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Università di Bologna
Dipartimento di Filosofia e comunicazione
Comunicazione visiva
a.a. 2016/17
corso del 1° semestre, 2°
periodo
Paolo Leonardi
prima settimana
7 novembre 2016
Questo corso comincia oggi e finisce il 7 dicembre.
Il programma 2016/17
Il corso è suddiviso in due parti, una più generale e una più specifica:
(i)
alcuni elementi istituzionali della comunicazione visiva
(impostazione grafica di un testo; elementi di percezione visiva);
(ii)
(ii) panorami urbani.
Testi
Per la prima parte, il testo di riferimento è:
Massimo Hachen Scienza della visione (Milano Apogeo 2006).
Per la seconda parte, testi di sfondo:
Luigi Ghirri Lezioni di fotografia Quodlibet 2010;
John Berger Capire una fotografia Milano Contrasto 2014.
Fabio Isman Andare per le città ideali Bologna il Mulino 2016.
Alcuni testi e materiali saranno indicati durante il corso.
Seminari
Nelle ultime 3 settimane vorrei che tre gruppi di voi, di massimo 4 persone, tenessero
un seminario, sul secondo tema del corso. Chi tiene il seminario avrà uno sconto più o
meno grande sull’esame.
Esame
Una tesina scritta, che deve rispettare rigidamente quando indicato nell'Avvertenza per
gli esami scritti, che si legge all'indirizzo: http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/esscritti.html
L’esame consiste in una tesina, su un tema concordato con me, almeno due settimane
prima dalla data dell’appello e va redatta usando IN MISURA NON MARGINALE testi
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e materiali del corso. La tesina mi va inviata entro le 24 del giorno precedente
l’appello. Mano a mano che correggo invio la tesina alla sua autrice, al suo autore,
con osservazioni e proposta di voto. Le avvertenze sugli esami si trovano a questo
indirizzo http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/index.html, lo stesso sito dove metto
qualche appunto e dei materiali, settimana dopo settimana, nella sezione
“comunicazione visiva”. Nella tesina valuto tutto: l’impostazione grafica, le immagini
e la loro qualità. In comunicazione visiva, ogni elemento del look di un lavoro è
importante. La tesina che mi aspetto è una comunicazione sincretica e il testo che
include deve avere alcune qualità non visive – mi aspetto che sia ben scritto. In tutti i
vostri corsi di laurea la conoscenza dell’italiano è un punto centrale, quello che il
mondo si aspetta da voi, una volta laureati, è che scriviate e parliate bene. Per scrivere
e parlare bene c’è un solo metodo: scrivere ogni giorno una pagina almeno, e curare
quello che si dice, stare attenti alla propria precisione sintattica e lessicale. Un paper
con più di 5 errori di italiano è da riscrivere, cioè passa all’appello successivo.
La tesina deve contenere quattro scatti o quattro disegni vostri. Potete usare anche altre
2 immagini, se serve, non vostre. Scegliete sempre con gran cura le immagini. Il mio
consiglio è di partire da una prima cernita di una ventina di immagini e poi
selezionarne 4 adatte alla narrazione che costruite. La selezione è parte della
costruzione narrativa che vi chiedo. Guardate sempre che effetto fa l’immagine che
scegliete, che effetto fa metterla nel testo come la mettete.
Ricordate, poi, che voglio un file word, perché lo si corregge meglio, e perché è
importante che impariate a dominare l’impaginazione. Chi non ha word può usare
google documents, nella nuvola, e salvarlo in download come .docx.
Prima di lasciare questo tema insisto sull’uso non marginale di testi e materiali del
corso – qualunque tesina non lo faccia non la valuto. L’anno passato più del 30%
delle tesine è stato da rifare per questa ragione.
Per gli studenti DAMS questo corso è metà del corso integrato di Filosofia del
linguaggio, l’altra metà è il corso Filosofia del linguaggio (1), che ho tenuto nel 1°
semestre, 2° periodo.
Strumenti a supporto della didattica
I materiali aggiunti settimanalmente si ricuperano, cliccando su "comunicazione
visiva", al seguente indirizzo:
http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/index.html
Orario di ricevimento
Consulta il sito web appena citato
Il calendario del corso:
7 novembre
L’aspetto visivo di un testo
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Grafica: Edward Tufte
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I caratteri 2: Giovanni Lussu
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Uno strumento per valutare come verrà vista una comunicazione
visiva.
La psicologia della Gestalt / 1
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La psicologia della Gestalt / 2
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La trasformazione del paesaggio urbano italiano nel ’900 / 1
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La trasformazione del paesaggio urbano italiano nel ’900 / 2
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Luigi Ghirri/ 1
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Luigi Ghirri / 2
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Città ideali e città reali
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Seminario
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Città ideali e città reali
5 dicembre
Capire una fotografia
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Seminario
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Conclusioni
Il mio interesse per le immagini ha origini diverse. Per vedere bisogna imparare
a guardare senza pensarci, come camminiamo senza pensarci. S’impara a
camminare e si cammina spontaneamente, e solo in alcuni passaggi difficili ci si
muove consapevoli di molti dettagli, attenti a come si mette un piede a come ci si
piega, ecc. Vedere è un’esperienza diretta come il sentire o il toccare. Se ciò che
vediamo o sentiamo sono parole abbiamo un mezzo giro in più, le parole sono
tracce o sovrasegnali e richiedono di usare la memoria, o appunto di collocarle
individuando cosa ci segnalano in ciò che percepiamo indipendentemente da
esse. La mia ambizione è trasmettervi questo interesse e aiutarvi a imparare a
guardare.
Una parte di tutto questo è imparare da cosa hanno fatto altri. Come si
dispongono le immagini in una comunicazione sincretica, visivo-verbale? Beh,
una buona idea è cercare esempi, sfogliarli, risfogliargli, scegliere quelli che ci
colpiscono di più, che ricordiamo meglio (se li ricordiamo meglio, probabilmente
ma non necessariamente è perché sono migliori), ecc, e impostare la
comunicazione cui lavoriamo, se ha argomenti simili, in maniera simile e al
tempo stesso cambiando ciò che ci convince meno, ed essere così parzialmente
innovativi. Questo è lavorare sul lavoro degli altri che è essenziale per essere
bravi.
***
Quanti di voi sanno usare, in Word o in qualunque altro programma, gli stili?
Gli stili sono uno strumento importante per programmare l’aspetto dei vostri testi.
Prima di ci fermiamo s questo, poi facciamo un lungo giro.
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Impostazione generale di un pezzo.
Un testo ha un autore. Quando ho in mano un libro, o un paper, voglio sapere
chi l’ha fatto. Un testo tutto vostro, è vostro, non è a cura vostra. Un vostro testo
vi mostra e, come curate la vostra pettinatura, le vostre unghie, il vostro soggiorno,
il vostro terrazzo o il vostro davanzale, curate il vostro testo, perché possa
esprimervi, ricordarvi, a chi l’ha sul proprio tavolo.
Il testo è un oggetto feticcio e questo feticcio mi desidera. Il testo mi sceglie, attraverso
tutta una disposizione di schermi invisibili, di cavilli selettivi: il vocabolario, i riferimenti, la
leggibilità, ecc; e, perduto in mezzo al testo (non dietro, quasi un dio da macchinario), c’è
sempre l’altro, l’autore. Come istituzione l’autore è morto: la sua persona civile, passionale,
biografica, è scomparsa: spossessata, essa non esercita più sulla sua opera la paternità
formidabile di cui la storia letteraria, l’insegnamento, l’opinione, avevano il compito di
rinnovare il racconto; ma nel testo, in qualche modo, desidero l’autore: ho bisogno della
sua figura (che non è né la sua rappresentazione né la sua proiezione) come lui ha bisogno
della mia (salvo ‘balbettare’). (Roland Barthes Il piacere del testo [1973] Torino Einaudi
1980: 26-27)
Quando realizzate un testo lasciate che gli altri abbiano con lui un rapporto
autonomo. Che lo guardino quando vogliono, che lo considerino prezioso o ne
facciano degli aereoplanini, a loro gusto.
Ero arrivato nel suo ufficio con un giubbotto da motociclista di cuoio nero e un sacchetto
di plastica pieno di manoscritti (… ). Misi sulla scrivania di Segal i tre manoscritti che mi
ero portato in moto e dissi: ‘Signor Segal, mi piacerebbe che lei leggesse questi romanzi’, e
dopo una pausa aggiunsi: ‘Adesso’. David Segal (…) cominciò a leggere, esaminò
attentamente due o tre pagine e poi disse: ‘Signor Gardner, non posso leggere la sua
narrativa mentre mi guarda’ (…). Al mattino dopo, alle dieci, mi disse che avrebbe preso
tutti e tre i romanzi … . (John Gardner Il mestiere dello scrittore [On becoming a novelist
New York Harper & Row 1983: 106])
Un testo è un oggetto visivo – ha un aspetto, e i caratteri con cui è scritto hanno
un corpo. Notate la terminologia. I caratteri, un corpo. ‘Carattere” si usa per le
persone, oltre che per la tipografia. Il carattere di una persona sono i tratti fisici,
morali e comportamentali che la distinguono. Faranno lo stesso col vostro testo,
e saranno considerate tracce vostre, come il tavolo della vostra cucina, o i vestiti
sulla sedia nella vostra camera da letto. A differenza di questi luoghi, non
saranno una questione privata, ma qualcosa di mostrato al pubblico, magari a un
pubblico molto circoscritto. Non potrete, in ogni modo, chiudere la porta.
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Che aspetto ha la vostra pagina? Consideriamo innanzitutto una pagina senza
immagini.
Organizzate il testo in modo che risulti chiaro e leggibile, condizione prima per
favorirne la lettura. Quindi, evitare le pagine troppo fitte e con scarsi, risicati
margini bianchi: è un segno sgradevole, spesso, di avidità e di furberia. Righe di
62-65 battute, caratteri medi (corpo 12), con interlinea uno, stacco fra capoversi,
piccolo rientro all’inizio di un capoverso. Questa è la mia scelta, anche se è
richiesto lo spazio uno e mezzo o addirittura due. Ricordate che un dattiloscritto
leggibile è segno di rispetto per il proprio eventuale lettore.
Alla voce “carattere” (che dal greco charasso, cioè incido) il dizionario riporta: “Ciascuna
delle rappresentazioni grafiche delle lettere dell’alfabeto, disegnate secondo le stesse regole
in un determinato stile”. Ma, subito appresso, registra anche: “Insieme dei tratti fisici, morali
e comportamentali di una persona, che la distingue dalle altre”. Dunque, il carattere
tipografico dà impronta, incide e distingue il testo cosi come il carattere morale individua e
distingue ciascun uomo dagli altri.
Non è significativo, e bellissimo? Scrivere un testo è operazione che prende corpo - non
solo metaforicamente - con il corpo tipografico, quello che viene scelto come il più
adeguato in rapporto sia agli altri elementi fisici costitutivi del libro (la carta, il formato,
ecc.) sia al testo stesso, alla scrittura. è il carattere tipografico, insomma che dà il carattere
al testo che vi è stato translitterato. E, come in morale, anche di un testo si potrà dire che
“non ha carattere”, è brutto, anonimo. (Farsi un libro: 25)
La pagina immaginata è una cartella giornalistica classica. 30 righe a 65-70
battute a riga (si chiamavano battute quando si usava la macchina da scrivere, per
la quale, come in una tastiera di computer si battevano i tasi. Possiamo
continuare a chiamarle ‘battute’.) La scelta è utile per un dattiloscritto – un libro è
una cosa diversa, un power point un’altra cosa ancora. Se preparate un power
point, ricordatevi che i caratteri devono essere minimo in un’aula come questa di
corpo 20, ma 28-32 è meglio.
Un testo è – come dire – avvolto da un certo numero di altri elementi, verbali o
non verbali (nome d’autore, titolo, illustrazioni, ecc) che hanno la funzione
essenziale, di presentare il testo. Questi elementi, e i supporti su cui essi si
inseriscono (copertina, indice, essergo, ecc), fanno da intermediari verso il mondo
esterno, quello dei fruitori, dei lettori, di cui il testo non può fare assolutamente a
meno. Il complesso di tali produzioni e supporti, ormai oggetto di un’analisi
estremamente sofisticata e di altissimo livello di complessità scientifica, ha
persino un suo nome, una sua definizione, specifica: è il paratesto.
«È attraverso il paratesto che il resto diventa libro e in quanto tale si propone ai suoi lettori
e, in genere, al pubblico. Più che di un limite o di una frontiera assoluta, si tratta di una
soglia o - nelle parole di Borges a proposito di una prefazione - di un ‘vestibolo’ che offre a
tutti la possibilità di entrare o di tornare sui propri passi. ‘Zona indecisa’ tra il dentro e il
fuori, essa stessa senza limiti rigorosi né verso l’interno (il testo) né verso l’esterno (il
discorso delle persone sul testo), margine o, come diceva Philippe Lejeune, ‘frangia del
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testo stampato che, in realtà, dirige tutta la lettura.’» (Gérard Genette Soglie. I dintorni del
testo Torino Einaudi 1989 [ed. originale francese 1987.])
Quanto qui si dice può essere adattato a qualunque testo. Come presentare il
proprio testo? Quale soglia usare? Per una tesina: Un frontespizio (una pagina
intera, per titolo autore corso per cui si è scritta la tesina? Scrivere nel frontespizio
che è una tesina?) o quattro righe e subito il testo? Siccome la tesina per me è di
comunicazione visiva, cominciare con un’immagine? Un’immagine che
appartiene al testo o un’immagine/copertina? Dare un titolo? Indicare il proprio
nome (e cognome nome o nome cognome?)
Dare un titolo. Il titolo lo si dà sempre, almeno in un testo scritto per altri (cioè,
forse lo si omette nelle note che scriviamo per noi stessi). Il titolo ha due volti.
Vuole attirare il lettore e vuole indirizzarlo sul punto centrale del testo. Da
questo secondo punto di vista meno parole si usano, più si mostra il raffinamento
del testo – che si tratta di un testo che ha un fuoco preciso. Titolo con sottotitolo,
o un titolo composto di due sintagmi può cercare con la prima parte di svolgere la
prima funzione, e con la seconda parte di svolgere la seconda funzione.
[Il titolo è] il luogo deputato dove si incontrano le strategie (altri ha parlato di “seduzioni
“) dell’autore e dell’editore o di altri comprimari, cioè gli attori apparenti della vicenda
editoriale. Sulla scelta del titolo preme anche con una sua propria strategia, meno
immediata ma di grande importanza, il pubblico dei potenziali lettori. La complessità delle
avventure del titolo ha fatto nascere una scienza indiziaria che si chiama, appunto, litologia,
ricca a sua volta di titoli (in tutti i sensi).
I titoli possono essere descrittivi o connotativi, semplici o doppi, composti o complessi
(come quando si presenta la sequenza titolo/sottotitolo/indicazione generica); combinazioni
dei vari clementi si hanno in titoli celebri, come ad es. Iperione, o l’eremita in Grecia, di
Hölderlin; Ognuno, il dramma della morte del riccio, di Hoffmansthal; o infine I Promessi
Sposi, Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Possono
variare nel passaggio dalla copertina al frontespizio o al dorso, ecc.
In generale, e in linea di principio, il titolo dovrebbe assolvere a funzioni precise, a partire
da quella primaria di designazione/indicazione del testo, o del libro, cui si riferisce. Questo,
in uno schema semplificato e che non sempre viene rispettato. Si avverte la pressione,
oscura ma sensibile, del pubblico. Un pubblico è – possiamo dire - una aspettativa, un
desiderio che prende corpo in una immagine arbitrariamente materializzata e proiettata
all’esterno. Da questo momento, il pubblico diventa soggetto esigente e impietoso. Il titolo
è dunque il tramite di una seduzione, come hanno detto, rivolta verso una assenza
desiderata e prefigurata, con più o meno abilità e candore (c’è un elemento di candore che
è fascinoso, perché indiziario di aspetti riposti della psicologia dell’autore). (da Farsi un
libro : 23)
Testo o immagini, testo e immagini. La maggior parte dei libri non contiene
alcuna illustrazione – un tempo neppure in copertina se ne trovavano se non
elementi ornamentali o il logo dell’editore. Ci sono libri illustrati, come molti
testi scientifici, a cominciare dagli atlanti anatomici del Rinascimento, fino ai libri
d’arte figurativa o di architettura (molti libri d’arte hanno cattive immagini!). Lì le
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immagini sono strumenti di apprendimento, e fanno più di una funzione vicaria,
perché ad esempio mostrano e nominano a un tempo più “strati” di un corpo
umano, oppure mostrano appunto l’oggetto la cui storia e la cui analisi costituisce
il testo. Costruire però una narrazione fatta di immagini e testo è difficile. Le
immagini spesso servono a rilassare il lettore – affiancano, alleggeriscono, ornano
il testo. Si possono raccontare storie solo per immagini? Non fatevi ingannare dai
film, che, quelli muti a parte, hanno testo e immagini. A questa domanda non
risponderò ora, e in ogni modo quello che vi chiedo non è un film ma pur sempre
qualcosa che è fatto di testo e immagini.
La difficoltà di costruire un testo con immagini può suggerire un’osservazione
come la seguente:
Fare un testo è operazione già di per sé difficile, la scelta dell’immagine può dare risultati
deludenti, o difformi da quelli desiderati, riducendo l’illustrazione a un ‘discorso’
aggiuntivo al testo, con un percorso parallelo che non necessariamente si integra con
questo.
Si impari comunque, prioritariamente, a distinguere tra i due termini, illustrazione e
immagine, che non sono perfettamente coincidenti tra loro. Sinteticamente, diremo che
l’illustrazione ha finito con l’assorbire entro i propri confini l’immagine in senso forte, vale
a dire l’arte figurativa: pittorica e grafica. L’arte figurativa, in cui la qualità artigianale, la
tecnica, la manualità, è stata da sempre la prima salvaguardia di certi valori istituzionali e
costitutivi del suo essere arte, è slittata quasi senza residui nella sfera della pura e semplice
illustrazione; in connessione probabilmente, oltre che con la fotografia, con la pratica
libraria e la sua omologazione tecnica, per certi aspetti non lontana da quella fotografica. I
surrealisti furono eccellenti grafici e stampatori, con una produzione libraria e, in generale,
segnica, di grande importanza nella storia dell’editoria (e del gusto); insieme, furono ottimi
illustratori; ma pessimi pittori, con scarso o nullo interesse per lo specifico (tecnico e
semantico) della pittura. (Farsi un libro: 28)
Inserire le date? Quando avete scritto il pezzo, quando avete scritto uno dei
racconti? Quando avete scattato la foto, dove?
Tutte le citazioni di questa parte sono da Farsi un libro di Angiolo Bandinelli,
Giovanni Lussu e Roberto Iacobelli Stampa alternativa Roma 1990 o citazioni che
si trovano già in quel testo.