B. Facchini, Giurisprudenza da favola. Note sul lessico giuridico

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B. Facchini, Giurisprudenza da favola. Note sul lessico giuridico
Giurisprudenza da favola.
Note sul lessico giuridico delle Metamorfosi di Apuleio
È stato più volte osservato come diversi passaggi delle Metamorfosi di Apuleio impieghino espressioni di matrice legale e tecnicismi attinti dall’ambito della giurisprudenza1. Si devono alla competenza di studiosi come Norden e Summers
l’indagine minuta ed esaustiva degli aspetti giuridici esplicitamente menzionati o indirettamente implicati dalla narrazione, la loro discussione e contestualizzazione storica2. I lavori di Norden e Summers, propensi ad indagare la cultura giuridica di Apuleio e ad utilizzare il romanzo come fonte d’informazione sulla società del tempo,
rivelano un approccio di tipo storico-biografico3, proprio anche delle successive ricerche di Maehler, Elster4 e Blánquez Pérez5. Agli studi di Summers si richiama, in
parte, pure l’interessante saggio di Gianotti, che considera la «memoria giuridica»
alla base dell’episodio dei latrones (Met. 4.9-11) per evidenziare il sotteso «spirito
legalitario» dell’apparentemente fortuita narrazione apuleiana6. Un taglio prevalentemente storico si rileva altresì nel recente, ottimo contributo di Osgood, che mostra
come diversi passi della favola di Amore e Psiche facciano riferimento a «real Roman practices, especially legal practices»7. Lo studioso americano presta sì attenzione all’operazione di ‘romanizzazione’ della fiaba condotta dall’autore a vantaggio
del lettore, ma si sofferma più sulle implicazioni storico-giuridiche che non su quelle
propriamente letterarie dei riferimenti apuleiani al diritto.
Da un punto di vista stilistico-letterario, l’impiego di espressioni giuridiche
nell’ambito romanzesco delle Metamorfosi non è stato oggetto di trattazione sistematica. I risvolti espressivi associati all’impiego di determinati tecnicismi legali sono stati talvolta evidenziati nei commenti ai singoli passi. Tuttavia, l’unico studio
che analizzi alcuni casi di terminologia giuridica delle Metamorfosi alla luce di crite1
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Oltre agli studi citati, si vedano Amarelli 1990; Annequin 1992; Médan 1926, 234-8 (utile elenco
di termini ed espressioni di derivazione giuridica tratti dalle Metamorfosi). Qualche altra indicazione bibliografica di carattere generale in Keulen 1997, 203ss. e Fiorencis - Gianotti 1990, 98 n.
75 (= Magnaldi – Gianotti 2004², 285 n. 77).
Norden 1912; Summers 1967, 1970, 1972.
Summers giunge addirittura ad ipotizzare che la ricorrenza di espressioni e motivi di matrice giuridica sia da leggersi come indice di un preciso disegno dell’autore delle Metamorfosi. Con intento satirico e vocazione pauperistica, Apuleio intenderebbe mettere sistematicamente in luce le ingiustizie e gli abusi perpetrati dal sistema romano in ambito di amministrazione provinciale, rivendicare i diritti dei più poveri ed esortare un ritorno alle passate pratiche del mos maiorum, che
prevedevano autonoma competenza delle province quanto a diritto criminale (Summers 1970, cf.
in part. 529-31).
Maehler 1981 (cf. in part. 163); Elster 1991 (cf. in part. 153 s.); cf. Keulen 1997, 203 s. Il giudizio
di Keulen non rende tuttavia completamente giustizia al saggio di Maehler, nel quale è evidente il
tentativo di mettere in luce il valore espressivo e, in particolare, l’effetto comico della fraseologia
giuridica in determinati contesti del romanzo apuleiano.
Blánquez Pérez 1992-1993.
Gianotti 1981, 74-83 (la prima parte del saggio indaga la ‘memoria letteraria’ nell’episodio in
questione). Per una ricostruzione dell’atteggiamento della società delle Metamorfosi verso i briganti, condotta sulla base di alcuni passi giuridici del romanzo, cf. Riess 2001, 313-24.
Osgood 2006.
Lexis 29.2011
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ri esplicitamente stilistici e semantici sembrerebbe l’illuminante saggio di Keulen,
che considera tre specifici esempi8. Pur alludendo alla natura giocosa e parodica del
pastiche apuleiano9, Keulen valuta poi soprattutto il rapporto tra metafora legale ed
eventuale significato filosofico-allegorico, in relazione a linee di lettura soggiacenti
al romanzo (percorso di redenzione dell’anima, concetti platonici di ψυχή ed
ἡδονή). La nostra analisi intende invece muoversi in altra direzione. Attraverso
l’esame di alcuni esempi, l’obiettivo che ci si propone è quello di mettere in luce
come la competenza giuridica dell’Apuleio retore e avvocato, autore dell’Apologia e
dei Florida10, costituisca, nell’ambito romanzesco delle Metamorfosi, un bagaglio
stilistico e creativo funzionale ad un disinibito gioco letterario fatto di contaminazione stilistica, straniamento e attualizzazione del mito, ironia e complicità con il lettore romano11.
Summers osserva come dalla descrizione di Cupido nel quarto libro delle Metamorfosi si possa inferire che Apuleio aveva buona familiarità con le leges Iuliae de ui. In
Met. 4.30.4, infatti, il dio dell’amore è detto qui malis suis moribus contempta disciplina publica flammis et sagittis armatus per alienas domos nocte discurrens et
omnium matrimonia corrumpens impune committit tanta flagitia et nihil prorsus bona facit. Per linguaggio e contenuto, il passo ricorda da vicino il testo delle leggi
emanate da Augusto nel 18 a.C. e successivamente confluite nel Digesto: Eadem lege tenetur, qui pubes cum telo in publico fuerit. In eadem sunt, qui pessimo conuocatu seditione uillas expugnauerint et cum telis et armis bona rapuerint. Item tenetur, qui ex incendio rapuerit aliquid praeter materiam. Praeterea punitur huius legis
poena, qui puerum uel feminam uel quemquam per uim stuprauerit (Dig. 48.6.3.24)12. A questo proposito, tuttavia, non solo l’implicita ripresa di un documento ufficiale rivela la competenza giuridica di Apuleio, ma il rimando ad un testo storico
della moralità romana in corrispondenza della descrizione del puer pinnatus potrebbe contribuire ad illuminare la peculiare modalità in cui la narrazione delle Metamorfosi si accosta alla mitologia divina tradizionale.
È noto come nella bella fabella di Amore e Psiche il dettato apuleiano si arricchisca di motivi e stilemi tratti dai generi letterari elevati di epica e tragedia, frammisti
a sottili allusioni a modelli elegiaci e neoterici13. In particolare, in Met. 4.30
l’introduzione del personaggio di Cupido segue immediatamente la menzione della
collera della madre Venere, gelosa della bellezza di Psiche: la dea chiama il figlio al
suo cospetto e gli ordina di punire la fanciulla facendola innamorare del più miserabile degli uomini. La scena sembrerebbe nel complesso ricalcare l’episodio virgilia8
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Keulen 1997.
Keulen 1997, 204, 207, 217.
La bibliografia sulle coordinate giuridiche dell’Apologia è, naturalmente, alquanto vasta. Ci limitiamo qui a segnalare il recentissimo lavoro di Pellecchi, che ne offre un’analisi dettagliata, corredata di ricchi riferimenti bibliografici (Pellecchi 2010).
Per il lettore romano come destinatario privilegiato di Apuleio, cf. Grimal 1985; Dowden 1994.
Per l’impiego del lessico giuridico da parte di altri esponenti della letteratura latina d’arte, cf. Gebhardt 2009; bibliografia in De Meo 2005, 406-9 e Mazzini 2010, 208 s.
Cf. Summers 1967, 179 e 1970, 515, seguito da Moreschini 1994, 185; GCA 2004, 63.
Mattiacci 1998, 129 ss.; cf. Finkelpearl 1990; Frangoulidis 1990, 63-101; Kenney 1990, 29ss.;
Harrison 1997, 62 s., 67-71 e 1998, 51-68; Parker – Murgatroyd 2002; Gianotti 2003, 252-7.
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no in cui Venere provoca l’innamoramento di Didone per Enea sostituendo Cupido
al giovane Ascanio, episodio a sua volta modellato sul passo delle Argonautiche di
Apollonio Rodio in cui Afrodite esorta Eros a suscitare in Medea la passione per
Giasone14. Se la descrizione apuleiana dell’alma Venere è tramata di riferimenti lucreziani e virgiliani15, la figura di Cupido – fanciullo audace e impudente, dotato dei
consueti attributi di ali, fiamme e frecce – sembrerebbe ispirarsi proprio alla tradizione ellenistica, e ad Apollonio Rodio in particolare16.
Entro una cornice – quindi – altamente letteraria, che richiama, ad implicito sfondo della narrazione, i modelli della più illustre tradizione poetica epica e amorosa17,
l’impiego di espressioni giuridiche attinte dall’ambito della legislazione romana,
come matrimonia corrumpens o disciplina publica, determina un’inaspettata incongruenza18. In un cortocircuito attualizzante e potenzialmente straniante, all’universo
della mitologia è giustapposto il sistema delle ben più prosastiche procedure legali, i
moduli poetici ellenistici si contaminano con la terminologia morale romana, il sublime letterario con il civico e il quotidiano. Descritto in un passo che parrebbe calcato sul modello di un testo giuridico, il personaggio divino di Eros/Cupido risulta
dunque soggetto ad una caratterizzazione sorridente e ad un processo di umanizzazione e romanizzazione in parte analogo a quello subito dalla madre Venere in diversi luoghi della fabella.
A tal riguardo, si consideri nuovamente il passo di Met. 4.30. La dea che convoca
il puer pinnatus si premura innanzitutto di ricordare il proprio prestigioso ruolo di
madre della natura, in un esordio ricco di echi lucreziani (Met. 4.30.1: En rerum naturae prisca parens, en elementorum origo initialis, en orbis totius alma Venus...)19.
Quindi, con uno scarto stilistico inatteso, la divinità, adirata, prende a recriminare
contro il ‘sopruso’ di cui si sente vittima in un sostenuto registro legale. La colpevole bellezza di Psiche – protesta – la costringe a condividere un onore di cui le spetterebbe l’esclusiva e a sopportare l’incertezza di una venerazione di second’ordine. Il
più recente commento al testo rileva come le espressioni partiario... honore tractor
e uicariae uenerationis incertum (Met. 4.30.1 s.), che trovano diversi paralleli nei
testi di giurisprudenza romana, pongano ironicamente in risalto la posizione di paradossale ‘parità’ tra la signora degli elementi e l’anonima puella moritura, nonché la
sottomissione della divinità alla legge umana20. La Venere apuleiana, che si serve
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Kenney 1990, 123; Mattiacci 1998, 130.
Kenney 1990, 122; Moreschini 1994, 184; vd. n. 19.
Mattiacci 1998, 133 ss.; cf. GCA 2004, 62.
Anche il prosieguo della descrizione di Cupido, indirettamente caratterizzato tramite le parole di
Venere (Met. 4.31) si sostanzia di topoi saffici e catulliani (Mattiacci 1998, 134 ss.).
Per matrimonia corrumpens come formula giuridica, cf. in particolare Moreschini 1994, 185 (che
scrive: «Di colpo, con un procedimento tipico di Apuleio, si passa dalla sostenutezza paratragica
all’ironia e al ridicolo»); cf. GCA 2004, 63 e 533 su disciplina publica; Rosati 2003, 279: «concetti etici e termini specifici della cultura romana». Per quanto riguarda, più in generale, la trasposizione di termini e concetti giuridici in ambito erotico ed elegiaco, cf. Gebhardt 2009, 130-7 (sul
motivo di amor furtiuus).
Cf. Kenney 1990, 122 (ad loc.); Horsfall 1982, 41; Walsh 1970, 55; GCA 2004, 56 ss. con bibliografia. Sull’imitazione lucreziana in Apuleio, si rimanda alle indicazioni bibliografiche di Marangoni 2006, 273 n. 1.
GCA 2004, 58 s.; cf. Summers 1967, 178.
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con proprietà della lingua del diritto, risulta anche qui caratterizzata in quello che altrove Keulen definisce un «amusing, human, even Roman way»21.
Del resto, giuridici sono anche i termini in cui la dea rivendica le proprie prerogative di arbitrio e possesso nei confronti di Psiche ‘fuggiasca’. Quando questa parte
alla ricerca del marito, Venere, che considera la fanciulla una sua personale ancilla22, grida alla scomparsa della serva (Met. 5.31.2 Psychen illam fugitiuam uolaticam mihi requirite; cf. Met. 6.7.3 delitescentem ancillam). Psiche è, istituzionalmente parlando, una ‘schiava in fuga’ e in quanto tale, conformemente ad un’effettiva
prassi romana, viene ricercata in seguito ad un bando ufficiale (Met. 6.8.2 si quis a
fuga retrahere... poterit fugitiuam regis filiam, Veneris ancillam, etc.)23. La giovane
si vede pertanto negare l’ospitalità di Cerere (Met. 6.3.1 s.) e quindi quella di Giunone, che le rammenta come esistano norme che proibiscono di ospitare seruos alienos profugos inuitis dominis (Met. 6.4.5). Gli studi di Summers e di Osgood mostrano come tale affermazione risponda a una realtà storica precisa: nella società romana
dell’epoca, la lex Fabia ed altri editti civili e pretoriani prevedevano effettive sanzioni per chi avesse accolto schiavi fuggitivi24. Non solo, ma gli stessi riferimenti
giuridici insiti nell’episodio di Psiche fuggiasca sono stati assunti dalla critica come
indizio di datazione delle Metamorfosi. Le risposte attribuite a Cerere e Giunone e il
passo del bando sembrano infatti presupporre una data di composizione posteriore al
177 d.C., anno in cui Marco Aurelio e Commodo emanarono un provvedimento volto a rafforzare le vigenti disposizioni in materia di fugitiui25.
L’indagine storica è quanto mai legittima e proficua. Pur tuttavia, in una prospettiva letteraria, la sapienza poliedrica della scrittura apuleiana si può apprezzare appieno solo tenendo conto delle molteplici suggestioni con cui la fraseologia del diritto interagisce nel contesto. È noto come il percorso di schiavitù e liberazione di Psiche presenti significative analogie con quello del protagonista Lucio26. Nello specifico, la vicenda dell’ancilla schiava di Venere sembrerebbe metafora filosofica della
condizione dell’anima asservita alle passioni27. Quello dell’‘anima fuggiasca’ è,
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Keulen considera la formula impares... nuptiae (Met. 6.9.6), che, posta sulla bocca di Venere, parrebbe richiamare il concetto legale di matrimonium iustum (Keulen 1997, 217; cf. anche Osgood
2006, 427-30; Treggiari 1991, 170 ss. sul concetto di matrimonium iustum nel mondo romano).
Simili osservazioni ha suscitato il quiritare di Met. 5.29.1 (Keulen 1997, 207 n. 21; GCA 2004,
333 con bibliografia). Scrive Paratore: «La Venere gelosa che A. ci presenta nella prima parte della novella è il culmine cui è giunta la letteratura antica nella umanizzazione della divinità, e
l’estremo limite dopo il quale si cade nella satira e nella caricatura» (Paratore 1942, 367).
Met. 6.9.5 uilis ancillae; 6.10.2 deformis ancilla; cf. GCA 2004, 352.
Cf. Summers 1967, 211; GCA 2004, 216, Osgood 2006, 425 s. Vd. n. 29.
Summers raffronta il passo con un testo attribuito ad Ulpiano (Ulp. coll. Mos. 14.3.5): ... qui alieno seruo persuaserit, ut dominum fugiat quiue alienum seruum inuito domino celauerit uendiderit
emerit dolo malo, quiue in ea re socius fuerit, iubeturque populo sestertia quinquaginta milia dare (Summers 1967, 207-11 e 1970, 515; cf. Norden 1912, 77; GCA 2004, 393 ss.); Osgood 2006,
424 s.
Bowersock 1965, 282 n. 31; Walsh 1970, 250; ma cf. GCA 2004, 41.
Annequin 1998, 110-28; cf. Merkelbach 1962, 1 ss.; Moreschini 1994, 68-77; Fitzgerald 2000,
97; Frangoulidis 2007, 200 ss.
Kenney 1990, 188. Sulle metafore legali di mancipatio, addictio, uadimonium in rapporto
all’asservimento alle passioni, cf. Keulen 1997, 208-13.
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d’altra parte, un topos di derivazione ellenistica, trasmesso alla letteratura latina del
II secolo d. C. dal filtro dell’epigramma pre-neoterico28.
Nel menzionare le implicazioni giuridiche relative alla fuga di Psiche-anima,
l’umoristica narrazione di Apuleio declina tanto la metafora filosofica, quanto il motivo ellenistico in maniera letterale e tipicamente romana29.
In uno spiazzante accostamento di registri e di piani immaginativi, i personaggi del
fiabesco racconto di Amore e Psiche agiscono, parlano e si muovono in accordo con
i più tradizionali dettami del diritto romano. In Met. 5.26.6 Amore, adirato per la trasgressiva curiosità di Psiche, intima alla fanciulla di andarsene utilizzando la canonica formula di separazione degli sposi: tibi res tua habeto30. Analogamente, la frase
in cui il dio dell’amore è visto sostenere la legittimità della propria causa presso
Giove (suamque causam probat, Met. 6.22.1) risulta formulata su un calco forense31.
In particolare, nel pieno rispetto della legislazione romana si svolge il matrimonio
tra eros e l’anima32, come sembra suggerire il riciclaggio delle formule giuridiche
nel passo33. Dicitura di impronta chiaramente legale è l’espressione con cui il padre
degli dei accorda a Cupido il proprio permesso di sposare Psiche: la formula teneat,
possideat (Met. 6.23.3) richiama infatti da vicino il canonico quod tu meum habes,
tenes, possides34. Così, la proposizione che sancisce il regolare compimento del matrimonio, rite conuenit in manum Cupidinis (Met. 6.24.4) si rivela, di nuovo, modellata sul linguaggio del diritto35. Si noti infine che, se il riferimento alle leges Iuliae
de ui in Met. 4.30.4 è ipotesi non appurabile, in Met. 6.22.4 la lex Iulia de adulteriis
è esplicitamente menzionata. Il contesto è sempre quello delle parole di Giove, che,
in un discorso – ancora una volta – di colorito giuridico, rimprovera Cupido di non
rispettare alcuna legge, «nemmeno la legge Giulia»: contraque leges et ipsam Iuliam
disciplinamque publicam turpibus adulteriis extimationem famamque meam laese-
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Gianotti 1986, 36 n. 13; Mattiacci 1998, 142.
Una simile operazione letteraria si fa ancor più evidente nell’episodio del bando di Mercurio. Su
istigazione di Venere, il dio araldo promette a chi sarà in grado di rintracciare Psiche, ancilla fuggiasca di Venere, una ricompensa particolarmente allettante, da riscuotersi presso le colonne del
Circo Massimo, le metae Murtiae (Met. 6.8.2). È noto come il passo si rifaccia al modello
dell’Erōs drapetēs di Mosco (Gianotti 1986, 36 n. 13 con bibliografia; Kenney 1990, 199) e come
la ripresa letteraria si accompagni tuttavia ad una peculiare volontà di ‘romanizzazione’. La menzione del toponimo implica infatti la rottura della finzione letteraria, che prevedeva
un’ambientazione greca per la fiaba. Inoltre, quanto a fraseologia, il proclama di Mercurio richiama da vicino la testualità tipica di annunci ‘reali’, attestati da testimonianze epigrafiche e papiracee di provenienza romana (Scivoletto 1963, 222 ss. con bibliografia; Marangoni 1985, 63 (=
2000, 85) con bibl.; Rosati 2003, 580; GCA 2004, 416 con bibl.; Osgood 2006, 426 s.; Graverini
2002, 70 s.; Harrison 2002, 49 s.).
Moreschini 1994, 214: «forte ironia»; cf. Summers 1967, 198; Kenney 1990, 178; GCA 2004,
317; Osgood 2006, 422-4. Sul divorzio nel mondo romano, cf. Treggiari 1991, 446 e 1991b, 35.
Medan, 1926, 235; GCA 2004, 530; Osgood 2006, 431.
GCA 2004, 546; cf. Summers 1967, 224 ss.
Gli esempi riportati appartengono alla lista di espressioni giuridiche individuate da Médan 1926,
235-8 e in parte citate anche da Osgood 2006, 431-3.
Oltre a Médan 1926, 235, cf. Summers 1967, 235; GCA 2004, 542.
Kenney 1990, 224; Moreschini 1994, 241; GCA 2004, 522.
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ris36. Nell’ambito di una conversazione olimpica, il riferimento alla legislazione augustea determina un effetto di inaspettata antropomorfizzazione37.
I tecnicismi giuridici potrebbero sembrare alquanto eccentrici nel finale del racconto di Amore e Psiche, ossia in quello che si configura come un tipico lieto fine
novellistico38. La tendenza a far interagire molteplici stili e codici culturali differenti
risponde, d’altra parte, al principio della poikilia, cifra caratterizzante del poliedrico
dettato delle Metamorfosi39. A questo proposito, si è visto come, proprio in virtù della contaminazione lessicale e della mescolanza dei registri, i personaggi divini della
fiaba tendano ad assumere tratti umani, se non comicamente ‘borghesi’40. Si può
constatare come la poikilia della narrazione apuleiana contribuisca a rendere alla fabella il suo carattere enigmatico, particolarmente ambiguo proprio in corrispondenza
di una conclusione che risulta sospesa tra nobilitante allegoria platonica e menippea
irrisione del divino41.
La novella apuleiana, che parrebbe, nel complesso, assorbire e rielaborare vari influssi, come quello del mito orientale, della mitologia greca ed ellenistica e della
‘fiaba di magia’, o Folk-Tale42, si caratterizza per le tinte fiabesche e per la pervadente presenza del meraviglioso. D’altro canto, si osservi come, in Apuleio,
l’interferenza della lingua del diritto nella cornice fantastica, nel richiamare una
concreta prassi storica, comporti una peculiare attualizzazione pragmatica del racconto fiabesco. E tuttavia, lungi dal perseguire fini di resa realistica o dall’accrescere
la credibilità della finzione, l’accostamento inedito di dato favolistico e tecnicismo
giuridico sembrerebbe piuttosto finalizzato alla dissoluzione ironica dell’illusione
letteraria43. L’inserimento di formule legali nella dimensione del meraviglioso determina un’imprevista incrinatura dell’indefinito romanzesco; la finzione è svelata in
quanto tale e, alla pari dei personaggi divini44, anche temi fiabeschi e motivi mitolo36
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Cf. Summers 1967, 223 s. e 1970, 515; Kenney 1990, 220; Blánquez Perez 1992-1993, 155 ss.
GCA 2004, 533: «striking anthropomorphic»; cf. Moreschini 1994, 231.
Il lieto fine della fiaba si presenta affine alla conclusione topica del romanzo greco (GCA 2004,
552; cf. Mantero 1973, 27-9; Frangoulidis 2007, 200).
Per la poikilia come primario obiettivo di Apuleio, cf. Moreschini 1994, 93 ss.; cf. Callebat 1968,
454; 1978, 165; 1998, 124 ss., 178-179. Più in generale, sulla genesi del concetto di poikilia e sulla sua interpretazione antica e moderna, cf. Rinaudo 2009; Giannini 2009; Micalella 2009; Mureddu – Nieddu 2009.
A questo riguardo, cf. anche Paratore 1942, 367-72 (in part. 371 sull’elemento giuridico) e, sulla
‘parodia’ di Met. 6.23.1 s., GCA 2004, 540; Harrison 2006; Osgood 2006, 430 s.
Cf. Moreschini 1994, 26-90 (e 1991, 15-63) sulle molteplici e diverse modalità in cui è stata interpretata la favola di Amore e Psiche, 238 con bibliografia sulla conclusione; GCA 2004, 394.
La questione dell’origine folklorica o letteraria della novella è piuttosto dibattuta (cf. Schlam –
Finkelpearl 2000, 135-40). Sui molteplici influssi alla base della novella apuleiana (allegorico orientale, mitologico – alessandrino, milesio, popolare, sofistico del romanzo greco), cf. ad es. Paratore 1942, 323-74 (che ridimensiona l’elemento popolare). Sul rapporto con il Folk-Tale, si rimanda all’analisi dettagliata della Mantero, che rileva come le analogie tra la narrazione apuleiana
e la ‘fiaba di magia’ non si esauriscano nel vago colorito meraviglioso (comune ad altri generi),
ma si sostanzino di precise rispondenze strutturali (Mantero 1973; cf. anche Scobie 1983).
Nemmeno il sermo cotidianus, in Apuleio, è funzionale al realismo: cf. Callebat 1998, 151 ss.; cf.
260 su ‘fantastico e ironia’. Gli aspetti realistici della fabella sono ricondotti da Paratore
all’influsso della tradizione milesia (Paratore 1942, 363-7).
Sulla tendenza di Apuleio a trattare l’elemento religioso in modalità ‘leggera’, secondo un fine
per lo più letterario e d’intrattenimento, cf. anche Harrison 2007.
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gici sono manipolati con distaccata ironia. L’intenzione di Apuleio sembrerebbe
quella di scoprire la propria arte. Il linguaggio del meraviglioso e le iuncturae di nobile ascendenza letteraria si rivelano infine, alla pari del lessico giuridico, puro materiale da costruzione, tasselli multicolori da intrecciare liberamente, risorse per
l’invenzione e la creatività linguistica. La giustapposizione di diversi piani e registri
espressivi fa sì che nessuno predomini del tutto; segnata da accostamenti imprevisti
e scarti repentini, la narrazione apuleiana finisce di fatto per prevenire il completo
abbandono del lettore al piacere dell’illusione fiabesca.
Le Metamorfosi offrono molti altri esempi di applicazione della terminologia legale
alla narrazione di episodi di più o meno illustre ascendenza letteraria. Caso eclatante
di motivo di ascendenza mitica trasposto da Apuleio nei termini di una contesa giudiziaria è, ad esempio, la novella della matrigna innamorata (Met. 10.2-12). La trama
è presto riassunta. Nel corso delle sue peregrinazioni in sembianze asinine, Lucio
giunge presso l’abitazione di un decurione provinciale, ove si è compiuto uno scelestum ac nefarium facinus che il narratore si accinge a riportare per iscritto. Il decurio, padre di un figlio diligente e modesto, rimane vedovo e decide di risposarsi. La
nuova moglie inizia tuttavia a nutrire una passione bruciante per il figliastro, finché,
incapace di sopportare ulteriormente lo strazio del tormento amoroso, finisce per rivelare il proprio desiderio all’ignaro giovane. Questi, allibito per l’inaspettata esternazione, acquieta inizialmente la matrigna con caute promesse, cui non dà poi alcun
compimento: la passione della donna si tramuta allora in odio atroce. Con l’aiuto di
uno schiavo scellerato, la nouerca si procura un micidiale veleno, con cui medita di
porre fine alla vita del figliastro; se non che, la coppa con la bevanda mortale viene
bevuta per errore dal fratello minore del giovane, figlio della donna stessa. Quando il
ragazzo cade a terra senza vita, la malvagia matrigna ha l’audacia di accusare il figliastro di aver tentato di usarle violenza, e di aver in seguito soppresso il fratellastro. La causa viene discussa in tribunale: la perfida eloquenza della donna sta per
trionfare e la condanna del giovane innocente sembra imminente, quando prende la
parola un anziano senatore, che risulta essere nientemeno che il medico da cui il lo
schiavo aveva acquistato il veleno. Il vecchio annuncia la verità al cospetto
dell’assemblea: il giovane viene assolto, i colpevoli sono puniti ed il figlio creduto
morto si scopre infine semplicemente addormentato, grazie alla previdenza del medico, che, presagendo il delitto, aveva opportunamente sostituito il veleno con un
sonnifero.
L’episodio è chiaramente modellato sui precedenti letterari dell’Ippolito euripideo e della Fedra di Seneca: è del resto lo stesso narratore, che, in una nota introduttiva di sapore metaletterario, si rivolge direttamente al lettore e lo avverte che, abbandonato il tono giocoso di fabula, il racconto che ci si accinge a narrare presenta i
caratteristici connotati della tragedia: Iam ergo, lector optime, scito te tragoediam,
non fabulam legere et a socco ad coturnum ascendere (Met. 10.2.4)45. Le contiguità
del passo con l’ipotesto euripideo e senecano sono state analiticamente individuate46
45
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Cf. Tappi 1986, 180; Fiorencis – Gianotti 1990, 86 (=Magnaldi – Gianotti 2004², 276).
Per una comparazione sistematica tra i passi e un’indagine sui modelli della narrazione apuleiana,
cf. in part. Tappi 1986; Fiorencis Gianotti 1990 (=Magnaldi – Gianotti 2004²); Münstermann
1995, 94-107; Finkelpearl 1998, 149-83; GCA 2000, 417-32; Mattiacci 2007, 131-44.
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Bianca Facchini
ed è stato pure rilevato come, dal momento che «la sindrome di Fedra è anche la
sindrome di Didone», nell’episodio apuleiano non manchino i riferimenti virgiliani47. Alla ripresa del modello si accompagna tuttavia la sua peculiare rielaborazione.
La presunta grauitas della narrazione apuleiana subisce, innanzitutto, brusche disconferme e tende a tradire sotto più riguardi le aspettative di solennità tragica che
tanto la notazione introduttiva, quanto l’impiego di moduli espressivi di marca letteraria ‘sublime’ contribuirebbero a destare. Nell’ambito romanzesco delle Metamorfosi, gli eroi tragici assumono vesti borghesi e volti anonimi. Il pathos lascia il posto
alla concretezza prosastica della cronaca provinciale e la vicenda si svolge in una
dimensione tutta umana: lo scioglimento è dovuto non all’intervento ex machina
della divinità, quanto alla provvidenziale competenza dell’anziano medico. Si è parlato, a tal proposito, di «laicizzazione del tema tragico di Fedra»48. Inoltre, le accuse
rivolte, già in Euripide, al figliastro innocente sono trasposte dalla narrazione apuleiana nei termini di un vero e proprio caso giudiziario, discusso alla presenza dei
senatori e del popolo secondo le consuetudini del diritto attico (exemplo legis Atticae
Martiique iudicii, Met. 10.7.2)49.
Il motivo del ‘processo’ è, insieme al lieto fine, un altro topos del romanzo greco50. Tuttavia, in Apuleio la narrazione della causa giudiziaria – peraltro assente
nell’epitome greca di Lucio o l’asino51 – riveste una notevole estensione (Met. 10.612). Per giunta, nelle Metamorfosi, la cronaca assume un registro spiccatamente tecnico52. Si noti innanzitutto come, a differenza di altre novelle interne, lo stesso racconto sia definito non fabula, bensì facinus (Met. 10.2.1)53. La descrizione del processo è inoltre sistematica e dettagliata54. Frequenti sono i tecnicismi giuridici: dai
termini utilizzati in senso legale (es. ciuiliter, Met. 10.6.4)55 alle espressioni tipiche
dell’oratoria giudiziaria, per le quali si riscontrano spesso precedenti ciceroniani (es.
allegationibus, Met. 10.6.4; iudicare in senso assoluto, Met. 10.6.3; iure iurando,
Met. 10.8.3)56. In particolare, nel processo narrato da Apuleio risultano coerentemente applicati precetti e procedure canoniche del diritto romano. Le parole con cui
la matrigna accusa il figliastro, definendolo parricida e sicarius (Met. 10.6.2), utiliz47
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Fiorencis – Gianotti 1990, 87 s. (= Magnaldi – Gianotti 2004², 277 s.); cf. Walsh 1970, 171; Harrison 1997, 65-7.
Fiorencis – Gianotti 1990, 85, 90, 96 s. (= Magnaldi – Gianotti 2004², 281 ss.); cf. Mattiacci 2007,
138-42.
Sulla menzione del diritto attico nella novella apuleiana, cf. Smith 2007 (in part. 224), che esamina la fortuna dell’eredità culturale ateniese e atenocentrica nella narrazione del mito di Fedra in
Apuleio e in Eliodoro. Sui riferimenti giuriziari nell’Ippolito di Euripide, cf. ad es. Mirhady 2004;
sul lessico giuridico nella Fedra di Seneca, Molero Alcaraz 1994, 24.
Fusillo 1998, 77ss.; Fiorencis – Gianotti 1990, 97 S. (= Magnaldi – Gianotti 2004², 285). La trattazione di motivi letterari in chiave processuale era tipica anche delle declamationes: cf. Fiorencis
– Gianotti 1990, 92 s. (= Magnaldi – Gianotti 2004², 280 s.); GCA 2007, 136, 426.
Cf. ad es. Summers 1970, 511; Walsh 1970, 170-2; van Thiel 1971, 145 s. L’eventuale presenza
dell’episodio nell’originale greco è, comprensibilmente, al di là delle nostre possibilità di verifica
(cf. Mason 1994, 1694).
Per un’analisi puntuale degli aspetti giuridici del passo, cf. Summers 1967, 321-9.
GCA 2000, 60; cf. Summers 1967, 133 ss. e 315.
Cf. GCA 2000, 138.
GCA 2000, 134.
GCA 2000, 134, 130, 155.
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Giurisprudenza da favola
zano espressioni tecnicamente corrette in riferimento alla lex Cornelia de sicariis et
ueneficis e alla lex Pompeia de parricidiis; così, nella pena che le autorità municipali
prospettano per il giovane (quella di essere cucito in un sacco; Met. 10.8.1) il lettore
coevo avrebbe potuto facilmente ravvisare l’antica penalità che la legge romana prevedeva per il parricidio57. Ancora una volta, quindi, l’interferenza della cultura giuridica nell’ambito del romanzo implica anche una romanizzazione dei contenuti58.
Quanto a ciò, se l’ambientazione giudiziaria del racconto appare sostanzialmente realistica59, tuttavia, nell’ambito di un processo condotto secondo la consuetudine greca, la menzione di un’arcaica pena romana risulta piuttosto incongruente60. Parimenti, sembra che, sullo sfondo di un’anonima cittadina di Tessaglia, l’appello a concetti
altisonanti e tipicamente romani come quello del mos maiorum (Met. 10.6.4) non
possa essere che finalizzato a suscitare l’ironia del lettore61. Ironia tanto più significativa se si tiene presente il palinsesto tragico su cui una simile operazione di ‘romanizzazione’ è attuata.
A questo riguardo, tuttavia, in corrispondenza della ripresa, più o meno esplicita, di
modelli letterari illustri, contaminati con gergo e contenuti afferenti a paradigmi culturali di altro tipo, che significato assume il concetto di ‘ironia’, così come quello di
‘parodia’? Il sorriso complice a cui la narrazione apuleiana intende indurre il lettore
va a spese del testo di partenza, degradato e, tuttavia, ancora riconoscibile?
Diversi studi hanno riscontrato come, nelle Metamorfosi, risulti alquanto problematico individuare con precisione scopi e coordinate di un’eventuale ‘parodia’ intesa
come categoria univoca62.
È indubbio che il trattamento apuleiano di alcuni motivi letterari consolidati si
contraddistingua per lo spirito irriverente e il taglio divertito della narrazione e molti
passi del romanzo hanno indotto gli interpreti a parlare di scoperta ‘parodia’. Tra i
vari esempi, è possibile citare altri episodi in cui topoi della letteratura ‘nobile’ subiscono un repentino abbassamento, e in cui si riscontra altresì una giustapposizione di
dotte citazioni letterarie ed espressioni formulari di derivazione giuridica. Si prenda
ad esempio il caso del tentativo di suicidio riportato in Met. 1.14-7, nel contesto del
racconto di Aristomene. Il narratore riferisce le agghiaccianti vicende di cui è stato
testimone nella notte trascorsa con l’amico Socrate nella camera di una taverna di
Tessaglia. Dopo che le streghe Meroe e Pantia, penetrate nella stanza, hanno estratto
il cuore del compagno dormiente, Aristomene, persuaso che Socrate sia morto, prorompe in una patetica allocuzione al letto; dopodiché, temendo che gli venga addossata la responsabilità dell’omicidio, tenta di impiccarsi. Se non che, la corda utilizza-
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Summers 1967, 325 s. e 1970, 527 s.; cf. Elster 1991, 146 ss; Blánquez Pérez 1992-93, 168 ss. e
212; GCA 2000, 128, cf. anche 150 su sermo (Met. 10.8.2) e 137 sulla mescolanza di procedure
greche e romane.
In generale, l’uso di termini legali nelle Metamorfosi sembrerebbe spesso avere proprio lo scopo
di conferire un colorito ‘romano’ al racconto di Apuleio (cf. Scivoletto 1963, 226 ss.; Maehler
1981, 162 con bibliografia; Rosati 2003, 278 ss.).
GCA 2000, 132.
GCA 2000, 149 e 137 con bibliografia.
GCA 2000, 134 con bibliografia.
Lazzarini 1985, 132; Finkelpearl 1998, 36 ss.
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Bianca Facchini
ta, vecchia e rosa dalle tarme, non regge al peso e si spezza: l’aspirante suicida
piomba così, goffamente, addosso all’amico, che si desta di soprassalto dal sonno.
Il tentativo di suicidio descritto da Apuleio ripropone nel complesso una situazione in cui incorrono tipicamente gli eroi e le eroine del romanzo sentimentale greco63. Entro tale contesto si inserisce, nello specifico, l’invocazione al letto di Met.
1.16, un intermezzo che ha spesso destato lo sconcerto dei commentatori64. Il passo
parrebbe ricalcare movenze e fraseologia caratteristica di tante preghiere formulari
di impronta ‘sublime’, dalle invocazioni tipiche della tragedia greca all’allocuzione
che la Didone virgiliana rivolge al proprio giaciglio65. Che quella apuleiana sia una
‘parodia’ di un motivo letterario d’ascendenza illustre è rivelato dall’esito burlesco
del tentato suicidio e dall’‘ambientazione bassa e volgare’ in cui il topos è calato.
Per di più, in letteratura, sono in genere gli innamorati a rivolgersi al letto, rendendolo confidente privilegiato di gioie e pene d’amore: non a caso, il passo apuleiano è
tramato di moduli espressivi caratteristici della poesia erotica66. Come accade in
un’analoga situazione petroniana (Petron. 94 s.), Apuleio sembra scoprire la natura
artificiosa della propria operazione di ripresa: a ciò potrebbe concorrere anche
l’inserzione di una caratteristica formula forense all’interno dell’accorato monologo
di invocazione al letto. Aristomene si rivolge al giaciglio come a colui quem solum
in meo reatu testem innocentiae citare possum (Met. 1.16.3). L’espressione testem
innocentiae citare assume, nel contesto, un valore prettamente legale, che si sostanzia di numerosi precedenti in campo oratorio67. Posta all’interno di una tirata
d’ispirazione tragica ed elegiaca, la formula giuridica costituisce una nota alquanto
dissonante, che contribuisce a marcare la distanza tra gli antecedenti letterari evocati
e la situazione descritta nel romanzo apuleiano. Nel contesto ‘degradato’ del racconto di Aristomene, da testimone silenzioso di effusioni amorose, il letto è chiamato
idealmente a diventare teste processuale di un’azione criminosa: un ruolo tanto più
paradossale se si tiene presente che il grabattulus è per sua natura muto68.
Se la credibilità di ogni funzione letteraria è basata su un implicito ‘patto narrativo’ tra autore e lettore69, nel romanzo apuleiano, la diretta giustapposizione di codici
disomogenei e difficilmente assimilabili determina una frequente sensazione di dissonanza che mette a dura prova un’eventuale lettura ingenua dell’opera. È quindi indiscutibile che il registro letterario nobile, applicato a situazioni prosastiche e quotidiane70 e fatto interagire con gerghi di altro tipo, subisca un notevole abbassamento
e risulti infine screditato e ridicolo. Tuttavia, nelle Metamorfosi, l’ironia giocata in
complicità col lettore non sembrerebbe andare nella direzione dell’irrisione del modello. Lo scopo della contaminazione stilistica perseguita da Apuleio parrebbe piut-
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Cf. ad es. Scobie 1972, 113 con bibliografia; Mattiacci 1993, 260 con bibliografia.
Cf. ad es. Perry 1929, 398 (vd. Mattiacci 1993, 262).
Cf. Scobie 1972, 114 con bibliografia; Mattiacci 1993, 261 ss.; Keulen 2006, 159 ss.
Mattiacci 1993, 262 ss.; Keulen 2006, 159; GCA 2007, 303 s., 307 con bibliografia.
GCA 2007, 308.
Cf. GCA 2007, 307 s.
Per il concetto di ‘patto narrativo’ e la specificazione delle sue componenti narratologiche, cf.
Grosser 1995, 17-26.
La ‘parodia letteraria’ è stata definita appunto come la procedura consistente nell’applicazione di
un registro espressivo alto a situazioni e contenuti bassi: Beltrametti 1994, 283 s.
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Giurisprudenza da favola
tosto risolversi nel desiderio di «offrire un saggio del proprio talento linguistico»
mescolando giocosamente allusione dotta e libera invenzione71.
In rapporto a quanto detto, si osservi che, se l’inaspettata intrusione della terminologia tecnica legale ha spesso la conseguenza di dissolvere, o ridimensionare, l’aura
tragica o fiabesca di molti episodi, viceversa, lo stesso vocabolario giuridico, decontestualizzato ed impiegato all’interno di situazioni fantastiche e improbabili, risulta
spesso comico o bizzarro.
In Met. 4.8-21, ad esempio, l’asino Lucio è rimasto prigioniero di una banda di
banditi, che, una volta tornati nel proprio covo, e dopo essersi ubriacati di vino ed
ingozzati di cibo, tra canti e urla degne di Lapiti e Centauri (Met. 4.8.5), danno inizio alla rievocazione orgogliosa delle proprie imprese ladresche. L’ironia della narrazione deriva innanzitutto dal fatto che ribaldi di tal risma72 tendono riferire le proprie ‘imprese’ in una modalità tale che, quanto a fraseologia e motivi, il resoconto
sembrerebbe la parodia di alcuni passi virgiliani e lucreziani73. L’intento dei ladroni
parrebbe, comicamente, quello di fornire un’immagine nobilitante della propria masnada, presentata nei termini di vera e propria associazione professionale (Met.
4.15.1 collegium; 6.31.3 secta)74, i cui socii (cf. Met. 4.15.3 socium nostrum) sono
tenuti ad agire secondo un preciso codice deontologico (cf. Met. 4.9.4 quod est huic
disciplinae primarium studium). In Met. 4.18, i briganti riferiscono l’attuazione di
una rapina, in un linguaggio tale da mettere in luce come la condotta del gruppo si
ispiri a nobili principi. I ladroni, fedeli alle regole dell’associazione, attendono doverosamente che cali l’oscurità: l’espressione ex disciplina sectae sembrerebbe paragonare implicitamente l’associazione ad una sorta di accademia filosofica (Met.
4.18.3)75. Successivamente i banditi si dispongono armati dinnanzi all’ingresso della
dimora da assaltare, posti in uno schieramento che sembra testimoniare l’impresa
brigantesca cui si accingono. L’espressione utilizzata, uelut expilationis uadimonium
sistimus (Met. 4.18.3) è, questa volta, di tipo forense: uadimonium sistere significa
infatti, propriamente, presentarsi di fronte alla giuria per dare testimonianza76. È stato rilevato come «il racconto delle gesta dei ladroni richiami, in più punti, contesti di
alto impegno e di elevato tono tematico-stilistico»77. Alla pari del lessico di impronta letteraria o filosofica, così anche il vocabolario giuridico e giudiziario, se applicato alla narrazione di crimini e malefatte, perde il suo significato letterale per diventare una risorsa dell’ironia. Ironia che nasce dall’implicito contrasto tra lo statuto ‘al-
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Lazzarini 1985, 132.
I banditi, secondo una topica da romanzo greco, sono descritti come autori delle più spaventose
efferatezze e abitano un locus horridus: Stramaglia 1992, 61 ss. con bibliografia; cf. Riess 2001,
289 ss. e 303 ss.
Per il confronto tra la narrazione parodiante dei ladroni e gli episodi del cavallo di legno virgiliano e della peste lucreziana, cf. Frangoulidis 1991, 96 ss; Graverini 1996, 172 ss.; Esposito 1989;
sul registro epico del racconto dei ladroni, cf. Riess 2001, 266 ss.
Cf. GCA 1977, 137.
Cf. GCA 1977, 136 s.
GCA 1977, 137 con bibliograrafia: «Witty play»; cf. Norden 1912, 8 n. 2 con bibliografia; Summers 1967, 149 ss. e 169; van der Paardt 1971, 97.
Esposito 1989, 307.
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Bianca Facchini
to’ della realtà evocata per via linguistica (ambito della letteratura, della filosofia,
della legalità) e lo statuto volgare della realtà che effettivamente descritta78.
Si potrebbero citare molti altri casi in cui la più rigorosa fraseologia legale è applicata alla narrazione di situazioni fiabesche, magiche o grottesche, con l’effetto di stravolgere il significato ordinario del codice espressivo. Si veda, ad esempio, la scrupolosa correttezza legale con cui è redatto il contratto che vincola Telifrone a custodire
la salma di un defunto dai sortilegi delle streghe (cf. in part. Met. 2.24.2-4: ... introductis quibusdam septem testibus manu reuelat et diutine insuper fleto obtestata fidem praesentium singula dimonstrat anxie, uerba concepta de industria quodam tabulis praenotante. “Ecce” inquit “Nasus integer, incolumes oculi, saluae aures, illibatae labiae, mentum solidum. Vos in hanc rem, boni Quirites, testimonium perhibetote”; et cum dicto consignatis illis tabulis facessit)79.
Nella giustapposizione di prospettive e livelli inconciliabili, i diversi codici finiscono per screditarsi a vicenda. Si prenda, ad esempio, il caso di un’altra scena giudiziaria, che costituisce una sequenza narrativa di una certa estensione, non presente
nell’epitome greca della storia di Lucio e forse dovuta all’invenzione dell’autore delle Metamorfosi80. Si tratta del processo di Ipata, che, in Met. 3.1-12, vede protagonista Lucio, citato in giudizio ed imputato dell’omicidio di tre presunti ladroni. È stato
innanzitutto evidenziato come la situazione delineata da Apuleio riprenda elementi
caratteristici e procedure canoniche del sistema legale greco-orientale, e come
l’autore abbia – ancora una volta – sovrapposto ad una simile cornice ‘orientale’ pratiche e precetti tipici del diritto romano. La narrazione non fa alcun tentativo di armonizzare i due apparati e la giustapposizione sembrerebbe perseguire un «genuino
intento letterario»81. Nel suo insieme, comunque, la scena del processo, con la sua
solenne retorica giudiziaria e l’insistenza sulle implicazioni legali del facinus, parrebbe esclusivamente finalizzata al successivo rovesciamento burlesco. La narrazione della contesa giudiziaria è infatti caratterizzata da una moltitudine di temini legali
e pseudo-legali propri del diritto romano (facinus, iudicium 3.1.2; sacramentum
3.3.8; sententia 3.3.9; officium 3.5.6; uindicare 3.6.3; peculium 3.9.8; manus iniectio
3.10.3; iniuria 3.10.5; uadimonium 3.12.4)82. Tuttavia, dopo che l’accusatore ha
pronunciato la sua requisitoria contro il reus coram deprensus (Met. 3.3.9), Lucio si
è difeso (3.5 s.) e anche la moglie e madre dei defunti è intervenuta, con un discorso
di impronta legalistica siglato da una richiesta di punizione pro modo facinoris
(3.9.5)83, in un colpo di scena, si viene a capire che il processo è solamente una farsa. Tra le risate degli astanti, l’attonito Lucio apprende che i corpi dei presunti banditi sono in realtà otri inanimati e la causa giudiziaria nient’altro che una messinsce78
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Cf. Beccaria 2004, 419 s. con bibliografia per l’ironia come risultato del contrasto tra evocazione
di una ‘norma’, cui la realtà dovrebbe conformarsi, e realtà effettiva: questo non solo per via di
antifrasi, ma anche attraverso la «citazione di un già detto, di un discorso proprio o altrui».
Cf. GCA 2001, 333 ss.
Questa la tesi di Perry 1925; cf. van Thiel 1971, 90-5; Walsh 1970, 154 s.; Summers 1970, 511.
Vd. n. 51.
Summers 1970, 514; cf. Colin 1965.
Summers 1970, 518 n. 20; cf. Summers 1967, 125-49; Blánquez Perez 1992-1993, 163 ss.
Cf. Summers 1970, 519.
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Giurisprudenza da favola
na offerta al dio Riso in occasione del suo festival84. Narrazione di una situazione
giudiziaria, quindi, condotta con ottima competenza tecnica e, in fin dei conti, finalizzata a suscitare il riso: l’episodio potrebbe rivelarsi un’indicativa chiave di lettura
circa la possibile funzione assunta dal dispiego di cultura giuridica in alcuni passi
delle Metamorfosi.
Il pubblico romano delle Metamorfosi deve avere infatti accolto in maniera divertita quei dettagli che, posti all’interno della narrazione di vicende straordinarie ed
esotiche, rinviano ai più caratteristici precetti e ai più tradizionali paradigmi della
romanità. Oltre ai casi citati in precedenza, si consideri ad esempio l’effetto comico
derivato dall’impiego di appellativo altisonante e familiare al lettore romano come
quello di Quirites all’interno di dichiarazioni legali e di deposizioni giudiziarie che
prevedono come sfondo la magica terra di Tessaglia (Met. 2.27.4; 3.3.2; 3.5.6)85.
Inoltre, come per certi versi accade in Met. 3.1-12, in più occasioni, nel romanzo
apuleiano, il rimando a concetti o formule proprie della legalità romana sembra finalizzato a suggerire un’atmosfera di tranquilla ordinarietà, esclusivamente in funzione
del successivo stravolgimento comico o rovesciamento paradossale. Si veda brevemente il caso di Met. 1.24 s. Giunto da poco in Tessaglia, Lucio si reca al mercato,
dove adocchia del pesce dall’aspetto invitante; contrattando col venditore, riesce ad
abbassare il prezzo a venti denari, a partire dai cento previsti: Et percontato pretio,
quod centum nummis indicaret, aspernatus uiginti denariis praestinaui (Met.
1.24.4). È stato osservato come la terminologia adoperata dal narratore Lucio sia
tecnicamente corretta in riferimento alla vendita romana per emptio uenditio86. Il
senso di rassicurante familiarità che tale situazione introduttiva poteva eventualmente comunicare al lettore romano è tuttavia presto incrinato dall’imprevisto. Lucio si
imbatte infatti in un vecchio compagno di studi, Pitea, che gli comunica di essere divenuto edile e di sovrintendere al mercato in veste di controllore dell’annona. Esaminato il pesce appena acquistato dall’amico, Pitea è scosso da un moto di indignazione: venti denari, afferma, sono davvero troppi, per quella merce. Così, per dimostrare la propria autorità di edile, il magistrato si affretta a rovesciare il pesce a terra
e a calpestarlo con cura, dopodiché si allontana soddisfatto, lasciando l’allibito Lucio privo tanto di soldi quanto di cibo. Nel contesto delle movimentate avventure di
Tessaglia, l’eventuale realismo quotidiano è quindi evocato per essere poi immediatamente ‘corretto’ nel senso del comico e del grottesco87.
L’episodio appena riassunto fornisce, del resto, un altro esempio di come, più che
per perseguire l’esattezza realistica dell’ambientazione romanzesca, l’autore delle
Metamorfosi utilizzi il lessico giuridico principalmente come risorsa espressiva, funzionale ad effetti comici e paradossali. In Met. 1.25.2, l’atteggiamento di Pitea è infatti detto conforme al suo imperium: dal momento che gli edili, magistrati minori,
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La motivazione letteraria dell’episodio è stata rintracciata in un gioco linguistico: la narrazione
apuleiana del finto omicidio e del processo realizzerebbe in maniera paradossalmente letterale tre
proverbi: Brancaleone – Stramaglia 1993.
Cf. GCA 2001, 333; van der Paardt 1971, 41, 56; Scivoletto 1963, 226; Rosati 2003, 278; in
Summers 1970, 519 ss. la consueta interpretazione storico-biografica.
Norden 1912, 167 s.; Summers 1967, 88 s. e 1970, 521; Scobie 1972, 127; cf. Gaius 3.139-41.
Per l’analisi dell’episodio alla luce delle categorie di realismo e deformazione grottesca, cf. Auerbach 1956, 66-8.
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Bianca Facchini
erano notoriamente dotati solo di potestas, il termine imperium, «costituzionalmente
assurdo»88, assume qui un valore apertamente iperbolico, finalizzato a sottolineare la
tronfia prepotenza del personaggio. Alla pari del latinorum con cui il Renzo manzoniano contrassegna il mondo degli eruditi89, anche nel passo apuleiano l’impiego di
un termine pseudo-tecnico tratto da un determinato ambito culturale sembra mirato
ad evocare genericamente una data realtà o classe sociale, con un margine di errore –
o di approssimazione – che, involontario nel caso di Renzo, voluto nel caso di Lucio, nella più ampia prospettiva della narrazione assume comunque valenza satirica90.
In definitiva, sembrerebbe sconsigliabile procedere ad un’analisi sistematica degli
aspetti giuridici delle Metamorfosi con l’implicita pretesa di rintracciarvi una coerenza assoluta, ed ostinandosi a spiegare le eventuali ‘scorrettezze’ di Apuleio mediante elaborate argomentazioni storico-biografiche. La stessa imprecisione tecnica,
come si è appena visto, può assumere valore espressivo91.
Numerosi studiosi si sono, ad esempio, interrogati sulla ragione dell’‘errore’ apuleiano in occasione della menzione del iuridicus in Met. 1.6.2. Il contesto è ancora
quello del racconto di Aristomene, che narra il primo incontro con l’amico Socrate:
partito dall’achea Egio e giunto in Tessaglia, egli si imbatte infatti per caso nel compagno mentre questi, a stento riconoscibile per l’estrema magrezza, se ne sta accasciato per terra, avvolto in un logoro mantello. Aristomene lo apostrofa esterrefatto:
che ci fa lì l’amico, quando, a casa, la famiglia l’ha ormai pianto per morto, i figli
sono stati affidati a dei tutori per il decreto di un giurisdicente provinciale (iuridici
prouincialis decreto), la moglie si è consumata dal pianto e medita ormai di risposarsi? Si vede bene, ribatte allora Socrate, che Aristomene non conosce i mutevoli
rovesci della sorte, e l’irriconoscibile mendicante inizia a raccontare le incredibili
peripezie e le oscure vicende di magia nera che l’hanno portato a ridursi in un simile
stato. È già Hildebrand a mettere in rilievo l’incongruenza giuridica presente nel
passo: quello di Apuleio sarebbe a suo dire un errore, dal momento che, se la menzione della carica di iuridicus sarebbe risultata consona in riferimento alla provincia
d’Egitto, altrettanto non si può dire riguardo alla provincia senatoria d’Achea92. Di
qui, diversi tentativi93 di spiegare quella che risulta, per dirla con Summers, una così
«palese rottura della verosimiglianza», che non avrebbe mai potuto essere accettata
dal ‘lettore sofisticato’. Lo stesso Summers avanza quindi l’ipotesi che Apuleio utilizzi il termine ponendosi nella prospettiva di un personaggio greco, portato ad uti88
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91
92
93
GCA 2007, 446; cf. Summers 1967, 92-4 e 1970, 521 s.
Manzoni, Promessi Sposi, cap. 2.
L’episodio del mercato di Ipata è un altro caso utilizzato da Summers a sostegno della tesi secondo cui la narrazione apuleiana sarebbe satira e denuncia delle ingiustizie perpetrate dal sistema
amministrativo romano (Summers 1970, 520 s.).
Oltre al caso esaminato, si veda ad esempio la menzione della Lex Cornelia in Met. 8.24.4 (confusa forse con la Lex Fabia) per un altro passo in cui la critica è divisa tra l’ipotesi di errore apuleiano e quella di imprecisione intenzionale, a fini comici: cf. Hildebrand 1842, 722; Summers
1970, 515; GCA 1985, 209-21.
«Sed puto errasse Apuleium, qui suae regionis descriptionem ad Graeciam transtulerit» etc.; Hildebrand 1842, 31.
Cf. Scobie 1972, 92 s. con bibliografia.
- 314 -
Giurisprudenza da favola
lizzare il titolo di iuridicus come equivalente del più appropriato δικαιοδότης94.
Questo è possibile, così come è possibile che Apulieio si sia semplicemente sbagliato. Tuttavia, i tentativi di precisa contestualizzazione storica perdono forse di vista il
senso complessivo del passo ed il particolare significato che il lessico giuridico potrebbe assumere in tale contesto. Ad Aristomene, che gli rivolge rimproveri dettati
dal buon senso, Socrate risponde con il resoconto delle allucinanti vicende di cui è
stato testimone, in un registro enfatico ed ispirato che contrasta nettamente con il tono più quotidiano e colloquiale dell’amico: lo stesso Aristomene non tarda infatti ad
innervosirsi di fronte a tanta pompa tragica (“Oro te” inquam “aulaeum tragicum
dimoueto et siparium scaenicum complicato et cedo uerbis communibus”; Met.
1.8.5). Nell’episodio, l’opposizione di registri stilistici è quindi chiaramente finalizzata alla caratterizzazione dei personaggi e alla contrapposizione delle rispettive vedute esistenziali. Aristomene, pacato e razionale, parla la lingua semplice e quotidiana del senso comune; a tale prospettiva, Socrate oppone la propria visione tragica
e la coscienza del potere delle forze irrazionali: una consapevolezza tradotta in un
linguaggio melodrammatico ed ispirato ad un senso di alta letterarietà tragica95.
L’espressione giuridica impiegata da Aristomene in Met. 1.6.2 potrebbe quindi rispondere non tanto ad intenti di inquadramento storico del dialogo, quanto, ancora
una volta, alla semplice volontà di richiamare un determinato ambito, l’ambito ordinato e disciplinato della legalità, che viene a porsi in netto contrasto con la dimensione tragica ed occulta evocata dal successivo discorso di Socrate96. In altre parole,
in Met. 1.6, la contrapposizione di registro giuridico e registro letterario di ispirazione tragica97 potrebbe evidenziare per via linguistica quell’opposizione di razionalismo e irrazionalismo che è stata individuata98 come una delle spinte fondamentali
del romanzo apuleiano.
Per concludere, nel presente saggio si è visto come la cultura giuridica dell’avvocato
Apuleio costituisca, nelle Metamorfosi, una risorsa prettamente stilistica, da utilizzare in funzione di quella ricerca di ‘interferenza’ linguistica che caratterizza notoriamente il dettato del romanzo99.
La contaminazione linguistica implica a sua volta, come si è riscontrato,
l’interazione di diversi orizzonti culturali e il contatto tra sfere e domini normalmente percepiti come distanti o scollegati. È stato in particolare osservato come
94
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97
98
99
Summers 1972; cf. Summers 1967, 62-76.
Tanto in 1, 6 quanto in 1, 9, il linguaggio di Aristomene è ricco di colloquialismi ed espressioni
da commedia, mentre l’amico Socrate, che pare immedesimarsi nella parte di sofferente eroe epico-tragico, utilizza un registro solenne, contraddistinto da elaborazione retorica e presenza di vocaboli e motivi tipicamente letterari: cf. GCA 2007, 165 ss. e 205 ss.; Scobie 1972, 93-9; cf. Münstermann 1995, in part. 8-11.
Il più recente commento al passo discute altre implicazioni storico-giuridiche del riferimento apuleiano e conclude: «it seems that the term iuridicus prouincialis, in combination with decreto, has
been created to give the sentence a legal ‘flavour’» (GCA 2007, 166 s.).
Cf. GCA 2007 sulla caratterizzazione stilistica della risposta di Socrate in 1, 6: il discorso non solo di sviluppa secondo un elaborato tricolon, ma sviluppa il motivo tipicamente tragico della τύχη
μεταβολὴ;.
Callebat 1998, 80 s.
Vd. n. 39.
- 315 -
Bianca Facchini
l’intromissione della lingua del diritto romano in sede fantastica determini un cortocircuito straniante che va spesso nella direzione della dissoluzione ironica dell’aura
fiabesca, della scopertura della finzione e della rilettura umanizzante del mito. Si è
però constatato come lo stesso linguaggio giuridico, decontestualizzato ed impiegato
in situazioni improbabili, finisca a sua volta per risultare ‘straniato’, comico e paradossale.
La commistione stilistica ed espressiva perseguita dall’autore delle Metamorfosi
parrebbe per certi versi risolversi nel piacere della creazione linguistica, della ricerca
del familiare nell’inusuale e dell’imprevisto nel quotidiano. Caratterizzate da un
continuo sovrapporsi di prospettive e di paradigmi conoscitivi differenti, le Metamorfosi sembrerebbero in definitiva non proporre un’univoca chiave di lettura della
realtà, un sistema interpretativo ed assiologico in grado di trionfare definitivamente100. Allo stesso tempo, tuttavia, l’ironia dissacrante e la prospettiva gnoseologica
frammentaria implicite nel gioco letterario apuleiano potrebbero trovare una controparte ‘costruttiva’. Mentre diverte, infatti, l’imprevisto cortocircuito tra fiabesco e
realistico, serio e burlesco, è anche in grado di suscitare un lampo di autentica meraviglia, di suggerire inattese analogie e di illuminare di nuova luce ciascuno dei diversi ambiti implicati nella giustapposizione diretta. In fondo, in una narrazione capace di alludere contemporaneamente alla caratterizzazione mitologica di Cupido e
alla condotta adultera sanzionata dal diritto augusteo, si potrebbe avvertire lo stesso
spirito curioso ed osservatore con cui il protagonista del romanzo rintraccia corrispondenze inaspettate tra entità apparentemente disparate, quali il sole e la fiamma
di una lucerna: ... nec mirum, licet modicum istum igniculum et manibus humanis
laboratum, memorem tamen illius maioris et coelestis ignis uelut sui parentis, quid
is sit editurus in aetheris vertice diuino praesagio et ipsum scire et nobis enuntiare
(Met. 2.12.2)101.
Riso, quindi, come effetto immediato della contaminazione di linguaggi, ma riso,
forse, anche come spia di un’intuizione ermeneutica.
Bianca Facchini
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI102
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100
101
102
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Il romanzo apuleiano (Tasinato 2000) sembrerebbe mettere ripetutamente in evidenza il potenziale ermeneutico della curiositas e la sua capacità di trasfigurare lo sguardo con cui si interpreta la
realtà. Per bibliografia sul motivo della curiositas nelle Metamorfosi, si veda ad esempio la rassegna bibliografica di Schlam – Finkelpearl 2000, 169-71.
Il testo adottato e la modalità di citazione dei singoli passi delle Metamorfosi si rifanno
all’edizione Les Belles Lettres 1940-1946 (nuova edizione dei ll. IV-VI a cura di L. Callebat,
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Abstract: Apuleius’ Metamorphoses abounds with legal expressions. While juridical terms tend to
reflect and witness Roman historical practices, from a literary standpoint their use seems to be functional to the author’s taste for linguistic experimentation and witty play on traditional motifs. The insertion of legal technicalities in fairy-tale or highly literary contexts is indeed congruent with the tendency of the novel to variation and stylistic contamination. It further reveals Apuleius’ strategy of
Romanization of Greek models and his uninhibited attitude towards traditional mythology and inherited topoi, which appear to be handled with smiling irony.
Keywords: Apuleius, Metamorphoses, legal language, poikilia, irony.
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