L`invecchiamento favorisce la deflazione?

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L`invecchiamento favorisce la deflazione?
30 aprile 2015 • Pagina 1
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L’invecchiamento favorisce la deflazione?
Lo spettro della deflazione sembra essersi allontanato dalle
nostre economie. Il sollievo è percepibile e l’euforia da
quantitative easing sorvola sul fatto che in alcuni paesi
sviluppati l’inflazione è stata bassa o persino negativa per
anni prima del calo delle quotazioni petrolifere. Inoltre, a
fronte delle crescenti pressioni deflazionistiche in economie
emergenti come la Cina, dobbiamo affrontare il fatto che,
oltre alla politica delle banche centrali, i prezzi delle
materie prime e l’inflazione dei salari potrebbero essere
trainati innanzitutto dalle strutture sociali senescenti.
L’azione deflazionistica dell’invecchiamento come
tendenza demografica è ancora oggetto di dibattiti
accademici. Tuttavia, numerosi esempi inducono a
propendere per una risposta affermativa.
In diversi paesi dell’OCSE due tendenze stanno
modificando la nostra struttura demografica con il
passaggio verso un invecchiamento della popolazione:
innanzitutto, si vive più a lungo e, in secondo luogo, i tassi
di fertilità scendono. La combinazione di questi due trend
indica non solo un calo della popolazione in età lavorativa,
ma anche che quest’ultima diminuisce rispetto al numero di
pensionati. Pertanto, non invecchiano solo i singoli, ma
intere società.
Questa dinamica ha conseguenze dirette sulla nostra
situazione finanziaria personale, poiché ci suggerisce di
iniziare a risparmiare presto in vista della pensione. Nel
complesso, la popolazione in età lavorativa deve
risparmiare una quota maggiore del proprio reddito da
lavoro per la pensione, disponendo quindi di meno denaro
per i consumi attuali. Con un numero maggiore di anziani a
carico dei sistemi di welfare, le imposte saranno più
elevate, con un’ulteriore riduzione dei consumi attuali.
L’aspettativa di vita in una società che invecchia modifica
il modo in cui il reddito viene speso e risparmiato nelle
diverse fasi della vita. Si tratta del cosiddetto modello di
consumo durante il ciclo di vita, che prevede tre canali
principali attraverso i quali l’invecchiamento influisce sul
livello dei prezzi: (i) la riduzione della domanda aggregata,
(ii) la flessione dei prezzi dei beni, incluso un effetto
ricchezza negativo e (iii) adeguamenti dei consumi, che
modificheranno i prezzi di questi ultimi.
Innanzitutto, la popolazione in età lavorativa è la chiave
della crescita del PIL e aggrega la domanda. Con il calo
della popolazione in età lavorativa diminuirà anche il PIL,
se la perdita di capitale umano non viene controbilanciata
da un aumento dell’efficienza produttiva. In una società
senescente, la produzione economica della popolazione
attiva deve anche essere distribuita tra più persone che non
appartengono alla forza lavoro. Un calo del PIL pro capite,
che si tratti di lavoratori o meno, genererà una pressione al
ribasso sulla domanda aggregata, poiché ciascun soggetto
avrà meno denaro da spendere. La domanda aggregata di
consumi depressa che ne deriva è una forza vigorosa che
spinge al ribasso i prezzi al consumo.
Il secondo canale è l’effetto ricchezza negativo.
L’invecchiamento implica che una quota crescente della
popolazione in età avanzata vivrà dei fondi accumulati
attingendo ai risparmi o vendendo i propri beni per
finanziare i consumi. Con l’aumento del numero di
venditori, i prezzi dei beni dovrebbero diminuire. Ciò
ridurrà la ricchezza aggregata accumulata dai risparmiatori
e, di conseguenza, i loro consumi.
Intanto, le persone di mezza età che risparmiano in vista
della pensione sono più interessate a investimenti che
promettono versamenti sicuri e regolari. Pertanto, la
domanda residua di attività riguarderà probabilmente
perlopiù le obbligazioni e spingerà al ribasso i tassi
d’interesse a lungo termine. Il calo di questi ultimi sarà
alimentato dalla riduzione delle aspettative di crescita
ascrivibile alla diminuzione della forza lavoro. In un
contesto di bassi tassi d’interesse, le banche centrali
disporranno di un margine di manovra più limitato per
contrastare la deflazione mediante tagli dei tassi.
Oltre a queste importanti forze, i prezzi relativi
cambieranno con il passaggio della domanda aggregata
verso categorie diverse di beni e servizi. Nel complesso, si
prevede un passaggio dai beni verso i servizi (come i
servizi sanitari e personali). Tuttavia, per quanto riguarda i
servizi, per le imprese è più difficile sostituire il lavoro con
il capitale. Pertanto, la domanda di investimenti di capitale
nei servizi non compenserà il calo della produzione di beni
di consumo e gli investimenti nel loro complesso subiranno
probabilmente una flessione.
Questi tre canali sono confermati da prove statistiche.
Esiste una correlazione positiva tra l’inflazione e la crescita
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della popolazione in un campione di economie sviluppate
ed emergenti. Dai grafici 1 e 2 emerge una correlazione
positiva con la popolazione in età lavorativa, mentre la
variazione della quota della popolazione di età superiore a
65 anni ha una correlazione negativa con l’inflazione.
Queste correlazioni dimostrano che le dinamiche
demografiche delle economie sviluppate non solo hanno
aiutato le banche centrali a mantenere bassa l’inflazione,
ma possono anche minarne gli sforzi per mantenerla sopra
lo zero nel lungo periodo.
Grafico 1: la diminuzione della popolazione in età lavorativa
coincide con un calo dell’inflazione
Grafico 2: l’aumento della popolazione in pensione coincide con un
calo dell’inflazione
Le dinamiche demografiche in atto in Europa, in Giappone
e in Cina hanno effetti deflazionistici. Nell’Europa
occidentale si prevede che la popolazione in età lavorativa
diminuirà dell’11 % entro il 2050, a fronte del ristagno
della popolazione complessiva. In Germania, dove la
1
popolazione in età lavorativa ha registrato un picco nel
2003, il calo stimato delle persone di età compresa tra i 14
e i 65 anni si attesta al 22 % nel medesimo periodo, in linea
con una flessione della popolazione totale di circa il 9 %. Il
paese in cui l’invecchiamento è in uno stadio più avanzato
è il Giappone: dal 1990 a oggi la popolazione attiva
nipponica è diminuita del 9 % ed entro il 2050 scenderà
ancora di un terzo.1
Naturalmente, non tutta la popolazione mondiale sta
invecchiando: vi sono ancora diverse regioni con
popolazioni giovani e in crescita, come l’India e l’Africa.
Tuttavia, dal momento che la ricchezza sotto forma di
attività finanziarie e di investimenti è concentrata in società
senescenti e con forze lavoro in diminuzione, il loro trend
globale è al ribasso. Le tendenze demografiche non
depongono a favore del raggiungimento degli obiettivi
d’inflazione delle banche centrali. Se consideriamo il
Giappone come società con lo stadio di invecchiamento più
avanzato, le prospettive d’inflazione non sono
incoraggianti.
Sul fronte positivo, si potrebbe obiettare che la deflazione
avvantaggia i consumatori che invecchiano e che hanno
risparmiato in vista della pensione. Invece, causa gravi
difficoltà a chi ha contratto debiti. Trovandoci sul lato
sbagliato di questa equazione nelle nostre economie
alimentate dal credito, gli effetti deflazionistici
dell’invecchiamento saranno amplificati dall’elevato
fabbisogno di consolidamento fiscale. In questa prospettiva,
non dobbiamo sperare tanto negli interventi delle banche
centrali, quanto in riforme strutturali volte a incrementare la
produttività (istruzione, infrastrutture informatiche, R&S) e
a far aumentare la forza lavoro (partecipazione femminile
alla forza lavoro, immigrazione, politiche familiari) e forse
in autorità politiche più creative, desiderose e in grado di
affrontare il problema alla radice. Ad esempio, Singapore
offre bonus fino a USD 3.250 per ciascuno dei primi due
figli, che aumentano fino a quasi USD 5.000 per il terzo e il
quarto figlio. Niente male come idea!
Yves Longchamp, CFA
Head of Research
ETHENEA Independent Investors (Schweiz) AG
Fonte delle stime relative alla popolazione citate: U.S. Census Bureau.
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declina ogni responsabilità per la correttezza, la completezza o l’esattezza dello stesso. Munsbach, 30.04.2015.