depicted demons and
fearful benevolent gods Masks from all these traditions survive from the 11th to 12th centuries,
but then there is a long gap before Noh masks proper appear in the early 14th period.
In the intervening two centuries or so a variety of performing arts made use of masks for
popular entertainment: Ennen Furyū, Dengaku and Sarugaku. This last was a main
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forerunner of Noh; its origins were both popular and comedic, yet in the 13th century it
underwent a curious transformation, shedding all comic aspects. These transmuted to Kyōgen,
which survives to this day, providing light relief in the interludes of the decidedly more serious
Noh performance. During this period of refinement Noh was no more than a hotch-potch of
different rituals, religious and folk. Undoubtedly, as long as this process continued, there
was the greatest room for creativity on the part of the mask carvers. Broadly speaking the
transformation of folk into Noh masks began in the latter half of the 13th century, and the
last great flowering of the creative process took place in the 15th and 16th centuries. And
like so much else in Japanese culture, codification took place at the beginning of Tokugawa
hegemony in the early 17th century, at which point Noh was removed from the popular
domain and became the preserve of the imperial court and the military regime.
What must be remembered is that in the early days of Noh, the actors were of humble origin,
and would certainly have been considered greatly inferior to their patrons. The role of the mask
in Noh was to allow such mere mortals to masquerade as gods, heroes and courtiers, old men
to play young women. It is telling to note that in his memoir the Sarugaki Dangi the great
15th century actor and playwright Zeami refers to the more obviously mortal masks of men
and women descriptively (ie not with names of characters) while he already refers to the
kashin (godlike) masks by name: Beshimi, Okina and Tobide. The implication is that by
1430 already the kashin masks were part of a recognisable repertoire, while the more human
masks were an afterthought, or relative newcomer.
Noh was indeed an officially sponsored art form of the Shogunate. It was that governing body
which was responsible for driving out innovation, not least by creating the carving guilds, of
which there were 5 by the mid 17th century.
How a mask is made
Most Noh masks are carved from Japanese cypress (hinoki) wood and are essentially copies of
revered archetypes (honmen) which survive in the actor troupes. Some are measured copies,
but a skilled carver is eventually able to carve from memory. Once the mask has been carved
its face is often covered with paper which is then covered in layers of gofun (often described as
gesso, though it is in fact powdered crushed oyster shell), mixed with an organic glue. The later
layers are mixed with the pigments which will give the mask its required finish. Facial hair is
painted with fine brushes at the end of the process. Certain masks of old men are further
embellished with implanted horse-hair, while the eyes of certain supernatural beings are
encrusted with gilt copper inserts where the whites would be.
Collecting masks
What must be understood is that the honmen mentioned above are almost never encountered
in the market. Their status is of national treasures, and they would not be given up lightly.
Accordingly most of the masks which are available on the market are ones that were formerly
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in the collections of daimyō families whose fortunes have been reversed. This does not mean
that there are not fine masks on the market, but it is important to understand something
of the background.
It is also important to consider condition. Very few of the honmen have survived without being
repainted, which does not diminish their importance. One could say that half of the interest
(and value) of a mask is in its carving and half in its painting. The older a mask, the more
prepared one must be to accept that it may have been repainted, or to forgive condition
problems. More often than not the surface of a mask will flake around the nose and beneath
the chin. In more extreme cases the surface will begin to flake all over, and in the worst scenario the paper covering of the mask separates from the wood putting the whole surface at risk.
Equally one finds chips and splits to the wood, the latter quite often running through the mask
from top to bottom. When buying a mask, one needs to take stock of these condition problems
and assess whether they are acceptable or not, and whether consolidation is possible. All defects
will impact to some extent on the value of the mask.
At the time of writing I am not able to show illustrations from our forthcoming exhibition.
Apart from the red Shikami mask of a demon (fig. 1, 1a), the three other masks shown are
from a private collection in Japan, almost certainly from a former daimyō collection. The
Waka-Onna (young woman) belongs to the class of fairly shallow masks which depict living
men and women (fig. 2, 2a). By tradition the features are abstracted and the forehead is
exaggeratedly high. The mask is expressionless, allowing the actor to supply the emotions from
his performance. Although it is not unknown for brands to be copied, this mask is impressed
with the branded seal of Genri Mitsuyoshi (Kogenri), who died in 1705. That makes it a
mask of some desirable age and provenance, though it has almost certainly been (well) repainted. The carver’s distinctive chisel marks are clearly visible on the reverse of the mask, and are
as much a signature as the brand. The Yase-Otoko (emaciated man) mask is also branded,
this time with the seal of a 19th century carver Deme Mitsunao (fig. 3, 3a). The mask itself
has f ine sculptural qualities, and one can imagine how dramatically successful it might be in
subdued raking light. One can judge from a comparison of its reverse with that of the previous
mask that it is of younger origin, which explains its good overall condition. The paper label
with the names of the artist and character will have been affixed by an owner, and there are
probably clues to provenance in the red lacquer mon. The mask of Heita is the best and earliest of all here (fig. 4, 4a). It is branded with the kao (cipher) of Deme Mitsunaga
(Kogenkyu). These two artists of the Deme house are from the same line of carvers which produced the mask netsuke familiar no doubt to readers of this article.
I alluded at the beginning to a mentor. Nearly all the information in this article is gleaned
from an American collector, Stephen Marvin. If anyone wants to go into the subject of masks
in detail, I cannot recommend more highly his two-volume book in slip-case, Heaven has a
Face; so does Hell, published only last year. Rutherston & Bandini are the sole European
distributors of the book and can sell copies at €270 (including delivery to Italy).
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Una collezione milanese ...
da leggenda
Hankwai
Si tratta di un personaggio storico-leggendario dagli
aspetti molto controversi e curiosi, tipici della tradizione cinese, che vennero in seguito sovente ripresi dai
carvers giapponesi di netsuke.
E’ generalmente rappresentato in un atteggiamento
feroce, vestito come un guerriero o un dignitario nell’atto di affrontare un nemico, mentre con la mano
destra brandisce minacciosamente una spada e con l’altra tiene sulle spalle una porta.
La storia ci riporta che Hankwai, vissuto in Cina intorno al 200 d.C., apparteneva ad una delle classi cinesi
più basse, quella dei macellai di cani. Lo troviamo,
Netsuke in avorio, Hankwai però, rappresentato in sfarzosi abiti perché innalzato al
che con passo fiero entra nelle
rango di ministro dall’imperatore Kao Tsu, della dinastanze dell’Imperatore con la
stia Han, per essere stato uno dei primi suoi sostenitoporta sotto braccio, firmato
ri. Non ci è dato di sapere in quale circostanza e in che
Seiichi. Metà XIX secolo.
modo ma, evidentemente, qui comincia la leggenda.
La curiosità del personaggio nasce dalle consuete
due versioni dei fatti. La prima narra che Hankwai,
venuto a conoscenza che nel Palazzo si stava tramando per uccidere il suo imperatore, si sia precipitato nella sala dove, a porte chiuse, i traditori stavano banchettando con il sovrano, aspettando il
momento propizio per ucciderlo, una volta fattolo
ubriacare. Hankwai, dopo aver bussato inutilmente, con una spallata sradicò la porta dai cardini e
precipitatosi nel salone, avvertì il sovrano del complotto dandogli modo di fuggire.
La seconda, molto più piccante, racconta invece che
all’imperatore Kao Tsu piacevano molto il vino e le
donne e che spesso si rinchiudeva nei suoi appartaVerso della figura precedente.
menti e si lasciava andare alle orge più sfrenate.
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Hankwai, volendo salvaguardare la dignità o redimere il suo sovrano, scardinò a spallate la porta dell’appartamento regale e, con questa sottobraccio, si catapultò nella
camera da letto. Quale fu il suo stupore quando si trovò di fronte all’imperatore che,
ubriaco fradicio, dormiva profondamente usando come cuscino il ventre di un eunuco. Non ci sono permessi commenti ironici o allusioni di sorta…
Watanabe
Questa leggenda è più conosciuta come “il braccio di Rashomon” e non con il nome
del protagonista, Watanabe. L’episodio è comunque rappresentato a volte solo con il
braccio mozzato dell’Oni, più spesso con un piccolo Oni seduto vicino all’arto mutilato che medita sulla sfortuna del demone più grande.
Netsuke in legno di bosso, un piccolo e depresso oni, medita sulla disgrazia accaduta all’oni
più grande. La leggenda è richiamata dal piccolo ma intrigante particolare
di una piccola mano mozzata sulla spalla del demone. Non firmato, inizi del XIX secolo.
La leggenda, anche lei con diverse ma non sostanziali varianti, racconta che l’eroe
Watanabe, decise di liberare la porta Rashomon di Kyoto da un enorme demone che
impediva ai viandanti di attraversarla di notte. Si recò quindi a cavallo alla porta ed
ecco che, verso le due del mattino, sentì alle spalle una mano che lo minacciava.
Prontamente sfoderò la sua spada e con un colpo secco tagliò di netto l’enorme braccio dell’Oni che si allontanò urlando. Watanabe raccolse il braccio mozzato e lo conservò in una scatola di ferro rifiutandosi di mostrarlo a chiunque. Dopo qualche
tempo gli si presentò una donna qualificandosi come una sua vecchia balia che, dopo
qualche chiacchiera, spostò il discorso sul trofeo dell’eroe e, insistendo, se lo fece
mostrare. Appena aperta la scatola la vecchia si trasformò in un demone con le sembianze di Hannya, si impossessò del trofeo e sparì.
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Netsuke in legno e avorio, raffinata
rappresentazione del Sansukumi.
Su un ombrello in bosso, un serpente minaccia
una rana, che a sua volta segue una lumaca.
Firmato Ju, metà del XIX secolo.
Sansukumi
Deriva da una leggenda ma è più conosciuta come credenza popolare, il sansukumi è
l’insieme di tre animali che si temono
reciprocamente: un serpente, una rana e
una lumaca.
Si dice infatti che il serpente può mangiare la rana, che a sua volta può ingoiare la
lumaca, la cui bava potrebbe però essere
fatale al serpente. Il corpo della lumaca,
senza conchiglia, ne sottolinea la vulnerabilità, che però viene ad essere contrastata dalla dimensione inusuale dell’animale: simbolo di una forza per la sopravvivenza più grande di quanto il piccolo animale possa mostrare.
Okame (Uzume)
Secondo lo shintoismo, Okame è la dea della gioia e della follia. E’ rappresentata con gote piene, due macchie sulla fronte e con
un sorriso sulle labbra; la sua origine è prettamente giapponese ed è originata dalla sua danza davanti alla divinità del Sole, oggetto di uno dei più antichi miti connessi alla costruzione della Casa
Imperiale.
La leggenda narra che il dio del sole Amaterasu,
scontento della rozza condotta di Susanao, la divinità dell’acqua, si ritirò in una caverna immergendo il
cielo e la terra nell’oscurità e nella tristezza. Si ricorse ad Okame, la bella dea, che con una folle danza
suscitò le risa di tutte le creature dell’universo. Il
dio, udendo quelle risa, ne fu incuriosito. Uscì così
dalla grotta, che venne però prontamente richiusa
alle sue spalle. Da allora i cieli e la terra ebbero ancora la luce e Okame iniziò ad essere considerata come
Netsuke in porcellana,
la divinità dell’abbondanza, della fertilità e della proveniente dai forni di Hirado.
gioia e fu rappresentata dai carvers come una donna
Okame sorridente e avvolta
allegra, paffuta, dagli occhi socchiusi, dalle sopracciin una ricca veste.
glia rasate e con due protuberanze sulla fronte.
Metà del XIX secolo.
15
Futen e Raiden
Il dio dei venti e quello del tuono, diventarono nel corso del tempo divinità
popolari, rappresentate dai carvers giapponesi come demoni (oni). Futen con
un grande sacco, nel quale trattiene i venti e le tempeste, mentre Raiden con un
grande tamburo sulle spalle, dal quale fa scaturire il rombo dei tuoni.
Abbiamo voluto “raccontarvi” questi cinque
netsuke scelti e scoperti nell’ambito di una piacevole serata a casa di collezionisti che, come spesso accade, si scoprono amici, attratti oltre che da
lontane convergenze di DNA, come pare attestino recenti studi, dall’affinità nell’amare le
stesse cose.
Piacevole serata, e addirittura sorprendente
quando abbiamo avuto la possibilità di tenere tra
le mani un centinaio di netsuke: questa denominazione dovrebbe essere sufficiente, dal momento che, il più delle volte, i ninnoli che vengono
mostrati all’ammirazione di ignari ospiti, netsuke
non sono.
Partiamo quindi da questo fondamentale presupposto: una bella collezione di netsuke, autentici,
antichi, di bella qualità, di avorio e legno (i prediletti da parte della signora) senza escludere altri
materiali come la porcellana, il corallo e il corno.
Alla fine della serata, commentandoli con i proNetsuke in avorio e inserti
prietari, abbiamo concordato sulla piacevolezza
in corno nero.
di alcuni, sulla curiosità di altri ma soprattutto
Futen che corre tra i venti
che fuoriescono dal suo sacco. sulle motivazioni o sui contesti che hanno portato al loro acquisto.
Firmato Keimin,
Come
dimenticare il negozietto gestito da un
metà del XIX secolo.
esule polacco vicino al British Museum?
O quelli acquistati sulla bancarella dei Navigli
(quando ancora si trovava qualche cosa di antico), oppure come non ridere dei
primi incauti acquisti?
Da parte nostra diventa un’esperienza acquisita e un motivo in più per amare
questo “mondo di piccole cose”.
Grazie della piacevole serata e soprattutto della vostra amicizia.
16
dite la vostra .....
I misteri della lepre
dagli occhi d’ambra
È da agosto che avevo in lista d’attesa la lettura di questo best seller
Un’eredità di avorio ed ambra (titolo originale The Hare with Amber
Eyes: a hidden inheritance) che tra le sue tante particolarità ha quella di
toccare il tema dei netsuke, oggetto della mia passione. In realtà ne
avevo già sentito parlare alla fine del 2010 in una recensione
dell’International Netsuke Society Journal e da quel commento sapevo
più o meno cosa aspettarmi. I netsuke sono solo un pretesto che l’autore Edmund de Waal ha usato per raccontare la drammatica saga di una famiglia di banchieri ebrei, da cui egli stesso discende, attraverso tre generazioni dal 1870 ai giorni
nostri. Appena comprato il libro era stata Paola, mia moglie, a lanciarsi nella lettura e ad
accompagnare le mie serate con i suoi commenti di interesse precorritori dei miei.
Eppure c’era qualcosa nel fondo della mia mente che si muoveva ogni volta che sentivo
citare il nome degli Ephrussi, la famiglia protagonista della vicenda, qualcosa che mi
diceva “déjà vu”.
È poi arrivato il mio turno: ho trovato il libro bello, ben scritto con tanti spunti storici
interessanti, capace anche di arricchire in qualche modo le conoscenze di un appassionato di netsuke come me quando narra della nascita della moda del giapponesismo a Parigi
tra gli anni 1870 e 1880. Ma anche deludente per la poca profondità con cui questo scrittore-artista, curatore del Victoria and Albert Museum, descrive oggetti d’arte così ricchi
di storia e specificità, trattandoli alla stregua di curiosità per le quali l’appellativo più
appropriato è ninnoli (baubles in inglese). Ma ecco aprirsi un cassettino della mente: una
ricerca febbrile tra i miei vecchi libri sui netsuke mi fa ritrovare nel Volume 19, n. 3, del
1999 della rivista International Netsuke Society Journal, l’articolo Beauty of netsuke rooted
in my heart scritto da Ignace Ephrussi, prozio di Edmund de Waal, nel 1970 con oggetto la storia della sua collezione. In origine l’articolo, scritto in giapponese, era stato pubblicato sul Nihon Keizai Shibun (fatto citato dallo stesso de Waal a pagina 352). La traduzione del 1999 in inglese era stata autorizzata da Jiro Sugiyama, figlio adottivo ed erede
della collezione di netsuke di Ignace Ephrussi.
Ed è da qui che tanti misteri si aprono in quanto i ricordi di Ignace viaggiano su binari divergenti da quanto racconta de Waal.
Secondo l’articolo di Ignace:
la collezione tramandata in famiglia ammonta a
circa 500 pezzi e chi l’ha originariamente acquisita a
Parigi è stato il suo omonimo nonno Ignace
Ephrussi, non l’affascinante zio filantropo Charles
Topo su corda arrotolata, avorio.
la collezione, effettivamente tratta in salvo dalla Non firmato. Lunghezza cm 6,2.
17
dite la vostra .....
cameriera della madre, pervenne alla sorella dopo
la fine della guerra e questa la spedì al fratello
quando era già in Giappone;
la collezione è stata arricchita da molti pezzi
acquistati direttamente da Ignace Ephrussi nel
corso dei suoi 47 anni di vita trascorsi in
Topo su baccelli di fagiolo, avorio.
Giappone. Nel 1970 ne aveva raccolti almeno 60 Non firmato Soko. Lunghezza cm 6,8.
e tutti di valore. Chissà quanti altri si sono poi
aggiunti.
Nel 1993, quando de Waal trascorre il suo anno di stage in Giappone, incontra per
la prima volta il prozio per il quale è praticamente uno sconosciuto. Subito dopo il
rientro in Inghilterra nel 1994 Ignace muore e lascia la collezione a Jiro che sicuramente la possiede nel 1999.
Mi domando allora: come sono stati acquisiti i 264
netsuke in possesso di de Waal? Glieli ha regalati
Jiro e quando?
Perché, a fronte della dichiarata volontà di ricostruire con fedeltà la storia della famiglia, fatti ben
documentati vengono travisati?
Perché non spiegare che il prozio era un appassionato collezionista di netsuke che batteva il
Giappone in lungo ed in largo per trovare pezzi di
valore?
Shishi, avorio.
Perché non dire che i netsuke erano stati acquistati
Non firmato. Lunghezza cm 5,2.
dall’antenato Ignace von Ephrussi?
Forse in questo caso la storia sarebbe stata più
banale e non avrebbe permesso di ripercorrere le affascinanti vicende parigine di
Charles, creando collegamenti tra i rami francese e austriaco della famiglia.
L’articolo del 1999 però un mistero lo risolve: adesso capisco da dove viene il “ninnolo” a forma di fascina di legna con cui avrebbero giocato i figli di Victor, realizzato da
Soko Morita, nato nel 1879 e morto nel 1943 e
che certamente non poteva essere parte della collezione originale di Ignace von Ephrussi.
Giovanni Rimondi
La ringraziamo per le numerose e curiose notizie che
pensiamo indurranno coloro che non hanno ancora
letto il libro a leggerlo già perdonando l’autore Edmund
de Waal per le veniali licenze poetiche.
18
Fascio di tronchi, legno.
Firmato Soko. Lunghezza cm 5,6.
Londra: Bonhams, 8 novembre 2011
Un’asta d’altri tempi,
da ricordare
Ritorniamo a parlare della “storica” vendita della Collezione di netsuke di Harriet
Szechenyi avvenuta a Londra presso la casa d’aste Bonhams, l’8 novembre dello scorso anno. Erano anni che non veniva presentata una collezione così completa e importante. L’attesa ha premiato i collezionisti che hanno risposto con grande entusiasmo,
ammirando e valutando i 247 lotti in vendita e lasciandone invenduti solo 23 pari a
circa il 9%, acquistando tutti gli altri e rilanciando colpo su colpo, raggiungendo
molte aggiudicazioni da record. Mai come in questa occasione ci è d’obbligo anticipare che la scelta dei lotti pubblicati è dovuta ad una scelta personale e che, per rispetto alla grande qualità del catalogo, abbiamo ritenuto i commenti presuntuosi e quindi abbiamo optato per le semplici descrizioni, con la sola aggiunta di qualche nostra
ricerca personale sulle firme o sulle provenienze.
Lotto 44 - Netsuke in avorio, baku seduto, non firmato, Kyoto XVIII secolo, altezza mm 69, stimato
8.000/9.000 sterline, viene aggiudicato a 20.000.
Seduto sulle quattro zampe, la testa rialzata come se
stesse latrando, il singolo corno premuto contro la pronunciata proboscide e le zampe intagliate a dare un
senso di compattezza. L’avorio è leggermente consunto, la patina è bella e le pupille sono intarsiate.
Lotto 47 - Netsuke in legno di
bosso, baku, non firmato, inizio del XIX secolo, altezza
mm 42, 7.500/8.000 pound
la stima iniziale, 33.650 l’aggiudicazione.
Seduto con il corpo ruotato,
ha
la testa rivolta in basso a
Lotto 44
sinistra e la zampa destra
intagliata contro quella
posteriore a formare l’himotoshi naturale, creando una composizione compatta. Legno di bosso leggermente consumaLotto 47
to e di bel colore.
19
Lotto 50 - Netsuke in legno, kirin sdraiato, firmato
Ikkan, Nagoya, (1817-1893), altezza mm 38, viene
messo in vendita a 10.000/15.000 sterline e se ne
aggiudica 16.250.
Il kirin giace a riposo, con la testa rivolta a sinistra, le
corna e le zampe intagliate e impreziosite ai lati da
fiamme. Una zampa forma l’himotoshi naturale, il legno
è leggermente consunto e di bel colore. Firmato entro
riserva ovale.
Lotto 50
Lotto 51 - Netsuke in avorio, kirin, firmato Yoshimasa, Kyoto, inizi del XIX secolo,
altezza mm 100, parte con una stima iniziale di
50.000/60.000 pound e viene aggiudicato a 73.250.
Seduto nella sua consueta postura, la testa rialzata, in una
posizione simile a quella del latrare. Il corpo squamoso è
fiancheggiato da fiamme. L’avorio è leggermente consumato e le pupille sono intarsiate in corno nero.
Lotto 57 - Netsuke in legno, kappa sopra una tartaruga, firmato Toyoyo (Toyoyasu ovvero Hidari Toyomasa), Tamba,
(1811-1883), altezza mm 45, messo in vendita con una
stima di 10.000/15.000 sterline ne ottiene 17.500.
Un Kappa, animale fantastico dalla testa scimmiesca e
con un carapace sul dorso, seduto su di una larga tartaruga, si guarda attorno, rivolto sulla sinistra, con
un’espressione di allerta. Il legno è leggermente consunto e possiede una bella patina, firmato entro riserva rettangolare.
(Toyoyo è il
nome d’arte del
Lotto 51
figlio di Naito
Toyomasa I.
Come risulta nell’articolo Naito Toyomasa
Part II, di K. Ichimichi, nell’INSJ, vol. 21,
n. 1, la pronuncia del nome Toyoyasu non
veniva usata in quanto offensiva nei confronti di Aoyama Tadayasu, signore di
Sasayama, presso la corte del quale il padre
Toyomasa era scultore ufficiale. La pronuncia corretta è Toyoyo.)
Lotto 57
20
Lotto 61 - Netsuke in legno, nue, firmato Umetada,
XIX secolo, lunghezza mm 41, parte con una base
d’asta di 1.500/2.000 sterline ma viene aggiudicato
a ben 8.750.
Creatura mitica, composta da testa di una scimmia,
corpo di tigre, coda di serpente. L’animale è adagiato al suolo, con il corpo leggermente rivoltato e la
testa abbassata. Firmato
Lotto 61
entro riserva rettangolare. (La firma Umetada è probabilmente da collegarsi a
Umetada Motoshige attivo dopo la metà del XIX secolo,
più conosciuto come produttore di netsuke in metallo).
Lotto 73 - Netsuke in avorio colorato, kitsune, non firmato, tardo XVIII-inizio XIX secolo, altezza mm 102, la
stima di 10.000/15.000 sterline viene largamente superata da un’aggiudicazione a 55.250.
La volpe, kitsune, rappresentata con le sembianze umane,
è in piedi, vestita da prete, guardando verso il basso a
destra. Le sue mani umane sono
appoggiate su di una canna di
bambù e i piedi, anch’essi umani,
sono stati probabilmente intagliati separatamente. La volpesacerdote Hakuzozo è un motivo
popolare nella mitologia giapponese e da origine al soggetto
Tsurigitsune, nel teatro Kyogen.
Lotto 98 - Netsuke in avorio,
Olandese con un cinghiale sulle
Lotto 73
spalle, non firmato, Kyoto, tardo
XVIII secolo, altezza mm 95, buona la stima di
20.000/25.000 sterline e altrettanto buona l’aggiudicazione
a 49.250.
L’olandese è in piedi, il corpo leggermente rivolto a sinistra,
nell’atto di trasportare sulla schiena il cinghiale catturato.
Indossa un lungo cappotto diviso in maniera asimmetrica,
decorato da immagini di onde e impreziosito da due bottoni intarsiati, un cappello dall’ampio bordo e scarpe con la
fibbia. Le pupille sono intarsiate in corno.
Lotto 98
21
Lotto 119 - Netsuke in avorio, bue sdraiato, firmato Masanao, Kyoto, tardo XVIII
secolo, lunghezza mm 57, stima di partenza 18.000/22.000 per una aggiudicazione a 32.450 sterline. Il bue giace a
terra con la testa rivolta in basso a
destra, le zampe sono intagliate a dare
Lotto 119
una sensazione di compattezza, una
corda gli gira attorno al muso circondando la
cavezza, per arrivare fino alla fine del corpo.
Pupille intarsiate in corno.
Lotto 126 - Netsuke in avorio, tigre con piccolo,
firmato Tomotada, Kyoto, tardo XVIII secolo,
altezza mm 38, una valutazione iniziale di
20.000/25.000 sterline, viene confermata con l’aggiudicazione a 27.500.
La madre seduta, rivolta a destra, si lava la zampa
anteriore, leggermente sollevata, mentre il cucciolo
siede con soddisfazione ai suoi piedi. Occhi intarLotto 126
siati e firma in riserva rettangolare.
Lotto 130 - Netsuke in avorio, una tigre con due
piccoli, firmato Okatori, Kyoto, inizio del XIX
secolo, altezza mm 45, stessa valutazione della precedente a 20.000/25.000 e medesima conferma a
25.000 sterline.
La madre è seduta, la testa
abbassata come se stesse giocando con un cucciolo, mentre un altro le siede a fianco,
intento a grattarsi la guancia
con la zampa posteriore.
Lotto 130
L’himotoshi naturale sfrutta
una zampa sotto il corpo della tigre. Pupille intarsiate in corno
nero, firma in riserva rettangolare.
Lotto 145 - Netsuke in legno, cavallo, firmato Izumiya Tomotada,
Kyoto, XVIII secolo, altezza mm 54, messo in vendita con una
stima di 20.000/25.000 sterline se ne aggiudica 30.000.
L’animale è in piedi, la testa abbassata e rivolta a destra, gli
zoccoli uniti insieme. La coda si stende lungo il fianco destro.
Lotto 145
22
Lotto 150 - Netsuke in avorio, cavallo al pascolo, non firmato, Kyoto, primi del XIX secolo, altezza mm 82, stima di
15.000/20.000 sterline, prezzo di aggiudicazione 73.250.
Il cavallo è rappresentato in una posizione classica, la testa
abbassata a sinistra e gli zoccoli uniti, la coda si raccoglie sul
retro del corpo e forma l’himotoshi naturale fornendo così al
netsuke una sensazione di compattezza.
Lotto 155 - Netsuke in legno, tre scimmie, firmato Naito
Toyomasa, Tamba (1773-1856) circa 1837, lunghezza mm 47,
messo in vendita con una stima di 18.000/20.000, raggiunge
la bella aggiudicazione
di 85.250 sterline.
Tutte sedute, mentre lottano per contendersi una
pesca, una mentre mangia il frutto che le altre
tentano di sottrarle, formando una composiLotto 150
Lotto 155
zione compatta. Gli
occhi sono in corno pallido e traslucido, firma in una lunga
e arrotondata riserva rettangolare. L’iscrizione sul netsuke
stabilisce che fu fatto da Toyomasa all’età di 65 anni.
Lotto 157 - Netsuke in avorio, cane con una palla, firmato
Okatomo, Kyoto, inizi del XIX secolo, altezza mm 51, parte con
una stima di 15.000/20.000 sterline e viene venduto a 46.850.
Seduto, la testa abbassata e rivolta a sinistra, mentre la
zampa anteriore blocca una kemari (palla cucita). Pupille
intarsiate in corno nero, firma entro riserva rettangolare.
Lotto 185 - Netsuke in avorio, cinghiale tra le foglie, firmato
Lotto 157
Tomotada, Kyoto, XVIII secolo, lunghezza mm 57, stimato
15.000/20.000 pound viene confermato a 23.750.
Classico soggetto, il cinghiale, caduto addormentato su di un letto di foglie e felci, le zampe
anteriori piegate sotto il corpo. Curiosa la realizzazione della spessa coltre di foglie e rami che,
sul fondo del nostro netsuke, prevale sul consueto intaglio delle zampe dell’animale. In mezzo ai
rami, la firma, peculiare di Tomotada, dentro
una riserva rettangolare.
Lotto 185
23
Lotto 194 - Netsuke in avorio, cervo sdraiato, firmato Okatomo, Kyoto, tardo XVIII - inizi del XIX secolo, lunghezza mm 45, parte con una stima molto
prudente di 8.000/10.000 sterline e si attesta invece
a 55.250.
Il cervo è sdraiato con la testa rivolta verso l’alto e rigirata indietro a sinistra. Le sue corna premono lungo il
collo
e le zampe sono intagliate a dare un senso di comLotto 194
pattezza. Pupille intarsiate e
firma in riserva rettangolare. Sebbene l’oggetto sia attribuito
con sicurezza a Okatomo e si tratti di un buon esempio del suo
stile, la firma è un pochino esitante: probabilmente per la consunzione era poi stata re-incisa in epoca più tarda.
Interessante e curiosa supposizione evidentemente accettata.
Lotto 196 - Netsuke in avorio, cervo seduto, firmato
Okatomo, Kyoto, tardo XVIII-inizi XIX secolo, altezza mm
63, già stimato 50.000/60.000 sterline, svetta a 193.250.
Seduto, la testa rivolta verso l’alto, quasi nell’atto di bramire al cielo. Le corna ramificate rivolte in basso, seguendo il lungo collo, a dare un senso di compattezza. Pupille
intarsiate in corno nero e riserva rettangolare.
Lotto 208 - Netsuke in avorio tinto, tanuki a forma di teiera,
firmato Ohara Mitsuhiro, Osaka (1810-1875), lunghezza mm
Lotto 196
42, stimato 6.000/7.000 sterline viene aggiudicato a 13.750.
Il basso e largo vaso trasformato in un tasso, la coppa contiene testa, zampe e coda,
il coperchio è rimovibile e forma l’attacco per la corda. L’avorio è colorato, le pupille
sono intarsiate mentre l’intera superficie della teiera è fatta in ishime. Il modello si
riferisce alla nota leggenda della teiera che si trasforma miracolosamente in un tasso,
consentendo al monaco Bunbuku Chagama di girare le fiere ed i mercati raccogliendo il denaro per sopravvivere. L’aggiudicazione è stata di tutto rispetto, nonostante
Neil Davey avesse dichiarato con stile tutto inglese:
si suggerisce che il coperchio in avorio possa essere tardo.
E’ solo una curiosità ma, lo stesso Davey non aveva
fatto altrettanto la volta precedente il 20 febbraio
1986, Sotheby’s Londra, lotto 19, vendita anonima
di un collezionista europeo, quando lo stesso netsuke
venne messo in vendita con una stima di
1.800/2.500 sterline e fu venduto per ben 7.700!
Lotto 208
Di allora.
24
Lotto 227 - Netsuke in legno, lumaca, firmata da Naito
Toyomasa, Tamba (1773-1856), datato 1834, larghezza mm
45, messa in vendita con una stima di 15.000/20.000 sterline, raggiunge la bella cifra di 34.850.
Fuoriuscente dalla sua conchiglia, si piega sopra di
essa, le sue antenne si estendono e l’himotoshi scaturisce dal suo corpo carnoso. Dettagli intagliati in ukibori. Firma entro riserva rettangolare. L’iscrizione
recita: fatto da Toyomasa in un giorno fausto nel
quinto anno del Tempo (1834), all’età di 62 anni,
Lotto 227
mentre viveva a Sasayama nella provincia di Tanshu
(Tamba). Si registrano molte lumache di Toyomasa, ognuna con una data differente, ma tutte fatte durante gli anni ’30 del 1800.
Lotto 228 - Netsuke in avorio tinto, ceppo d’albero, firmato Ohara Mitsuhiro,
Osaka (1810-1875) datato 1839, lunghezza mm
42, la stima prudente è di 5.000/6.000 pound,
l’aggiudicazione sorprendente di 46.850.
Di forma irregolare, i lati punteggiati per dare un effetto “legno” e il sopra e la base incisi con gli anelli dell’età, un ramo di foglie d’acero sul top e un’altra foglia
intagliata in rilievo su di un lato. L’iscrizione stabilisce
Lotto 228
che il netsuke fu fatto nel mese di Settembre, nell’anno
del cinghiale (1839). All’angolo della firma sul retro è inscritto uno dei dieci segni del
calendario, un segno dello zodiaco e il nome del mese. Abbiamo trovato una prima volta
il netsuke nell’asta di Sotheby’s a Londra, del 24 ottobre 1984, lotto 6, per la vendita della
Martin Collection: allora fu messo in asta con una stima di 1.200/1.500 sterline. Non
sappiamo, purtroppo, a quanto fu venduto.
Lotto 234 - Netsuke in avorio, il Palazzo al mare del re, firmato Kagetoshi, XIX secolo, altezza mm 41, viene messo in vendita con
una stima di 1.200/1.500 sterline e viene venduto a 2.750. Della stessa tipologia del netsuke “tra
le nuvole” commentato nel nostro Bollettino n.
21 del Dicembre scorso, mostra numerose persone che camminano attorno ad un grande numero di stanze aperte in un palazzo dall’architettura
elaborata. Un grande dragone da un lato, all’inseguimento di Otohime, che nuota rapidamente via,
tenendosi stretto il gioiello del re che controlla le
maree. Firma entro riserva rettangolare.
Lotto 234
25
Boy sul sacco di Hotei.
Avorio, non firmato,
inizi XIX secolo.
Lunghezza mm 41,
altezza mm 33.
La Galliavola Arte Orientale
Via Borgogna, 9 - 20122 Milano
tel. +39 0276007706 - fax. +39 0276007708
www.lagalliavola.com [email protected]